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Alle radici dell’avanguardia americana

Posted by Simona Maggiorelli su novembre 1, 2010

Dal 21 novembre una mostra al Guggenheim di Vercelli indaga i rapporti fra la pittura Usa degli anni 40 e il surrealismo europeo di Simona Maggiorelli

Quasi fossero pagine del diario pittorico di Peggy Guggenheim, stralci da quella straordinaria avventura intellettuale che portò la giovane collezionista (figlia dell’industriale minerario Benjamin Guggenheim e nipote di Salomon, il fondatore del Museum of non objective painting) a innamorarsi della pittura europea e poi a dare le basi materiali alla giovane avanguardia americana. Luca Massimo Barbero ha strutturato con questa idea un trittico di mostre, concepito ad hoc per il museo Guggenheim di Vercelli. Dopo il primo “atto” dedicato agli anni europei di Peggy e all’incontro con la pittura surrealista, dal 21 novembre nelle sede lombarda del grande museo americano si squaderna il racconto della prima vera stagione moderna della pittura statunitense. A partire dagli anni Quaranta nutrita dal talento di artisti come Rothko, Gorky, de Kooning, Kline e da autori forse meno noti, ma certamente interessanti come Marca-Relli, Hofmann e Matta.

Tutti, o quasi, artisti di nascita europea e che si erano trovati a dover emigrare in circostanze più o meno tragiche nel corso del primo ventennio del Novecento. A loro si univa, tra gli altri, l’“autoctono” Jackson Pollock che Peggy Guggenheim conobbe quando lui era agli inizi della carriera e contribuendo a lanciarlo. Una parabola quella della nuova pittura americana che si compirà in un percorso fulminante. Breve e intensa quasi quanto l’attività oltreoceano di Peggy che nell’arco di sei anni, dal 1941 al 1947, portò in patria la pittura surrealista (con la complicità del marito Max Ernst) ed esportò in Europa la tendenza americana all’informale. In uno scambio biunivoco, di circolazione delle idee, interessante da seguire e che in parte spiega il transito, non sempre sano e positivo di idee e tematiche surrealiste in artisti per altri versi geniali come Rothko. Curatore di molte importanti mostre al Guggenheim di Venezia e in procinto di trasferirsi a Roma per assumere la direzione del Macro (ma lui ridendo precisa «non ho ancora firmato alcun contratto») Luca Massimo Barbero ci fa da guida nella lettura di questo percorso delle avanguardie storiche e spiega: «In questo suo fare la spola fra i due continenti, Peggy riuscì a influenzare le avanguardie americane, fino al punto di riorientarne la direzione».

Fu lei a portare anche materialmente la proposta surrealista negli Stati Uniti. Le nuove generazioni vedono i quadri di Max Ernst, di Man Ray e degli altri loro sodali e «la nuova pittura americana nasce proprio su questa base». E non sono solo le fantasmagorie di uomini-animali del primo Rothko a documentare questo travaso di temi e figurazioni surrealiste (dalle quali fortunatamente il pittore di origini russe si separò presto per esplorare le possibilità espressive del colore) ma ancor più i primi quadri di Pollock in cui campeggiano immagini che devono molto alla pittura surrealista francese degli anni Trenta e a Mirò. E un nesso si può cogliere anche fra gli esercizi di scrittura automatica con cui Breton pensava di poter far arte e il dripping, con il quale Pollock componeva sulla tela pitture automatiche. «Ghirigori – ricorda Barbero – era il termine scherzoso con cui venivano definiti da una critica nostrana che accoglieva non senza una certa ironia i primi esempi di Action painting». Di fatto quella di Pollock, come annotava già Harold Rosenberg, si presentava esplicitamente come «una arena in cui agire», piuttosto che come un nuovo spazio di espressione artistica. E proprio riprendendo il famoso The American Action del critico americano, lo stesso Barbero nel catalogo che accompagna la mostra vercellese ricorda che «il nuovo pensiero americano dell’arte nasce come atto compulsivo», mentre quell’intreccio di linee che animava la tela di Pollock «non era un’immagine ma un evento». Ma non solo. «Di surrealista nella nuova pittura americana degli anni Quaranta – prosegue Barbero – c’è molto di più di quello che uno possa sospettare, come sviluppo, come germinazione dei semi lanciati da Breton e gli altri».

Nel Guggenheim di Vercelli, che appare come uno scrigno per la quantità e la qualità delle opere esposte in poco spazio, la mostra La nuova pittura americana si apre con un disegno di Matta del 1941. «Un’opera a mio avviso emblematica di questo legame dall’Europa all’America, un quadro – sottolinea Barbero – che verosimilmente Matta realizzò appena arrivato a New York» e che Peggy acquistò da un altro migrante illustre, Pierre Matisse (figlio di Henri Matisse). «In casa di Peggy – racconta Barbero – Matta incontra giovani come Pollock, si confronta con loro, ma anche con un altro europeo eccellente, Arshile Gorky e con il giovane Mark Rothko» Ed è in questo contesto che nascono i primi esperimenti di pittura astratta. Un termine che forse non si addice pienamente alla pittura di Pollock che al tempo stesso subiva il fascino, tipicamente americano della figurazione naturale e che non rinunciò mai a una sua oscura e primordiale simbologia «mutuata – ricorda Barbero – dalla psicoanalisi junghiana»

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Il mondo dell’arte nel 2010: ritorno alla ricerca

Posted by Simona Maggiorelli su luglio 15, 2010

Mentre Parigi e Londra puntano sulla cultura per battere la crisi, il Belpaese resta al palo. Nonostante l’apertura del MaXXI e alcune mostre di pregio. Ecco lo scenario che si prospetta per il nuovo anno

di Simona Maggiorelli

Kandinsky

Lasciati alle spalle gli anni zero dell’euforia dei mercati internazionali dell’arte e, specie per quanto riguarda l’Italia, gli anni di “mostrite” acuta (che nell’ultimo decennio ha prodotto una ridda di mostre già finite nel dimenticatoio) l’anno nuovo si apre all’insegna di esposizioni che tornano ad esplorare le avanguardie storiche e l’opera dei maestri che hanno segnato importanti svolte nei due secoli passati: da Goya a Van Gogh, da Gauguin a Kandinsky a Picasso. Ma il 2010 dell’arte, in molta parte d’Europa, si annuncia anche all’insegna di un concetto chiave come la valorizzazione dei beni culturali. Solo per fare un esempio basta dire che il presidente francese Sarkozy, anche per reagire alla crisi economica, nell’anno che si è appena aperto ha in programma di realizzare un grosso processo di riforma e di rilancio del Grand Palais e della Rmn (Réunion des musée nationaux) con l’obiettivo di “fare di Parigi una delle prime sedi di mostre a livello internazionale”. E mentre Londra, con un forte rilancio delle due sedi della Tate e con il ricco programma di esposizioni dedicate alle civiltà antiche della National gallery e del British punta a scippare a Berlino il primato di capitale dell’arte contemporanea e dell’archeologia, Barcellona e Amsterdam, investono su mostre scientifiche di studio e di approfondimento dell’opera di Picasso e Van Gogh.

E nel Belpaese?

Quanto a valorizzazione del patrimonio tutto procede, purtroppo, in ben altra direzione. Dopo un anno di fortissimi tagli al Fus alla tutela e alle soprintentendenze il responsabile della neonata direzione generale della valorizzazione dei beni culturali, il super manager ex Mc Donald’s Mario Resca ha appena varato una campagna pubblicitaria in cui il Colosseo appare smontato pezzo dopo pezzo mentre il David di Michelangelo, imbracato, si invola in cielo. Sotto scorre una minacciosa scritta: “se non lo visitate lo portiamo via”. Chi ha avuto modo di viaggiare durante queste festività ha visto senz’altro modo di notare questa geniale sortita del nostro ministero dei Beni culturali che circola on line nel circuito tv dei più importanti aeroporti nostrani. Ma tant’è. Continuando a sperare che gli italiani prima o poi si decidano a dare il ben servito a questa classe politica di centrodestra che, fra le altre pensate, ha concepito anche una Spa per la cartolarizzazione e la vendita di importanti pezzi del patrimonio nazionale, nell’anno che si apre gli amanti dell’arte antica e contemporanea avranno alcuni appuntamenti per rinfrancarsi, almeno un po’. Appuntamenti dovuti- è quasi pleonastico dirlo- alla tenacia di singoli studiosi non certo alle “ politiche” di questo governo.

Man Ray nudo di Meter Hoppenheim

Fra i vari eventi pensiamo in modo particolare dalla mostra ideata da Claudio Strinati per i quattrocento anni dalla morte di Caravaggio alle Scuderie del Quirinale a Roma, ma anche della duplice rassegna dedicata a Giotto e Assisi (marzo-settembre 2010) e al cantiere della Basilica e all’arte umbra tra il Duecento e il Trecento. Ma parliamo anche e soprattutto, della definitiva apertura del MaXXI, il museo del XXI secolo disegnato da Zaha Hadid, che dopo 11 anni di gestazione e 6 di costruzione aprirà a maggio con cinque mostre: da Spazio! dedicata alle collezioni permanenti di arte e architettura alla antologica dedicata a Gino De Dominicis curata da Bonito Oliva. Per il resto in Italia si produce poco e si importa molto. Seppur non di rado con profitto, come nel caso della grande mostra dedicata ai maestri dell’arte astratta che approderà al Guggenheim di Vercelli dal 20 febbraio sotto l’egida del curatore (nonché direttore del Macro di Roma) Luca Massimo Barbero. O anche come nel caso della mostra Utopia matters, che dal primo maggio, a cura di Vivien Greene, inaugura la nuova ala museale del museo Peggy Guggenheim di Venezia.Ma pensiamo anche alla mostra Goya e al mondo moderno che si aprirà il 5 marzo al palazzo Reale di Milano con la collaborazione di Skira. In questo quadro di collaborazione fra l’editore di origini svizzere e Palazzo Reale preceduta dalla rassegna Schiele e il suo tempo che si aprirà il 25 febbraio.

Su e giù per lo stivale

Mentre a Villa Manin a Passariano di Codroipo (Udine) prosegue con successo di pubblico fino al 7 marzo la mostra L’età di Courbet e Monet. La diffusione del realismo e dell’impressionismo nell’Europa centrale e orientale il prolifico e, comunque sia, bravissimo Marco Goldin con Linea d’ombra annuncia già la mostra Munch e lo spirito del Nord, in programma sempre a Villa Manin: 40 dipinti del pittore norvegese intercalati ad altri 80 dipinti che raccontano della pittura in Norvegia, Svezia, Finlandia e Danimarca nel secondo Ottocento.

dalla mostra aristocratic

E ancora a Parma, dal 16 gennaio Novecento arte fotografia moda design, una grande mostra che indaga il secolo passato inseguendone tutti i rivoli, grazie alle molte donazioni che gli artisti stessi hanno fatto al centro di documentazione creato da Arturo Carlo Quintavalle e Gloria Bianchino. In mostra opere di Schifano, Burri, Boetti, Fabro, Ceroli, Guttuso, Fontana, Sironi e molti altri.

Hong Kong tradional trandy

E ancora celebrando il Novecento, a Venaria reale e al museo del cinema di Torino la mostra 400 anni di Cinema: dal film paint alle lanterne magiche, in co-produzione con la Cinémathèque frainçaise di Parigi. Per quanto riguarda la fotografia, dal 29 gennaio al 5 febbraio 2010, in veste di evento off di ArteFiera 2010 di Bologna segnaliamo la proposta della rassegna Aristocratic The new experience. Una mostra che racconta un’esperienza caratterizzata da un forte desiderio di interagire con la realtà e che tuttavia porta a una trasformazione delle immagini in chiave assolutamente personale, anche attraverso la sperimentazione di nuove tecniche, strumenti e materiali.

Spagna. Dal genio di Picasso in poi

Al museo Picasso di Barcellona si indaga l’influenza cruciale che l’artista catalano Santiago Rusiñol esercitò sul giovane Picasso comparando l’opera dei due artisti dal punto di vista biografico e iconografico. Dal 15 ottobre al 16 gennaio 2011 poi il museo Picasso di Barcellona organizzerà una mostra che esplora i rapporti fra Picasso e Degas affidandola alla cura di una delle maggiori studiose dell’artista spagnolo Elizabeth Cowling dell’ University of Edinburgh. Un confronto basato sul fascino che Degas esercitò su Picasso e sul diverso uso che i due artisti fecero di pastelli pittura, scultura stampe e fotografia. Una mostra che punta a esplorare le risposte esplicite di Picasso a Degas ma anche i nessi concettuali più nascosti fra i due artisti. Al Prado,invece, nel 2010 approderà la mostra dedicata all’esplorazione della luce del romantico Turner,già passata per il Grand Palais e che mette a confronto i suggestivi paesaggi del pittore inglese con opere del XVI e XVII firmate da Brill, Carracci, Lorraine e Poussin. Intanto si lavora già a una importante mostra dedicata all’ultimo Raffaello e che sarà esposta al Prado e al Louvre nel 2012. Nell’anno che si apre ricchissimo è anche il programma del museo Guggenheim di Bilbao dove per dicembre è attesa una retrospettiva del pittore americano Robert Rauschenberg scomparso nel 2008.Ma anche e soprattutto una importante antologica dell’artista indiano Anish Kapoor,una delle personalità più sensibili e interessanti della scultura contemporanea. La mostra ricalca in parte quella organizzata dalla Royal Academy of Arts di Londra lo scorso anno e che ha avuto un notevolissimo successo di pubblico e di critica.

La grande Francia

L’anno francese si apre all’insegna di una grande rassegna dedicata alle icone sacre dei territori della Russia cristiana (dal 3 maggio al Louvre) con una mostra che scandaglia la tradizione che va dal IX al XVIII secolo.Al Centre Pompidou, da aprile a luglio Attraversando nazioni e generazioni Crossing nations and generations, Promises from the past con cinquanta artisti dall’Europa centrale e dell’Est , a più di vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino cercando di individuare continuità e punti di rottura nel lavoro delle generazioni di artisti più giovani.

E ancora, per quanto riguarda l’archeologia, in primavera al Louvre, Meroë, impero sul Nilo. Di fatto si tratta della prima mostra dedicata esclusivamente alla capitale egizia, con più di duecento reperti che raccontano dell’influenza africana egizia e greco romana che si intrecciò in questa area di 200 chilomentri a nord dell’attuale Khartoum. La capitale reale Meroë è diventata famosa nei secoli per le piramidi dei re e delel regine che dominarono la regione tra il 270 a.C e 350 d.C. Un tema quello dell’esplorazione delle civiltà antiche che ritroviamo al centro anche della mostra Strade verso l’Arabia. Tesori archeologi dall’Arabia saudita. Una mostra che permette di conoscere più da vicino la storia artistica di questo paese che a causa del regime fondamentalista che lo governa rende difficile l’accesso agli occidentali.

Sua maestà la ricerca scientifica

Senza perdere troppo tempo con gli eventi da cassetta la National Gallery punta sulla ricerca scientifica ed il restauro. Così tra le mostre più interessanti proposte dai musei inglesi per il 2010 c’è a partire da fine giugno la rassegna dedicata alle recenti scoperte riguardo ad attribuzioni e nuovi studi su opere di grandi maestri conservate alla National Gallery. Un esempio abbastanza emblematico: nel 1845, il quadro dal titolo Uomo con teschio fu attribuito a Hans Holbein. Una recente analisi dell’opera con mezzi aggiornati e scientifici ha dimostrato che l’opera risale e a un periodo successivo alla morte dell’artista.

Esplorando un altro ambito poco sotto i riflettori come quello del disegnoo antico, dal 22 aprile, sempre alla National Gallery si apre una grande mostra dedicata al disegno rinascimentale italiano, da Verrocchio a Leonardo a Michelangelo e Raffaello. Per quanto riguarda le civiltà antiche e l’arte di altri continenti, dal 4 marzo, la National ospita una grande retrospettiva dedicata alla scultura africana nigeriana che conobbe una particolare fioritura tra il XII e il XV secolo. E poi con un salto di molti secoli ancora dando uno sguardo alla fitta programmazione della Tate si segnalano nel 2010 la mostra dedicata all’avanguardia europea di Theo van Doesburg (1883-1931) protagonista del movimento olandese di artisti, architetti e designers De Stijl. Ma anche e soprattutto la retrospettiva di Arshile Gorky (1904-1948) dal 10 febbraio, in un confronto serrato con la diversa ricerca di Rothko, Pollock e de Kooning. E ancora dal 30 settembre l’antologica dedicata a Gauguin con un centinaio di opere da collezioni pubbliche e private del mondo per uno sguardo nuovo su questo maestro della modernità.

dal quotidiano Terra del 2 gennaio 2010

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Palma, la prima donna dell’arte

Posted by Simona Maggiorelli su giugno 14, 2009

“Partigiana” durante la guerra. Bucarelli aprì alle avanguardie. La sua Gnam le dedica una mostra

di Simona Maggiorelli

Quando nel 1942, giovane direttrice della Galleria d’arte moderna (Gnam) di Roma, Palma Bucarelli (1910-1998) si trovò davanti la dura realtà della guerra, temendo non solo i bombardamenti ma anche preconizzando il saccheggio «da parte della soldataglia» in ritirata, non esitò a mettere a valore tutto quello che aveva (Topolino compresa) per portare in salvo casse piene di opere d’arte prima nel Castello di Caprarola e poi in Castel Sant’Angelo. Donna coltissima e determinata, Bucarelli – a cui la sua Gnam dedica dal 25 giugno una grande mostra – aveva iniziato a lavorare nella Galleria romana poco dopo la laurea conseguita a 22 anni (con Adolfo Venturi), ma nonostante la poca esperienza intuì subito che la Convenzione di Bruxelles del 1874  e le rassicurazioni che le venivano dal ministero non sarebbero bastate a fermare la devastazione. Fu così che frequentando ambienti antifascisti e in stretto rapporto con Giulio Carlo Argan ed Emilio Lavagnino (entrambi destituiti dai loro incarichi dal governo fascista) Palma svolse un ruolo cardine per la messa in sicurezza del patrimonio d’arte nell’Italia centrale. Ma non solo. Diventata soprintendente subito dopo la liberazione, in una decina di anni fece della Gnam una fucina culturale  internazionale, organizzando mostre come quella di Picasso del ’53 e quella di Mondrian del ’56.

In anni in cui la sinistra si attardava in difesa del figurativo, Bucarelli aprì all’arte astratta e alla ricerca di artisti come Rothko, Gorky e Pollock. Ma anche alla giovane ricerca degli anni 50 e 60, con la prima grande mostra di Burri e con collettive di artisti italiani che riuscì a portare anche all’estero. Arrivando perfino a gettare le basi per creazioni site specific utilizzando il giardino della Gnam come una galleria a cielo aperto, come  documenta il catalogo Electa che accompagna la mostra. Ma tanto più cresceva il successo di Palma  tanto più feroci diventavano gli attacchi. E se fulminanti sono certi nomignoli che le furono affibbiati ( Palma e sangue freddo, Salma Bucarelli), la cifra della sua positiva fierezza si legge nei suoi scritti e in certe lettere ufficiali. Come quella che scrisse al ministro di Grazia e giustizia Zagari dopo che era stata aperta un’inchiesta sulla merda d’artista di Manzoni che lei aveva voluto alla Gnam: «Onorevole ministro – scrisse Bucarelli – può un magistrato stabilire ciò che è arte e ciò che non lo è, dato che dell’arte non esiste una definizione giuridica? E può determinare con tanta apodittica certezza, come fa, quali sono i compiti di un direttore di museo… E si può negare che le scatolette di Manzoni, anche se non sono opere d’arte nel senso tradizionale del termine siano almeno un documento di un atteggiamento dell’artista che indica la ripresa del dadaismo nel secondo dopoguerra?».

left avvenimenti, 19 giugno 2009

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Alle radici dell’avanguardia americana

Posted by Simona Maggiorelli su novembre 21, 2008

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Dal 21 novembre 2008 una mostra al Guggenheim di Vercelli indaga i rapporti fra la pittura Usa degli anni 40 e il surrealismo europeo
di Simona Maggiorelli

pollock.lavender-mistQuasi fossero pagine del diario pittorico di Peggy Guggenheim, stralci da quella straordinaria avventura intellettuale che portò la giovane collezionista (figlia dell’industriale minerario Benjamin Guggenheim e nipote di Salomon, il fondatore del Museum of non objective painting) a innamorarsi della pittura europea e poi a dare le basi materiali alla giovane avanguardia americana. Luca Massimo Barbero ha strutturato con questa idea un trittico di mostre, concepito ad hoc per il museo Guggenheim di Vercelli. Dopo il primo “atto” dedicato agli anni europei di Peggy e all’incontro con la pittura surrealista, dal 21 novembre nelle sede lombarda del grande museo americano si squaderna il racconto della prima vera stagione moderna della pittura statunitense. A partire dagli anni Quaranta nutrita dal talento di artisti come Rothko, Gorky, de Kooning, Kline e da autori forse meno noti, ma certamente interessanti come Marca-Relli, Hofmann e Matta.

Tutti, o quasi, artisti di nascita europea e che si erano trovati a dover emigrare in circostanze più o meno tragiche nel corso del primo ventennio del Novecento. A loro si univa, tra gli altri, l’“autoctono” Jackson Pollock che Peggy Guggenheim conobbe quando lui era agli inizi della carriera e contribuendo a lanciarlo. Una parabola quella della nuova pittura americana che si compirà in un percorso fulminante. Breve e intensa quasi quanto l’attività oltreoceano di Peggy che nell’arco di sei anni, dal 1941 al 1947, portò in patria la pittura surrealista (con la complicità del marito Max Ernst) ed esportò in Europa la tendenza americana all’informale. In uno scambio biunivoco, di circolazione delle idee, interessante da seguire e che in parte spiega il transito, non sempre sano e positivo di idee e tematiche surrealiste in artisti per altri versi geniali come Rothko.

Curatore di molte importanti mostre al Guggenheim di Venezia e in procinto di trasferirsi a Roma per assumere la direzione del Macro (ma lui ridendo precisa «non ho ancora firmato alcun contratto») Luca Massimo Barbero ci fa da guida nella lettura di questo percorso delle avanguardie storiche e spiega: «In questo suo fare la spola fra i due continenti, Peggy riuscì a influenzare le avanguardie americane, fino al punto di riorientarne la direzione».

Fu lei a portare anche materialmente la proposta surrealista negli Stati Uniti. Le nuove generazioni vedono i quadri di Max Ernst, di Man Ray e degli altri loro sodali e «la nuova pittura americana nasce proprio su questa base». E non sono solo le fantasmagorie di uomini-animali del primo Rothko a documentare questo travaso di temi e figurazioni surrealiste (dalle quali fortunatamente il pittore di origini russe si separò presto per esplorare le possibilità espressive del colore) ma ancor più i primi quadri di Pollock in cui campeggiano immagini che devono molto alla pittura surrealista francese degli anni Trenta e a Mirò. E un nesso si può cogliere anche fra gli esercizi di scrittura automatica con cui Breton pensava di poter far arte e il dripping, con il quale Pollock componeva sulla tela pitture automatiche. «Ghirigori – ricorda Barbero – era il termine scherzoso con cui venivano definiti da una critica nostrana che accoglieva non senza una certa ironia i primi esempi di Action painting». Di fatto quella di Pollock, come annotava già Harold Rosenberg, si presentava esplicitamente come «una arena in cui agire», piuttosto che come un nuovo spazio di espressione artistica. E proprio riprendendo il famoso The American Action del critico americano, lo stesso Barbero nel catalogo che accompagna la mostra vercellese ricorda che «il nuovo pensiero americano dell’arte nasce come atto compulsivo», mentre quell’intreccio di linee che animava la tela di Pollock «non era un’immagine ma un evento». Ma non solo. «Di surrealista nella nuova pittura americana degli anni Quaranta – prosegue Barbero – c’è molto di più di quello che uno possa sospettare, come sviluppo, come germinazione dei semi lanciati da Breton e gli altri».

Nel Guggenheim di Vercelli, che appare come uno scrigno per la quantità e la qualità delle opere esposte in poco spazio, la mostra La nuova pittura americana si apre con un disegno di Matta del 1941. «Un’opera a mio avviso emblematica di questo legame dall’Europa all’America, un quadro – sottolinea Barbero – che verosimilmente Matta realizzò appena arrivato a New York» e che Peggy acquistò da un altro migrante illustre, Pierre Matisse (figlio di Henri Matisse). «In casa di Peggy – racconta Barbero – Matta incontra giovani come Pollock, si confronta con loro, ma anche con un altro europeo eccellente, Arshile Gorky e con il giovane Mark Rothko» Ed è in questo contesto che nascono i primi esperimenti di pittura astratta. Un termine che forse non si addice pienamente alla pittura di Pollock che al tempo stesso subiva il fascino, tipicamente americano della figurazione naturale e che non rinunciò mai a una sua oscura e primordiale simbologia «mutuata – ricorda Barbero – dalla psicoanalisi junghiana».

da left- Avvenimenti 21 novembre 2008

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