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Non gli resta che il diavolo

Posted by Simona Maggiorelli su dicembre 21, 2018

Papa Francesco, come Paolo VI, è convinto che  il diavolo sia una persona e lo ha ribadito  in molti dei suoi discorsi. Additandolo come istigatore e responsabile di tutti i crimini che scuotono la Chiesa dal suo interno. Non a caso è il primo papa a riconoscere l’Associazione internazionale esorcisti 

di Emanuela Provera e Federico Tulli

” C’è Satana dietro il riscaldamento globale». Quella che potrebbe sembrare una battuta con tanto di allusione alle fiamme dell’inferno creato dalla fantasia dantesca è in realtà la concreta convinzione di Cristiano Ceresani, il capo di gabinetto del ministro per la Famiglia, il leghista Lorenzo Fontana. Una convinzione granitica esplicitata in diretta Tv su RaiUno alcuni giorni fa da Ceresani per promuovere il suo nuovo libro nel quale, dice, «cerco di spiegare come Satana, negli ultimi tempi che precedono la Parusia (la venuta di Gesù sulla Terra per la fine dei tempi), sarà scagliato sulla Terra con grande furore, sapendo che gli resta poco tempo proprio per prendere di mira il creato e la creazione, è un dato teologico». Quanto al dato meteorologico, secondo Ceresani, il climate change sarebbe la prova che qualcosa di mai accaduto prima stia per accadere: «Ovviamente è colpa dell’uomo, della sua incuria, ingordigia e avarizia se abbiamo calpestato questo pianeta. Ma nell’uomo agiscono forze trascendenti, nel cuore dell’uomo agisce la tentazione». La tentazione. Sicché, gratta gratta, essendovi dietro il plagio di Satana, il cambiamento climatico non è colpa degli uomini. Un bel guaio. Come possiamo difenderci? Nei giorni a seguire, l’esternazione di questo signore ha ricevuto le dovute attenzioni dei social finendo sommersa da una valanga di esilaranti parodie. Vanno però fatte due considerazioni serie. La prima è che Ceresani non è un cittadino qualunque ma un uomo delle istituzioni, presente in ben due governi: quello attuale, appunto, e quello precedente nel quale è stato capo dell’ufficio legislativo del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi. La seconda è che il suo non è un caso isolato. Non sono pochi gli italiani che nel Terzo millennio credono nell’esistenza del diavolo e gli attribuiscono le responsabilità più disparate. Prova ne è il ricorso agli esorcisti che, contrariamente a quello che molti sono portati a pensare, non esiste solo nel meridione o nelle zone povere del nostro Paese. Ma è diffuso ovunque in Italia senza soluzione di continuità. Spesso i cacciatori del demonio vengono visti come l’ultima spiaggia per chi è stato truffato da maghi e imbonitori, per chi ha perso il lavoro, per chi è stato tradito oppure – e questo forse è il dato più inquietante – per quelle persone in estrema difficoltà che sono state deluse da psichiatri capaci solo di imbottirle di psicofarmaci. Nel 2016 il docufilm Liberami di Federica Di Giacomo ha raccontato quel che accade in Sicilia, e chi scrive ha potuto assistere “live” a cerimonie in Piemonte e Lombardia (da giornalisti). Non esistono dati certi sul numero degli esorcismi che si compiono in Italia ogni anno. Nel 2012 un’inchiesta di Panorama stimava in circa 500mila le persone che l’anno prima si erano rivolte, più o meno spontaneamente, a un sacerdote per essere liberate dal diavolo. Lo stesso dato viene riportato alcuni mesi dopo da Adnkronos e dal Quotidiano Nazionale, e nel 2016 da La Stampa e da Agensir, l’agenzia stampa della Conferenza episcopale italiana. Facendo una lunga verifica online abbiamo notato che la cifra di “500mila” compare anche prima del 2012, nel 2000 e nel 2004, su diverse testate tra cui il Corriere della Sera e il Giornale. La fonte è sempre la stessa: l’Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici (Aippc), spesso per bocca del presidente e fondatore Tonino Cantelmi. Da nessuna parte sono indicate le modalità di raccolta ed elaborazione dei dati. Comunque sia a quanto pare la geografia del demonio è ecumenica: da Nord a Sud lungo lo Stivale si manifesta ovunque in egual misura. Le sue vittime preferite, è quasi inutile dirlo, sono le donne (65 per cento dei casi). 

Se non c’è da fidarsi dei numeri sciorinati dalla Aippc, per farsi un’idea della diffusione di questo fenomeno in Italia occorre guardare al dato ufficiale degli esorcisti, riconosciuti dalla Chiesa, attivi nel nostro Paese. Il calcolo è possibile grazie al riconoscimento giuridico che l’Associazione internazionale esorcisti ha ottenuto il 13 giugno 2014 dalla Congregazione per il clero, il dicastero della Curia romana incaricato della formazione degli ecclesiastici, con decreto firmato da papa Francesco. Da allora è più semplice censire gli esorcisti, anche perché hanno una «licenza»: il patentino è valido per cinque anni, o per un numero determinato di casi, ed è rinnovabile. Dicevamo dell’Italia. Quanti sono gli esorcisti? Nel nostro Paese c’è la più alta concentrazione al mondo di esorcisti con licenza. Sono 240, tra sacerdoti nominati dai vescovi e i vescovi stessi. Praticamente ce n’è almeno uno in ogni diocesi. Staccatissimi nella speciale classifica abbiamo il Regno Unito (28 esorcisti) e gli Stati Uniti (21), dove il 57 per cento dei cittadini crede nell’esistenza del diavolo e il 51 per cento nelle possessioni diaboliche. Solo in Sicilia e in Lombardia ce ne sono 40, a fronte dei 15 in tutta la Spagna e dei 5 in Portogallo, e alcune grandi diocesi (tra cui Milano e Roma) hanno perfino istituito dei call center per smistare le richieste di appuntamento.

A livello continentale, troviamo 29 esorcisti in America Latina (15 dei quali nel solo Messico), 6 in Africa e solo 5 in Asia (2 nelle Filippine, gli altri in Cina, Giappone e Corea del Sud). Benedetto XVI è stato il primo papa ad auspicare la presenza di un esorcista in ogni diocesi, ma il suo appello è stato ripreso anche in tempi più recenti. «L’esorcista – si è affermato durante la riunione plenaria del 2017 della Congregazione per il clero – contribuisce a prevenire il triste fenomeno del funesto ricorso di molti agli “operatori dell’occulto”. La mancanza di esorcisti in una diocesi può, infatti, indurre la gente a rivolgersi a tali personaggi, o a “sette” di vario genere». 

Che sia stato papa Francesco a riconoscere ufficialmente dopo quasi tre decenni di tentativi l’Associazione internazionale esorcisti non è un caso. Nemmeno Paolo VI era arrivato a tanto. Lui che durante l’Udienza generale del 15 novembre 1972 tenne un discorso dai toni durissimi per ribadire la presenza e il pericolo del diavolo come ente personale «perverso e pervertitore». Ufficialmente papa Montini intendeva arginare una frangia di teologi che non seguivano attentamente il magistero della Chiesa e che cominciavano a negare l’esistenza del demonio come persona riducendolo a un simbolo. Non sappiamo come la presero i destinatari della reprimenda ma di certo quel discorso sebbene avesse stregato pure Hollywood – il film L’esorcista è del 1973 – segnò solo parzialmente la riscossa degli esorcisti incaricati dal Vaticano che fino ad allora erano un centinaio nel mondo. Anche per Bergoglio «il diavolo esiste ed è persona». E il pontefice argentino gli ha dichiarato guerra sin dai primi giorni del suo pontificato. Monsignor Larry Hogan, vicepresidente dell’Aie, ha fatto notare come papa Francesco abbia «citato il diavolo quattro volte nei primi dieci giorni». E dal 13 marzo 2013 non si è più fermato. “Vedendo” il diavolo in tutti gli scandali che da un ventennio scuotono la Chiesa dall’interno, avendone minato la credibilità e la stabilità politica al punto da spingere Benedetto XVI alle storiche dimissioni del 2013, papa Francesco ha attribuito a Satana la responsabilità degli affari illegali che ruotano intorno allo Ior e all’Apsa, l’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica della Santa sede; della pedofilia clericale; delle guerre intestine e dei giochi di potere che minacciano l’integrità della Curia; dei vatileaks e delle fughe di notizie riservate dalle Mura leonine. 

I fedeli «di tutto il mondo» sono invitati «a pregare» per «proteggere la Chiesa dal diavolo, che sempre mira a dividerci da Dio e tra di noi» ha detto il papa il 29 settembre scorso nel pieno della bufera provocata dal “dossier” dell’ex nunzio mons. Viganò che lo accusa di aver insabbiato per anni le denunce per pedofilia contro il cardinale Usa McCarrick. Bergoglio intendeva infatti con il suo appello preservare la Chiesa «dagli attacchi del maligno, il grande accusatore, e renderla allo stesso tempo sempre più consapevole delle colpe, degli errori, degli abusi commessi nel presente e nel passato e impegnata a combattere senza nessuna esitazione perché il male non prevalga». 

Ma di Satana il pontefice argentino non ha parlato solo in qualità di capo spirituale dei fedeli cattolici. Il principe delle tenebre è presente anche nei suoi discorsi ufficiali da capo di Stato. «Non esiste un dio della guerra: è il diavolo che vuole uccidere tutti» ha detto il 20 settembre 2016 ad Assisi davanti a oltre 500 leader religiosi e politici di tutto il mondo. E il demonio c’è, come se non bastasse, quando Bergoglio assume le sembianze del bonario parroco di campagna e gioca con i bambini. Il maligno «è il padre dell’odio, delle bugie, delle menzogne, perché non vuole l’unità» tra gli esseri umani, ha detto ad alcuni bambini della catechesi dagli sguardi atterriti durante una visita alla parrocchia di San Michele Arcangelo nel 2015. Secondo papa Francesco, tutti i bambini sono indemoniati: «Quando voi sentite nel cuore odio, gelosia, invidia state attenti perché viene dal diavolo; quando sentite la pace, viene da Dio» ha raccontato ai suoi giovanissimi interlocutori citando gli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola («L’uomo vive sotto il soffio di due venti, quello di Dio e quello di Satana» diceva il fondatore dei gesuiti). Si tratta di un’idea violenta e perversa della realtà umana del bambino ma nessuno al di qua del Tevere si è indignato. I media italiani annotano tutto quello che dice papa Francesco, lo riportano con zelo e restano in attesa della dichiarazione successiva. Senza fare domande scomode, senza mai abbozzare una critica o evidenziare contraddizioni. Nemmeno quando nella premessa che Bergoglio nel 2017 ha firmato al libro autobiografico della vittima di un sacerdote pedofilo, scrive: «Chiedo perdono per i preti pedofili: un segno del diavolo, saremo severissimi». L’11 dicembre scorso il cardinale George Pell, ministro dell’Economia della Santa sede, è stato condannato in primo grado in Australia per aver compiuto violenza su due bambini e atti osceni. Mai un cardinale era stato accusato in prima persona di aver commesso atti di pedofilia. I fatti risalirebbero a quando Pell era solo un sacerdote nella sua città natale di Ballarat. Nessun giornale italiano – tranne il nostro – ha riportato la notizia per almeno due giorni. La sentenza con relativa sanzione sarà emanata il 4 febbraio 2019. Al momento non esistono altre informazioni, in quanto in Australia per legge il giudice può stabilire il divieto di pubblicazione di notizie su un processo fino alla sua definitiva conclusione. È questo il caso del giudizio cui è stato sottoposto a partire dal 2017 il cardinale australiano, voluto un anno prima da papa Bergoglio a capo del superministero dell’Economia vaticana quando – a proposito della severità declamata dal pontefice – erano già note le indagini della magistratura australiana sul conto di Pell anche per aver insabbiato numerose denunce contro preti pedofili quando era a capo della diocesi di Melbourne. Giova ricordare che il grande accusatore di Pell, Peter Saunders, fu silurato proprio per questo dalla commissione pontificia antipedofilia. Chissà, forse anche lui è stato “visto” come Satana…

Il libro inchiesta:Don Michele Barone, ex sacerdote della diocesi di Aversa, è in carcere da febbraio del 2018 con l’accusa di abusi sessuali su due sorelline minorenni durante i riti di esorcismo (Arianna e Giada, nomi di fantasia). Secondo la testimonianza della più piccola, Arianna, 13enne all’epoca dei fatti, i loro genitori, per curare una reazione psicosomatica dell’altra sorella, l’hanno portata da don Barone, che le avrebbe fatto interrompere le cure sottoponendola a violenti esorcismi, durante i quali la piccola sarebbe stata maltrattata. Don Barone era finito spesso in tv per parlare proprio di esorcismi e di apparizioni miracolose. Il caso è scoppiato dopo un servizio delle Iene e pochi giorni don Barone è stato arrestato. Attualmente è in corso il processo di primo grado. Fonti di stampa locale riportano che Giada è stata allontanata dai genitori e ha cominciato a stare meglio, riprendendo a mangiare.

Storia Il diavolo inventato  dai cristiani

di Simona Maggiorelli

l diavolo è un’invenzione del Cristianesimo, che ha sussunto miti precedenti, risemantizzandoli con un proprio fine: accusare e condannare i propri nemici: i pagani, gli eretici, le donne… «Tu sei la porta del diavolo, tu sei la profanatrice dell’albero della vita, tu sei stata la prima a violare la legge divina, tu sei colei che persuase Adamo, colui che il diavolo invece non riuscì a tentare. Tu che hai infranto l’immagine di Dio, l’uomo, con tanta facilità. Per causa tua esiste la morte». Così sentenziava l’apologeta cristiano Tertulliano esprimendo una condanna delle donne che con Paolo di Tarso sarebbe diventata inappellabile. Poi tra il XVI e il XVII secolo, quando la ragione rinascimentale e spinoziana annullò l’irrazionale delegando la sfera dello “spirituale” alla Chiesa, si alzarono roghi per bruciare le streghe, additate come convitate di satana nel sabba. Un crimine agghiacciante compiuto dalla Chiesa, che vanta una lunghissima storia di sangue fra guerre per l’iconoclastia e crociate, in nome di Dio, sulla base del libro sacro e di fantasticherie sul Maligno. Ma quando è cominciata questa orrenda storia? Nell’antichità pagana la mitologia e le narrazioni orali, in differenti luoghi del mondo, raccontavano di dei, di entità benevole o maligne, dei Jinn nella tradizione araba, di folletti, e di altre creature di fantasia in quella nordica. Si possono riscontrare nelle fiabe, nell’epos, nelle cosmogonie di popoli politeisti. Il pantheon dell’Antico Egitto comprendeva sia Horus, divinità benigna che Seth, dio del caos, raffigurato come un uomo con la testa da sciacallo o di capra. Anche i seguaci del culto di Zoroastro nell’antica Persia, conoscevano varie divinità positive e negative, che  si immaginava  abitassero regni celesti e infernali. Lo stesso vale per i Maya e per le società azteche. Ma è con i tre monoteismi – ebraismo, cristianesimo e islam – che inizia la narrazione tossica del diavolo. Fu il cristianesimo, in particolare, a farne la personificazione del Male. La parola latina diabolum viene dal greco diabolos che a sua volta deriva dal verbo dia-bàllein, che significa separare, disunire, fratturare. La parola satana, invece, ha una radice ebraica che rimanda al significato di osteggiare, accusare e calunniare. Una serie di studi ci aiutano a ricostruire la storia dell’invenzione del diavolo, a cominciare da Le origini della cultura europea di Semerano (Olschki, 1994). Il noto filologo e linguista ipotizzava che il termine satana fosse comparso quando gli Ebrei, dopo l’esilio a Babilonia, entrarono in Persia, dove esistevano semi divinità poi tradotte nella figura di satana. La Piccola storia del diavolo di G. Minois (Il Mulino, 1999) e Il diavolo in Occidente di Tullio Gregory (Laterza, 2013) ci aiutano a mettere a fuoco la costruzione storica della figura di satana, che compare per la prima volta nel Vecchio Testamento (Libro di Giobbe), scritto intorno all’XI-X secolo a.C. e poi sistematizzato in versione finale nel 575 a.C. Non è ancora “Il Diavolo” ma uno dei consiglieri di Dio, un diavolo tentatore che agisce solo su licenzia dell’entità superiore. Fino a quell’epoca, dunque, «satana è un titolo, non un nome proprio». È con il Vangelo e nel medioevo cristiano che il cristianesimo comincia a terrorizzare sistematicamente il proprio gregge con la figura del diavolo, perversamente incutendo paura fin da bambini. Cominciano da parte di monaci e suore, poi fatti santi, racconti deliranti di persecuzioni diaboliche, da san Domenico a Teresa d’Avila. In presenza di epidemie di peste, oppure nel caso di cataclismi e guerre si cominciò a dire che era colpa del diavolo e di peccatori. Andando a caccia del capo espiatorio. Come i cristiani continuano a fare ancora oggi, vedi Cristiano Ceresani, capo di gabinetto del ministero per la Famiglia che attribuisce al diavolo il cambiamento climatico. Ma si potrebbe ricordare anche l’allora presidente del Cnr Roberto De Mattei  parlava dello tsunami del 2004 come punizione divina per i peccati dei gay. Oggi come ieri la Chiesa alimenta queste credenze, trasformandole in uno strumento per il controllo dei movimenti ritenuti pericolosi, eversivi e devianti dall’ortodossia. È così che la Chiesa è arrivata a demonizzare gli eretici, gli infedeli, le donne. E i cristiani che siedono in Parlamento, ancora oggi in Italia, anche grazie agli scellerati Patti Lateranensi, tentano di imporne per legge un’ideologia religiosa razzista e misogina.

Arte Angelo ribelle ed eroe in barba alla Chiesa

Corna, coda, artigli, piedi caprini fauci bestiali. Per dare forma all’invisibile, gli artisti, (che nel medioevo dovevano essere ligi ai programmi ecclesiastici), lo tratteggiarono in modo mostruoso, demonizzando raffigurazioni pagane. Il mosaico bizantineggiante di Coppo di Marcovaldo (1260-70) nel Battistero di San Giovanni a Firenze ben rappresenta questo mutamento iconografico che influenzò anche Giotto e il suo immaginifico Giudizio Universale (1306) nella cappella degli Scrovegni a Padova, ma anche Dante. In precedenza, nell’arte paleocristiana, fino al IX secolo – come ben racconta Demetrio Paparoni nel libro The Devil (24 Ore Cultura) – il diavolo era raffigurato con fattezze umane, anche se vecchio e deforme, con il naso ricurvo e gli occhi di fuoco. Ma alla Chiesa medievale non bastava più, perché il fine era spaventare, irretire, controllare anche e soprattutto i tantissimi analfabeti che non leggevano la Bibbia e non sapevano il latino. Ma l’obiettivo della Santa romana Chiesa era anche deturpare, negare e denigrare le culture pagane, superstiti soprattutto nelle campagne. Così ecco spuntare il diavolo su tele, bassorilievi e affreschi come fantasticheria composta collezionando aspetti mutuati da divinità degli inferi etruschi o rendendo ributtante il dio Pan. «Così facendo il cristianesimo ottenne l’effetto di attribuire caratteri di malignità e di pericolosità agli idoli pagani e creò una figura mostruosa ispiratrice di tutti gli oppositori della fede e di deviazione dalla dottrina ufficiale». A cominciare dalle donne. In alcune rappresentazioni medievali e rinascimentali il serpente che tenta Adamo ed Eva ha la testa di donna, per sottolinearne la natura demoniaca. Ma, chiosa Paparoni, sono tutto sommato rare occorrenze, «perché attribuirle le vesti del diavolo poteva anche significare concedere alla donna un potere»! 

Interessante è anche seguire lungo i secoli a venire l’evoluzione della ricerca dello storico dell’arte e critico in questo volume dal ricchissimo apparato iconografico. Si scopre così che fu John Milton nel suo Paradise Lost (1667) fra i primi a cominciare a riscattare la figura del diavolo, in quanto angelo ribelle al Dio onnipotente. Nella versione romantica, il diavolo verrà addirittura trasformato in eroe perché si ribella all’autorità costituita. E Lucifero, alla lettera, diventerà colui che porta la luce e la conoscenza. Ritroviamo poi il diavolo nei quadri degli artisti delle avanguardie storiche, da Picasso a Max Ernst, non di rado per denunciare l’agghiacciante avanzare di fascismo e nazismo. Anche Pollock ha dipinto una grande tela dal titolo Lucifer (1947) forse suggestionato dalle teorie junghiane che stava seguendo. Ed è proprio questo l’assunto più curioso del libro: «Basta fare una ricerca su Pinterest o su Google per avere conferma di quanto il diavolo sia tuttora presente nel repertorio iconografico: oggetto di riflessione da parte di teologi e psicoanalisti, anche se meno apprezzato da artisti e scrittori».  Simona Maggiorelli

editoriale del numero di Left dal titolo “Stato Terminale”

«La moglie è posseduta: per i giudici la colpa del divorzio è del demonio». Con questo titolo il Corsera ha dato notizia del debutto del diavolo in un’aula di giustizia italiana. Per la precisione nel Tribunale di Milano. Era il 6 aprile scorso. E nella sentenza si legge: «La signora non agisce consapevolmente, è agìta». Dando così valore alle testimonianze dei parrocchiani e dell’esorcista frequentati dalla donna, fervente cattolica. Tutto questo è accaduto in Italia non in Vaticano. I giornali italiani lo riportano, senza fare una piega, come se fosse normale e ammissibile. Cambio di scena: il viaggio pastorale di papa Francesco a Fatima viene riportato fra le prime notizie del giorno dalla tv pubblica italiana. I vaticanisti nel viaggio di ritorno in aereo dialogano con il papa parlando di apparizioni e di ragazzini “visionari” fatti santi. (Due su tre, uno a quanto pare è rimasto fregato). Ne parlano come fossero cose reali. Sbalorditiva è la narrazione acritica da parte dei maggiori media italiani. Non una voce giornalistica ha precisato che il racconto delle apparizioni, delle visioni, dei miracoli e il riferimento nemmeno troppo velato alla lotta contro il maligno, rappresenta unicamente la visione della Chiesa. Non è la prima volta. Da quando Bergoglio è salito sul trono di Pietro nel 2013 i riferimenti al diavolo come persona e al fatto che sia lui il vero responsabile degli scandali finanziari e pedofili della Chiesa, oltre che delle guerre e dei “mali” del mondo, sono una costante dei suoi discorsi. Volendo pensare e non credere abbiamo chiesto agli psichiatri cosa significa “vedere” il diavolo e “parlare” con la Madonna. A noi pare particolarmente inquietante che il Tribunale di uno Stato laico alluda alla presenza di misteriose forze esterne per spiegare l’evidente malessere di una persona. Da dove origina tutto ciò? A fronte di tutto questo una ricerca dell’Istat sulla “Pratica religiosa in Italia” evidenzia dal 2013 a oggi uno svuotamento delle chiese senza precedenti, ci restituisce la fotografia di una società civile sempre più impermeabile agli antichi retaggi religiosi. Una conferma di questo trend viene anche dall’XI Rapporto sulla secolarizzazione pubblicato da Critica liberale mentre andiamo in stampa. Insomma, nonostante papa Francesco e i suoi sodali, la collettività laica resiste e contrattacca. Sono circa 10 milioni gli italiani che si dicono non credenti (fonte Uaar). È in primis a loro che ci rivolgiamo e che ci rivolgeremo su Left, per costruire insieme qualcosa di nuovo (Simona Maggiorelli)

tratto da Left, 21 dicembre 2018

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#Boncinelli: La scienza libera le donne dal destino “naturale”

Posted by Simona Maggiorelli su agosto 8, 2015

Il genetista Edoardo Boncinelli

Il genetista Edoardo Boncinelli

«L’invenzione della pillola anticoncezionale ha avuto un impatto enorme. E non è certo finita. Anzi, il bello deve ancora venire…Oggi si parla di gameti e di riproduzione, con l’apertura di orizzonti prima inimmaginabili» ha scritto il genetista Edoardo Boncinelli sul Corsera commentando la notizia del via libera, a larga maggioranza, da parte Parlamento inglese a un tipo di fecondazione assistita che permette di evitare la trasmissione di malattie genetiche gravi da madre a figlio. Una tecnica ideata da un gruppo di scienziati dell’Università di Newcastle, che prevede la sostituzione del Dna mitocondriale difettoso della madre con quello di una donatrice sana. Ma questa non è la sua innovazione più interessante in questo ambito».

Professor Boncinelli, nuove tecniche di fecondazione in vitro fanno a meno dell’intervento dello spermatozoo. Viene stimolato l’ovocita per provocare una partenogenesi. Di che si tratta più precisamente?

In alcune specie la partenogenesi è un fenomeno naturale. Non ha bisogno dell’intervento dei cromosomi maschili per dar vita a nuovo organismo. Negli animali superiori, compreso l’uomo, di solito non avviene. O meglio non avviene spontaneamente. Ma si può attivare la cellula uovo. Nei conigli, per esempio, è piuttosto comune, s’inietta una gocciolina di iodio e l’uovo comincia a svilupparsi anche senza l’intervento del gamete maschile. In linea teorica nel caso dell’essere umano è possibilissimo ottenere tutto questo. In linea teorica, ripeto, perché poi il processo viene fermato. Per esempio, si può stimolare la cellula uovo attraverso degli ioni calcio. In questo caso non c’è traccia di cromosomi maschili, fa tutto la parte femminile. E comunque si ottiene un organismo completo. O per meglio dire si otterrebbe visto che non è ancora mai stato portato a termine.

Boncinelli Noi siamo cultura

Boncinelli Noi siamo cultura

Si possono anche produrre gameti maschili e femminili in laboratorio?

Questa è l’ultima notizia. Anche se per noi scienziati non è del tutto nuova, perché se ne era parlato nella comunità scientifica. Le cellule staminali, come sappiamo, possono produrre vari tipi di tessuti e anche i gameti. Certo, vanno indirizzate in questa direzione. Un domani potremmo ottenere da una parte cellule uovo e dall’altra spermatozoi, semplicemente partendo da cellule staminali. Il che porta un vantaggio in medicina: si potrebbe sapere esattamente che patrimonio genetico hanno perché discendono da una cellula specifica.

Se si aggiunge anche la fecondazione da tre Dna diversi

Il quadro si fa piuttosto articolato. Con la differenza che quest’ultima strada è già pienamente realizzabile. Ed è abbastanza facile. Con questa tecnica si aggira la minaccia di avere un bambino con malattie gravi di tipo mitocondriale perché la donatrice ha i mitocondri sani.

La medicina più avanzata “libera” la sessualità umana dalla procreazione?

Sì, sempre di più. Ma permette anche di poter avere un figlio sano. Naturalmente se si ricorre alla tecnica come puro gioco, non ha molto senso, ma se avere un figlio per una coppia è sentito come una realizzazione e poi si è in grado di dargli affetto, sostegno, istruzione ecc. questo è sicuramente un vantaggio per il neonato, perché lo libera da difetti genetici per i quali ad oggi non c’è una cura.

Parlando di tecniche che sono già a disposizione di tutti, dovremmo anche citare la diagnosi pre-impianto: le dedica ampio spazio nel suo libro Einaudi, Genetica e guarigione.

Certo, perché la diagnosi pre-impianto è la punta di diamante di tutta la genetica moderna. In Italia è proibita dalla legge, anche se poi c’è chi l’ha utilizzata.

Ci sono state sentenze di tribunale che hanno riconosciuto il diritto di coppie sterili ad accedere a questa tecnica Ma crudelmente è ancora vietata dalla Legge 40 alle coppie fertili, anche se, per esempio, portatrici di malattie genetiche

La questione non è stata chiarita del tutto, purtroppo. E in assenza di un quadro definito c’è chi in Italia preferisce non utilizzarla. Ma da scienziato dico che la diagnosi pre-impianto offre degli enormi vantaggi per la salute. Sarebbe assurdo rinunciarci.

Nel saggio Homo Faber, da poco uscito per Baldini&Castoldi lei parla dell’ingegneria genetica come di una grande avventura umana. Ma nel nostro Paese incontra la forte opposizione della Chiesa. Il Papa dice che le donne devono fare più figli ma poi condanna la fecondazione assistita. Come si spiega?

Boncinelli, Rizzoli

Boncinelli, Rizzoli

Loro adducono tanti motivi, ma il fatto è che la Chiesa è sessuofobica, vede di malocchio la donna e la sessualità. E poi sostiene che queste tecniche non siano naturali. Ma cosa c’è di naturale, per esempio, in una iniezione che introduce nei muscoli un ferro per far passare delle sostanze? Non per questo si rinuncia a curarsi.

Il Papa si schiera in difesa dell’anima ma poi difende l’embrione come fosse sacro. Non c’è una sorta di feticismo, una forma estrema di materialismo?

Lo è. Addirittura sostengono che l’embrione è persona quando ha i cromosomi umani. Questo vuol dire che anche una cellula della lingua o un bulbo di capello è un essere umano. Il che è inaccettabile.

Nei dibattiti «appena compare la parola “sacro” si smette di ragionare», lei ha detto annunciando di voler scrivere un libro contro il sacro. Fuor di battuta lo farà?

Io spero proprio di riuscire a farlo

 Simona Maggiorelli, Left

 

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#Ipazia donna e scienziata. Una mostra ne racconta il vero volto

Posted by Simona Maggiorelli su agosto 1, 2015

Ipazia

Ipazia

Roma avrà una piazza intitolata ad Ipazia, la scienziata alessandrina che fu uccisa e dilaniata pezzo a pezzo con conchiglie acuminate dai fondamentalisti cristiani capeggiati dal Vescovo Cirillo. Lo ha annunciato il comitato cittadino che ha raccolo più di 1500 firme. Il luogo assegnato si trova nel V Municipio, nella zona di Tor Sapienza.

“Nonostante avessimo indicato come luogo un giardino in zona Marconi vicino ad altre vie dedicate a scienziati, il nostro intento è stato comunque raggiunto e vogliamo evidenziare il forte significato civico che  esprime la figura di Ipazia come portatrice di valori universali quali la ricerca e la diffusione della conoscenza, che sono state da sempre ostacolate dall’oscurantismo religioso di cui lei è stata vittima”, si legge nel comunicato del comitato Una piazza per Ipazia, che così racconta il senso di questa iniziativa: “Ipazia è anche e soprattutto per noi un simbolo di Resistenza, e ricordarla non si deve limitare ad un puro atto celebrativo ma divenire paradigma di lettura del presente. È di grande attualità la sua esemplare incorruttibilità: Ipazia non si è piegata di fronte ai potenti che le offrivano grandi benefici in cambio della rinuncia alla ricerca, alla

Ipazia

Ipazia

conoscenza e soprattutto alla divulgazione del sapere”.

A far conoscere Ipazia al grande pubblico in Italia è stato soprattutto il film Agorà di Amenábar, che nel Paese che “ospita” il Vaticano nel 2009 ha incontrato non poche difficoltà di distribuzione. Ma a regalarci ritratti affascinanti e approfonditi dell’astronoma, filosofa neoplatonica e matematica alessandrina che fu fatta a pezzi dai fondamentalisti cristiani nel 415 d.C. sono stati – in tempi recenti – soprattutto studiosi del mondo antico come Silvia Ronchey (Ipazia, la vera storia, Rizzoli) e alcuni scrittori come Adriano Petta e l’egiziano Youssef Ziedan ( leggi l’intervista) che, per il suo romanzo Azazel (Neri Pozza), è stato attaccato da cristiani copti che si dicono eredi di quel vescovo Cirillo che condannò a morte la scienziata pagana (e poi fu fatto santo!).

Di questa straordinaria donna, pensatrice e studiosa di cui tutte le fonti ricordano l’autorevolezza e il modo di parlare franco si torna ora a parlare grazie a una mostra, Ipazia, matematica alessandrina, aperta fino al 30 agosto al Museo del calcolo di Rimini (Mateureka). Si tratta di una esposizione che mira a ricostruire in modo rigoroso (per quanto è possibile vista la scarsità di documenti) il contributo che la scienziata dette alla ricerca del suo tempo. Per questo il percorso espositivo invita a diffidare di Ipazia secondo Raffaelloipotesi che non trovano riscontro testuale, come l’idea che Ipazia avesse intuito molto prima di Keplero il moto ellittico dei corpi celesti. Mentre, sulla base di testimonianze antiche come quella del bizantino Suida, la mostra racconta che Ipazia, oltre a tenere lezioni aperte al pubblico, scrisse numerosi importanti commenti ad opere greche classiche. Non tanto di filosofi, quanto di “scienziati”. Per esempio alle Coniche di Apollonio di Pergamo e all’Aritmetica di Diofanto di Alessandria.

In primis, Ipazia, era una studiosa di matematica. Ma si occupò anche di astronomia. «Il nome di Ipazia è associato a un’opera chiamata dalle fonti Canone astronomico, probabilmente un commentario alle Tavole facili di Tolomeo» scrivono i curatori. E a lei si deve la “revisione” del terzo libro dell’Almagesto di Tolomeo «all’interno del commento di suo padre Teone, che scrive ,“edizione riveduta da mia figlia, la filosofa Ipazia”». Riguardo invece agli strumenti che progettò facendoli costruire ai suoi allievi, attenendosi a quanto scrisse il suo allievo Sinesio, la mostra riminese propone un astrolabio piatto, un idroscopio e un aerometro. Ma certamente Ipazia usò per le sue ricerche anche l’astrolabio messo a punto e perfezionato dal padre Tenone, astronomo e direttore del museo di Alessandria. (Simona Maggiorelli)

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Machiavelli tradito

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 26, 2013

09cinquecento anni dalla sua stesura il Principe di Machiavelli ha ancora molto da dire alla classe politica oggi. Machiavelli aveva una concezione alta della politica. Era la sua grande passione. Insieme alle donne. E non ha mai detto che il fine giustifica i mezzi. Fu la Controriforma ad attaccarlo e a mistificare il suo pensiero, come racconta Maurizio Viroli

di Simona Maggiorelli

Fiero repubblicano, Niccolò Machiavelli scrisse il Principe (1513) ma non abdicò mai alle proprie convinzioni. Da «realista con immaginazione» quale era cercava, anche attraverso questo trattato, di far passare la propria visione alta della politica. «Che non era affatto scissa dai valori etici» sottolinea lo studioso Maurizio Viroli che allo scrittore fiorentino ha dedicato molti libri, fino ai recentissimi Scegliere il principe. I consigli di Machiavelli al cittadino elettore e La redenzione d’Italia. Saggio sul Principe di Machiavelli usciti entrambi per Laterza. A cui si aggiunge Machiavelli filosofo delle libertà edito da Castelvecchi. E proprio dal significato che Machiavelli attribuiva alla parola libertà prende avvio la nostra intervista al professore emerito di teoria politica dell’University of Princeton, che ora insegna all’Università della Svizzera italiana e alla University of Texas.

«Libertà per Machiavelli significava vivere libero» dice Viroli che il 19 ottobre al Teatro Niccolini di San Casciano (Fi) ha aperto un ciclo di conferenze organizzato da Laterza per i cinquecento anni dalla stesura del Principe.

«Questa è un’espressione molto chiara che ricorre più volte negli scritti. E’ riferita a un popolo, a una città ma anche a un individuo che vive senza essere dipendente dalla volontà arbitraria di altri. Machiavelli ha della libertà la concezione che viene dal mondo romano. E’ libera la persona non sottoposta a dominio di altre persone che gli possano impedire di realizzarsi. Una città, diceva Machiavelli, in cui c’è anche un solo uomo al di sopra delle leggi non si può dire libera. L’Italia, ai suoi tempi, non era libera perché era alla mercé delle potenze d’Oltralpe.
MACHIAVELLIMachiavelli fu uno strenuo difensore della libertà repubblicana. Ma la sua ricerca della libertà non riguardava solo la sfera pubblica…
C’è anche una dimensione interiore della libertà. Come caratteristica dell’individuo. Se si vuole essere una persona libera, scriveva, per prima cosa bisogna essere se stessi. Essere liberi significa avere profonde convinzioni e avere il coraggio di esprimerle e difenderle anche quando vanno contro le opinioni dominanti. Machiavelli in questo era ammirevole: esprimeva consapevolmente concetti politici e morali che contestavano l’opinione comune del suo tempo. Sa come lo chiamavano i suoi sottoposti e collaboratori in Cancelleria che lui servì dal 1448 al 1512? Lo chiamavano “cheppia”dal nome di un pesce che dal mare risale contro corrente i fiumi per andare a depositare le uova.
Dal suo Machiavelli filosofo delle libertà emerge un ritratto a tutto tondo dello scrittore e dell’uomo, «cittadino di impeccabile onestà e rettitudine» che amava soprattutto la politica e le donne. Parlando di passioni Machiavelli, lei ricorda,scriveva all’amico Vettori «tanto mi paion or dolci, or leggieri, or gravi quelle catene e fanno un mescolo di sorte che io giudico non poter vivere contento senza quella qualità di vita»…
Per Machiavelli vivere liberi significava non rifiutare le passioni. Lasciarsi andare per esempio alla passione amorosa, alla bellezza, agli affetti, senza paura di incorrere nel biasimo dei benpensanti. Quando l’amico Francesco Vettori gli chiese un consiglio riguardo a una donna molto bella ma più giovane di cui si era innamorato, Machiavelli rispose:«chi vuol fare a modo d’altri non fa mai nulla”. È “meglio fare e pentirsi, che non fare e pentirsi». Auree parole. Bisogna dire anche che amava la compagnia e il buon vino, le cene e bei vestiti. Anche se poi di buono ne aveva solo uno. Fautore della libertà repubblicana ammirava le libere città Svizzere e Tedesche, ma definiva la loro una rozza libertà. Avrebbe voluto una libertà più raffinata, e auspicava che L’Italia potesse conquistarla.

SHEEHAN 0609.qxpE qui veniamo al punto, Machiavelli non faceva “piccola politica”, pensava a una rinascita civile della patria, detestava servi, adulatori e cortigiani. Ma il Principe fu messo all’indice. E la sua immagine del libero pensatore fu gesuiticamente degradata a campione del machiavellismo, di un  tatticismo pronto a tutto. Come si spiega questo fraintendimento durato secoli?
Machiavelli pensava che la politica fosse la più nobile attività pratica dell’essere umano perché, se esercitata secondo le regole dell’arte, può costruire in terra delle opere di grande valore: fondare un vivere libero, emancipare un popolo, ridare dignità ad una nazione, liberare dalla corruzione. Solo la grande politica, che Machiavelli ha sempre teorizzato, difeso e praticato, può realizzare questi importanti obiettivi. Ma dalla Controriforma in poi Machiavelli è stato visto come il teorico del fine giustifica i mezzi, come il politico corrotto che vorrebbe essere giudicato diversamente dalle persone comuni. Tutte queste stupidaggini non stanno né in cielo né in terra. Non ci sono nei testi di Machiavelli. Sono nate – guardi un po’- dai pensatori politici della Controriforma che praticavano la politica come adattamento alla corruzione, esercizio del potere, soddisfazione delle peggiori ambizioni e il soffocamento delle libertà. Avevano bisogno di distruggere Niccolò Machiavelli nella sua grandezza per potere praticare un’idea di politica completamente diversa. Tattica raffinata che è stata usata spesso in Italia. Quando c’è un grande pensatore lo distruggi per continuare ad essere mediocre e per continuare ad agire indisturbato in maniera opposta.

Maurizio Viroli

Maurizio Viroli

Che lezione politica potremmo trarre da Machiavelli oggi?
Nel mio libro La libertà dei servi (Laterza) qualche anno fa ho usato molte idee di Machiavelli, in particolare quella che ho ricordato all’inizio, ovvero che una Repubblica non è più libera se esiste un uomo con un potere enorme. Questo è Machiavelli puro ed io l’ho applicato alla realtà italiana dove esisteva ( e in parte esiste ancora), un uomo con un potere enorme. Nemmeno i più detestabili cortigiani di Berlusconi sono stati in grado di confutare questa mia affermazione. Ma Machiavelli non ci insegna solo questo. Nel capitolo XXIV del Principe ci spiega perché l’Italia era ridotta allo stato penoso in cui si  trovava all’inizio del Cinquecento . La responsabilità, diceva, è dei nostri principi, capaci di scrivere una bella lettera (oggi diremmo un buon comunicato stampa), di imbastire qualche discorso di circostanza, essere bravissimi ad ordire inganni. In questo anche molti dei nostri politici sono invincibili. E soprattutto diceva  Machiavelli vogliono che le loro parole siano prese come verità assolute, come sentenze di oracoli. Infatti la forma che prediligono è la dichiarazione davanti a una selva di microfoni, perché non sono in grado di sostenere un vero contraddittorio. Cosa ci ha detto in sostanza Machiavelli? Che senza grandi politici una repubblica è condannata al declino, all’impoverimento sia materiale che morale, alla perdita della dignità e della libertà. Questa analisi sulla responsabilità dei principi che Machiavelli svolse agli inizi del Cinquecento può essere ripetuta con piccoli adattamenti alla realtà italiana. Ma Machiavelli ci ha anche detto come si fa a uscirne. Lo aveva capito, perché studiava la storia. Bisogna avere la fortuna che emerga da qualche parte  un politico, che abbia una grandezza straordinaria ma che soprattutto sia capace di suscitare in un popolo motivazioni e passioni di libertà. Ora nessuno è in grado di dire se e quando verrà un politico di questo tipo. Certo è che con i politici attuali l’Italia non avrà un riscatto morale, politico e civile.

Per riprendere un grande classico come Machiavelli e Guicciardini di Felix Gilbert ora ristampato da Einaudi, potremmo dire che la difesa del «particulare» ha prevalso in Italia?

Questo è vero. Ma bisogna anche dire che Guicciardini era un uomo che teneva molto al suo interesse, ma lo legava sempre alla dignità dell’Italia e di Firenze. Era un uomo attaccato alla propria ricchezza e al proprio status, ma fu anche un buon governatore di Modena e Reggio e rischiò la vita nella difesa di Parma. A me pare che oggi in Italia siano pochissimi i politici in grado d pronunciare parole come “io amo la Repubblica”, “amo il bene comune, il vivere libero”, ed essere credibili. Guicciardini, come Machiavelli, lo era.

Dal settimanale left -Avvenimenti del 19 ottobre 2013

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L’agenda bioetica che piace al Vaticano

Posted by Simona Maggiorelli su Maggio 10, 2013

Gaetano Quagliariello

Gaetano Quagliariello

Quagliariello, Lorenzin e Lupi protagonisti di crociate per impedire la libertà di scelta sul fine vita e per mantenere la legge 40. “Disumana” secondo la Corte europea di Strasburgo. Mentre Enrico Letta disertò il referendum del 2005, secondo i diktat del Cardinale Ruini e della Cei

di Simona Maggiorelli

«Eluana non è morta, è stata ammazzata» si mise a gridare il vicepresidente vicario dei senatori Pdl, Gaetano Quagliariello, quando in Aula si diffuse la notizia che Eluana Englaro aveva cessato di “vivere” quella sua esistenza artificiale, solo biologica, resa possibile dalle macchine, dopo quel terribile incidente di 17 anni prima.

Le parole del neo ministro delle Riforme allora – era l’8 febbraio 2009 – dettero la stura a un vociare «assassini!», «assassini!» «assassini!» che si levò dai banchi del centrodestra rivolto a quelli dell’opposizione. Quella scena indecente, avvenuta a palazzo Madama, si può ancora oggi vedere su youtube. Ed è stata massicciamente rilanciata in rete, a mo’ di eloquente commento alla scelta del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di nominare Quagliariello fra i suoi dieci saggi.

Di più ha fatto Enrico Letta, che incaricato da Napolitano di formare il nuovo Governo l’ha messo nella sua squadra di ministri. Da Oltretevere ringraziano. Non solo per la nomina di Quagliariello, ma anche per quella di una compatta flotta di ex Dc, margheritini, popolari europei, ciellini (se ne contano almeno tre: Lupi del Pdl, Mauro della Lista civica e Zanonato del Pd) che ora figura nella compagine di governo. Tutti cattolici praticanti e convinti, come il premier Pd Enrico Letta, che essere credente non sia un fatto privato. E che anzi la fede debba improntare le scelte politiche e legislative, specie quando si parla di bioetica e di questioni “eticamente sensibili”. Ovvero, fuori dal gergo confessionale, di diritti civili, questioni che toccano direttamente la vita dei cittadini. Temi come la fecondazione assistita, l’aborto, la contraccezione, le unioni civili, il fine vita sui quali gli italiani dimostrano di avere opinioni molto più laiche e progressiste dei loro governanti. Come si evince da vari studi. A cominciare dal rapporto 2013 sulla secolarizzazione in Italia stilato da Critica Liberale e la Cgil nuovi diritti per arrivare all’ultima indagine Eurispes da cui emerge che il 77,2% degli italiani sono per le coppie di fatto, il 79,4 % è contro la legge 40 e il 77,3% vuole il testamento biologico.

Lorenzi, Sacconi e Alfano in Chiesa

Lorenzi, Sacconi e Alfano in Chiesa

Una realtà che appare lontana anni luce dalla “Weltanschauung” del docente di storia della Luiss, ex radicale ed ex consigliere di Marcello Pera ai tempi della difesa delle radici cristiane, al quale ora è affidato il delicatissimo ministero delle riforme costituzionali. Basta ricordare qui che dopo quell’episodio indecoroso in Aula, Quagliariello, solidale con il fronte più talebano del centrodestra (Sacconi, Giovanardi, Binetti, Volonté, la sottosegretaria Roccella e il neo ministro Maurizio Lupi) strumentalizzò il caso di Eluana per cercare di far passare in fretta e furia una legge sul fine vita che, così come è tracciata nel Ddl Calabrò, cancella ogni possibilità da parte dal malato, se cade in stato di incoscienza, di rifiutare trattamenti medici come alimentazione e idratazione artificiale. A prescindere dalle scelte e dalle convinzioni espresse da quella stessa persona quando poteva ancora parlare.

Per fortuna, non produssero gli effetti desiderati dal centrodestra il pressing e le molte audizioni, organizzate, non con medici e specialisti, ma con attivisti vicini alla Chiesa e personaggi di richiamo come, ad esempio, l’associazione Risvegli e l’attore Alessandro Bergonzoni. Così il tentativo del governo berlusconiano di imporre una legge sul fine vita che recepisse i diktat del Vaticano si arenò. E il ddl Calbrò è finito in un cassetto. Fino alla scorsa legislatura, quando – con una specie di blitz – il Pdl riuscì a riportarlo in Aula. Riscuotendo il plauso dei cattolici dell’Udc, della Lega e del Pd.

Enrico Letta(Pd) con lo zio Gianni Letta (Pdl)

Enrico Letta(Pd) con lo zio Gianni Letta (Pdl)

In questo contesto da bagarre ideologica come si è mossa la deputata pidiellina Beatrice Lorenzin ora alla guida del ministero della Salute? Pur evitando i toni facinorosi dei cattolici più oltranzisti si è sempre dichiarata in linea con l’agenda della bioetica stilata da Sacconi caratterizzata da prese di posizione antiscientifiche e dogmaticache su temi come il fine vita, l’aborto, la Ru486, la legge 40. Nel 2010, per esempio, quando i cosiddetti “cattolici democratici” del Pd si dissero pronti ad accogliere l’appello di Sacconi in difesa dei “temi etici” Lorenzin ebbe a dire che «l’agenda biopolitica», fondata sul concetto antiscientifico secondo cui l’embrione è persona, segnava «un’intesa trasversale nonostante i fumi del teatrino della politica». «Su questi temi fondamentali- aggiungeva Lorenzin – c’è un evidente maggioranza pro life pronta ad esprimersi dal biotestamento alle forme di aborto farmacologico». Inutile dire che in un paese come l’Italia dove, a causa di percentuali vertiginose di medici obiettori (sfiora mediamente il 90%), la legge 194 è largamente disapplicata un ministro della Salute, che non è medico e difende posizioni pro life certo non fa ben sperare.

Riguardo alla norma sulla fecondazione assistita, in particolare, Lorenzin ha detto in più occasioni che «la legge 40 non va cambiata». In barba alle 18 sentenze dei tribunali italiani che dal 2005 a oggi hanno fatto cadere tutti i divieti più ideologici contenuti nella legge e nonostante il recente verdetto, ribadito anche in appello, della Corte Europea di Strasburgo che giudica la legge 40 lesiva di diritti umani. Una posizione sbilanciata sulle posizioni del Vaticano quella di Lorenzin che fa perfettamente il paio con quella del neo Premier Enrico Letta, ex scout, cresciuto all’oratorio, nonché nipote del pidiellino Gianni gentiluomo del papa e assiduo frequentatore delle stanze del potere Oltretevere.

All’epoca del referendum per abrogare i punti più dannosi e controversi della legge 40, va ricordato qui, Enrico Letta fece suo l’appello del cardinale Ruini che consigliava di disertare il voto e andare al mare. Scavalcando a destra i cattolici Pd Dario Franceschini (neo ministro dei rapporti con il Parlamento) e Rosy Bindi che, invece, andò a votare tre no. I sì ai quesiti abrogativi posti dal referendum, come forse i lettori ricorderanno, furono circa 10 milioni. Ma l’astensionismo propagandato massicciamente dalla Cei determinò il fallimento del referendum che non raggiunse il quorum. Con grande giubilo dell’allora esponente del Pdl Maurizio Lupi (neo ministro dei trasporti e delle infrastrutture), strenuo paladino cattolico dei «valori non negoziabili» e che in tutti questi anni non ha mai smesso di ripetere che la «la vita va tutelata fin dal concepimento». Anche quella dell’embrione, anche quella dello zigote.

Da vice presidente Pdl alla Camera, quando a fine agosto 2012 il governo Monti annunciò di voler presentare ricorso contro la sentenza della corte dei diritti dell’uomo (ricorso poi perso) disse che non solo appoggiava la decisione del ministro Renato Balduzzi ma anche «che non possono lasciar prevalere né le semplificazioni dei giudici (sic!), né le ideologie dei cultori dell’eugenetica».Tali sarebbero secondo il ministro Lupi quei genitori portatori di malattie genetiche oggi incurabili che si rivolgono alla fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto per avere un figlio che non sia condannato a soffrire e a morire in poco tempo.

 dal settimanale left-avvenimenti

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La Ue blocca la ricerca sulle staminali embrionali

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 20, 2012

Tredici premi Nobel e oltre duecento scienzati ( fra cui Elena Cattaneo e Margherita Hack) firmano l’appello della associazione Luca Coscioni perché il Parlamento europeo non blocchi la ricerca in uno degli ambiti più promettenti della ricerca biomedica

 

di Simona Maggiorelli

 

staminali embrionali

ll genetista e premio Nobel 2007 per la medicina Mario Capecchi, insieme ad altri 12 premi Nobel, e con più di 200 scienziati di fama internazionale (tra cui Elena Cattaneo e Margherita Hack) fa firmato l’appello lanciato dall’Associazione Luca Coscioni in difesa della ricerca sulle staminali embrionali. Che anche in Europa rischia di non essere più finanziata. Come di fatto già accade in Italia dove i soldi pubblici destinati alla ricerca sulle staminali premiano solo ricerche sulle staminali adulte. Come vuole il Vaticano.
In queste settimane l’Unione Europea (Ue) si prepara a varare l’ ottavo programma quadro per la ricerca, che andrà in votazione ad ottobre. Ma in questa Europa in crisi che vede il prevalere di politiche di destra lo scenario che si prospetta non è dei più rosei per un ambito di ricerca come quello delle embrionali, che gli esperti considerano il più promettente per lo sviluppo di una medicina rigenerativa che in futuro potrebbe riuscire a “ricreare” organi gravemente lesi. Ma anche il più osteggiato da partiti di ispirazione cristiana, e cattolica in particolare, che considerano sacro l’embrione. «Nel Parlamento europeo la maggioranza è politicamente conservatrice, e le forze politiche sono sempre più nazionaliste: un doppio pericolo per chi ritiene che i principi di libertà debbano far parte delle ragioni costitutive dell’Europa» denuncia Marco Cappato, ex Parlamentare europeo per i Radicali Italiani e dirigente dell’Associazione Luca Coscioni.

Marco Cappato

Un segnale molto preoccupante per la libertà di ricerca lo si è potuto già leggere nella sentenza della Corte europea (stimolata da un ricorso di Greenpeace) che vieta la brevettabilità di risultati di ricerche fatte con embrionali. Una sentenza che ha già avuto concreti e gravi riverberi anche in Italia, quando nei mesi scorsi un giudice di Spoleto l’ha usata per tentare di sollevare un dubbio di costituzionalità sulla legge 194.

La Consulta, come è noto, il 22 giugno scorso gli ha dato torto. Ma fa riflettere che forze di area Verde attacchino strenuamente la ricerca scientifica in nome di una difesa ad oltranza della “natura”, da loro punto di vista niente affatto matrigna come diceva Leopardi, ma sempre buona in quanto tale (dunque anche un tumore?) demonizzando la tecnica. «La natura umana è ormai anche antropologicamente un prodotto della storia; chi vuole separare ciò che è naturale da ciò che è artificiale compie uno sforzo immane e, soprattutto, inutile – commenta Cappato -. Sia la tecnica che la natura possono produrre effetti devastanti sulle persone e sull’ecosistima. Proprio per questo servono regole, mentre le proibizioni assolute fanno solo danni perché lasciano che si affermi in clandestinità la legge del più forte».

Giulio Cossu

Proibizioni assolute e assurde come quelle, per esempio, contenute nella legge 40 che obbliga chi fa ricerca sulle embrionali in Italia ad importare linee derivate all’estero. «E’ una storia che si ripete da circa dieci anni. Le linee con cui si può lavorare sono le prime prodotte e hanno problemi, per esempio non hanno quasi mai il giusto numero di cromosomi», approfondisce il professor Giulio Cossu dell’University college di Londra e primo firmatario dell’Appello. Da anni al lavoro nella ricerca sulle staminali, Cossu ha appena pubblicato su Science Translational Medicine uno studio sulle cellule staminali indotte alla pluripotenza che apre nuove prospettive per la cura della distrofia muscolare. «Per questa ricerca abbiamo impiegato cellule “riprogrammate” (induced Pluripotent Stem Cells) come quelle scoperte dal giapponese Yamanaka nel 2006.

Queste cellule sono simili alle embrionali ma non derivano dall’embrione bensì da una cellula stessa del paziente. Servono ancora alcuni anni di studio per essere certi della completa equivalenza di queste due tipi cellulari e poi, come speriamo, avremo la dimostrazione che la scienza è andata più veloce dell’etica», dice lo scienziato italiano. Proprio il Nobel americano Capecchi, in una conferenza a Bologna nel maggio scorso, sottolineava che le scoperte giapponesi sulle staminali pluripotenti sono state fatte, non a caso, in un Paese dove non ci sono limitazioni alla ricerca, nemmeno nell’ambito delle embrionali. «La ricerca sulle staminali embrionali rafforza anche la ricerca sulle staminali adulte. Se un domani le embrionali non saranno più necessarie, si dovrà ringraziare i Paesi che non hanno bloccato quella ricerca», chiosa Cappato.

«Non esistono staminali buone e moralmente accettabili e staminali cattive- precisa il biologo Cossu -. Esistono progetti buoni e sono quelli da finanziare, indipendentemente dal tipo cellulare che si intende utilizzare». Proprio riguardo ai finanziamenti e ai tagli alla ricerca, che in Italia si susseguono da anni e che ora la spending review aggrava (costringendo sempre più i ricercatori ad emigrare), Mario Capecchi non ha esitato a dire che «tagliare la ricerca è un gesto autolesionista per un Paese». «E’ una verità che si spiega da sola – dice Cappato -. Oltretutto in Italia ciò che si spende lo si spende spesso male, senza applicare criteri di meritocrazia, lasciando spazio a ostacoli ideologici di ogni tipo». Così mentre da noi la legge 40 obbliga i medici a una mal practise in Paesi avanzati dal punto di vista della ricerca come l’Inghilterra si fanno studi d’avanguardia sul trasferimento del nucleo della cellula e si lavora a pieno ritmo sulle embrionali. «L ’Inghilterra è la patria delle staminali embrionali. I finanziamenti pubblici sono elargiti in base alla qualità dei progetti, non all’argomento studiato- conclude Cossu -. Non voglio dire che il sistema sia perfetto ma certamente abbiamo molto da imparare in Italia».(da left-avvenimenti)
Il 19 settembre 2012

la Commissione giuridica del Parlamento europeo esprime un voto negativo sulla ricerca sulle cellule staminali embrionali

“Il voto della Commissione giuridica del Parlamento europeo contro la ricerca sulle staminali embrionali non è un voto definitivo. Dipenderà dalla commissione competente, e poi dalla Plenaria. Ma è certamente un segnale negativo che non va sottovalutato, perché rappresenta la forza della lobbying clericale presente al Parlamento europeo non solo all’interno delle forze di centrodestra, ma anche di parte dei verdi europei e dello stesso Partito democratic.oI Radicali dell’associazione Luca Coscioni rilanciano la campagna a favore della ricerca sulle staminali embrionali attraverso la petizione che si può firmare al link http://ricercalibera.it/petizione/. Ne discuteremo anche al IX Congresso dell’Associazione Luca Coscioni, che si terrà a Milano il 6-7 ottobre”. Così il tesoriere della Associazione Luca Coscioni Marco Cappato commenta la notizia del voto della Commissione giuridica dell’unica istituzione eletta della Ue che ha approvato una relazione del popolare polacco Piotr Borys a larghissima maggioranza (18 sì e 5 no, compatti a favore Popolari e Verdi, divisi Liberali, Socialisti e il gruppo degli euroscettici) in cui si affermano i rischi giuridici del finanziamento della ricerca sulle staminali embrionali. Collegandosi alla sentenza emessa il 18 ottobre scorso dalla Corte di Giustizia dell’Ue, che sancisce la non brevettibilità dell’utilizzo di embrioni e di cellule staminali se questo porta alla loro distruzione. In Italia l’Avvenire esulta:​È soltanto un primo passo, ma certamente importante. Nella lunga battaglia sul finanziamento pubblico europeo della ricerca su embrioni umani che ne comportino la distruzione, ieri il Parlamento europeo ha segnato un primo importante punto a favore della vita” scrive il giornale dei vescovi.

 

 

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I segreti di Sua Santità

Posted by Simona Maggiorelli su giugno 3, 2012

Crimini di pedofilia, affarismo, riciclaggio di soldi, rapporti pericolosi con organizzazioni malavitose. Ecco cosa la Chiesa vorrebbe nascondere. Mentre cerca di manipolare le scelte politiche italiane sul biotestamento, sull’aborto, sulla famiglia, sulle scuole private.  Ilnuovo libro di Gianluigi Nuzzi documenta in  modo incontrovertibile  gli affari sporchi del Vaticano.

di Simona Maggiorelli

Benedetto XVI

Una lotta per il potere, senza esclusione di colpi. Così il socialista Rino Formica intervistato da La Stampa descrive quanto sta accadendo Oltretevere. «Il Papa ha finito per restare vittima dell’attuale tendenza della Curia, che oramai è diventata una cosa sola con l’eterno “partito romano”, quello che per decenni è prosperato in un intreccio di massoneria, clericalismo, affarismo. Per tanto tempo questo potere trasversale e senza principii è stato fonte di ricchezza materiale per la Chiesa, ma ha aperto la strada ora alla sua gravissima crisi», dice l’ex ministro. La cui testimonianza Gianluigi Nuzzi – con una copia della La Stampa del 29 maggio alla mano – ci legge a voce alta, sottolineandone dei passi. Alla luce della lunga carriera, da laico che ha combattuto le ingerenze vaticane, Formica sa di che parla.

Come giornalista, dopo molte e approfondite inchieste, Gianluigi Nuzzi è arrivato a una conclusione non troppo diversa. «il Vaticano è una monarchia assoluta», ribadisce, con molti lati oscuri che riguardano mancanza di trasparenza, violazioni di diritti ma anche e soprattutto le prestazioni occulte della sua banca, lo Ior, implicata in questioni di riciclaggio e intermediazioni con la mafia. E questo a dirlo non è Nuzzi ma una ordinanza di un giudice, sottolinea il giornalista di Libero e di La7.

Che dopo le 250mila copie vendute del suo Vaticano Spa uscito nel 2009 ora “rischia” di fare il bis con il nuovo Sua Santità.Le carte segrete di Benedetto XVI. uscito sempre per Chiarelettere. Onde scongiurare questa eventualità, le più alte sfere vaticane hanno accusato Nuzzi di furto e di ricettazione. Ma quello che ci sembra ancor più grave è che politici italiani come l’ex ministro (e ora senatore) Maurizio Gasparri e l’onorevole Paola Binetti abbiano chiesto il sequestro del libro perché basato su documenti riservati della Chiesa e lesivo dell’immagine del Papa.

Come se la segretezza e l’oscurantismo che vuole imporre il Vaticano «dovesse diventare per un giornalista autoscurantismo» chiosa Nuzzi. Come se il compito dei giornalisti non fosse proprio quello di scovare notizie inedite e verificate. E tenendo la schiena ben diritta rispetto al potere. Ma, più a fondo, cosa spaventa tanto il clero e certa politica riguardo al lavoro di Nuzzi?  Cosa cercando di nascondere i media concentrati sul giallo del maggiordomo e che evitano di entrare in merito al libro? “Banalmente” il fatto che accuse gravi e circostanziate rispetto alle politiche di omertà e copertura del Vaticano rispetto a crimini come la pedofilia dei preti, i traffici illeciti dello Ior compreso il riciclaggio dei soldi della mafia e i sospetti di pesanti ed eversive ingerenze nello Stato italiano abbiano trovato una inconfutabile dimostrazione in questo libro, documentatissimo, basato su lunghe ricerche e testimonianze dirompenti raccolte in giro per il mondo.

Più di quanto possa fare in articoli Nuzzi qui approfondisce, traccia nessi, riflette sul significato di scioccanti documenti pubblicati per esteso in apparato. E che «riguardano spinose questioni temporali e scandali che vanno gestiti e silenziati» come fa notare l’autore. «Ma la polvere nascosta sotto il tappeto riemerge sempre da qualche altra parte», fa notare il giornalista. Così dal suo libro si apprende che «gli abusi fisici e psicologici commessi dal fondatore dei Legionari di Cristo Marcial Maciel Degollado erano stati denunciati a Sodano e altri in Vaticano già nel 2003 ma si decise di coprire i crimini di pedofilia e di ladrocinio commessi dai Legionari».

Gianluigi Nuzzi

Intanto il papato varava una Commissione di avvicinamento per cercare di ridurre l’impatto economico delle richieste di risarcimento da parte delle vittime, «con linguaggio freddamente pragmatico, senza spendere una parola sulla gravità dei fatti e sui traumi causati sulle vittime», nota Nuzzi. Ma non solo. Da Sua Santità emergono fatti gravissimi che riguardano le istituzioni e la politica italiana: Giulio Tremonti, quando era ancora ministro della Repubblica italiana, consigliava all’allora presidente dello Ior, Gotti Tedeschi, come evitare sanzioni dell’Unione europea riguardo al mancato pagamento dell’Ici da parte della Chiesa per gli enti commerciali. E, senza soluzione di continuità il premier Mario Monti ha fatto anche peggio. «Dopo l’esposto fatto dai Radicali Italiani nel 2005 proprio riguardo alle “esenzioni Ici” l’Italia avrebbe potuto rivalersi incassando parecchie centinaia di milioni di euro, che in questo momento di crisi sarebbero stati molto utili alle casse dello Stato» ricostruisce Nuzzi. «Ma con abile operazione mediatica il Vaticano si è detto disponibile a pagare qualcosa e il premier Monti ha cambiato la normativa, così» sottolinea Nuzzi, «cambiata la legge, lo Stato italiano non potrà più ricorrere. La manovra fatta da Monti fa fuori la possibilità di potersi rivalere sull’infrazione precedente». E ancora, quanto ai tentativi delle gerarchie vaticane di imporre un’agenda politica e norme improntate a «valori non negoziabili» (perché basati sul dogma religioso) una delle pagine più “sorprendenti” di Sua Santità è la numero  297, dove è pubblicato l’originale di una nota della Santa Sede riguardo a un incontro con Giorgio Napolitano del 19 gennaio 2009. Ebbene in quella occasione il Papa, capo dello Stato Vaticano avrebbe dovuto “convincere” il presidente della Repubblica italiana a fare leggi per la tutela della famiglia e, si legge nella nota vaticana: «Si devono evitare equiparazioni legislative tra il matrimonio ed altri tipi di unione». Nel Ddl in discussione in Parlamento sul biotestamento e in altre «norme eticamente sensibili»  deve essere inserita «una chiara riaffermazione del diritto alla vita, che è diritto fondamentale di ogni persona umana, indisponibile ed inalienabile. Conseguentemente si deve escludere qualsiasi forma d’eutanasia e ogni assolutizzazione del consenso». Ma in questo documento c’è anche un capitolo sulle scuole private. La nota vaticana lascia trasparire una certa preoccupazione: «Il problema attende sempre una soluzione, pena la scomparsa di molte scuole paritarie. Occorre trovare un accordo sulle modalità dell’intervento finanziario anche al fine di superare recenti interventi giurisprudenziali che mettono in dubbio la legittimità dell’attuale situazione». Intanto il Vaticano continua senza scrupoli a incassare dalle tasse dei cittadini italiani circa sei miliardi di euro l’anno, sebbene l’articolo 33 della nostra Costituzione reciti: «Lo Stato non deve sopportare alcun onere per le scuole private».

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Memorie di un ateo impenitente

Posted by Simona Maggiorelli su giugno 3, 2012

A un anno dalla sua scomparsa esce anche in Italia il memoir dell’intellettuale e giornalista inglese Christopher Hitchens. Protagonista di appassionate battaglie in nome della libertà di pensiero e contro l’oscurantismo religioso

di Simona Maggiorelli

Christopher Hitchens

Passione per la conoscenza e dialettica continua, con il gusto di stare con gli altri, anche se capita di scontrarsi. Amore smisurato per la letteratura, interesse per la scienza e  rifiuto radicale della religione. E’ il piglio brillante, pieno di humour tagliente (mai cinico) di Christopher Hitchens che si torna ad assaporare nelle pagine di Hitch 22 che Einaudi pubblica a più di un anno dalla  sua scomparsa. Un memoir di un intellettuale che ha  vissuto intensamente, più che un’autobiografia. In cui sono ripercorsi 60 anni di storia personale e collettiva.

Quasi seicento pagine con  poche rivelazioni e nessun pensamento riguardo a quella che è stata per Hitch (così lo chiamavano gli amici Amis, Rushdie e McEwan) la battaglia di una vita, come giornalista e intellettuale, ma anche come uomo: la lotta contro l’oscurantismo e «il veleno» della fede. Tema al centro del suo best-seller come Dio non è grande (Einaudi) in cui raccontava perché, fin da quando portava i calzoni corti, aveva  preferito pensare piuttosto che credere. Ma fra i suoi molti saggi ha fatto scalpore anche un suo corrosivo libro inchiesta, La posizione della missionaria (Minimum Fax), che denunciava il business di Madre Teresa e il suo non dare farmaci ai bambini malati perché potessero guadagnarsi il paradiso soffrendo.

Ma Hitch è stato anche in prima fila nel denunciare lo scandalo della pedofilia nella Chiesa fino a tentare, con lo scienziato Richard Dawkins, di far comparire il Papa davanti alla Corte penale internazionale per violazione di diritti umani. Quando era già gravemente ammalato di tumore, Hich ha voluto fare un’ultima battaglia, questa volta per il diritto di tutti a morire con dignità, sfruttando fino all’ultimo istante per stare con le persone amate. Intanto i cristiani  negli Usa organizzavano catene di preghiera per  salvare l’anima di questo ateo impenitente. Che nell’introduzione a Hitch 22 commenta: «Per qualche inspiegabile ragione, la nostra cultura considera normale, addirittura encomiabile, che i devoti ammoniscano chi, a loro avviso, sia in procinto di morire. Un intero pacchiano edificio di fasulle conversioni sul letto di morte è sorto su questa presunzione altamente discutibile». Ringraziando per l’attenzione dei fedeli, annota poi non senza un pizzico della sua proverbiale ironia: «Invece di partecipare alle colazioni di preghiera in mio onore per quello che sul web andava sotto il nome di Pray for Hitchens day ho preferito  far da cavia  per esperimenti e protocolli clinici, soprattutto basati sul genoma e volti ad allargare il sapere umano».

Conversando con Dawkins per quella che sarebbe stata la sua ultima intervista per The New Statesman era tornato a precisare: «Non sono neutrale rispetto alla religione, le sono ostile. Penso che sia nociva, non solo una falsità. E non mi riferisco solo alla religione organizzata, ma al pensiero religioso in sé e per sé». E quando lo scienziato gli chiedeva che cosa era  per lui il totalitarismo  il liberale Hitch non esitava a rispondere: « E’ ciò che cerca di controllare ciò che hai in testa non solo il tuo comportamento. Le origini di tutto questo sono teocratiche ovviamente. Tutto comincia con l’idea che ci sia un leader a cui affidarsi, un papa infallibile, un ventriloquo del divino che ti dice cosa devi fare». Il suo impegno, ricorda oggi Dawkins «era far sì che una persona si alzasse da sola, per battersi senza paura per la verità».

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Ladri di bambini

Posted by Simona Maggiorelli su Maggio 19, 2012

Il regime di Francisco Franco in Spagna rapiva i figli dei partigiani per darli a famiglie vicine alla dittatura. Si parla di oltre 30mila neonati rapiti. E venduti con l’aiuto della Chiesa

di Simona Maggiorelli

Gerarchie ecclesiastiche fedeli al regime di Franco

All’inizio della dittatura franchista fu ideato e usato come strumento di repressione politica. Il regime toglieva i neonati alle madri sospettate di idee socialiste, anarchiche o repubblicane per darli a famiglie vicine al regime, politicamente e religiosamente “corrette”. Secondo Francisco Franco questo era un modo per impedire che il virus della rivoluzione si diffondesse. Così la prassi di rubare i bambini ai partigiani si consolidò in Spagna negli anni Quaranta  e Cinquanta. Per proseguire poi ben oltre la caduta del regime e la morte di Franco, avvenuta nel 1975.

Poi questa prassi criminale diventò un business per un’ampia rete di istituti religiosi e apparati di Stato. E talmente redditizio e così radicato da continuare indisturbato durante la cosiddetta transizione democratica “morbida”.
L’ideologo dell’operazione per conto del dittatore Franco fu Antonio Vallejo Naiera, uno psichiatra militare che teorizzava la superiorità della “razza ispanica” e il diritto a sottomettere quelle “inferiori”, come erano ritenuti “los rojos” (i rossi) antifascisti. Il braccio armato del traffico criminale furono le insospettabili suore di ospedali ed enti cattolici. In cambio di denaro erano loro a stilare falsi certificati di morte dei neonati da mostrare alle madri naturali prima di da affidarli, sotto falso nome, ad altre famiglie.

I bambini rubati furono almeno 30mila. Lo ha stimato il giudice Baltasar Garzon che per primo nel 2009 ha avviato un’indagine (poi archiviata) sui desaparecidos del franchismo. Una cifra confermata dagli studi di Randy Ryder, storico di origini catalane che vive ad Austin negli Usa. È anche lui una delle tante vittime. Sua madre era sterile e suo padre, Rudolph Ryder, prima di morire ha detto di aver versato 5mila dollari alla clinica di San Ramon di Malaga per avere un bimbo in adozione. Ryder ha fatto ricerche minuziose in particolare sul Patronato di Sainte Paul. Questa istituzione religiosa fra il 1944 e il 1954 ha fornito al ministero di Giustizia franchista circa 31mila neonati per rispondere ad ordini di adozione di famiglie fedeli al regime. Si trattava di figli di militanti repubblicani, provenienti da 258 ospedali diversi.
I responsabili, dunque, sono ben conosciuti. Le dimensioni dello scandalo molto meno. Secondo le associazioni iberiche impegnate nella ricerca dei “niños robados”, non si può escludere che il numero delle adozioni illegali possa essere dieci volte superiore a quello calcolato da Garzon: si parla di circa 300mila vittime vendute fino agli anni Novanta inoltrati. Per fare piena luce sulla vicenda, il fascicolo è stato riaperto nella seconda metà del 2011. In base alle prime verifiche tuttora in corso su un migliaio di casi, Antonio Barroso Berrocal, il presidente di Anadir (che ha fondato una speciale banca dati del Dna e riunisce centinaia di possibili vittime: genitori, figli, fratelli) ha osservato di recente che la Spagna è stata per decenni una sorta di  «supermercato mondiale» della compravendita di neonati. Durante il regime clericofascista di Franco e anche oltre, numerosi «cittadini stranieri sono venuti per comprare neonati in forma illegale», dice Berrocal. Ma il traffico «si è sviluppato soprattutto nel Paese, con la complicità di medici, infermiere, suore, levatrici e forze di polizia. Solo in alcuni casi i compratori venivano ingannati, dicendo loro che i bimbi erano figli abbandonati, di prostitute o di tossicomani».

E non è l’unica testimonianza. Negli ultimi anni anche i media spagnoli hanno cominciato ad occuparsi di questa inaccettabile tratta di esseri umani. E sono state decine e decine le storie che sono venute finalmente alla luce. Anche grazie a programmi tv come la versione spagnola di “Chi l’ha visto?”. Suscitando una forte indignazione nella parte nell’opinione pubblica. Specie quella più laica. Adesso anche intellettuali e scrittori cominciano a far sentire la propria voce. Fra questi anche autori popolari come Almudena Grandes. L’autrice de Le età d Lulù è stata di recente a Torino, ospite del Salone del libro di Torino che ha scelto la Spagna come Paese ospite. Il 12 maggio ha  presentato in fiera il suo ultimo libro, Inés e l’allegria (Guanda), un romanzo storico che ricostruisce alcuni episodi poco noti della resistenza spagnola e il ruolo fondamentale che vi ebbero le donne. Incontrandola, l’accento del colloquio è subito caduto su questa vicenda tristemente simile a quella dei desaparecidos e degli hijos (figli) rapiti dalle milizie fasciste durante l’ultima dittatura argentina.
«La Spagna ha molti primati. Noi abbiamo sperimentato tutto per primi- commenta ironica la scrittrice -. Compreso questo sistema violento adottato poi dalla dittatura argentina. Purtroppo, quasi tutto l’orrore del XX secolo è cominciato da noi». Chi teorizzò questo sistema agghiacciante? «Con psichiatri e medici compiacenti il regime franchista decise che il marxismo era un gene. E che era il gene del male. Per questo andava estirpato dai bambini fin dalla nascita. Dicevano che bisognava salvarli dal contagio marxista e socialista. Con questo pensiero – continua la scrittrice – cominciarono a strappare i figli alle partigiane, alle donne che avevano in mariti in clandestinità, per fiaccarli anche togliendo loro gli affetti». Dunque un’operazione pianificata a tavolino? «Gli uomini di Franco presero una decisione lucida, dal loro punto di vista scientifica, certamente sistematica» sottolinea la Grandes. E aggiunge: «Ancora dopo la guerra nelle carceri femminili rubavano i figli alle prigioniere politiche, se un bimbo si ammalava lo portavano in infermeria e non tornava più. Alla madre dicevano che era morto. Addirittura il regime aveva aperto un carcere speciale per le donne che allattavano in modo da avere sotto controllo loro e i loro bebé».

Quanto al traffico di adozioni illegali che divenne lucroso affare per enti “benefici” e religiosi fino dagli anni Settanta. «Già, partigiane in età fertile non ve n’erano più tante -commenta sarcastica Grandes -così hanno cominciato ad attingere ad altre fonti: donne sole, ragazze madri, disagiate. Medici e suore si approfittavano dell’anello più debole della società. Erano persone sole, senza gli strumenti necessari per portare avanti una protesta e opporsi a questo orrore. Chi si sentiva dire da un medico o da un prete che il proprio figlio era morto, pur sospettando la menzogna non aveva nessuna possibilità di replica, di agire o di reagire. Non bisogna dimenticare poi- conclude la scrittrice – che il regime aveva imposto un tale terrore che nessuno osava parlare». Sotto la dittatura, la consegna al silenzio e la paura era d’obbligo. Nessuno per decenni ha avuto il coraggio di denunciare. Ma negli ultimi anni testamenti e confessioni hanno cominciato ad aprire una breccia nel muro di omertà. Ci sono genitori adottivi che hanno rivelato di aver avuto bambini da istituzioni religiose, con falsi certificati di nascita. Coperti dalla legge del 4 dicembre del 1941 che permetteva di registrare con un diverso nome i figli di prigionieri, esiliati e clandestini. Alcune suore hanno confessato il proprio ruolo in organizzazioni di carità che in verità vendevano bambini rapiti. Altre come suor Maria Gomez Valbuena, imputata di 260 casi di bambini spariti, in tribunale a Madrid lo scorso 14 aprile si avvalsa della facoltà di non parlare. Sul quotidiano El Pais ha fatto molto scalpore il caso di una donna, Liberia Hernandez, che da anni cercava la propria madre naturale. Arturo Reyes, invece, ha scoperto la verità in occasione di uno spostamento dei resti di quello che credeva suo figlio al cimitero andaluso di Cadix. Una cosa simile è accaduta a Francesca Pinto. In Andalusia, a poco a poco, sono stati documentati 300 casi analoghi. Per l’opinione pubblica è stato uno choc. Ne è nata una spontanea raccolta di firme per la riapertura immediata delle fosse comuni. C’è poi il caso di una suora di clausura che ha inaspettatamente rotto il suo lunghissimo silenzio a 73 anni, rivelando un traffico di neonato avvenuto per anni nel reparto maternità di una clinica di Tenerife. Si è scoperto così che la capillare organizzazione criminale ha continuato a funzionare a pieno regime fino alla fine degli anni 70, vendendo decine di migliaia di bambini. Ma la legge sull’amnistia varata nel 1977 ha messo tutto a tacere. Impedisce ancora oggi di rendere giustizia alle vittime. Nel 2008 le associazioni delle vittime hanno chiesto al governo socialista guidato da Josè Luis Zapatero di metterla in discussione, ottenendo inspiegabilmente un netto rifiuto.

Suor Maria Gomez Valbuena

Al termine del mandato di Zapatero sono tornate alla carica con il suo successore, il conservatore Mariano Rajoy, sollecitando l’avvio di un’inchiesta parlamentare. Incassando anche in questo caso un secco no. Per tutta risposta, le vittime hanno deciso di cambiare strategia e di accendere i riflettori sulla vicenda attraverso una grande manifestazione pubblica che si è tenuta a Madrid il 27 gennaio scorso davanti agli uffici del procuratore generale dello Stato. La Spagna fiaccata dalla crisi economica ha reagito tiepidamente dopo una iniziale fiammata dei media che hanno dato risalto alla notizia dando nuovamente voce ai “survivors”. A persone come Carmen, per esempio, che ha passato 42 anni a cercare una sorella, nata cinque minuti dopo di lei nell’ospedale Donnell di Madrid, noto anche come clinica del Generalissimo Franco. Alla madre era stato detto che la sua seconda bambina era morta. «Ai giornalisti e a tanti lettori piacciono sempre queste storie che “sentimentalizzano” l’ingiustizia; il rapimento di poveri bambini è un bell’argomento per riempire le pagine dei giornali e per riempirci di santa indignazione» sentenzia amaro lo scrittore spagnolo José Ovejero, anche lui a Torino per presentare il suo ultimo libro Come sono strani gli uomini (Voland).

«Certamente è una tragedia – precisa Ovejero -, una delle molte provocate per un regime che considerava gli oppositori come non-persone. I franchisti si sentivano in diritto di impiccare uomini e donne che non la pensavano come loro, allo stesso modo ritenevano giusto prendersi i loro figli. Secondo questa logica è anche una buona azione perché così li sottraevano alle cattive influenze dei loro genitori. Esattamente la stessa folle dinamica si è verificata in Cile ed in Argentina con Pinochet e la dittatura dei militari». Sullo sfondo di questa immane tragedia spagnola c’è un’ulteriore analogia con quanto accaduto in America latina: la parte attiva, raramente denunciata e indagata a fondo, delle istituzioni cattoliche nelle azioni criminali intraprese dai regimi fascisti ai danni di donne e bambini. «Chiesa cattolica e fascismo sono alleati naturali in Spagna» commenta lo scrittore Ricardo Menéndez Salmón, che in alcuni romanzi (editi  in Italia da Marcos y Marcos) ha indagato a fondo la storia spagnola e gli orrori del nazifascismo. «La collusione del regime di Franco con la Chiesa sono ben note e, per fortuna, sono state studiate: durante la dittatura, la religione è stata una pietra miliare nell’educazione morale e ideologica degli spagnoli. Spagna franchista e cattolicesimo non solo andarono a braccetto, ma, a rigor di termini, sono la stessa cosa. Per quanto possa sembrare aberrante, rapire bambini faceva parte della logica feudale che ha “guidato” il nostro Paese dal 1939 al 1975. Inoltre la destra spagnola ha sempre avuto una visione estremamente materialista, pragmatica, della propria funzione politica: la Spagna è semplicemente un suo possedimento. Da questa base perché allora non prendere i figli dei “rojos” per rallegrare le case di famiglie imparentate con il regime?».

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La rivolta spagnola

Posted by Simona Maggiorelli su Maggio 8, 2012

Una nuova generazione di scrittori spagnoli scava nelle questioni più scottanti del presente, dalla crisi del Psoe ala precariato, all’invadenza della religione. “Tutti i monoteismi sono per definizione intolleranti”, dice Ricardo Menendez Salmon

di Simona Maggiorelli

Un serial killer, lucidissimo e freddo, è al centro del nuovo romanzo Derrumbe  (Marcos y Marcos) che lo scrittore Ricardo Menéndez Salmón presenterà il 13 maggio al Salone del libro. Nel folgorante L’offesa che nel 2008 ha rivelato lo scrittore e filosofo spagnolo al pubblico italiano il protagonista è invece un sarto, il solerte Kurt Crüwell, che, arruolato da Hitler si getta nella guerra con slancio. Fino a perdere ogni sentire. E «una gelida mattina Kurt non vede più in faccia l’orrore»: La perdita delle emozioni come perdita di ciò che è più umano è un tema che percorre carsicamente molta parte dell’opera di Salmón. Insieme al tornare a interrogarsi sull’orrore nazista e su come sia potuto accadere.
«Il nazismo è stato una tragedia troppo grande e complessa perché io possa diagnosticarne le cause» dice Salmon. «Gli artisti che l’hanno patito in prima persona come Primo Levi hanno detto che, in realtà, non si riesce a raccontare lo sterminio. Le categorie razionali e la lingua stessa non riescono a dire un tale abisso. Personalmente quello che più mi spaventa del nazismo è la sua ideologia e quel suo ridurre il soggetto ad oggetto, l’essere umano a cosa. I nazisti uccidevano uomini, donne o bambini, come fossero figure, pupazzi, bambole».
Ne Il correttore (2009) lei ripercorre e indaga il pensiero delirante alla base dell’attentato di matrice islamica del 2004 a Madrid. Cosa c’è dietro stragi di questo genere?
Le religioni monoteiste sono, per definizione, intolleranti. Alla base c’è una contraddizione paradossale. Il termine “tolleranza religiosa”, pronunciata da un ebreo, da un cristiano o un musulmano, in pratica è un ossimoro. Nelle differenti Chiese c’è chi cerca di camminare sul filo della dialettica non cadendo nel fondamentalismo. Ma in effetti il discorso degli integralisti religiosi è più coerente con la loro fede. I fondamentalisti islamici che hanno fatto esplodere i treni a Madrid hanno rivendicato un attentato contro gli infedeli; Breivik è un razzista, fondamentalista cristiano che pretendeva di salvare l’Europa dall’invasione islamica. L’essenza ultima della religione si rivela qui come la pazzia di anteporre un’irrazionalità malata all’ intelligenza.
Sempre ne Il correttore lei mette insieme la cronaca dell’attentato dell’11 marzo del 2004 e il vissuto del protagonista, Vladimir, che sta correggendo le bozze de I demoni di Dostoevskij quando l’orrore irrompe dalla tv. Il romanzo permette di andare più in profondità nella lettura dei fatti?
La mia intenzione era mostrare che chi maneggia i discorsi, detiene un potere, ha la possibilità di rimodellare la realtà. E ha a portata di mano l’opportunità di proporre una realtà diversa, o addirittura falsa con effetti sul futuro. Detto questo, mi rendo conto che la letteratura in generale e il romanzo in particolare, hanno un potere enorme. Partendo da un artificio, da una convenzione, da una bugia (la finzione), può far in modo che i fatti raccontino la loro verità.
In quale direzione guarda oggi la nuova letteratura spagnola?
Gli scrittori spagnoli hanno ripensato in profondità la guerra civile e i decenni del dopoguerra, e si deve ancora fare molto. Ma capisco che le giovani generazioni, quelle degli scrittori nati negli anni 70 o 80, stiano cominciando a trovare questi temi un po’ stanchi. Per troppo tempo, l’equazione Spagna=Guerra civile ha condannato la nostra letteratura ad essere una sorta di riserva culturale del dramma che ha avuto inizio nel 1936. Mi pare comprensibile che gli scrittori comincino a guardare anche altrove. Oggi ci sono questioni scottanti sul tavolo dello scrittore, dal fallimento del welfare ai diritti dei lavoratori, sotto il ricatto del precariato e di nuove forme di sfruttamento
La protesta degli indignados ha dato una scossa, perché la sinistra non ha saputo dare una risposta politica?
In piazza c’era gente dai 20 ai 60 anni: lavoratori, universitari, esponenti della classe media, persone provenienti da ambienti culturali molto diversi. Non è stato un movimento apolitico ma apartitico. Questo in parte spiega perché la sinistra non ha preso i voti di questo vasto malcontento. A parte Izquierda Unida, la cosiddetta sinistra in Spagna è un blocco monolitico (il Psoe) più vicino a un liberalismo moderato che a un socialismo vero. L’ottimismo rampante è stato il motore della democrazia sociale spagnola per anni. E ora la sinistra “ufficiale” ha pagato il prezzo del disincanto e dei suoi errori. Il loro esercizio di ipocrisia è stata davvero notevole.

da left avvenimenti

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