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#AmelieNathomb: “vivere senza religione”

Posted by Simona Maggiorelli su agosto 14, 2016

Nathombdi Simona Maggiorelli

Umorismo intelligente e una vena visionaria. Leggerezza, divertissement e gusto un po’ retrò per il romanzo nero sono gli ingredienti con cui Amélie Nothomb seduce il pubblico, avendo superato la boa di 18 milioni di copie vendute nel mondo. In Italia per presentare il suo nuovo libro edito come sempre da Voland, la scrittrice «framponese»,  racconta che  il personaggio femminile che dà il titolo al suo romanzo esiste davvero. «Dietro questo nome si cela quello della scrittrice Stéphanie Hochet. Oltre che la passione per la scrittura condividiamo quella per le bollicine dello champagne – dice ridendo -. Per il resto non potremmo essere più diverse. Quando due donne s’incontrano, più che un dialogo, avviene un incontro – scontro di civiltà».

Il sottotitolo recita: «storia di una amicizia» immaginarla fra due donne è, in qualche modo, rompere un tabù letterario?

L’amicizia fra due donne, in letteratura, non esiste, Quando le vedi nei romanzi si litigano, si attaccano in modo feroce. E mi sono sempre chiesta perché.

Dopo aver scritto un gran numero di romanzi questo è il primo che parla della Francia. E, curiosamente, lei ne parla come di un Paese esotico e alquanto bizzarro…

Per me è proprio così. Io sono belga, nata in Giappone. Ho conosciuto molto più tardi la Francia e mi è subito sembrato un Paese molto strano. Io non potrei mai sentirmi a casa in Francia. La amo ma trovo che i francesi siano molto aggressivi, strani, si sentono il centro del mondo. E non si rendono conto che, per me, sono stranieri, in tutto e per tutto.

Che cosa le manca di più del Giappone, dove ha vissuto l’infanzia ed è tornata da giovane donna con l’idea, poi dimostratasi impraticabile, di poterci vivere?

Mi mancas oprattutto l’armonia che c’è negli incontri. In Francia le persone sono sempre in guerra le une con le altre, in Giappone si cerca il dialogo, anche se non si condividono le stesse opinioni, le persone si confrontano in modo aperto, dolce, gentile. Mi manca questa gentilezza profonda nel rapporto fra esseri umani che là ho conosciuto.

Lei una volta ha raccontato che i suoi genitori, molto cattolici, in Giappone scoprirono di essere stati ingannati e misero in soffitta la Bibbia, che lei definisce un “libro spettrale”. Il Giappone insegna a vivere senza religione?

I giapponesi sono tolleranti per natura. Se qualcuno arriva in Giappone e dice di professare una certa fede lo ascoltano, non lo censurano. Ma i giapponesi non seguono una religione. Semmai sono politeisti, multiculturali. Una persona può essere allo stesso tempo buddista e di altro orientamento. Una forma di sincretismo culturale particolarissima. Gli occidentali in genere ne sono scioccati e dicono: “ non puoi essere allo stesso tempo buddista, musulmano o cattolico. Devi scegliere”. La risposta giapponese è del genere: “A noi non piace la religione. A meno che non possiamo conoscerle tutte!” Dovremmo prenderli ad esempio.

Il primo romanzo della letteratura giapponese, Genij il principe splendente, fu scritto da una donna. Poteva accadere in Occidente?

Purtroppo credo di no. Anche perché non solo il primo importante romanzo giapponese fu scritto da una donna, la dama di corte Murasaki Shikibu, ma almeno i primi tre lavori letterari sono opera femminile e sono capolavori assoluti. Certo anche in occidente abbiamo poesie e romanzi scritti da donne, ma non altrettanto riusciti e straordinariamente belli come quelli con cui nasce la letteratura nipponica. E’ una cosa che colpisce. E che non so spiegare. Se non pensando che il coraggio è una caratteristica giapponese e certamente quelle prime letterate furono donne molto coraggiose.

  @simonamaggiorel

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L’ossessione di Pollock per Picasso

Posted by Simona Maggiorelli su agosto 4, 2016

Pollock, murales Malaga

Pollock, murales Malaga

 Per chi in queste vacanze si trovasse dalle parti di Malaga da non perdere il  Museo Picasso che, oltre alla collezione permanente dedicata al pittore malagueño , ospita una mostra di Pollock che mette in scena dialogo che il pittore americano aveva sempre sognato.

 

Dopo il Guggenheim di Venezia e il MoMa di New York, ora è il Museo Picasso di Malaga a rendere omaggio  (fino all’11 settembre 2016) a Jackson Pollock con un’esposizione incentrata su Mural, l’opera monumentale che gli fu commissionata dalla collezionista Peggy Guggenheim nel Peggy_Pollock1943 e che rappresenta uno dei punti più alti dell’action painting.
Nel museo andaluso il potente murale astratto ritmato da  arricciate linee verdi, rosse e nere campeggia nell’ultima sala insieme ad altre opere dell’artista americano come il drammatico Circoncisione e il Ritratto di H.M. (1945) in cui non resta nulla di figurativo.

Questa sala monografica – quasi una mostra nella mostra – accoglie lo spettatore come un vortice di energia, dopo averne attraversate altre con opere di altri protagonisti della scuola di New York che non hanno la stessa forza  e impatto emotivo. Nei fatti più interessante come studioso  che come artista, Motherwell è rappresentato qui da una grande tela astratta intitolata Elegia per la Repubblica spagnola  n. 126 (1965-75) in cui giganteggia una massiccia  catena  nera e gialla, che allude forse a un girotondo, ma che appare privo di movimento.

Al pari di Lee Krasner e Robert Matta, anche Motherwell, in questo confronto diretto  finisce per restituire a Pollock tutta la sua originalità. E ancor più ne fanno risaltare il profilo epigoni delle generazione successive, come  David Reed (1946), che usano il dripping come tecnica razionale realizzando quadri che sembrano fatti al computer.

jackson_pollockChe ci riesca o meno (la sua opera è nel complesso piuttosto diseguale) l’intento di Pollock è di «lavorare per esprimere il mondo interiore». Il punto, scrive l’artista, è «riuscire ad esprimere l’energia, il movimento ed altre forze interiori». Questo è il filo che percorre la sua breve e folgorante carriera, dagli anni Trenta fin quasi al ’56 quando morì in un incidente d’auto, suicidandosi e uccidendo la sua giovane amica.

PicaLa mostra Mural Jackson Pollock, la energià hecha visible di Malaga, che si dipana poco lontano dalla collezione permanente del Museo dedicato a Picasso, ha anche per questo il merito di illuminare  meglio le radici dell’astrattismo di Pollock e il suo “debito” con il pittore malagueño, di cui studiò quasi ossessivamente i quadri del periodo cubista, esercitandosi nello scomporre le figure rappresentate, alla maniera delle Damoiselles d’Avignon, fino a farle diventare segni astratti.

Accanto all’influenza picassiana la mostra riporta in primo piano anche l’interesse di Pollock per la pittura di El Greco (che lavorò a Toledo): con le sue figure ritorte e fiammeggianti è una presenza costantemente evocata anche nei suoi quadri astratti. ( Simona Maggiorelli)

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