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Francoforte. La Fiera della qualità

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 11, 2014

buchmesse-frankfurt-2014Dall’ 8 al 12 ottobre la Buchmesse di Francoforte mette alla sbarra colossi come Amazon. E invita editori piccoli e medi  a incontrarsi. Per rilanciare con creatività contro gli oligopoli che dominano l’editoria internazionale

di Simona Maggiorelli

Non è solo la più importante piazza europea dove si possono acquistare i diritti di libri,  ma è anche un vitale spazio di incontro fra autori, editori, agenti, lettori. Dall’8 al 12 ottobre tornano ad accendersi i riflettori sulla Buchmesse di Francoforte.

Chi conosce il settore, sa che è una vera boccata di ossigeno per editori piccoli e medi, aduggiati durante tutto l’anno dalle “majors”. «A Francoforte s’incontrano gli autori, si può parlare e scambiarsi idee, di persona. C’è il lato umano. Importantissimo e sempre più raro in un mondo dell’editoria internazionale dominato da anonimi colossi», racconta Edoardo Fleischner, progettista multimediale, con un’esperienza ventennale di editore e docente di Comunicazione digitale all’Università degli Studi di Milano.

Nelle grandi case editrici in cui gli editor non sono più scrittori e intellettuali, ma perlopiù dei manager, «oggi il marketing ha la precedenza su tutto. E si tende a fare quasi tutto via mail, in video conferenze, velocemente. I grossi gruppi affrontano sempre di meno le pubbliche aste, come quella di Francoforte, per l’acquisto dei diritti di un libro. Trattano prima. Magari via fax. Tanto si rivolgono sempre ai soliti autori, quelli in cima alle classifiche, che fanno grandi numeri». Senza guardare troppo per il sottile quanto alla qualità letteraria. Basta che il prodotto funzioni sul mercato. «È un fenomeno che non riguarda solo l’Italia. Ovunque assistiamo a massicce uscite di quelli che io chiamo titoli blockbuster, come i film d’azione, ben confezionati e poveri di contenuto», stigmatizza Fleischner. «I tempi rapidi del marketing non consentono il dialogo con gli autori che, invece – ribadisce l’esperto – è proprio ciò che la Buchmesse incoraggia, permettendo alle case editrici piccole e medie, che oggi sono la parte più viva, coraggiosa e creativa dell’editoria, anche di fare nuove scoperte».

francoforte640Nonostante la tirannia di Amazon e presenze monopoliste nel web come Google, facebook, eBay ecc. (di cui si discuterà alla 66esima edizione della Buchmesse in una serie di incontri), la Fiera di Francoforte «riserva ancora molta attenzione a pubblicazioni di alto profilo letterario e al pensiero critico», afferma un editore rigoroso come KD Wolff, di Stroemfeld, marchio di grande prestigio che alla Fiera presenta l’opera critica di Georg Trakl, in sei volumi, con manoscritti in fac-simile.

Una perla che va ad aggiungersi al catalogo di questa casa editrice in cui già spiccano l’opera critica di Kafka, di Robert Walser, di Kleist, di Hölderlin e altri classici della modernità. «Le aste dei diritti non sono più il fulcro dell’editoria internazionale», dichiara Wolff.

«A dominare il mercato oggi sono titoli popolari e commerciali, anche se come tutti devono vedersela con la questione dei diritti digitali. Per nostra fortuna, proposte più colte e di nicchia continuano a trovare un loro spazio ». Quanto ai temi di dibattito che attraversano la Buchmesse 2014, secondo KD Wolff, una attenzione particolare merita la discussione sull’Open access. «La questione del diritto di accesso ai dati, oggi, non riguarda più un’avanguardia, ma ha raggiunto il grande pubblico. E Amazon o Google, solo per fare due esempi di monopolio, sono duramente criticati. Sempre più persone, insomma, vorrebbero che fosse dato asilo politico a Snowden». Una vena anarchica e libertaria, in effetti, percorre la Buchmesse 2014, che dedica ampi spazi al self publishing, alle ”pubblicazioni fai da te” e agli autori in cerca del loro primo editore.

1621943_10202546604616764_587467908456809213_nAnche le feste, i momenti conviviali che caratterizzano le serate francofortesi durante la Fiera sono preziose occasioni in cui si scambiano idee e nascono progetti. Come ci racconta Maria Gazzetti, traduttrice, autrice, animatrice di incontri letterari che dal 1996 al 2010 ha diretto la Casa della letteratura di Francoforte e oggi è alla guida della Casa di Goethe a Roma: «Il mio lavoro punta a rafforzare il dialogo italo tedesco e da questo punto di vista particolare noto che si traduce ancora troppo poco della nuova letteratura tedesca in Italia e che in Germania vengono tradotti soprattutto autori italiani mainstream ».

A scorrere la lista degli ospiti italiani della Buchmesse difficile darle torto: la fa da padrone Alessandro Baricco con la Scuola Holden e poi Daria Bignardi e Andrea Bajani che all’Istituto italiano di cultura presenta il suo libro dedicato a Tabucchi (edito nel 2013 da Feltrinelli).

«In questo periodo di generale difficoltà e di forte crisi del settore editoriale mi sembra che la tendenza sia quella di puntare su titoli e autori affermati, in qualche modo “sicuri”», commenta Marco Sbrozi, direttore editoriale della Hoepli, che in Fiera porta le novità della casa editrice che riguardano anche il mondo del rock. « Cercano di individuare e selezionare ciò che ha avuto una buona accoglienza in Italia e che ha i requisiti per essere apprezzato anche all’estero. Nella scelta di nomi come Baricco o Bajani – aggiunge Sbrozi – vedo da un lato il tentativo di rinnovare la proposta editoriale, dall’altro la tendenza a proporre gli autori e i titoli più di successo nel mercato italiano che potrebbero avere un futuro a livello internazionale».

«Proprio in una congiuntura mondiale così difficile è importante puntare sulla qualità selezionando i libri in base a questo criterio», dicono dalla casa editrice Einaudi, che porta in Fiera novità di saggistica e romanzi. Fra gli autori spiccano nomi cult come il collettivo Wu Ming e scrittori come Nicola Lagioia, ma anche un bel libro di architettura di Carlo Ratti. «Da quando la tradizione anglosassone ha smesso di essere egemone alla Buchmesse, gli autori italiani stanno riscuotendo maggiore attenzione», sottolineano con una certa soddisfazione dalla casa editrice torinese.

Andrà a Francoforte per proporre le novità di Carocci il direttore editoriale Gianluca Mori, ma anche per conoscere le proposte internazionali. «Per nostra attitudine – dice – prestiamo particolare attenzione a quegli editori o a quelle collane che si muovono sul confine tra ricerca scientifica e lettura colta, un po’ distanti dunque dall’eco dal mainstream. Esploreremo con cura il mondo della saggistica di argomento scientifico, per arricchire la nostra proposta editoriale, senza trascurare ovviamente i nostri ambiti disciplinari “classici”: la filosofia, la storia delle idee, ecc». Ma dando uno sguardo alle liste dei volumi che saranno presentati in Fiera e che gli editori ricevono già nelle settimane precedenti «mi sembra di registrare una certa stanchezza e ripetitività», accenna Mori. «I libri Carocci che proporremo ai nostri interlocutori stranieri sono diversi. Per esempio portiamo la Storia dell’italiano scritto in tre volumi, a cura di Antonelli, Motolese e Tomasini, ma anche il libro, appena uscito, di Domenico Losurdo, La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra, che propone un bilancio delle battaglie, e soprattutto delle sconfitte o delle “assenze” della sinistra occidentale, quindi non solo italiana. Un libro quanto mai attuale, dunque».

dal settimanale left

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Quando il lupo fa la vittima

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 5, 2014

lupo_agnelloRicchi e potenti che si fingono martiri per affermare un potere. Lacrime di coccodrillo per nascondere un delitto. Il vittimismo diventa egemone. Da Berlusconi a nuovi padroni. Dalla favola di Fedro alla realtà quotidiana. Daniele Giglioli indaga la genesi di questa mitologia nell’interessante saggio Critica della vittima edito da Nottetempo.

 

di Simona Maggiorelli

C’era una volta un lupo che, dopo essersi mangiato un agnello, iniziò a dire che l’animale gli aveva fatto un torto e, prima di lui, i suoi avi. La fiaba di Fedro tratteggia chiaramente un prepotente che fa la vittima. Per giunta calunniando chi ha subìto violenza. Un esempio di perverso travestimento, ben noto. Tracciando nessi con molte altre occorrenze, in letteratura e non solo, lo studioso Daniele Giglioli è arrivato a delineare una vera e propria mitologia della vittima. Che dai testi scritti, nel secolo scorso, è tracimata nella vita reale, secondo l’analisi del docente di Letterature comparate dell’Università di Bergamo che a questo tema ha dedicato un interessante libro, Critica della vittima (Nottetempo) e una lectio magistralis al Festivalfilosofia  di Modena, Carpi e Sassuolo.
«Il mito della vittima è qualcosa di molto diverso dal fatto che le vittime esistono e devono avere giustizia», precisa Giglioli, consapevole di aver affrontato un tema importante quanto spinoso. «Dagli anni Sessanta a oggi la condizione di vittima è diventata “desiderabile”- aggiunge -. Soprattutto per chi vittima non è. Ma tende a porsi in quella posizione perché gli garantisce una serie di vantaggi psicologici, identitari, retorici, qualche volta anche pratici».
VittimacspyOLAGL._SY300_Da dove nasce il mito della vittima?
A mio avviso da un vuoto, anche di positività. Quando non si riesce a distinguere ciò che è bene e ciò che non lo è, si tende ad attribuire alla posizione della vittima un valore. Perché la vittima è innocente. La vera vittima lo è. E non le si può rimproverare nulla; è incensurabile. Questo è il vantaggio a cui molti puntano.È il sogno di ogni potere assoluto, che non tollera alcun rimprovero. Sotto il regime, nessuno poteva criticare Luigi XIV o Hitler. Nella società moderna, per fortuna, questo non è più possibile.
Esiste un vittimismo dei potenti? Berlusconi ai servizi sociali, ne ha “approfittato”?
è sempre esistito. Proprio come racconta Fedro. Ma oggi queste modalità sono diventate egemoni. Per legittimare il potere, per imporre qualcosa. E quando non c’è un torto reale, se ne inventa uno presunto. Quanto a Berlusconi, ha fatto un uso abbastanza spregiudicato delle sue traversie giudiziarie, dicendo di essere una vittima e perciò migliore degli altri. È vero: ci sono persone migliori e peggiori. Ma quando, come in questo caso, non c’è un criterio, si ricorre al mito. Parlo di mitologia perché è senz’altro qualcosa che ha anche fare con strutture narrative arcaiche.
I migranti sono additati dalle destre razziste come un pericolo. Dall’altra parte trattarli come vittime da assistere è la risposta migliore?
Penso di no. C’è una ritrovata centralità del Mar Mediterraneo per il fatto che gran parte delle popolazioni in sofferenza del Medioriente si riversano su quest’altra sponda con speranza. L’idea che queste persone siano mosse solo da bisogni, è falsa. Gli esseri umani hanno anche dei desideri, sono dei soggetti, sono portatori di una cultura, di una identità che potrebbe anche “non piacermi”. La prima cosa da fare è sedersi a un tavolo e negoziare considerando non solo la soddisfazione dei bisogni, ma anche la realizzazione di altre esigenze. Questa è politica; questo significa trattarli da esseri umani. Il soccorso e l’assistenza si offrono anche a una nave di cavalli. Un carico di animali che fosse in pericolo finirebbe subito nella colonna di destra di tutti i giornali online, saremmo tutti commossi. Aristotele diceva che gli esseri umani hanno una voce come gli animali. Ma gli animali possono esprimere solo piacere o dolore, noi possiamo deliberare insieme ciò che è giusto o meno.
La mitologia della vittima fa leva sul senso di colpa. Sull’idea che l’essere umano sarebbe segnato dal peccato originario e da una tragedia originaria (l’assassinio di Abele). Fare i martiri per affermare con il crisma del sangue il proprio credo fa parte di un’ideologia religiosa storicamente determinata che possiamo anche criticare?
Sicuramente c’è un prelievo di termini. La parola martiri per esempio. Ma il Cristianesimo è una religione della “speranza”, anche se ultraterrena: soffrite qui e sarete ricompensati nell’aldilà. Il fenomeno di cui mi occupo è dilagante specie nel mondo dei consumi: se non hai qualcosa qui e ora, sei rovinato. Ti spetta. Con tutta la scarsa simpatia che uno può avere per le religioni rivelate, non dicono questo. La mitologia della vittima si basa sull’idea che l’umano è costitutivamente fragile. è umano ciò che può essere colpito. è una inversione di paradigma alquanto “sinistra”. Mi sorprende che intellettuali come Judith Butler, Giorgio Agamben e René Girard concedano qualcosa a questa antropologia negativa, basata su una mancanza originaria, incolmabile.
Levinas e Derrida sostengono che l’altro morente è “figura” della mia morte. In qualche modo l’anticipa, la prefigura. L’incontro con l’altro così sarebbe solo rispecchiamento, senza possibilità di dialettica, di conoscenza. Che ne pensa?
Sono abbastanza d’accordo. Così si vede solo il medesimo, solo ciò che pare l’unica cosa da vedere, ovvero il fatto che siamo tutti mortali. Sì è vero l’umano è incompiuto ma, in quanto tale, è creativo. Gli dei e gli animali, dicevano gli antichi greci, sono costretti a vivere sempre la stessa vita. Gli animali non possono cambiare la realtà in cui vivono, gli umani sì. Questo ha a che vedere con una potenza. Ma in un momento come quello attuale in cui tutti avvertono un senso di impotenza, ecco che una mitologia come quella della vittima che mette il vuoto al centro, sembra dare una spiegazione e anche una legittimazione. Niente è come io vorrei perché ci sarebbe una tara originaria di cui la vittima si fa portavoce.
Nel suo libro lei rilegge anche la figura di Pasolini alla luce della mitologia della vittima.
In Pasolini si incontrano il poeta e il copywriter che sa cosa funziona in una società di massa. Ha intuito e selezionato alcuni aspetti della propria biografia e ne ha fatto un tratto centrale di tutta la sua opera. Che poi è una sorta di identificazione cristologica o con il profeta. Prende per esempio il Vangelo secondo Matteo, caro agli ebrei, in cui Dio dice che Gesù viene a realizzare la parola dei profeti, che vengono regolarmente uccisi dal popolo. I grandi intellettuali sono come i cani da slitta che sentono, mezzo miglio prima, il crepaccio. Pasolini aveva evidentemente un sensorio molto sviluppato e procedeva con un suo modo un po’ confuso e insieme molto efficace. E poi se ci mettiamo la morte che ha fatto…

Dal setttimanale left

 

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