Adelphi pubblica le lettere da Torino di Nietzsche. Scritte dal pensatore tedesco poco prima di sprofondare nella follia
di Simona Maggiorelli
«Caro signor professore, in fin dei conti sarei stato molto più volentieri professore a Basilea piuttosto che Dio; ma non ho osato spingere il mio egoismo privato al punto di tralasciare per colpa sua la creazione del mondo. Vede, comunque e dovunque si viva, è necessario fare dei sacrifici».
Così scriveva Friedrich Nietzsche a Jacob Burckhardt il 6 gennaio del 1889. Era la sua ultima lettera da Torino e rivela tutto il dramma della malattia mentale in cui Nietzsche era sprofondato. Di lì a poco il sollecito e religiosissimo amico Franz Overbeck, destinatario insieme a Burckhardt di alcuni “biglietti della follia” di Nietzsche, sarebbe venuto in Italia a prenderlo per riportarlo in Germania. Il filosofo tedesco non avrebbe scritto più niente. Ma questa serie di lettere (che ora Adelphi, nell’ambito dell’edizione integrale delle opere di Nietzsche, ha tradotto e pubblicato) non sono solo il documento finale di una drammatica uscita di scena. Appaiono anche come una straordinaria testimonianza letteraria e di vita. Sprazzi di grande lucidità e di vitale ribellione si alternano a nomenti in cui Nietzsche veniva preso da un “freddo tremendo”. Non per il rigido clima torinese, ma «per un gelo che proviene da dentro». Come scrive in una lettera nell‘88. Consapevole di avere momenti in cui d’improvviso «la mente si ferma», Nietzsche cerca disperatamente di «farsi intendere», ribellandosi con forza a chi gli attribuisce pensieri che non sente più suoi, perché stravolti. Così all’amica von Meysenbug scrive il 20 ottobre dell’88 :«Dal mio concetto si superuomo lei si è ricavata – cosa che non le perdonerò mai – “una sovrumana impostura”».
Rigettando tanto la lettura germanica eroico-idealista del superuomo, quanto quella biologico darwiniana o antisemita. Proprio raccontando un po’ stupito che Zarathustra è piaciuto agli antisemiti, scrive a Overbeck nel 1887: «Esiste una interpretazione specificamente antisemita che mi ha fatto ridere molto». E ancora in questi giorni torinesi di «lavoro fortissimo» da cui (tra il maggio 1888 e il 2 gennaio 1889) escono Il caso Wagner, Crepuscolo degli idoli, L’Anticristo, Ecce homo. Nietzsche contra Wagner e i Ditirambi di Dioniso, Nietzsche scrive lettere di ogni genere, di carattere privato e pubblico, per rivendicare i punti cardine della sua battaglia contro l’idealismo «che ha svilito ogni realtà concreta» e soprattutto contro l’infetto cristianesimo. Al contempo cercando affannosamente di stabilire rapporti con intellettuali e scrittori che immaginava potessero essergli affini, come Strindberg. Ma interessante, e non solo per il biografo, è anche quel che si intuisce qui, nella ridda di lettere alla madre, degli oppressivi e malati rapporti familiari. A quest’epoca, come ricostruisce il filosofo Giuliano Campioni, curatore di queste Lettere da Torino, i rapporti con la sorella si sono già guastati. «La sorella – scrive Campioni – gli è sempre più estranea e ostile; è a una distanza siderale dalla minima comprensione della filosofia del fratello». Impegnata com’è in Paraguay « a condividere e a realizzare gli ideali del consorte tenendo a bada i tedeschi truffati dalla colonia ariana e antisemita da lui fondata». La rottura sarà esplicita in passi di Ecce homo poi soppressi da Elisabeth e che Mazzino Montinari ebbe il merito di riportare alla luce. Non fatichiamo troppo, a questo punto, a immaginare quella stessa Elisabeth, il 2 novembre del 1933, ad accogliere Hitler nella casa di Nietzsche a Weimar.