Talento poliedrico fra arte, architettura e scrittura, l’artista cinese impegnato nella lotta per i diritti umani, si racconta in un libro intervista. Nonostante la censura
di Simona Maggiorelli
Lo aveva immaginato come una costruzione pubblica su cui i cittadini di Pechino potessero arrampicarsi e ballare. Come un edificio dove tutti potessero giocare e scorrazzare a piacimento.
Ma anche come una scultura urbana da godere esteticamente in quel suo elegante e vorticoso gioco di linee che si intrecciano a formare un immaginifico nido del nuovo millennio.
E ferisce che oggi quello stadio di Pechino progettato da Ai Weiwei e realizzato per le Olimpiadi del 2008 con lo studio Herzog & de Meuron sembri il fantasma di se stesso, trascurato e quasi lasciato in stato di abbandono dall’autorità cinese che prima ha celebrato Ai Weiwei come uno dei suoi maggiori talenti e poi lo ha denigrato, calunniato, quasi ucciso di botte per mano i agenti di regime, rinchiuso in una prigione segreta e multato in maniera iperbolica.
Tutto per impedirgli di sviluppare quella sua sfaccettata ricerca artistica – fra arte, architettura e scrittura – che di giorno in giorno si andava facendo sempre più politica e incisiva nel denunciare la mancanza di libertà e di diritti civili di cui soffre il Paese di Mao dove il boom economico non è andato di pari passo alle conquiste democratiche. Che ancora latitano gravemente.
Strumento essenziale di «azione culturale» e di lotta per i diritti umani era stato anche il blog di Ai Weiwei che, nella Cina dove i social network sono controllati e censurati dal governo, nel 2006 registrava un traffico di un milione di persone. E proprio per questo è stato silenziato. Nell’appassionato libro intervista Ai Weiwei parla (Il Saggiatore) il critico e direttore della Serpentine Gallery di Londra Hans Urlich Obrist ricostruisce quella straordinaria avventura in rete che vide un semplice blog, non solo diventare strumento di contro informazione, ma anche laboratorio di sperimentazione artistica per il modo originale con cui l’artista cinese componeva i suoi post, fra scrittura e immagini.
In un flusso continuo di messaggi, che dal 2006 al 2009, è stato un sorprendente diario online, in cui Ai Weiwei spaziava a tutto campo appuntando riflessioni che riguardavano la società («Nel blog parlo spesso delle condizioni di vita della popolazione e dei problemi sociali. Credo di essere l’unico a farlo»diceva nel 2006), ma anche la vita quotidiana nella immensa capitale cinese e le più diverse branche del sapere e dell’arte, con la pronfonda convinzione dell’assoluta necessità di una azione culturale che sia anche un’azione politica nella società contemporanea. «Siamo la realtà, una parte di realtà che spinge a produrre altra realtà. E’ una dichiarazione di poetica che è anche politica », dice Ai Weiwei a Obrist passando da dichiarazioni di intenti, a racconti personali , a memorie più antico come quando da bambino vide suo padre costretto a bruciare tutti i libri di poesia che aveva scritto. Salvo poi essere riabilitato e celebrato come poeta nazionale dopo la fine della rivoluzione culturale.
Il tempo dice Ai Weiwei è il bene maggiore di cui possiamo disporre e che nessun regime oppressivo ci può togliere, se non glielo permettiamo. Un tempo per immaginare, per pensare, per creare, per dialogare.« La mia filosofia – dice – non è tanto quella del carpe diem, del godere l’attimo, quanto quella di creare il momento» Anche sfruttando le possibilità che oggi offrono i social network
«Un blog è un po’ come scendere in strada e incontrare una donna all’angolo» arrivava a dire da appassionato neofita di Internet sei anni fa. «Le parli, ti rivolgi a lei direttamente. E poi magari si comincia a litigare o a fare l’amore». L’occasionalità in questo caso andava di pari passo con la profondità sviluppando una trama complessa di ricerche. Dal blog, come dalle opere di Ai Weiwei, emerge parimenti il suo talento poliedrico e un profilo, oseremmo dire, da “genio rinascimentale” del nuovo millennio. Che si muove liberamente fra disegno, pittura, installazioni, poesia. E che poi, quasi per caso, ha scoperto di avere un talento anche come architetto, quando ha avuto l’idea di progettare un proprio studio, quasi subito pubblicato dalle maggiori riviste di architettura asiatiche e occidentali. Una forma di arte che Ai Weiwei considera alla strague di nuova «scultura urbana» e nuova frontiera di «poesia negli spazi pubblici». Ma qual è il ruolo che Ai Weiwei riconosce alla poesia? «Penso che il compito della poesia sia mantenere il nostro intelletto in uno stadio che precede la razionalità. Permette un contatto puro, diretto con con le sensazioni e i sentimenti. Al tempo stesso però la poesia possiede una forma letteraria molto precisa e potente». E proprio a partire da questa doppia natura della poesia Ai Weiwei stabilisce un nesso ardito con l’architettura: «Oggi mi pare che la poesia ricompaia sotto altre forme- dice- compresa quella dell’architettura. Che per me è stata una scelta del tutto inconsapevole. Si usano i volumi, le dimensioni e i pesi e si tenta di esprimere la propria visione dell’arte e della condizione umana. E’ per questo che mi viene naturale».
da left-Avvenimenti