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Eretici al Salone del libro. Ricordando Giordano Bruno e Lucrezio

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 17, 2018

Mentre al Lingotto entra nel vivo un’edizione del Salone del libro quanto mai densa di presenze ecclesiastiche e di incontri a sfondo confessionale e dottrinario visto che il Paese ospite quest’anno è il Vaticano, proviamo qui a tracciare un primo bilancio degli appuntamenti “fuori dal coro” suggerendo anche alcuni percorsi per gli amanti del libero pensiero. A questo riguardo il nostro “viaggio” nell’edizione 2014 della maggiore fiera italiana dell’editoria non può che iniziare dalla presentazione, che si è svolta l’8 maggio a Torino, di un “dizionario enciclopedico” in tre volumi che le Edizioni della Normale dedicano a Giordano Bruno, il filosofo mandato al rogo
dalla Santa Inquisizione il 17 febbraio del 1600. Ideatore e curatore di questo complesso lavoro, che ha richiesto un’immane ricerca sulle fonti di Bruno, è il filosofo Michele Ciliberto che lo ha realizzato con un team di 40 studiosi per lo più provenienti dalla Normale di Pisa e dall’Istituto nazionale di studi sul Rinascimento di Firenze.
«Più che un’opera enciclopedica – precisa il professore – la definirei una sorta di “opus” in cui, di voce in voce, viene esaminato tutto l’universo bruniano, studiando il suo pensiero giuntura per giuntura, nervo per nervo. Perché quando diciamo enciclopedia – approfondisce Ciliberto – pensiamo soprattutto alla sua versione moderna. E sarebbe una forzatura ascrivere Bruno a questo ambito. Fra il Rinascimento e la Modernità c’è una profonda differenza. Nel passaggio dall’uno all’altro, per esempio, il concetto di vita viene sostituito da quello di natura sottoposta all’analisi lucida della ragione. Galileo può essere considerato un moderno perché aveva una concezione quantitativa, meccanicistica, della natura. Un modo di pensare i fenomeni naturali che era del tutto estraneo a Campanella, a Machiavelli e a Bruno, che è difficilmente interpretabile come
filosofo che precorre la modernità». Bruno era un pensatore rivolto al passato allora? «Io non credo», risponde Ciliberto. «Era un pensatore dell’infinito, ha intuito l’infinito proprio come predicato dell’uomo, aveva una concezione dei generi letterari e dell’estetica estremamente moderna. È andato oltre Keplero, con una profondità che inquietava l’astronomo tedesco e che terrorizzava Galileo. Bruno era un filosofo radicale. Pensiamo per esempio alla sua concezione
dell’immagine legata all’idea di infinito: o procedi attraverso le immagini mentali, diceva, o non vedi nulla della verità stando dentro il concetto tradizionalmente inteso».
Concetti, parole, immagini, suggerisce il sottotitolo di questo importante trittico di volumi. La forza del filosofo nolano risiedeva soprattutto in un pensiero per immagini? «Bruno è un critico dell’intelletto, ne evidenzia i limiti», risponde Ciliberto. «Se vuoi davvero vedere le cose, sostiene Bruno, devi spezzare i confini della tua stessa soggettività. Puoi entrare nella dimensione dell’infinito solo attraverso “i mastini della volontà”, la passione, l’amore ecc. La conoscenza della
verità si ottiene attraverso le immagini. La vis immaginativa è l’elemento germinativo
della sua filosofia. Spinoza diceva che è importante liberarsi delle immagini, Bruno si muoveva in direzione opposta». Ma a rendere profondamente originale – quanto scomodo per la Chiesa – il pensiero di Bruno è anche il suo carattere anticristiano, torna a sottolineare Ciliberto: «Si può immaginare un principio di pentimento della Chiesa nei confronti di Galileo, ma lo scienziato pisano è assolutamente diverso da Bruno. Galileo aveva una visione quantitativa, meccanicistica
in senso moderno, il filosofo Bruno invece esorta ad uscire dal ciclo ebraico-cristiano stigmatizzato come ciclo della corruzione, della degenerazione dell’umanità. Apre a una nuova concezione di religione come vincolo (in questo è affine a Machiavelli), alla religione della magia, a quella degli egizi, alla religione dei gesti eroici. Come Machiavelli, Bruno è radicalmente anticristiano».

Nel 1559 la Chiesa istituì l’Index Librorum Prohibitorum elencando i libri il cui possesso e la cui lettura era proibita. (L’Index è stato ufficialmente abolito solo nel 1966. Salvo esistere tutt’ora sotto forma di “guida bibliografica”dell’Opus Dei). In quell’elenco finì anche il De rerum natura di Lucrezio, al quale nel 2013 Piergiorgio Odifreddi ha dedicato il volume Come stanno le cose. Il mio Lucrezio, la mia Venere (Rizzoli), di cui ora è torna a parlare al Salone del libro di Torino.
Anche in quel caso le gerarchie ecclesiastiche non si limitarono a screditare l’opera, ma attaccarono
l’autore, dicendolo pazzo. Gli scrittori cristiani, ricostruisce il matematico nel libro, operarono una congiura del silenzio sul De rerum natura e poi ne stravolsero il senso, per esempio, leggendo l’inno a Venere come rivolto alla Madonna. «La damnatio memoriae – approfondisce Odifreddi – coinvolse tutti coloro che, dagli epicurei agli stoici, offrivano una filosofia di vita più profonda e meno superstiziosa del Cristianesimo. Lucrezio, però, era un caso speciale, il suo libro era un capolavoro di saggezza razionalista e anticlericale, e sembrava fatto apposta per finire all’Indice: che sarebbe stato creato dopo, ma fu messo in pratica subito, e in particolare con lui». Tra l’altro, aggiunge Odifreddi «all’epoca non c’era bisogno di una censura violenta e inquisitoria: bastava non ricopiare più il testo, e lasciare che le copie esistenti subissero l’usura del tempo. Per fortuna qualcosa si salvò, nei monasteri, e il libro “resuscitò” dopo quasi un millennio
di “discesa agli inferi”». Come Lucrezio, lo scienziato Isaac Newton (che Odifreddi racconta nel suo nuovo libro Sulle spalle di un gigante, Longanesi) recuperò molti temi da Epicuro: l’atomismo,
il vuoto, l’infinità dello spazio, benché l’epicureismo fosse considerata una filosofia atea ed eretica. Assumendosi non pochi rischi. «Newton era già eretico di suo – commenta Odifreddi – dato che considerava il Concilio di Nicea l’inizio della “grande apostasia” e professava l’arianesimo che quel Concilio aveva messo al bando. Ma in Lucrezio trovò molti degli aspetti scientifici che ho cercato di mettere in evidenza nel mio commento. E vi trovò la prisca sapientia degli antichi». Ma per fare ricerca scientifica essere eretici forse non basta. Per riuscirci bisogna avere la mente libera da
dogmi e superstizioni? «Naturalmente per fare ricerca scientifica bisogna avere il coraggio delle proprie idee, anche quando esse vanno contro i pregiudizi comuni», risponde l’autore di tanti libri
di divulgazione e curatore dell’enciclopedia Einaudi sulla matematica. «Ma nessuno pensa in un vuoto pneumatico: Newton stesso, ad esempio, rimase sempre
un seguace dell’alchimia».

da Left- Avvenimenti maggio 2014

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