Il direttore degli Uffizi Antonio Natali non concederà in prestito un’opera fragile come L’Annunciazione, richiesta da Milano per la mostra su Leonardo a Palazzo Reale, prevista nell’ambito dell’Expo 2015. Coerente con il suo lavoro di conservazione del quadro di cui è uno dei massimi studiosi. Anni fa, Natali scoprì i motivi della strana torsione del braccio della Madonna mettendola in relazione allo spazio in cui era originariamente collocata la tela.
In questa intervista rilasciata a Left lo scorso ottobre il direttore raccontava le ragioni della sua resistenza ad esposizioni che, senza produrre conoscenza, riducono le opere d’arte a feticci decontestualizzati. Una bella occasione per ascoltarlo dal vivo sarà giovedì 19 ottobre quando sarà a Roma, nei Musei Vaticani, per presentare il suo nuovo libro Michelangelo agli Uffizi, dentro e fuori pubblicato da Maschietto editore.
In balìa della crisi economica, già diversi anni fa, la Grecia prese ad affittare i suoi templi come location. Anche per film di serie b e ricchi matrimoni stranieri. Allora gridammo allo scandalo. Mentre l’ex direttore del Musée Picasso, Jean Clair tuonava contro il Louvre che, per fare cassa, progettava di delocalizzare pezzi di collezione ad Abu Dhabi. Oggi però in Italia sembriamo quasi assuefatti all’idea del “noleggio” di antichi spazi architettonici, monumenti, ponti e palazzi pubblici, diventato pratica diffusa.«La cosa in sé non è detestabile», commenta il direttore degli Uffizi Antonio Natali, precisando :« dipende da come lo si fa». «Agli Uffizi – dice -noi non noleggiamo gli spazi del Museo. Ma abbiamo una terrazza, affacciata su Palazzo Vecchio, che ha il più bel panorama di Firenze. Che ospiti alcuni eventi, purché nei limiti del buongusto, mi pare ammissibile. Se c’è uno sponsor che si è reso benemerito facendo bene agli Uffizi, io non mi sento di negargli quello spazio. Mentre, finché ci sono, mi impegnerò con tutte le mie forze perché non avvenga negli spazi della Galleria. Gli Uffizi (con l’Accademia dove si trova il David) è il museo che mette risorse economiche a disposizione di tutti gli altri del Polo fiorentino. E le assicuro che gli altri musei ne hanno ancor più bisogno di noi perché, ahimè, non fanno gli stessi numeri. Dunque non mi sento di fare il moralista. Anche perché tutto sommato non ne vedo la ragione. Friends of Florence, per esempio, ha raccolto un milione di dollari per il restauro della Tribuna. Offrire loro la terrazza è un modo per dimostrare la gratitudine dello Stato.
Occorre un vigile controllo pubblico su queste operazioni, non crede?
Certo, ci vuole un forte controllo. Quando si parla di etica la severità non è un vizio. è una virtù. Le sale del Museo, ribadisco, non devono essere toccate. Altrimenti sarebbe un po’ come dire, poiché arrivano tanti soldi, gli permettiamo di fare colazione, pranzo o cena nel Presbiterio di Firenze. Sarebbe del tutto improprio. Anzi, deprecabile. Oggi in nome del denaro è diventato possibile tutto. Con la scusa che siamo in crisi. Questo non è accettabile. Senza contare che non c’è mai stato un periodo in cui non si parlasse di crisi. Forse solo quando ero adolescente io negli anni Sessanta e allora c’era il boom. Per il resto, a partire da Petrolini che cantava “che cos’è questa crisi,” non ho conosciuto un periodo di floridezza tale che consentisse al patrimonio italiano una attenzione o una tutela attenta, perché i soldi sono sempre mancati. Allora se arrivano degli aiuti l’importante è che dietro ci siamo delle scelte precise, buongusto, intelligenza, un po’ di sapienza e anche un po’ di cultura.
Il marketing culturale, però, tende a incoraggiare più che la conoscenza un turismo “mordi e fuggi”. Che magari si accontenta di un selfie accanto alla Gioconda. In questo modo non si rischia di svuotare di senso l’opera, riducendola a feticcio?
La Gioconda come la Venere di Botticelli conservata agli Uffizi… Ma anche qui vorrei fare chiarezza. Sono partite in questi giorni dagli Uffizi e da altri musei un’ottantina di opere per una mostra che si terrà a Tokyo. L’ho curata personalmente, con il preside della Facoltà di Lettere della capitale giapponese. “Feticci non ne partono di qui”, mi sono permesso di dirgli visto che ci conosciamo bene. Ci saranno molte tele poco note, molte dai depositi, molte di pittori di cui non si conosce il nome, ma si conosce il corpus di opere. Proprio per non alimentare la mitologia del feticcio. E’ la cosa che più mi rattrista. E poi perché si sappia che la storia dell’arte italiana non è fatta solo di Botticelli, Michelangelo e Leonardo e Caravaggio. Queste sono le vette di una catena montuosa e non punte solitarie che si alzano da una piana paludosa. Ci sono tantissime altre opere che devono essere conosciute. Io credo sia molto importante che la divulgazione ci sia, senza fare i sofisti o gli snob, ma essendo consapevoli che ogni volta che si sposta un capolavoro si rischia di alimentarne aridamente il mito. è del tutto evidente che se una mostra copre il Rinascimento bisogna prestare opere che attestino la presenza di maestri fuori dell’ordinario. In questo caso si tratta di quattro o cinque opere contornate da una settantina di tele tutte da conoscere. Perché solo così penso si faccia un’operazione di divulgazione seria con un intento didattico forte. Il punto cioè è far capire che l’arte italiana è cosa assai più complessa di quanto si fa apparire all’estero quando si porta una mostra di Botticelli o di Leonardo. Senza contare che è sempre più difficile per l’estrema delicatezza di queste opere e si è sempre più costretti a proporre mostre che nel titolo annunciano “l’ombra di…”
Cosa pensa della proposta avanzata dal ministro Franceschini che apre alla possibilità di pagare le tasse cedendo opere d’arte allo Stato?
Con ciò che ho detto, la risposta mi pare quasi scontata. Mi è piaciuta molto l’agevolazione che è stata offerta a chi contribuisce al mantenimento del patrimonio. Purché quando si parla di patrimonio e di mecenati non ci si riferisca solo agli Uffizi – e lo dico nel completo disinteresse come lei potrà capire -.ma si pensi a quei musei che non ce la fanno. Si pensi cioè a quelle chiese in cui piove e c’è il rischio che gli affreschi si rovinino. Se io offro soldi agli Uffizi e con ciò mi faccio bello, non è vero mecenatismo. Ci vuol poco a farsi belli con gli Uffizi. Serve oculatezza, attenzione, perché non ci sia il soccorso ai ricchi ma ai poveri. (Dal settimanale Left ottobre 2014)
Leonardo, rispetto gli uffizi
Franceschini: «Rispetto gli Uffizi, no all’Annunciazione»
Corriere della Sera, 13/02/2015
Il ministro dei Beni culturali: «Ho chiesto alla Galleria una valutazione e l’ho avuta. Il museo ha già prestato molte opere, la sala leonardesca rimarrebbe vuota»
«L’Annunciazione» di Leonardo non sarà a Milano per Expo. È stato il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, a stroncare le speranze di Palazzo Marino. In visita venerdì alla Bit, la fiera del turismo di Rho, Franceschini è stato chiaro: «Ho ricevuto una lettera dal sindaco Pisapia che mi chiedeva una riflessione. Ho chiesto al direttore degli Uffizi una relazione che mi ha fatto avere. Io sono molto rispettoso dell’autonomia dei direttori dei musei e delle loro scelte, non credo che la politica debba intervenire in un campo che è di loro competenza». Chiamato ad arbitrare la contesa — a chiamarlo in causa era stato proprio il direttore della Galleria fiorentina («Decide il ministro») — Franceschini ha spiegato i motivi del rifiuto: «Il dottor Natali mi ha mandato un elenco delle opere che gli Uffizi hanno prestato alle varie mostre per Expo e sono 28. Alla mostra su Leonardo sono prestati dei capolavori, un’opera del Botticelli che non è mai uscita dagli Uffizi, una importante del Ghirlandaio e altre ancora. Il direttore degli Uffizi ha fatto presente che il suo museo rimarrebbe privo di opere di Leonardo durante i sei mesi di Expo. Sono valutazioni corrette che io rispetterò».
Il Comune ha sperato fino all’ultimo che il capolavoro leonardesco del 1472 potesse far parte della grande mostra su Leonardo a Palazzo Reale. Giovedì sera l’assessore alla Cultura, Filippo Del Corno, accennava a spiragli di schiarita. Fiducioso che il ministro, per la sua sensibilità, avrebbe compreso l’importanza di inserire l’opera nel percorso espositivo. Impossibile — la sintesi del suo ragionamento – che dopo le dichiarazioni del premier Matteo Renzi («A Expo l’Italia ci mette la faccia, non possiamo permetterci brutte figure») il dicastero non seguisse la linea. Previsioni smentite: Franceschini ha preferito non ignorare le valutazioni dei tecnici e non sconfinare dal suo ruolo d’indirizzo politico. Nessuna eccezione o deroga speciale, dunque: l’opera «inamovibile» — più per l’integrità della collezione che per i rischi effettivi legati a un eventuale trasferimento – resterà a Firenze. Si chiude, così, una vicenda che aveva creato tensioni non solo tra Milano e il capoluogo toscano, ma anche nel fronte di Expo. Duro, giovedì, lo scambio di battute tra la presidente di Expo, Diana Bracco, e l’assessore Del Corno. Sul «caso Annunciazione» Bracco era intervenuta sostenendo che, tutto sommato, l’opera non fosse poi così indispensabile. «Non dobbiamo accentrare tutto a Milano — erano state le sue parole — . Capisco che un museo possa dire: “Se ti do un’opera, poi la sala rimane sguarnita”». Esternazioni che non erano piaciute a Del Corno: «Inopportune e sfavorevoli allo sforzo che stiamo facendo». «Quando il gioco in squadra con Expo — la stoccata dell’assessore — il mio referente è Beppe Sala. Forse, Bracco si è espressa in quel modo perché è poco informata sull’alto valore scientifico della mostra».
Expo delle polemiche
Il «caso Annunciazione» non è stato l’unico a creare frizioni durante l’organizzazione dell’evento. Contrastata anche la vicenda dei Bronzi di Riace: a premere perché le statue fossero esposte a Expo, tra gli altri, il critico d’arte Vittorio Sgarbi. Il Museo archeologico di Reggio Calabria, però, si era rifiutato, invocando la fragilità delle opere, imprescindibili per la collezione. Un altro no era arrivato da Cremona: il sindaco del Comune lombardo non aveva voluto concedere «L’Ortolano» di Arcimboldo, dipinto particolarmente in tema con la manifestazione. Accuse e maldipancia anche per l’Albero della vita, l’installazione simbolo del Padiglione Italia, progettata da Guido Balich. Prima il nodo dei costi esorbitanti, poi le rivelazioni dell’architetto inglese Wilkinson che aveva agitato il sospetto di plagio: «È uguale ai nostri Supertrees di Singapore». Una serie infinita di polemiche, nella quale «L’annunciazione» leonardesca è solo l’ultimo «pomo della discordia». Riuscirà il ministro dei Beni culturali a ricompattare i ranghi? Nel frattempo, i tessitori continuano a lavorare dietro le quinte per non tradire la linea dettata dal premier, Matteo Renzi: «Tutto il mondo ci guarda, ad Expo l’Italia ci mette la faccia».