di Simona Maggiorelli
La storia dell’«assalto al patrimonio culturale» comincia a fine 2001, quando circola la prima Finanziaria del governo Berlusconi che ventila la possibilità di un massiccio intervento dei privati nel settore dei beni culturali. La notizia si diffonde anche oltre confine e 37 direttori di musei firmano a New York un appello al governo italiano. Ma il ministro dell’Economia Tremonti, come nota Settis, si comporta come quel ministro lituano protagonista delle correzioni di jonathan Franzen che organizza via internet la vendita a pezzi del proprio paese, creando la Lithuania Incorporeted, «una nazione for profit». Così, con un decreto del 15 aprile 2002, il ministro dell’Economia da vita alla Patrimonio spa «per la valorizzazione, gestione ed alienazione del patrimonio di Stato». Scatta l’allarme . Al ministro arriva anche una lettera di Ciampi. Ma dopo qualche leggero aggiustamento, a giugno, il decreto diventa legge. Comincia a circolare la parola “cartolarizzazione”, termine fin qui ignoto agli italiani. Alla Patrimonio spa d’ora in avanti potranno essere trasferiti «tutti i beni immobili del patrimonio disponibile e indisponibile dello Stato». Ma un decreto del ministro dell’Economia precisa che i beni potranno essere trasferiti in proprietà anche all’altra società per azioni, la Infrastrutture spa, aperta a capitale privato. In questo modo si crea un grosso fondo di beni che potranno essere «controllati mediante pacchetti azionari, ma anche venduti e dati in affitto». Anche il patrimonio culturale italiano entra a far parte di questo fondo, con l’unica garanzia in più che, per la sua vendita, ci vorrà anche la firma del ministro dei Beni culturali. Un principio del resto presto sconfessato. Il 24 dicembre 2003, ultimo giorno di finanziaria, viene approvato il decreto che introduce la dismissione urgente degli immobili pubblici, mettendo in vendita in tre giorni decine di palazzi e strutture, senza consultare il ministero dei Beni culturali. Fra questi l’ex Manifattura tabacchi di Firenze, edificio monumentale vincolato dal ministero, che sarebbe dovuto diventare la nuova cittadella della cultura e dell’arte contemporanea. Un altro esempio è la Manifattura di Milano, già destinata alla scuola nazionale di cinema. Stesso acquirente, la Fintecna. società privata controllata dallo stesso ministero dell’Economia. Sul Giornale dell’arte del febbraio 2003, intanto, l’archeologo e docente dell’University College di Londra, Gaetano Palumbo, scrive: «Sono 35 le proprietà vincolate messe in vendita nella prima fase delle aste Scip, la società di cartolarizzazione degli immobili pubblici creata, prima della Patrimonio spa. Sono già stati venduti Palazzo Correr a Venezia, un palazzo storico al centro di Palermo, e un edificio a Milano, costruito sulla zona dell’anfiteatro romano, mentre ancora invenduti risultano Palazzo Artelli a Trieste, la residenza termale dei Granduchi di Toscana a San Giuliano Terme, e Villa Manzoni a Roma. Questi ultimi – spiega Palumbo – essendo stati battuti già due volte, verranno messi in vendita con uno sconto del 25 per cento. Se anche in quel caso le proprietà non saranno vendute, sarà battuta un’altra asta con base scontata del 35 per cento. L’asta finale sarà a base libera, quindi teoricamente qualcuno potrebbe portarsi via queste proprietà per pochi euro». È andata male a Villa Manzoni a Roma, ma per fortuna il comune di San Giuliano è intervenuto impedendo lo scempio. Il fatto che tutta l’operazione gli sia passata sopra la testa fa pensare al ministro Urbani di aver bisogno di consiglieri. Nomina così un comitato scientifico di consulenza sulla tutela; ne fanno parte anche Salvatore Settis e l’ex ministro Antonio Paolucci. Nel frattempo, Urbani si mette a scrivere un nuovo codice dei beni culturali. Il lavoro sulle diverse edizioni delle bozze si protrae per mesi. Il 3 marzo, sul numero 52 della Gazzetta Ufficiale, viene pubblicato il decreto del 6 febbraio, firmato dal ministro dei Beni culturali, per la verifica dell’interesse culturale dei beni da ven-dere.Alla metà di marzo, il ministro Urbani, rispondendo alle interrogazioni sui criteri di vendibilità del patrimonio pubblico, giura di essersi svincolato dal rampante liberismo di Tremonti. «Non è il Demanio a proporre a noi quali beni possono essere alienati, siamo noi come ministero – assicura- a predisporre un elenco di beni cosiddetti non culturali, che potrebbero essere venduti». Lo spostamento di baricentro, secondo il ministro, sarebbe attribuibile proprio alla spada di Damocle del meccanismo del silenzio-assenso, di cui si dice fiero. Peccato che il 17 marzo si sia tenuta la prima riunione operativa dell’Agenzia del demanio per la messa a punto di una lista di beni che potrebbero, da qui a poco, essere venduti. Secondo una prima proiezione del Demanio, riportata sul Corriere della Sera del 17 marzo potrebbero essere I Smila i beni immobili interessati dalla privatizzazione nei prossimi tre anni. «Il Demanio – scrive Paolo Conti, nell’articolo – ha messo a punto on line una scheda per fornire tutte le indicazioni tecniche per completare l’istruttoria. Le schede verrano inviate alle soprintendenze che dovranno motivare il parere sulla cessione ai privati». E aggiunge: «Da tempo il rilevante del nostro patrimonio verrà svenduto ai privati. Ma associazioni culturali e ambientaliste continuano a temere il peggio, cioè una dismissione selvaggia». Nuove promesse smentite del ministro Urbani in una comparsata a “Che tempo che fa” di Fazio, subito rintuzzata da un soprintendente di chiara fama come Vittorio Emiliani che sull’Unità scrive: «In base alla legge Bottai del 1939 recepita nel testo unico del 1999 i beni immobili pubblici erano inalienabili in quanto tali. Non è vero quello che ha detto il ministro Urbani in tv e cioè che potevano essere venduti» Nelle votazioni alla Camera per la finanziaria del 2000 la Lega infilò un emendamento che ribaltava il principio della inalienabilità, «L’intero polo – scrive ancora Emiliani – votò quello, anche parte dell’Ulivo». Spitz, direttore dell’Agenzia del demanio, incaricata di un programma di vendita annuncia: saranno presto sul mercato gli immobili demaniali conferiti alla Patrimonio Spa. Entro aprile sarà pubblicato il bando pubblico per la vendita di 29 dei 39 cespiti conferiti con un decreto del 21 luglio del 2003. Non ci sono stime esatte sull’incasso che la società potrebbe ottenere dalla vendita di alberghi, terreni, aree fabbricabili e addirittura un isolotto nella laguna veneziana. Gli avvisi di vendita compariranno sui giornali e poi il via alle aste. Italia Nostra, insieme a molte altre associazioni, promette battaglia denunciando la possibile dismissione del Poligrafico della Zecca dello Stato oltre che del palazzo del servizio geologico nazionale a Roma. Tanto per cominciare. Il primo maggio intanto entra in vigore il nuovo codice. Secondo il soprintendente delle Marche, Francesco Scoppola, con il meccanismo del silenzio assenso, il lavoro delle soprintendenze, soltanto per i beni demaniali, si moltiplicherà per sette. «Il must sarà “fare cassa”- scrive Titti De Simone -. allarme c’è. perché il susseguirsi dei provvedimenti fin qui prodotti dal comitato di affari di questo governo rischiano di trasformare in un colabrodo quel museo a cielo aperto, unico al mondo, che è il nostro paese».
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