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Archive for ottobre 2003

Le metamorfosi nella fantasia di Klinger

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 30, 2003

di Simona Maggiorelli

Sirena di Max Klinger

Una natura idealizzata e possente. Scene di passione sulla spiaggia. Di amanti senza nome. Nell’abbraccio, la donna rivela una sfuggente natura da sirena. Sono le figure immaginifiche, fantastiche, spesso mutuate dall’epos e dal mito, della pittura di Max Klinger, l’artista che contrassegnato con un proprio segno originale il passaggio dalla pittura romantica a quella simbolista nell’orizzonte europeo.

In un periodo in cui le varie discipline erano sempre più compartimentizzate, Klinger lavora a fondere i confini tra i generi inseguendo un’idea di arte totale in cui disegno e pittura non rinunciano a un effetto plastico e visionario. Allievo di Boecklin, soprattutto nel regalare sensualità alle figure, sciogliendo il rigido rigore della pittura tedesca.

Instancabile sperimentatore fra pittura, scultura e grafica, Klinger nasce a Lipsia nel 1857 e muore a Grossjena nel 1920. Dopo la prima importante antologica italiana che gli dedicò sei anni fa Ferrara in palazzo de’ Diamanti, ora una grossa scelta dalle sue opere – circa un centinaio fra olii, incisioni, a cqueforti, bulini e litografie – è in mostra a Trento, in palazzo delle Albere fino al 25 settembre . La curatrice Alessandra Tiddia, per rendere accessibile da subito il percorso della mostra, ha scelto di partire dall’opera più popolare di Klinger, il ciclo Parafrasi sul ritrovamento di un guanto, dove a dare il la alla pittura è un episodio di cronaca, in parte vero, in parte inventato. Nel quadro più famoso della serie, intitolato L’Azione (che piacque molto ai surrealisti) Klinger ritrae un uomo su una pista di pattinaggio, mentre si china per raccogliere il guanto che una pattinatrice ha lasciato cadere. Il pittore tedesco raccontò di aver vissuto davvero questo piccolo episodio e di essersi portato a casa quel guanto. Klinger lasciava intendere di averlo messo sul cuscino, generando un sogno in cui l’oggetto si animava di vita propria diventando protagonista di infinite avventure romanzesche e trasformazioni, fonte di ispirazione per altrettante opere su tela e su carta. Uno dei testi più cari a Klinger fu non, a caso, la favola di Apuleio. Da Amore e Psiche e dalle Metamorfosi, il pittore tedesco ricavò un ciclo di quadri che contenevano il movimento di una perenne trasmutazione degli elementi. Passaggio che poi troverà il suo apice ne Le fantasie per Brahms del 1894, la tela in cui Klinger tenta di dare musicalità silenziosa alle immagini. Brahms stesso, si dice, apprezzò moltissimo l’esperimento.

Da Europa quotidiano, 2003

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L’oro e l’azzurro

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 25, 2003


di Simona Maggiorelli

Cèzenne a Treviso

TREVISO. La forza viva e abbagliante della luce del Midi, un  viaggio mozzafiato alla scoperta del colore. Centoventi dipinti: molti capolavori assoluti di Van Gogh, Cézanne, Monet, Matisse,  insieme  a quadri impressionisti, Fauve,  Nabis, provenienti da collezioni private e da musei sparsi per il mondo, rari da vedere. Artisti di diverso talento, con poetiche radicalmente divergenti, ma tutti ugualmente soggiogati dalla potenza del blu del Mar Mediterraneo, dal demone meridiano del sud, dai colori caldi delle terre di Provenza. Nella mostra “L’’oro e l’azzurro”, aperta fino al 7 marzo  a Casa dei Carraresi, il prolifico Marco Goldin è riuscito a rendere tangibile quel certo cronotopo storico artistico che si forma all’’incrocio fra l’’ascissa geografica che da Marsiglia corre verso la Liguria e l’’ordinata temporale che dalla seconda metà dell’Ottocento si ’incunea in un Novecento inoltrato. E’ lì, in quel  lembo di terra, in quel radioso spazio- tempo, che alcuni dei più grandi pittori dei secoli scorsi ebbero una decisiva svolta creativa, facendo le  loro realizzazioni più importanti. Van Gogh  si trasferì ad Arles nel 1888, in due anni portò all’apice la sua opera di artista. Il suo sogno sarebbe stato creare con Gauguin una “scuola del mezzogiorno”,ma dopo le sue prime crisi, l’’amico e sodale si tira indietro. Per Van  Gogh sarà una ferita profondissima.  Venuto dalle nebbie del nord, il pittore olandese non trovò in Provenza quel sole anche interiore che si aspettava. Un inverno molto freddo e rigido, molta neve anche suoi propri affetti. A primavera di quell’o stesso anno nella sua pittura restano solo rami di mandorlo in fiore dentro un vasetto d’acqua, diafane visioni di germogli di albicocchi.

Braque

Quadri che visti in sequenza  a Treviso  trasmettono il senso di un’’infinità fragilità . Ma segnalano anche una tenue apertura, sono il preludio dell’ultimo furoreggiare di gialli accesi, di campi di grano incendiati di colore , di ulivi attorti di riflessi blu e viola.  Provenienti da Kansas City e da collezioni private, forse più dei coevi Lillà, questi nodosi ulivi in mostra aTreviso raccontano la vitalità febbrile, la potenza della rivolta artistica di Van Gogh, ultimo sprazzo in pennellate dense, materiche e serrate, prima del congedo, annunciato in quella famosa “ camera di Arles”, ordinata, colorata ma sinistramente vuota, che Goldin, con colpo di teatro, incornicia in una stanza buia alla fine del percorso. Quel semplice letto rifatto, eppure così drammatico, è uno dei più forti nodi di articolazione della mostra trevigiana. Insieme alla sala Cézanne in cui si squadernano, dirimpettaie, sei differenti versioni della montagna Sainte Victoire, dal 1882 agli ultimi anni di vita: visioni via via sempre più ardite, più scomposte,  quasi “pre cubiste”, virate a una tavolozza scura e intensa, che, superando ogni piatta mimesis, si propongono sempre più come originali e potenti immagini interiori dell’artista.  Tutta la prima parte della mostra fra cronologicamente ordinate riproposte del paesaggismo di Guigou, del marsigliese Monticelli, ma anche di Courbet- primi accenni di lotta contro l’accademismo – precipita  inequivocabilmente verso questo punto  di attrazione. In questo percorso, primo segnale di un  deciso oltrepassamento del descrittivismo iperazionale di ciò che si para davanti agli occhi del pittore, un rarissimo quadro di Cézanne del 1866, ‘Strada in Provenza’, dal Museo di Montreal e poi su su  una ventina di eccezionali tele, dall’  ‘Estaque, veduta del golfo di Marsiglia’  del 1878 proveniente dal Musée d’Orsay di Parigi, fino alle ultime opere in cui il pittore di Aix-en Provence,  per dirla con le parole di Merlau Ponty, riusciva sempre più a rendere “l’invisibile” sotteso al visibile, il latente, la creazione autonoma dell’’artista a partire dal percepito.

Appare chiaro a questo punto che“ L’’oro e l’azzurro”, ultimo capitolo di una trilogia di mostre  che Goldin ha concepito con Treviso è solo all’apparenza una ricognizione sull’’impressionismo. Si, certo, ci sono i molti Renoir che, incantato dalla bellezza della Provenza dopo un viaggio di studio con Monet, vi tornerà nel 1888 per stabilirsi definitivamente alle Collettes . Ci sono  le smagliate, vaporose vedute di Bordighera e di Antibes per le quali Monet invocava una tavolozza di diamanti e pietre preziose. Ci sono i molti Seraut e Signac nel tentativo di fondere, a furia di puntini, “l’autenticità della sensazione” con la nuova scienza della percezione . Ma  più sottilmente la mostra sembra proporre una ricerca su quella speciale rivoluzione che Van Gogh e Cézanne portarono nella pittura, su quel particolare, delicato, passaggio che i due artisti ancora in epoca di imperante positivismo riuscirono a compiere, e a prezzo di isolamento e incomprensione ( tornano in mente i tanti rifiuti ricevuti da Van Gogh e le sferzanti dichiarazioni di Zola che definì l’’amico Cézanne, pittore fallito, genio abortito) verso un modo di rappresentare che attraverso forzature prospettiche, attraverso uno spregiudicato uso del colore per dare evidenza e solidità  agli oggetti, riusciva a rendere la profondità di una visione interiore sgombrando il campo da ogni convenzionalità.
Aiutano a rintracciare questo sottotesto della mostra trevigiana anche le frasi d’artista, le dichiarazioni di poetica, brani di lettere che Goldin ha scelto da appuntare sui muri. “ Dare l’immagine di ciò che vediamo- scriveva con molta limpidezza Cézanne- dimenticando tutto ciò che in precedenza ci era apparso davanti agli occhi “. L’’obiettivo è arrivare a “ una propria visione, grande o piccola che sia”. Ognuno ha la propria.“Solo così l’artista può arrivare ad esprimere tutta la sua personalità”.

Cézanne L'estaque

Una generazione dopo, da percorsi diversi, ma sulla stessa scia di scoperta di una pittura di colori e figure deformate che attingono potentemente a una fantasia inconscia ( come ricreazione e trasformazione del percepito, senza essere la meccanica riproposizione di sogni)  Henri Matisse si cimenta in appassionanti e “leggere” visioni di presenze femminili in interni rossi. Come la figura indefinita, senza i connotati lucidamente definiti di un volto che campeggia davanti a un rialzato, azzurrissimo, mare nel dipinto “La donna seduta davanti alla finestra aperta” del ’1922 , prestito del Musée des Beaux Arts di Montreal o le molteplici, mosse, presenze femminili del “Carnevale di Nizza” del ’21, proveniente da Berna.  Addentrandosi nel Novecento, la mostra riserva ancora belle sorprese con una serie di ricche ricerche decostruttive di Braque,le brillanti vedute  del porto dell’Esatque del 1906 e le “Fabbriche del Rio tinto” dell’anno successivo. Ma ,nel percorso che attraverso i colori incandescenti dei Fauve, porta al  rassicurante finale dedicato al Novecento di Pierre Bonnard  e alle visioni scrigno dei Nabis ( due sale di interni borghesi pieni di preziosismi e piuttosto decorativi), si  resta ancora per un attimo attratti dai paesaggi dipinti da Edvard Munch a Nizza tra 1891 e 1892, opere poco  sconosciute, in cui sotto la scorza della brillante tavolozza,  nella ripetizione di griglie architettoniche razionali e ossessive, in paesaggi gremiti di figure, ma ugualmente chiusi in uno stranissimo vuoto pneumatico pare di rintracciare i prodromi de “L’’urlo” e della crisi psichica a cui Munch andò , di lì a poco, tragicamente incontro.

dal quotidiano Europa 24 ottobre 2003

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Alla riscoperta di Perugino

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 18, 2003

di Simona Maggiorelli

Perugino, particolare s. sebastiano 1493-94

Dopo anni di oblio da parte della critica perché giudicato artista provinciale e attardato, la rete museale dell’Umbria invita alla riscoperta di Perugino (Città della Pieve, 1450 circa – Fontignano, 1523), pittore delle geometrie rinascimentali, di paesaggi ordinati, pacificati, cristallini.

Maestro di Raffaello Sanzio, per secoli è stato nell’ombra, aduggiato dalla grandezza e dall´aura di quello speciale allievo. Relegato nei libri di storia dell´arte a un capitoletto propedeutico allo studio della pittura del divino Raffaello, Perugino di fatto solo da una decina d’anni a questa parte comincia a conoscere una nuova stagione di studi e di interesse più largo da parte del pubblico, attratto dall´Umbria come meta di turismo culturale in paesaggi naturali ancora intonsi. (Aspetto di non poco conto in un paese come l´Italia che ancora non riesce ad attingere al proprio patrimonio d´arte come risorsa culturale e senza sfregiarlo e sperperarlo).

In questo quadro pare importante l´iniziativa di sei comuni umbri, grandi e piccolissimi, da Perugia a Città della Pieve a Corciano che hanno unito le forze per organizzare un fitto carnet di iniziative sul maestro di Città della Pieve. Un percorso di sei mostre lungo un itinerario che arriva fino a Foligno.A far da epicentro di irradiazione dei percorsi la Galleria Nazionale dell´Umbria dove si terrà una retrospettiva pressoché completa delle opere pittoriche del Perugino con polittici che tornano in mostra dopo anni di restauri e soprattutto con importanti ricomposizioni di pale smembrate, conservate in pezzi separati in musei sparsi per il mondo.

Così nella galleria perugina, oltre a una meticolosa ricostruzione della formazione dell’artista, dei suoi anni fiorentini, delle influenze di Piero della Francesca e del Verrocchio, si potrà vedere la famosa pala Chigi ricomposta coera in originale così come fu creata per al chiesa di Sant’Agostino  a Siena, con predella  e due pannelli conservati al Metropolitan di New York e al Museum di Chicago.

Altra tranche interessante quella che si terrà nelle gallerie sotterranee della Rocca Paolina di Perugina, con una selezione di opere di Moreau, Baschet, Goncourt, Herbert e di altri pittori europei, soprattutto francesi, che testimoniano la forte impressione che la pittura del Perugino fece in Francia quando alcune sue opere furono “rapite” da Napoleone.

Nel monastero di San Pietro un´esposizione di miniature coeve all´unica opera di questo genere che Perugino ha lasciato: uno splendido San Sebastiano conservato alla British Library. Da segnalare infine nella città natale del pittore un suggestivo percorso di opere di pittura di paesaggio, fra scorci del Trasimeno e scoscese colline umbre che Perugino trasfigurava in un paesaggio ideale, dalle atmosfere dolci. L´intero progetto e le sei mostre saranno inaugurati il 28 febbraio prossimo.

dal quotidiano Europa 17 10 2003

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