
da Pina Bausch
Il prossimo 27 luglio avrebbe compiuto 69 anni. Se n’è andata la geniale coreografa e ballerina che ha inventato il Tanztheatre. Per lei il movimento era frutto di un pensiero. Il corpo non era mai scisso dal sentire
di Simona Maggiorelli
Se n’è andata una delle più grandi coreografe del Novecento; la più rivoluzionaria e intensa. Pina Bausch non ha solo inventato una modalità originale di far incontrare i linguaggi diversi della danza e del teatro. Ma forse è stata anche una delle più originali eredi di Laban nel portare avanti un’idea della danza che non è solo movimento ma anche e soprattutto emozioni e pensiero.
Con il suo Tanztheatre di Wuppertal, la compagnia che dal 1973 ha messo in scena tutte le sue creazioni, Bausch ha sviluppato un teatro-danza dalla potente cifra espressiva, che chiede ai danzatori di diventare anche attori, mettendo in gioco completamente se stessi, dal punto di vista emotivo, non solo per quanto riguarda la perfezione tecnica.
In anni in cui la ricerca, soprattutto negli Stati Uniti, con la sperimentazione astratta e minimalista di coreografi come Merce Cunningham sceglieva un freddo geometrismo e un vocabolario gestuale quasi disincarnato, Pina Bausch coraggiosamente fondava il suo lavoro su una cifra di struggente pathos e sulla fusione fra interiorità e movimento del corpo. Da questa premessa nascono la profondità e la potenza di capolavori come Café Müller (1978) e Sagra della primavera (1975), che riproposti negli anni scorsi dalla corpo di ballo del Tanztheatre (pur non godendo della presenza magnetica di Pina Bausch in scena) non sembravano aver perso nulla della loro freschezza e della loro forza. Due coreografie apparentemente diversissime. Scarna e austera quella di Café Müller tanto quanto è dirompente ed esplosiva quella della Sagra. Ma entrambe centrate su una universalità del sentire umano che le rende dei classici.
Nello stanzone ingombro di sedie di Café Müller la protagonista si muove con un incedere da sonnambula in mezzo a incontri che tentano di allontanarla da un uomo e di spezzare il filo del desiderio. Scena scura e molte pause di assoluto silenzio nella partitura di Purcell. Ma cariche di tensione emotiva fino al diapason. Una coreografia che Pina Bausch magistralmente costruì per “arte del levare”, portando in primo piano i nodi emotivi della “drammaturgia”.
Nella ridda pagana della Sagra di primavera, invece, danzatrici discinte, sangue, terra, sudore. E un pathos che arriva al parossisimo sulle martellanti note di Stravinsky. Per gli uomini è l’odore e il piacere della caccia. Per le donne è la voglia di fuga e il groppo alla gola di sentirsi la prescelta. E’ la grande festa dell’eros e di una infinita e talvolta sanguinosa dialettica fra uomo e donna. Senza ricorrere alla parola Pina Bausch, usando i danzatori come pennelli, ha saputo rappresentarla in immagini e scene superbe. Indimenticabili.
dal quotidiano Terra, 1 luglio 2009