Nuove scoperte emerse dal restauro de La Vergini delle Rocce e una grande mostra alla National Gallery di Londra riaprono gli studi sul genio del Rinascimento sottolineando l’originalità della sua pittura incentrata sulla rappresentazione della dinamica degli affetti e sulla realtà interiore dei personaggi ritratti. Intanto due esposizioni a Roma e a Torino invitano ad approfondire la conoscenza dei suoi disegni in un confronto diretto con Michelangelo.
di Simona Maggiorelli

Leonardo, La dama con ermellino
«E’ la mostra che avrei voluto per Milano, che avevo in mente per l’Expo 2015» confessa Pietro Marani, fra i massimi studiosi di Leonardo, commentando la grande mostra londinese dedicata a Leonardo aperta dallo scorso 9 novembre al 5 febbraio 2012 alla National Gallery, (e che già registra un pieno di visitatori da ogni parte del mondo).
Di fatto si tratta della prima importante rassegna sugli anni milanesi Leonardo, dagli anni 80 agli anni 90 del Quattrocento, quelli più prolifici, trascorsi a servizio di Ludovico il Moro, quando il genio del Rinascimento fiorentino, tenendo a debita distanza le pressioni di signori e di committenti ecclesiastici, affrescò il suo Cenacolo in Santa Maria delle Grazie. Quello straordinario teatro delle passioni di cui Marani anni fa ha guidato il restauro riportandone alla luce un impensato impianto coloristico.
«La mostra londinese è una bella occasione di confronto internazionale fra gli studiosi» prosegue l’ex soprintendente milanese che a Leonardo, dopo tanti lavori scientifici, ha dedicato il romanzo breve Le calze rosa di Salaì (Skira), Oltremanica si può vedere il risultato del restauro della Vergine delle Rocce del 1480-90, di cui i curatori rivendicano la completa autografia leonardesca (fin qui si pensava un’opera frutto di collaborazione) ma si può vedere anche il da poco ritrovato Salvator Mundi, «una tela – racconta Marani – che ho avuto modo di vedere anni fa a Londra quando riemerse dal mercato americano e in pessime condizioni. Dopo una lunga ripulitura, ora si presenta come una pittura di grande qualità tanto che – dice lo storico dell’arte – potrebbe davvero essere di mano di Leonardo, come è stato annunciato in occasione del lancio di questa esposizione».
La mostra di Londra, dunque, riapre la discussione sull’attribuzione della tela di proprietà del gallerista newyorchese Robert Simon, anche se ci vorrà tempo e molto studio per risolvere definitivamente la controversia. Comunque sia, con o senza i colpi di scena annunciati dalla cronaca, la mostra Leonardo da Vinci painter at the Court of Milan si segnala già come straordinaria per la serie di ritratti che è riuscita ad avere in prestitoe ad esporre riuniti. A cominciare dalla Dama con Ermellino- Cecilia Gallerani (1488-1490), proveniente dal Museo Czartoryski di Cracovia e dalla Belle Ferronière (1490-1495) che viene dal Louvre, quadri con cui Leonardo supera la rigida tradizione rinascimentale di ritratti ufficiali di profilo regalandoci l’emozione di presenze femminili vive e misteriose e di giochi di sguardi con il pubblico che, nel caso di Cecilia Gallerani, arrivano ad alludere anche alla presenza fuori campo dello stesso Ludovico il Moro.

Leonardo, Cartone di Sant'Anna
E se in capolavori come questi Leonardo riesce quasi a farci percepire il movimento della mente e il flusso dei pensieri del soggetto ritratto, nel celebre cartone di Sant’Anna conservato a Londra (e di cui gli studiosi del British Museum ora propongono una retrodatazione alla fine del Quattrocento) Leonardo crea una intimo intreccio di rapporti emotivi fra i personaggi.
E’ uno degli esempi più raffinati e intriganti di quella dinamica degli affetti che Leonardo – inarrivabile in questo fra i pittori del Rinascimento – seppe rappresentare. Non emulato né da Michelangelo, che era interessato ad altro tipo di rappresentazione, più fisica, epica e religiosa, né dal più giovane Raffaello che, per quanto dovesse molto a Leonardo riguardo al disegno a matita nera, era assai più attento al consenso della committenza ecclesiastica che aveva fatto di lui “il divin pittore”.
« Quanto a Michelangelo – approfondisce Marani – con la torsione delle forme, era interessato a rappresentare le idee innate che Dio aveva posto nella mente dell’uomo. Leonardo invece tendeva a rappresentare un ideale di bellezza che veniva concretamente dalla natura». Con questa idea Marani, nei mesi scorsi si è fatto mentore di una piccola, ma interessantissima mostra in Casa Bonarroti a Firenze in cui erano a confronto disegni di Leonardo e Michelangelo. Con il titolo La scuola del mondo, in collaborazione con Pina Ragionieri, Marani aveva realizzato nella casa di Michelangelo un percorso espositivo ( catalogo Silvana editoriale) che metteva al centro il confronto fra i disegni realizzati da Leonardo per la Battaglia di Anghiari in Palazzo Vecchio, (l’affresco che fu murato da Vasari dopo il ritorno dei Medici al potere e mai più ritrovato) e i disegni di Michelangelo per l’affresco mai dipinto della Battaglia di Cascina. In versione ampliata e arricchita da disegni provenienti dall’Ambrosiana di Milano la mostra fiorentina (che ha chiuso i battenti l’agosto scorso) ora è ospitata fino al febbraio 2012 dai Musei Capitolini di Roma.
Lungo il percorso ricreato ad hoc si può leggere in parallelo l’evoluzione personale di ciascuno dei due artisti. In particolare qui Marani mette a valore la sua ipotesi sui motivi che portarono Leonardo ad abbandonare il tradizionale disegno fiorentino a punta di argento per passare a quello a matita, nera o rossa. «Fu l’esigenza di ritrarre i moti mentali a rivelargli l’insufficienza dei media tradizionali», spiega Marani.
Il tratto d’inchiostro nitido e quasi inciso non gli permetteva di andare in profondità come avrebbe desiderato nel rappresentare gli umori, le passioni, gli affetti che rendono espressivo il volto e la “corrente emotiva” che si crea nei rapporti umani. «La matita – aggiunge lo studioso – gli regala una nuova dolcezza nello sfumato e nel chiaroscuro, un segno morbido manipolabile anche direttamente con i polpastrelli che gli permetteva di rappresentare anche le più sottili vibrazioni luministiche ed emotive». Ne sono prova le straordinarie teste di combattenti disegnate per la Battaglia di Anghiari e che, insieme al ritratto di Isabella d’Este proveniente dal Louvre e ad alcuni profili di “vecchi e di giovani affrontati”, a teste ideali e schizzi di volti grotteschi rappresentano il corpus centrale di questa preziosa mostra transitata da Firenze a Roma

Leonardo La Vergine-delle-rocce-Londra
LE NUOVE SCOPERTE EMERSE DAL RESTAURO DELLA VERGINE DELLE ROCCE
Liberata dalla vernice giallastra che la ricopriva fin da una ripulitura degli anni Quaranta del Novecento, l’opera è stata riportata a un aspetto, il più vicino possibile a com’era in origine». Così Lerry Keith, direttore dei restauri della versione della Vergine delle rocce conservata al British Museum racconta i lavori appena ultimati. «In questo modo- aggiunge – è emerso lo straordinario uso del contrasto luce ombra con cui Leonardo dava tridimensionalità ed evidenza scultorea alle figure». Ma non solo. «L’esame tecnico riflettologico – prosegue Keith – ci ha permesso di vedere meglio come lavorava: facendo continui aggiustamenti, modificazioni e ritocchi come se fosse riluttante a fissare sulla tela un’immagine fissa e definitiva, una volta per tutte». Discorso affascinante che ci riporta agli studi di Leonid Batkin ( Leonardo da Vinci, Laterza) quando ipotizzava un programmatico “non finito” leonardesco, frutto di un processo creativo in cui l’ideazione era assai più importante della realizzazione dell’opera in una forma definita e ipostatizzata. Con lui un altro noto studioso, Martin Kemp (La mente di Leonardo, Einaudi) ha messo in evidenza come, specie negli anni più maturi, Leonardo tratteggiasse l’essenziale, «il resto rimane sempre non finito e lasciato all’immaginazione». Ma c’è ancora un’altra scoperta che il restauratore ci invita a considerare: «Con tecniche avanzate – dice – siamo stati in grado di scoprire qualcosa di più sui pigmenti usati da Leonardo. Per esempio abbiamo individuato un pigmento rosso di lago; è descritto nelle fonti dell’epoca ma non siamo riusciti a trovare nulla di simile della National Gallery».
Qui torna in primo piano Leonardo sperimentatore di tecniche nuove, che per lui non erano solo ricerca di maggiore efficacia pittorica ma parte di una ricerca continua sugli strumenti messi a disposizione dalla natura, per chi la sa comprendere, fuori dal dogmatismo religioso. Con i «trombetti e i dommatici», si sa, Leonardo non andava molto d’accordo.

Leonardo, autoritratto
Per lui non c’era nulla nella sapienza libresca che potesse farlo rinunciare alla “sperienza” diretta. Sperimentazione diretta, studio della natura, ma come si evince anche dalla Vergine delle rocce, quando poi si trattava di dipingere un tratto di paesaggio non si trattava di farne una copia dal vero, ma di ricrearla con fantasia, secondo un’immagine di bellezza, tutta interiore.
INTANTO ALLA REGGIA DI VENARIA la mostra Leonardo, il genio, il mito
La Scuderia Grande della Reggia di Venaria ospita dallo scorso 17 novembre al 29 gennaio 2012 la mostra Leonardo. Il genio, il mito, ponendo al centro del percorso il celebre Autoritratto di Leonardo, conservato nel caveau della Biblioteca Reale di Torino. Intorno all’opera,in cui Leonardo rappresenta se stesso come un elegante vecchio saggio sono esposti il Codice sul volo degli uccelli ed una trentina di importanti disegni di Leonardo, provenienti da collezioni italiane ed europee, sul tema dell’anatomia umana e del volto, delle macchine, della natura nonché altri interessanti ritratti riferibili ad allievi per un confronto diretto ed inedito con lo stesso Autoritratto. La mostra è arricchita da una curiosa e variegata selezione di opere di artisti -da Vasari e Sodoma a Duchamp, Warhol, Spoerri, Nitsch e tanti altr -i che raccontano come nei secoli si sia articolato il mito di Leonardo.
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