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Ignazio Marino: “Io non mi arrendo”

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 21, 2009

marino-lapresseTra fughe a destra di Rutelli e rinunce sugli emendamenti, la battaglia parlamentare sul testamento biologico per l’opposizione è durissima. Ma il senatore e medico del Pd che lotta dal 2006 per una legge laica e condivisa, non si tira indietro. “Il ddl del centrodestra attacca i diritti delle persone sanciti dalla Carta” di Simona Maggiorelli

Una standing ovation ha accolto sabato scorso al Teatro Eliseo il senatore del Pd e noto medico trapiantista Ignazio Marino durante l’assemblea convocata dai Radicali e da left su Verità e menzogna sul caso Coscioni, Welby, Englaro. Un lunghissimo applauso, non solo per la coerente battaglia di Marino dal 2006 a oggi per una giusta legge sul testamento biologico, ma anche in protesta della sua repentina e immotivata cacciata da capogruppo in commissione Sanità del Senato. Il Pd, come è noto, gli ha preferito Dorina Bianchi, già relatrice della legge 40/2004 e che già stigmatizza come “un grave errore” l’ipotesi ventilata da Marino di un referendum popolare contro la legge proposta dal centrodestra sul testamento biologico. Il 20 febbraio è la data di stop a ogni possibilità di emendamenti al testo di legge che porta in primis la firma di Calabrò. Da lunedì comincia la discussione in aula e lo stesso senatore e chirurgo Ignazio Marino promette non si tirerà indietro. Lo raggiungiamo altelefono dell’Aula, tardissimo di sera, mentre alcuni senatori andandosene gli chiedono se andrà a cena con la Binetti. Lui scherza, ribatte, ride, ma non commenta le affermazioni della senatrice teodem che minaccia di lasciare il Pd se prevarrà la linea Marino. Parliamo di cose più importanti, sembra dirci fra le righe.

Senatore Marino l’articolo 32 della Costituzione parla di diritto alla salute e di rispetto della dignità della persona umana. Colpisce la lungimiranza dell’assemblea costituente. Nel 1947 non c’era ancora il respiratore automatico né tanto meno l’alimentazione artificiale che, come lei ha notato, sarebbe stata messa a punto negli anni 70. Al di là dello stato della tecnica da parte di chi ha scritto la Carta c’era un’intuizione più profonda su ciò che è l’identità umana?

Sicuramente c’è stato un lavoro affascinante. Da chirurgo non conoscevo approfonditamente i termini del dibattito che ha portato alla stesura dell’articolo 32 della Costituzione. Li ho letti in questo periodo della mia vita in cui, accanto al lavoro medico, ho un impegno da legislatore. E, devo ammettere, sono rimasto davvero ammirato per l’altezza della discussione che a un certo punto si è conclusa su un elemento unificante: il fatto che nello scrivere un articolo che riguardasse la salute bisognava tentare di includere tutti i cittadini, non di escluderne qualcuno. In questa chiave è scritto questo articolo che afferma il principio del diritto alla salute per tutti i cittadini. E qui non si parla solo di cittadini, ma di tutti gli individui che qui si trovano a vivere in Italia. E questo mi pare molto attuale.

Un’attualità della Carta che appare chiarissima se pensiamo a quanto propone la Lega ai medici, ovvero di farsi spie e delatori dei clandestini che chiedano di essere curati.

In questo come in altri casi insisto: non servono nuovi vessatori cavilli, ma mezzi di legge che consentano di attualizzare quanto già è contenuto nella Carta e che va in senso opposto a quanto sostenuto dalla Lega.

In questi giorni abbiamo sentito sui media le cose più contraddittorie sul caso di Eluana. E’ stato detto che sorrideva, che mangiava yogurt che faceva passeggiate in giardino e, addirittura – cercando di “ingentilire” le affermazioni del premier – che avrebbe potuto provare desiderio per un uomo e decidere di avere un figlio. Da medico cosa si sentirebbe di dire per fare chiarezza?ENGLARO ELUANA 1

Evidentemente chi ha avuto espressioni così infelici come quella in cui si affermava che Eluana era in grado di passeggiare nel giardino e anche che era in grado di essere nutrita attraverso la bocca non aveva mai visto Eluana, che io ho potuto visitare. Posso dire che era in uno stato vegetativo persistente. Non aveva nessuna relazione con il mondo esterno. Non era in grado di controllare meccanismi come la deglutizione. Se le fosse stato dato del cibo le sarebbe finito nella trachea e nei polmoni, causandole una particolare polmonite tipica di questi casi, che è mortale.

L’arresto cardiocircolatorio è arrivato rapidamente per Eluana. Il fatto che la sua corteccia cerebrale fosse danneggiata da 17 anni di stato vegetativo può aver determinato una minore resistenza dell’organismo dal punto di vista dei parametri biologici?

Bisogna considerare che Eluana aveva dei danni importanti della corteccia ma anche che segni vitali come la respirazione, l’apertura degli occhi con la luce, eccetera sono funzioni legate al tronco dell’encefalo, non alla corteccia. Si parla di due strutture separate che hanno funzioni separate. Quello che possiamo dire con assoluta certezza è che Eluana era priva di ogni capacità di relazione con il mondo esterno, perché è legata proprio all’attività della corteccia.

Perché il caso di Eluana ha suscitato tante discussioni? Come è stato notato nel caso di Welby ci potevano essere maggiori margini di discussione. Detto altrimenti, quella di Eluana era solo vita biologica, non così per Welby.

Certamente il caso di Eluana è stato amplificato dai media e utilizzato dalla destra per creare una grande emotività confondendo i termini delle questioni. Specie quando si è detto che si privava Eluana del pane e dell’acqua, Eluana da 17 anni non prendeva né pane né acqua. Le venivano somministrate sostanze prodotte dalle case farmaceutiche con una infusione somministrata attraverso una sonda inserita nello stomaco. Insomma una vera terapia medica.

Quella proposta dal centrodestra è una legge inaccettabile, lei ha detto in più occasioni…

La proposta firmata da Calabrò, al contrario di quella che avevo presentato, non contiene interventi a sostegno dei disabilii e delle loro famiglie. Non ci sono misure a favore degli hospice, delle cure palliative e del dolore. In più c’è un’eccessiva burocratizzazione del testamento biologico che, cosi’ scritto, potrebbe arrivare a costringere ogni medico di famiglia ad andare dal notaio centinaia di volte l’anno, perché il documento andrebbe rinnovato ogni tre anni”. Per giunta ogni notaio doverebbe prestare servizio gratis e senza che poi le notazioni registrate risultino vincolanti.

Nel ddl del centrodestra si dice:”L’attività medica in quanto esclusivamente finalizzata alla tutela della vita” non può in nessun caso provocare la morte del paziente. Che significa?

Significa che se un paziente come Welby, cosciente e in grado di comunicare, dice che non vuole più continuare una terapia, un medico non può più sospenderla perché non può disattivare mezzi sanitari che non consentono la morte del paziente. Quindi questa legge contiene di fatto un passo indietro sostanziale rispetto ai diritti delle persone. Qui addirittura si arriva a toccare i diritti di scelta delle persone che sono in sé e si possono esprimere.

Ancora nel testo di legge del centrodestra sul testamento biologico si legge che la vita è un bene indisponibile. Si può accettare che in una legge dello Stato e nella ricerca medica che il pensiero religioso neghi l’evidenza scientifica?

Come chirurgo sono noto perché cerco sempre di utilizzare tutti i mezzi che posso per salvare una vita umana. Alcune volte sono criticato dai miei collaboratori medici e infermieri che mi dicono : “Ignazio lascialo andare”. Io non mi arrendo ma al contempo penso che le indicazioni di un paziente o di una famiglia sulle terapie da fare o da non fare debbano essere prevalenti. Non deve prevalere l’idolatria di una tecnica ma l’umanesimo e la volontà delle persone.

da left-Avvenimenti 20 febbraio 2009

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Ignazio Marino: Le persone vogliono una legge sul testamento biologico

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 20, 2009

Un sondaggio Eurispes rivela che l’ottanta per cento degli italiani è a favore del testamento biologico. Ma i parlamentari sembrano un gruppo di sordi, che se ne stanno chiusi nel Palazzo di Simona Maggiorelli

Nella scorsa legislatura, come presidente della commissione Sanità del Senato, si è battuto con tutte le forze perché anche in Italia, come negli altri Paesi, ci fosse una legge sul testamento biologico. La triste sorpresa è stato vedere che la proposta di ampia mediazione del senatore e chirurgo diessino è stata “boiccottata”, non solo da esponenti del centrodestra, ma anche da parlamentari di area Partito democratico. Ma il professore non si è arreso e dai banchi dell’opposizione rilancia un disegno di legge che sussume le precedenti proposte. Lo abbiamo incontrato per capire meglio di che si tratta.
Il caso Englaro rende ancora più chiaro quanto sia necessaria una legge?
È importante riconoscere l’esistenza di situazioni personali come quella di Eluana, ma il mio obiettivo come medico e legislatore è cercare di arrivare a una legge che rappresenti la sensibilità dei cittadini, al di là delle singole situazioni drammatiche.
Da medico come descrive la situazione di Eluana?
È la condizione di una persona che dopo un grave incidente d’auto si trova in stato vegetativo permanente. Ha avuto un periodo di coma di alcuni mesi, il che già significa che le possibilità concrete di recupero dell’integrità intellettiva sono praticamente inesistenti. Inoltre sono già 16 anni che è in stato vegetativo permanente. Non esiste nella letteratura scientifica internazionale nessuna persona che abbia recuperato l’integrità intellettiva dopo così tanto tempo. Sul piano della legge e della bioetica, in questi giorni è stato detto molto per disorientare il cittadino: la vera centralità della questione non è “staccare o meno la spina”. Il punto è: come esseri umani abbiano il diritto, rispetto alle tecnologie esistenti, di indicare le terapie a cui vogliamo sottoporci e quelle che rifiutiamo? C’è un diritto riconosciuto in tutti i Paesi: io posso dire no a un trapianto di cuore. Posso dire preferisco avviarmi al percorso che mi porterà alla morte. Quello non è suicidio, non è eutanasia, è un percorso naturale. Allora se io quel percorso lo posso accettare oggi che sono in grado di ragionare e comunicare, perché non posso lasciare delle indicazioni per quando, supponiamo, non fossi più cosciente? Personalmente se mi trovassi in certe condizioni non vorrei che le terapie fossero proseguite. L’ho scritto nel testamento biologico che ho fatto negli Usa dove ho vissuto per 18 anni. Serve una legge per dare indicazioni sulle terapie che voglio e non voglio ricevere, in positivo e in negativo.
Per questo c’è l’articolo 32 della Costituzione.
Ecco, questa legge sul testamento biologico dovrebbe servire a estendere al momento in cui non mi potrò esprimere i diritti garantiti dall’articolo 32. È davvero molto semplice. Quando negli anni Quaranta i padri costituenti lo hanno stilato non potevano neanche immaginare che un giorno ci sarebbero state tecniche in grado di mantenere in vita persone in gravi condizioni, anche per anni. All’epoca erano appena arrivati gli antibiotici, come si poteva immaginare una cosa simile quando si moriva di polmonite? Oggi dobbiamo decidere se la tecnologia è un obbligo. Chi lo deve stabilire? Lo Stato, la religione, la cultura, il Parlamento, un medico, o il cittadino? Io credo quest’ultimo.
C’è stata una particolare violenza sul pensiero di Eluana, un accanimento contro ciò che diceva quando stava bene.
Ho incontrato il padre, Beppino, sono andato in ospedale, è evidente che ci sia bisogno di una legge. La situazione di Eluana è stata molto difficile. Se ci fosse stata una legge avrebbe potuto scrivere le sue scelte. In una situazione di vuoto legislativo, invece, i tribunali hanno agito seguendo le norme esistenti, secondo l’indirizzo che sembrava più logico ai magistrati. Penso che tutta questa fase debba essere superata con una legge. Del resto, già il presidente della Consulta, diversi magistrati, molti medici e gli stessi cittadini si sono espressi in questo senso. Un sondaggio Eurispes rivela che oltre l’ottanta per cento degli italiani è favorevole a una legge. Sembra quasi di vedere parlamentari sordi, chiusi nel Palazzo.
In questa legislatura sarà discussa la sua proposta?
Il mio disegno di legge ha già la firma di molte decine di senatrici e senatori del Pd. È il frutto di riflessioni sul disegno di legge che avevo presentato la scorsa legislatura e che ho ampliato ascoltando tutti, anche coloro che mi segnalavano l’importanza di riflettere sulla malattia nel suo insieme, non solo pensando agli aspetti formali della fine della vita. Così mi sono occupato di malattia terminale, di cure palliative, della necessità di distribuire meglio gli hospice sul territorio. Adesso ne abbiamo circa 103 al Nord su un totale di 130. Solo 17 sono nel Sud. Ma il Nord ha una popolazione di 25 milioni di abitanti e il Sud di 22 milioni. Infine c’è un capitolo dedicato alle terapie per il dolore. Nel nostro Paese c’è una grande difficoltà nel somministrare i farmaci anti dolore: 5 milioni di italiani soffrono di dolore cronico. La loro qualità di vita è molto ridotta a causa di cure inadeguate.
Più di cento medici hanno scritto al ministro Maurizio Sacconi perché si torni a discutere di terapie intensive e accanimento terapeutico sui prematuri, che ne pensa?
Credo che ci sia un confine molto sottile tra l’assistenza e l’interruzione delle terapie. Lo dico da medico che ha avuto a che fare con molti casi di trapianto d’organo. Penso che all’inizio della vita non si possa decidere per regolamenti. Si deve risolvere questo problema del confine sottilissimo: se il neonato non ha molte possibilità, c’è accanimento. Ci sono casi molto rari di sopravvivenza dei cosiddetti grandi prematuri. Ma quelle situazioni vanno approfondite tra famiglia e specialisti in grado di dare delle indicazioni prognostiche ai genitori. Non compete solo al rianimatore o al neonatologo, ma anche al genetista, al pediatra, al neurologo. Ci vuole un approccio collegiale che porti a definire se in quella circostanza sia il caso di proseguire le cure oppure se ci sia solo accanimento sul prematuro. Bisogna cercare di migliorare il suo stato.
Parlare di questioni eticamente sensibili invece che di diritti può essere un controsenso con temi simili?
Credo che sia sbagliato parlare di temi eticamente sensibili in questi casi. Per me legiferare sulle armi, la guerra, ma anche il fumo potrebbero essere temi eticamente sensibili. Invece le decisioni sulla nostra vita sono diritti civili. Dopo la rivoluzione francese in molti li chiamano così.
Una Ue dei diritti civili, non solo delle merci?
È auspicabile ma molto improbabile, ci sono Paesi come l’Inghilterra che, per cultura, vogliono essere liberi di seguire un proprio percorso. Negli ultimi anni hanno fondato degli organismi che stabiliscono le linee della ricerca da portare avanti, peraltro molto democratici perché prevedono la consultazione popolare, che permettere di procedere in una direzione piuttosto che in un’altra. Ma non mi sembra che gli inglesi stiano dimostrando interesse a un percorso condiviso con il resto dell’Ue.
In Italia non c’è più un ministero della Salute, ma ci sono due sottosegretari preposti a due leggi, la 40 e la 194.
Al Consiglio dei ministri, luogo supremo dove riportare gli interessi dei cittadini, partecipano soltanto i ministri, i sottosegretari non entrano e non votano. Questo significa che il premier Berlusconi sceglie le aree strategiche. In tutto 12, tra queste può metterci le riforme, la semplificazione, le pari opportunità, oppure la sanità. È evidente che si ha la percezione che ministeri come quello della Semplificazione o, mettiamo, dei Rapporti con il Parlamento siano più importanti delle divisioni dove si curano i tumori.
Left 29 del 18 luglio 2008

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La costituzione è sotto attacco

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 13, 2009

rodota1Da pochi giorni è uscito il suo appassionato libro Perché laico (Laterza).Il giurista Stefano Rodotà denuncia: “In Italia è in atto un tentativo eversivo di revisione della Carta” di Simona Maggiorelli, left 6 febbraio 2009


Professore, nel suo libro Perché laico (Laterza) e nel convegno La laicità dal punto di vista dei laici ha lanciato un allarme: in Italia è in atto una revisione strisciante della Costituzione. Di che si tratta?

Purtroppo abbiamo continui segnali in questa direzione.Tentativi chiari di revisione della Carta che,con un’espressione forte, definirei eversivi.



I provvedimenti del ministro Sacconi, ma anche quelli del presidente della Lombardia Formigoni contro sentenze passate in giudicato ne sono una spia?

Negare l’attuazione di una sentenza da parte di organi di Stato è un fatto senza precedenti. C’è un tessuto di principi costituzionali che, a quanto pare, un ministro e un presidente di Regione ritengono di non dover assolutamente riconoscere. L’atto amministrativo di Sacconi sul caso Englaro è motivato in termini ideologici; di giuridico lì c’è solo la sgrammaticatura di chi l’ha scritto. All’evidenza costituzionale di principi e norme si oppone una pura ideologia attinta alle posizioni più integraliste della gerarchia ecclesiastica. Ecco perché parlo di revisione costituzionale strisciante.


I politici italiani citano più spesso le encicliche papali che la Costituzione?

Purtroppo non è una battuta. Si potrebbero fare mille esempi. Non solo nei dibattiti motivano le loro prese di posizione con riferimento alle encicliche, ignorando la Carta. Ma addirittura fanno prevalere quelle affermazioni religiose su chiare norme costituzionali. Quella della laicità, oltretutto, è una questione molto delicata: la Corte Costituzionale ha affermato con chiarezza in una sentenza che la laicità è uno dei principi supremi dello Stato.


La sentenza della Consulta del 1989, in questo senso, è stata un punto cardine?86789_RODOTA 0109

Tanto più se la colleghiamo a un’altra sentenza della Consulta che ha stabilito che i principi supremi della Carta non possono essere sottoposti a revisione costituzionale. Perché sono quelli che costituiscono la sostanza del nostro Stato. Oggi mettere in discussione il principio di laicità è eversivo perché siamo su un terreno sul quale neppure la revisione costituzionale formale può essere ammessa.


Una politica così genuflessa pare ancora più assurda leggendo il quarto rapporto di Critica liberale e Cgil nuovi diritti che parla di una società italiana in inarrestabile secolarizzazione.

Il fatto è che la politica oligarchica italiana, chiusa sempre più nel gioco di ristretti vertici di partito, ha scelto come unico interlocutore l’oligarchia vaticana. Con un grave impoverimento della politica. Insieme ai dati che Enzo Marzo puntualmente raccoglie su Critica liberale è significativo il sondaggio di Repubblica : l’83 per cento degli interpellati chiede che la Chiesa parli alle coscienza e non cerchi di imporre il suo punto di vista attraverso atti legislativi.


Nel libro scrive che la Chiesa si è ormai proiettata ben al di là del Concordato…

La Chiesa si è fatta soggetto politico senza residui. Perciò non basta più impugnare l’arma dell’abrogazione del Concordato ma bisogna al contempo affinare nuovi strumenti di riflessione.


La cultura laica è affetta, dice il filosofo Maurizio Ferraris, da una perniciosa subalternità alla religione: al punto da non rivendicare più con forza la propria etica che, diversamente da quella del Chiesa, non è fondata su una trascendenza, ma sul rapporto con la realtà e con gli altri esseri umani. Perché il pensiero laico non è ancora egemone in Italia?

La questione è riesplosa con l’innovazione scientifica e tecnologica che ha mutato il modo in cui si affrontano le questioni del nascere, vivere e morire: laddove c’era in passato la legge naturale che governava tutto, oggi invece c’è possibilità di scelta. E non si apprezza la possibilità di decidere liberamente ma si vede in questo una sorta di attentato alla natura e al creatore. I laici si sono trovati deboli, in particolare in Italia. Per lungo tempo hanno accettato silenziosamente il fatto che la Chiesa avesse esclusivo diritto di parlare di morale, di etica. Questo è un grave errore della riflessione culturale. E’ una debolezza che ci portiamo dietro perché c’è stata, anche dal parte del Pci e del Psi, una subalternità politica nei confronti della Chiesa.


Il filosofo Eugenio Lecaldano ha detto che in Italia non si può ottenere giustizia se non si condivide una certa idea religiosa della vita e della morte.

Io sarei meno pessimista. Il caso Englaro dice che in Italia ci sono circuiti istituzionali non riducibili a chiusure politiche. Per vedere riconosciuti i diritti fondamentali della persona, come vuole la Costituzione, possiamo far affidamento sul tanto vituperato circuito giudiziario. Molti giudici di merito stanno dimostrando una sensibilità e un senso della legalità costituzionale altissimi nell’approntare strumenti che permettano a tutti di veder riconosciuti i propri diritti fondamentali. Le sentenze sul caso Englaro sono esemplari. Ma serve anche, per dirla con un libro dell’800, La lotta per i diritti, da parte di cittadini con la voglia e il coraggio di farli valere. Peppino Englaro è un eroe civile. Difendendo il diritto di sua figlia ha fatto cambiare l’agenda politica italiana mettendo all’ordine del giorno temi che interessano tutti noi.


Serve nuova cultura politica, lei dice. Ma provvedimenti come il ddl Calabrò sul testamento biologico sembrano andare in direzione opposta.

Quella che vedo oggi è una subcultura politica. C’è una regressione spaventosa. Le proposte avanzate dalla maggioranza sul testamento biologico sono una palese negazione dei diritti che i cittadini già hanno sulla base della Costituzione. Il testo unico del Pdl parla di dichiarazioni anticipate non vincolanti, formalizzate in modo ridicolo davanti a un notaio e contro firmate da un medico non obbligato ad alcunché, mentre alimentazione e idratazione non sarebbero trattamenti medici. E’ una presa in giro, una negazione totale dei diritti della persona.


Il senatore Pd Marino, da medico, l’ha definito un provvedimento borbonico.

Marino ha una grande esperienza medica e ricchezza umana che ha saputo convertire in comprensione dei diritti e coraggio politico. Ed è assurdo che anche dalla sua parte non gli venga riconosciuto il ruolo di leader che gli spetta.

Riguardo alla legge 40, lei scrive, ci sono più motivi perché sia giudicata incostituzionale. Perché la Consulta non l’ha ancora fatto?

La Corte Costituzionale si è liberata una prima volta di questo tema con una ordinanza non particolarmente apprezzabile. Adesso ci sono più ordinanze che stanno riproponendo puntualmente alla Corte varie questioni. Saranno discusse in primavera. La partita non è chiusa, sono ancora fiducioso.


Salvemini e Calamandrei, lei ricorda nel suo libro, parlavano di scuola come “organo costituzionale”. Nella sua esperienza di docente universitario, la scuola forma ancora un pensiero critico e autonomo?

La scuola è sempre di più al centro dell’attenzione, in Francia, in Inghilterra e negli Usa. Basta pensare al libro bianco di Gordon Brown e a Obama che registra l’arretratezza della scuola Usa. La laicità della scuola è fondamentale. Con la crescente immigrazione c’è bisogno di un luogo della conoscenza, non della tolleranza. Del resto la parola tolleranza è superata. Io ti tollero in che modo? Se vieni a fare le pulizie a casa mia e poi te ne vai il più lontano possibile. Invece abbiamo bisogno di conoscenza dell’altro. Oggi la laicità è anche e soprattutto questo.

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Nel segno di Giordano Bruno

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 13, 2009

dedicato a Giordano BrunoIl 17 febbraio scienziati e intellettuali a Roma per ricordare la forza di un pensatore libero come lo fu il Nolano

«Giovedì mattina in Campo di Fiore fu abbrugiato vivo quello scelerato frate domenichino di Nola … heretico ostinatissimo, et havendo di suo capriccio formati diversi dogmi contro nostra fede, et in particolare contro la Santissima Vergine et Santi, volse ostinatamente morir in quelli lo scelerato; et diceva che moriva martire et volentieri, et che se ne sarebbe la sua anima ascesa con quel fumo in paradiso. Ma hora egli se ne avede se diceva la verità».

Il «frate scelerato», di cui parla l’«Avviso di Roma» del 1600, è Giordano Bruno, filosofo e frate domenicano, condannato dall’Inquisizione e bruciato vivo in Campo de’ Fiori, il 17 febbraio del 1600. La sua colpa? Aver superato l’ipotesi copernicana del sole immobile, al centro dell’universo. Bruno, nella Cena delle ceneri del 1584, non si limita infatti a porre il Sole al centro di un sistema di stelle fisse, ma arriva a intuire uno spazio infinito con infiniti mondi in evoluzione per un tempo infinito. Nel suo De l’infinito universo et mondi scrive: «Esistono innumerevoli soli e innumerevoli terre ruotano attorno a questi». Una teoria che rende eterno l’universo e rischia di escludere l’idea stessa di un dio creatore. Bruno si po ne fuori dal cristianesimo. Da qui la sentenza di condanna della Chiesa pronunciata l’8 febbraio 1600.

Ma il suo pensiero resta ancora oggi, dopo secoli, fertile e stimolante; in primis per la lezione di assoluta libertà da ogni dogmatismo che se ne ricava. Così, su iniziativa dell’associazione nazionale del libero pensiero Giordano Bruno, scienziati, filosofi, artisti tornano a discuterne a Roma, nella storica piazza del rogo. A Campo de’Fiori il 17 febbraio, Margherita Hack parla degli infiniti mondi di Bruno e delle intuizioni scientifiche che quella teoria conteneva. Con lei ci saranno Arturo Napoletano, Carlo Bernardini,Federico Coen, Elena Coccia, Maria Mantello e Mirella Sartori con interventi sulla libertà di pensiero, sulla libertà della ricerca e dell’informazione. Ma anche sulle garanzie laiche della democrazia e sull’importanza della laicità delle istituzioni. Le relazioni saranno accompagnate da momenti di musica e di spettacolo ispirati agli infiniti mondi del Nolano.

Non capita tutti i giorni di incontrare una studiosa come Maria Mantello. Scrittrice e tenace animatrice negli anni dell’Associazione nazionale del libero pensiero Giordano Bruno che ogni anno dà appuntamento a intellettuali, scienziati e artisti in Campo de’ Fiori a Roma per ricordare la lezione ancora viva del Nolano. Che proprio in questa piazza fu arso vivo perché non volle mai abiurare il proprio libero pensiero. «Ritiratevi alla povertà del spirito, siate umili di mente, abrenuntiate (rinunciate) alla raggione, estinguete quella focosa luce de l’intelletto che vi accende, vi bruggia et vi consuma, fatevi cattivi (prigionieri) alla santa fede, siate quella benedetta asina, riducetevi a quel glorioso puledro …”arringava Giordano Bruno. Con sferzante ironia, come ci ricorda Maria Mantello, Bruno denunciava ogni dogmatismo.“Bruno polverizzava il dogmatismo nel cosmo infinito della sua rivoluzionaria filosofia – spiega la professoressa-.Nell’infinito di Bruno non c’è più spazio per un cielo superiore ed una terra inferiore. Non ci sono individui bisognosi di grazia. Né chierici mediatori. Ci sono individui liberi. In questo quadro occorre solo il coraggio di spiccare il volo, dice Bruno superando la religione della sottomissione e dell’obbedienza: il cristianesimo”. Ma, per uscire da questa condizione bisogna spazzare via l’ignoranza: «chi vuole perfettamente giudicare deve saper spoliarsi della consuetudine di credere» dice Bruno. Senza timore per le vertigini del pensiero, “le cui ali non sono quelle di Icaro”.

La testimonianza di Margherita Hack

Il mio è un omaggio alla visone infinitista di Giordano Bruno. Una grave eresia era per la Chiesa quanto lui aveva osato scrivere: “Esistono innumerevoli soli; innumerevoli terre ruotano attorno a questi similmente a come i sette pianeti ruotano attorno al nostro sole. Questi mondi sono abitati da esseri viventi”. Oggi le nostre osservazioni ci hanno permesso di scoprire in poco più di dieci anni almeno 300 pianeti in orbita attorno a stelle diverse dal Sole, e il loro numero cresce continuamente, tanto che si ritiene che quando si forma una stella si formi anche un sistema planetario. Per ora la stragrande maggioranza dei pianeti extrasolari conosciuti è più simile a Giove che alla Terra e quasi tutti orbitano molto vicino alla loro stella ed hanno temperature troppo alte per ospitare la vita. Ma ciò dipende dai metodi impiegati per scoprire la presenza di un pianeta, metodi che si basano sui disturbi gravitazionali che il pianeta provoca al moto della stella, e che ovviamente facilitano la scoperta dei più grossi. Non disponiamo ancora di strumentazione abbastanza sensibile da permetterci di scoprire pianeti piccoli come la terra, ma ciò non significa che non ci siano, e sono già in progetto telescopi sia a terra che nello spazio in grado di rivelarne la presenza.

Già Epicuro,fra il 341 e il 270 a.C., credeva all’esistenza di infiniti mondi, sia simili che diversi dal nostro. Ma bisogna pensare anche al suo contemporaneo Metrodoro e a Lucrezio vissuto nel I secolo a.C. E che nel De rerum natura si dichiarava convinto della pluralità dei mondi A questi spiriti liberi si contrappose per secoli il pensiero aristotelico-scolastico, che Bruno ribalta totalmente. La fine che gli hanno fatto fare è nota. Galileo fu costretto ad abiurare perché accettava il sistema copernicano andando contro a quanto insegnava la bibbia è stato riabiliatato dalla Chiesa nel secolo scorso, ma ci sarà mai un papa che avrà il coraggio di riconoscere la grandezza delle geniali intuizioni di Giordano Bruno? La chiesa, pretende di bloccare importanti ricerche sulle cellule staminali embrionali assecondata da politici ignoranti e imbelli, sostenendo che gli embrioni hanno l’anima. Ma quanti di voi sanno che cos’è l’anima? Quale prova scientifica abbiamo dell’esistenza dell’anima? Mi sembra abbastanza evidente che quello che chiamiamo anima è il nostro cervello, che muore con noi alla nostra morte. La volontà di imporre i dogmi religiosi a credenti e non credenti porta a conseguenze aberranti, come appunto proibire la ricerca sulle cellule staminali embrionali, come infierire su persone in coma irreversibile tenute forzatamente in una vita che non è vita dalle macchine a cui sono attaccate.

Da Left-Avvenimenti del 13 febbraio 2009


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Quando la cura è accanimento

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 10, 2009

«Rianimare sempre i prematuri, anche quelli destinati a non sopravvivere, va contro ogni evidenza scientifica». Più di cento medici specialisti scrivono a Sacconi, contestando le indicazioni assunte dal ministero di Simona Maggiorelli

È lunghissima la lista di firme in calce alla lettera aperta, indirizzata da un gruppo di medici al ministro Sacconi e ai vertici del Comitato nazionale di bioetica (Cnb) e del Consiglio superiore di sanità (Css). Conta più di cento nomi di anestesisti, neonatologi e ginecologi da ogni parte d’Italia. Molti sono cattedratici, ma fra loro c’è anche una larga rappresentanza di quei medici che, quotidianamente, lavorano in ospedale e che – stando a quanto indicato dai documenti ufficiali di Cnb e Css – in caso di parti prematuri, dovrebbero tentare sempre la strada della rianimazione. A prescindere dall’età gestazionale. Senza soffermarsi a valutare in primis le possibilità reali di sopravvivenza del neonato e i pesanti handicap da cui potrebbe essere affetto. «Questa posizione assunta dal Css, e quindi dal ministero della Salute, nega l’evidenza scientifica su cui deve basarsi ogni corretta attività clinica», commenta Giuseppe Gristina, coordinatore della comitato di bioetica della Siaarti che raccoglie gli anestesisti-rianimatori italiani. Un’evidenza scientifica che, come riporta uno studio basato sull’elaborazione dei dati forniti da 15 società scientifiche pediatriche occidentali e pubblicato nel 2008 da Giampaolo Donzelli e Maria Serenella Pignotti sulla rivista Pediatrics, tradotta in cifre significa che l’80-90 per cento dei nati prima delle 24 settimane muore in sala parto, il 2-10 per cento muore durante il trattamento intensivo e il 95 per cento evidenzia gravi handicap funzionali e psichici. «Perciò – spiega Gristina – riteniamo che rianimare comunque anche chi nasce prematuro estremo, e cioè con una elevatissima probabilità di morire dopo inutili sofferenze o di portare per sempre gli esiti drammatici di questa prematurità, significhi fare dell’accanimento terapeutico e non certo il bene di questi nati, contravvenendo, molto spesso, alla volontà dei genitori e infrangendo così una norma essenziale del codice di deontologia».

E se nel 2006 furono proprio i due neonatologi, Donzelli e Pignotti dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze, ad aprire il dibattito sui rischi di accanimento terapeutico sui “grandi prematuri” stilando la cosiddetta Carta di Firenze (sottoscritta dalle maggiori associazioni di neonatologia e ostetricia), dopo due anni e molte risposte deludenti da parte di governi pur di colore diverso, ora sono gli anestesisti a riaccendere il dibattito su una questione che, per quanto riguardi un numero piuttosto esiguo di casi, solleva problemi importanti che indirettamente toccano il tema dell’aborto terapeutico e quindi della legge 194. Così oggi dai neonatologi e dai medici anestesisti viene un medesimo giudizio negativo sulle direttive promosse dal Cnb e dal Css: «Nei loro documenti ufficiali – dice Maria Serenella Pignotti – c’è un fatto inaccettabile: vi si legge che i prematuri vanno sempre rianimati se mostrano una parvenza di vita. Così si torna a una situazione che è cinquant’anni indietro rispetto al panorama scientifico internazionale di oggi. All’estero si è molto sviluppata la valutazione medica della prognosi di un paziente. Da noi, invece, si insiste sulla rianimazione, anche quando rischia di essere solo violenza. Senza contare che seguendo il principio “rianimare sempre” non si prende in minima considerazione il parere dei genitori. Così i documenti del Css e del Cnb annullano il problema, dicono: non esiste». Proprio quello che la Carta di Firenze voleva evitare. In quel documento, ricorda Pignotti «individuavamo un gruppo di bambini di bassissima età gestazionale per i quali le terapie intensive risultano inutilmente dolorose. Per questi casi una risposta di buon trattamento può essere la cura palliativa. Con la Carta cercavamo di mettere a punto delle linee guida, volevamo dare risposte scientifiche a quei medici che si trovano a dover prendere decisioni importanti come intubare o meno un bimbo molto prematuro. Ma al tempo stesso cercavamo di rispondere alle speranze, ai dubbi e alle angosce dei genitori. Un bambino che nasce ha diritto alle migliori cure, non possiamo esporlo a rischi di accanimento terapeutico». Ma quand’è che per un prematuro la terapia intensiva è accanimento? «C’è una varietà di situazioni e casi individuali – risponde Pignotti -. Se è femmina, in genere, ha più resistenza di un maschio, così se è meglio nutrito, cose ovvie. Ma ciò su cui tutta la letteratura internazionale concorda è che sotto le 23 settimane non c’è nulla da fare. Si possono solo applicare cure palliative».

Uno studio in via di pubblicazione stilato da Maria Cuttini per il progetto Action ha osservato l’incidenza della prematurità nelle varie regioni d’Italia tra il 2003 e il 2004. Dalla ricerca risulta, per esempio, che in Toscana in 24 mesi sono nati 6 bambini di 22 settimane. Tutti in poco tempo sono morti. Nonostante l’aggressività delle cure. «Di fatto, solo dopo le 24 settimane il feto può essere in grado di vivere fuori dall’utero – precisa la neonatologa dell’ospedale Meyer -. A quel punto ha organi vitali attrezzati, oltre al cuore (che funziona anche nella vita intrauterina), ha polmoni e reni. Ma ancora tra le 22-23 settimane i polmoni non hanno alveoli atti allo scambio di gas. Questo per dire che c’è un limite anatomico biologico ben preciso che non può essere in nessun modo bypassato». A meno che non si preconizzi la costruzione di un utero artificiale che, oggi, è fantascienza. «Sì, c’è chi parla di un futuro per questi bambini al di sotto delle 24-25 settimane, ma a oggi non c’è. Anche con i macchinari – conclude Pignotti – oggi posso aiutare certe funzioni vitali di un prematuro, ma non esistono macchine in grado di vicariare organi tout court». L’età gestazionale (contrariamente a quanto si legge nei documenti di Cnb e Css) è un indice importante nelle mani del medico. «Quello che vale per rene e polmone – spiega Pignotti – riguarda anche la maturazione del sistema nervoso centrale del feto: fra le 22 e le 24 settimane, infatti, cominciano processi di maturazione importantissimi, come la migrazione delle cellule neuronali che nascono e poi migrano nella corteccia. Proprio in quel momento nel feto avvengono alcune di quelle modificazioni che poi lo porteranno a sviluppare, nella sua pienezza, quella cosa meravigliosa che è il sistema nervoso della specie umana.
Purtroppo quale sia l’esatto impatto delle nostre cure intensive su un cervello in via di sviluppo non lo sappiamo esattamente. Fatto è che i bimbi di questa età gestazionale che sopravvivono risultano di frequente segnati da danni neurologici gravissimi».

Anche per Maria Gabriella Gatti,
neonatologa della terapia intensiva di Siena (vedi left n. 35 del 31 agosto 2007) non c’è possibilità di sopravvivenza prima delle 24 settimane, e quando questa avviene è accompagnata da gravi danni neurologici. Inoltre, come la stessa dottoressa ha detto nel convegno “Né assassine né peccatrici” (del 23 febbraio scorso al Palexpo di Roma), nel nato prematuro prima delle 24 settimane il tracciato elettroencefalografico è indifferenziato. «Solo dopo la 24esima settimana – dice la Gatti – uno stimolo porta a un cambiamento qualitativo del tracciato ed è presente una modificazione dell’attività elettrica nell’area della corteccia occipitale in conseguenza della luce che colpisce la retina». Questo dimostrerebbe che la possibilità di vita umana «avviene dopo la 24esima settimana con l’inizio della reattività corticale agli stimoli».

Left 29/08 – 18 luglio 2008

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Sulla pelle di Eluana

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 8, 2009

083161uw-ansaBeppino Englaro: «Ho perso mia figlia diciassette anni fa». In libreria il nuovo libro di Maurizio Mori ripercorre un caso di violenza di “governo”.

di Simona Maggiorelli

«Ho perso mia figlia diciassette anni fa». In questa frase di Beppino Englaro è riassunta tutta la schietta e dolorosa verità sulla vicenda di Eluana, da parte di chi l’ha davvero amata. Splendida ragazza piena di energia che, in una notte di inverno e ghiaccio di molti anni fa, è rimasta vittima di un incidente d’auto. Da allora è in clinica, in uno stato vegetativo permanente, alimentata e idratata artificialmente.Ill suo corpo di giovane donna biologicamente resiste, ma Eluana non c’è più, la sua corteccia cerebrale distrutta e, dicono i maggiori esperti internazionali, è escluso che la sua realtà mentale funzioni. Il che vuol dire, purtroppo, nessuna possibilità di affetti, immagini, pensieri.
In una realtà così compromessa nonc’è possibilità di avere rapporto con gli altri esseri umani. Ma come ribadisce utilmente il presidente della consulta di bioetica, il docente dell’università di Torino, Maurizio Mori nel suo nuovo libro Il caso Eluana Englaro, appena uscito per Pendagron (con una toccante introduzione di Peppino Englaro), Eluana aveva detto e ripetuto a più persone, quando stava bene e in più di un’occasione, che mai avrebbe voluto sopravvivere così, da cadavere riscaldato dalle macchine, come era accaduto a un suo caro amico che, dopo i tentativi medici di rianimarlo, era disgraziatamente caduto in stato vegetativo. Ma su questo pensiero vivo della ragazza, testimoniato da familiari e amici, la politica italiana si è scagliata. Con cieco e furibondo accanimento. Fino alla decisione del ministro Maurizio Sacconi espressa il mese scorso in una circolare (e denunciata dall’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca) di bloccare la proposta della struttura ospedaliera di Udine che si era detta disponibile ad accogliere Eluana Englaro per rispettare le sue volontà. E questo da parte del ministro Sacconi, in aperto conflitto con la Costituzione italiana ma anche con la decisione della Corte di appello di Milano che già molti mesi aveva dato ragione agli Englaro.9788883427022 Una sentenza ribatita dalla Cassazione che anche Berlusconi all’inizio di febbraio osteggia, ipotizzando un disegno di legge sul testamento biologico da far approvare direttamente in sede di Commissione sanità al Senato. Raccapriccianti le parole del premier che, in sprezzo totale della realtà in cui si trova Eluana (ostaggio di medici e infermieri che le somministrano farmaci con un sondino naso-gastrico, che la nutrono artificialmente e la svuotano) arriva a dire che Eluana è una donna che ha perfino il ciclo e potrebbe avere figli. Insomma, dopo che il presidente della Lombardia Formigoni ha avuto il coraggio di dire che quella di Eluana è una vita piena, con il premier siamo alla necrofilia. Quale idea di vita umana emerge dai discorsi di Berlusconi? Quale immagine e identità di donna?

Nel coro di chi si prodiga per fare disinformazione non può mancare, ovviamente, il sottosegretario Eugenia Roccella (già autrice di libri antiscientifici sulla Ru486), che contro ogni evidenza medica dice: “Eluana deglutisce, ha mangiato yogurt e ogni giorno le suore la portano a fare un giro in giardino”. Un autorevole medico trapiantista come Ignazio Marino, che ha lunga esperienza di casi di coma e stato vegetativo dice invece che Eluana può solo deglutire la saliva. Forse 16 anni fa fu nutrita da sua madre, ma da allora ha bisogno del sondino naso gastrico. “Se qualcuno le desse un panino – sottolinea Marino – morirebbe di polmonite perché il cibo non le andrebbe nello stomaco, ma nei polmoni”. Ma il conduttore Bruno Vespa nel suo Porta a Porta e sorprendentemente non poche altre testate giornalistiche continuano a fare del terrorismo dicendo che interrompere le terapie vorrebbe dire far morire Eluana di fame e di sete. Ancora Marino: “I pazienti in stato vegetativo permanente non provano dolore, tanto che non si somministrano loro quotidianamente anti-dolorifici”. Ma è drammaticamente inascoltato. Anche dalla sua parte politica, il Partito democratico.

“L’unica persona che non sa che in Italia c’eè un ‘caso Eluana’, e’ proprio la ragazza che non sa neanche di esistere e dove sta: certo che e’ viva ma grazie al supporto dei macchinari, e potrebbe continuare a vivere per anni, ma e’ senza coscienza, senza relazioni con gli altri, senza emozioni e percezioni, senza attivita’ motorie”. Così il neurologo Carlo Alberto Defanti,  che da 16 anni la segue. Il medico denuncia che tante affermazioni di politici sono “fuori luogo” e “giocano con il caso Eluana in maniera del tutto disonesta”. Ma il neurologo aggiunge: “essendo un medico ho un codice deontologico da rispettare e una privacy del paziente da tutelare sempre. L’unica cosa che posso dire è che si pensa che Eluana sia quella che appare nelle foto, purtroppo non è più così da tempo”.  Il volto e gli occhi e il volto perdono ogni espressione quando si siano perse  in maniera irreversibile tutte le funzioni cerebrali come in questo caso.  “Non c’è coscienza,  motilità e  capacità di relazionarsi con gli altri. Non ci può essere  sensibilita’ e percezione quando si sia persa l’ attività cerebrale”.

L’obiettivo di questa maggioranza di centro destra, dunque ne potremmo dedurre, è solo quello di continuare a strumentalizzare il caso di Eluana  per far passare rapidamente una legge sul testamento biologico che, sul modello del testo unico presentato da Calabrò, neghi qualunque diritto di autodeterminazione delle persone. La legge vuoluta da questa maggioranza non solo  rimetterebbe le decisioni del paziente nelle mani del medico, ma accetterebbe la possibilità per il paziente di esprimersi solo sulla terapia da seguire e non sulla decisione se vivere o morire.  E derubricando l’alimentazione e l’idratazione artificiale dai trattamenti medici impedisce al paziente la possibilità di rifiutarli. Intanto e, giustamente, forse anche in reazione a questo annuncio del governo, sul web continuano a crescere le adesioni alla proposta del senatore del Pd e chirurgo Ignazio Marino, che nella scorsa legislatura si è battuto coraggiosamente per una giusta legge sul testamento biologico. A oggi sono più di 50.000 adesioni per la sua proposta che mette al primo posto la volontà del malato in accordo con l’articolo 32 della nostra  Costituzione. Fra i primi firmatari figurano l’oncologo ed ex ministro della Salute Umberto Veronesi, il premio Nobel Rita Levi Montalcini, il farmacologo e direttore dell’Istituto Mario Negri, Silvio Garattini (è possibile firmare l’appello sul sito http://www.ignaziomarino.it). Sotto Montecitorio intanto, l’associazione Luca Coscioni, con  i Radicali e  insieme a loro parte dell’opposizione di sinistra, protesta perché ciascuno possa decidere autonomamente del proprio destino, senza che altri – come troppo spesso accade e immotivatamente – possano decidere sulla propria pelle.  Left -Avvenimenti 02/09 e aggiunte

Quelle brutte menzogne su  Eluana

Bisogna tornare ai tempi della legge 40/2004 per ritrovare un così feroce attacco ai diritti e alla dignità della persona, alla libertà di scelta dell’individuo. Un attacco di una gravità inaudita perché sferrato dalle massime cariche di governo. In totale sprezzo della Costituzione. Lo hanno rilevato tutti i più autorevoli giuristi da Rodotà a Zagrebelsky, a Onida. Nonostante le parole del presidente della Repubblica, che si è mosso da garante dei principi di laicità della Carta, il Vaticano, grazie a questa genuflessa maggioranza di centrodestra, l’ha fatta da padrone bombardando lettori e ascoltatori di messaggi assolutamente distorti sul caso Englaro. Abbiamo ascoltato di tutto: che Eluana sorrideva, che mangiava yogurt, che grazie alle suore faceva passeggiate in giardino… Nonostante che il neurologo curante di Eluana, Carlo Alberto Defanti (e con lui tutti i maggiori esperti) dicesse che quando si è in uno stato vegetativo permanente, come lo era lei, non si ha più nessuna attività mentale, nessuna percezione, nessuna sensazione. Niente immagini, niente pensieri, nessuna possibilità di relazionarsi con gli altri. Perché lo stato vegetativo permanente – come è tornato a spiegare Defanti al convegno Verità e menzogne su “eutanasia”Coscioni, Welby,Englaro che si è tenuto a Roma il 14 febbraio – è cosa diversa dal coma e  dallo stato minimo di coscienza. Dopo 17 anni anni di stato vegetativo i danni cerebrali che Eluana aveva subito erano tali che non c’era alcuna possibilità di “risveglio”. Ma perfino la Rai ha preferito lasciare ampio spazio e senza contraddittorio ai discorsi di religiosi di ogni ordine e grado. Ora lo ricostruisce efficacemente un video di spezzoni tv confezionato dal Centro d’ascolto. Così dopo giorni e giorni dell’offensivo rumore creato dalle esternazioni del Premier e dei suoi ministri, dopo aver letto su testate come Il Corsera titoli aberranti come “Il decreto salva Eluana”, per disintossicarsi la mente fa bene ripercorrere la storia vera di Eluana attraverso le pagine del libro di Maurizio Mori, Il caso Englaro, la porta Pia del vitalismo ippocratico (Pendragon). Il filosofo e presidente della Consulta di Bioetica, con una puntuale disamina, smaschera le molte falsità uscite in tutti questi anni sui giornali. Ma ancor di più fa bene tornare alla voce schietta di Beppino Englaro che nel libro Eluana, la libertà e la vita (Rizzoli) ci consegna, non solo una straordinaria testimonianza di coraggio e di resistenza umana, ma anche un o strumento “politico” utile a ogni cittadino che voglia vedere riconosciuto il proprio diritto di poter scegliere sulla propria vita come è scritto nella Costituzione.  Simona Maggiorelli,  17 febbraio 2009


Nasce l’associazione per Eluana

Beppino Englaro: “L’esperienza che ho fatto con mia figlia voglio metterla al servizio del Paese”

di Simona Maggiorelli

cover-eluana1«Se il cervello è morto, lo è l’individuo» ha detto più volte il senatore del Pd Ignazio Marino. «Nel ’68, con i primi interventi di bypass, si fermava il cuore, si operava e lo si faceva ripartire; allora – ha spiegato – si è capito che la fine della vita non corrispondeva all’arresto del cuore, bensì al danno irreversibile al cervello, la morte cerebrale». Da quelle esperienze, come è noto, nacquero i criteri di Harvard, adottati internazionalmente e su cui si è basato lo sviluppo dei trapianti. Da parte sua, l’ex ministro della Salute, l’oncologo Umberto Veronesi ha dichiarato: «Quando non c’è più attività cerebrale, non c’è più nulla di quello che caratterizza la nostra vita umana: non c’è più pensiero, né memoria, né emozioni. E questo non l’ho stabilito io, ma il famoso protocollo di Harvard». Affermazioni importanti, ma che appaiono tristemente inascoltate anche da quel Pd con cui i due scienziati si sono schierati. E se l’opposizione politica in Parlamento è venuta meno al suo compito sui temi che riguardano la fine della vita, l’informazione ha fatto anche peggio. Basta pensare alle deliranti descrizioni dello stato di salute di Eluana Englaro diffuse nei mesi scorsi dai maggiori media nazionali. Per reagire a tutto ciò la neonata associazione-fondazione Per Eluana si è data alcuni compiti: fare chiarezza, facendo piazza pulita di tutti quei miti pseudoscientifici su risvegli (impossibili) quando le funzioni cerebrali siano irrimediabilmente compromesse. Dare strumenti ai cittadini per poter decidere su quali terapie accettare o rifiutare in caso di malattia incurabile. Offrire informazioni su come, in termini di legge, far valere la propria volontà, quando poi non si fosse più capaci di intendere e di volere. L’associazione fondata da Englaro, insomma, parte dai problemi concreti. E questo mentre il Parlamento si appresta a varare una legge sul testamento biologico basata sull’assunto teologico che la vita è un bene indisponibile. «La nostra associazione – ha ribadito Beppino Englaro presentando l’iniziativa il 17 marzo a palazzo Madama – è nata per mettere a disposizione di tutti le informazioni scientifiche e giuridiche che abbiamo dovuto acquisire per far rispettare la volontà di mia figlia». Come Englaro scrive nel libro Eluana, la libertà e la vita (Rizzoli) «Eluana era un purosangue, una ragazza vitale che già giovanissima aveva realizzato la sua indipendenza. Non avrebbe mai accettato di sopravvivere a se stessa, come mera vita biologica. Eppure a questo è stata obbligata». Perciò trasformare l’esperienza dolorosa che ha segnato la sua famiglia in strumenti di autodeterminazione per tutti è oggi l’obiettivo principale di Englaro. E per questo la sua coraggiosa battaglia civile non si ferma. Anche se smentisce ogni voce di prossima candidatura. «Per Eluana- dice – è un’associazione libera, autonoma, sganciata dai partiti. Uno strumento in primo luogo per fare informazione scientifica». Non a caso nel comitato scientifico dell’associazione spiccano nomi come quello del neurologo Carlo Alberto Defanti che ha seguito Eluana per quindici anni. «All’opinione pubblica di  questo Paese – prosegue Englaro – sono sottratte conoscenze scientifiche, in particolare riguardo allo stato vegetativo permanente, che non esiste in natura, ma può essere l’esito infausto di iter rianimativi». «Sospendere l’idratazione e l’alimentazione artificiale in questo caso non ha nulla a che fare con l’eutanasia» ribadisce Englaro che, anche dopo  aver viste le sue ragioni riconosciute dalla Corte suprema della Cassazione, ha dovuto difendersi per via legali dalle accuse di “assassinio” avanzate dal ministro della Sanità del Vaticano, Barragan, ma anche dalle accuse pronunciate da esponenti del centrodestra nel Parlamento. Fino all’inqualificabile “fuoco amico” arrivato da chi si dice progressista. Torna in mente, in proposito, un editoriale di Ritanna Armeni, che a fine febbraio sul Riformista invocava: “Beppino, si fermi” «in nome di un presunto decoro e di un – a suo dire – doveroso silenzio dopo la morte di Eluana»


da left-avvenimenti del 20 marzo 2009

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Un bacio da capogiro

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 6, 2009

Towmbly, le quattro stagioni

Towmbly, le quattro stagioni

Compagno di ricerche di Rothko, e sodale di Rauschenberg l’artista americano Cy Twombly,che dal 1957 vive a Roma, è protagonista di una importante retrospettiva alla galleria di arte moderna della Capitale. Una personale che parte dagli anni Quaranta per arrivare ai nostri giorni e che comprende una suite di opere come Le quattro stagioni, in cui Twombly ricrea in pittura astratta, – fra colpi di colori e pause di bianco- una suggestione pittorica dal compositore Vivaldi. Dopo un’anteprima alla Tate Gallery di Londra dal 24 maggio, alla chiusura della mostra romana inaugurata il 5 marzo, la retrospettiva migrerà al Guggenheim di Bilbao. Ed è proprio Sir Nicholas Serota, da vent’anni direttore della Tate a raccontare a Notizie Verdi i prodromi di questa retrospettiva. “Ci stiamo lavorando da molto tempo- ammette Serota – cercando di comporre la ricerca rigorosissima e schiva di Cy Twombly in una mostra che possa dar conto in modo autentico della sua parabola creativa, anche al di là dall’immediata onda di successo di questi ultimi anni”. Un’onda di successo che, dopo aver toccato cifre record nelle aste internazionali, ha avuto anche esiti curiosi sul piano della cronaca, dopo che 2007, durante una visita alla collection Lambert Museum di Avignone, un artista franco cambogiano non ha trovato di meglio per esprimere il suo apprezzamento all’arte di Twombly che dare uno schietto bacio alla tela. Il collezionista proprietario dell’opera, convinto che questo gesto l’avesse irrimediabilmente danneggiata, ha poi citato l’appassionato visitatore della mostra per danni di milioni di dollari. Che alla fine, tutto compreso, lo ha obbligato a versare al proprietario circa mille dollari. s.m. da Notizie Verdi 6 marzo 2009

Quel bianco profanato

Compagno di ricerche di Rothko, Cy Twombly è protagonista di una retrospettiva alla Gnam di Roma

di Simona Maggiorelli

«Chi non ha mai lasciato il segno su un muro, inarrestabile impulso di tracciar un segno, di fare un gesto sul puro muro bianco? Solo una superficie dapprima, poi i segni si sovrappongono, creano un tempo e uno spazio, il muro ora ha una sua profondità», scriveva Palma Bucarelli nel 1958, presentando al pubblico italiano l’opera di Cy Twombly. Figura ormai quasi leggendaria, studiosa di intelligenza acuta, l’allora soprintendente della Galleria di arte moderna (Gnam) regalava all’artista americano un’immagine e una profondità espressiva che in quei suoi primi gesti di action painting, quasi graffi incisi nel bianco metafisico del muro, forse non aveva, se non come primitiva intuizione. Quella profondità, di cui parlava Bucarelli, Twombly l’avrebbe realizzata poi in tempi recenti, quasi alla soglia degli ottant’anni. Ce ne rendiamo conto ripercorrendo a ritroso la parabola dell’artista dai primi anni 40 a Boston e a New York per arrivare all’oggi e al suo successo internazionale. Così come ce la ripropone nelle sale della Gnam Nicholas Serota, direttore della Tate gallery di Londra e curatore della retrospettiva romana aperta fino al 24 maggio (catalogo Electa), che poi andrà al Guggenheim di Bilbao. Coetaneo di Rothko, Twombly, diversamente dal geniale pittore russo-americano, non osa una regressione creativa fino a grandi campiture di puro colore.

Preferisce lavorare sul margine di questa grande ricerca. Raccontandosi attraverso forti colpi di colore su un bianco che, in alcune composizioni, riecheggia il calore di certi bianchi pastosi e stratificati di Utrillo. Nella serie Quattro stagioni (1993-1995), in particolare, Twombly sembra toccare lo zenit della sua arte: e sono variazioni di bianco, grondanti colori, ma anche composizioni di lettere e immagini che hanno il ritmo di variazioni musicali. Schivo, parco di interviste, Cy Twombly vive quasi inosservato dal 1957 in Italia, prima lavorando nello studio di Campo de’ Fiori a Roma, poi a Gaeta, in cerca dei riflessi del Mediterraneo. Intanto le quotazioni dei suoi quadri curiosamente hanno raggiunto cifre da capogiro e c’è stato anche chi ha dato di matto, baciando una sua tela. Per questo gesto durante una visita alla collection Lambert museum di Avignone, l’artista franco-cambogiano Rindy Sam ha rischiato una multa di 2 milioni di dollari. Il collezionista proprietario della tela di Twombly era convinto che quel bacio l’avesse danneggiata.

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nuovi sguardi dalla Biennale di Malindi

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 6, 2009

La Biennale del Kenya, fino al 27 febbraio 2009, sovverte molte pretese di eurocentrismo

di Simona Maggiorelli

Fuori dalle rotte turistiche di un Kenya “scatta e fuggi”, da tour fotografico. Nel cuore più autentico di Malindi Enrico Mascelloni, storico dell’arte e studioso di culture “non ufficiali”, ha organizzato una rassegna che indaga l’arte africana di oggi, con un occhio particolarmente attento al versante occidentale del continente, ma anche ai nuovi rapporti fra Africa e mondo asiatico. Così, dopo la prima Biennale di Malindi nata due anni fa per iniziativa di Eric Girard-Miclet (direttore dell’Alliance francaise di Dar Es Salaam in Tanzania) e che segnò una prima rottura nel panorama internazionale delle biennali d’arte fino ad allora molto eurocentrico, il discorso si approfondisce in questa seconda edizione della rassegna che, fino al 27 febbraio, esplora culture globalizzate ma non disposte a veder cancellata la propria identità in un calderone di proposte omologate.

Per rendersene conto basta dare uno sguardo alle opere raccolte nel catalogo di questa Biennale 2008-2009 di Malindi edito in Italia da Adriano Parise. Tra le decine di proposte di arte dalla schietta cifra africana, che fanno capo alle colorate statuette totemiche di George Lilanga (di cui left si è occupato più volte in passato), ai graffiti di Bush Mikidiadi, l’artista della Tanzania che ha vinto la prima edizione della Biennale del Kenya, ecco comparire inedite opere a metà strada fra fotografia, performance e scultura come quelle del senegalese Ousmane Ndiaye, con statuarie veneri nere intinte di colore che ribaltano in chiave fisica e terrena le sperimentazioni astratte di Yves Klein.

Più in là, impreviste epifanie di immagini femminili, dal solo volto coperto, che la giovane artista Almagul fa comparire in mezzo a paesaggi solitari e sterminati del suo Kazakhistan. Immagini poetiche che ci parlano di culture lontane, suggestive. Accanto allo scatto ironico del kazako Said Atabekov che ritrae un bambino nudo che gioca a fare l’uomo di Leonardo in un poverissimo cerchio vitruviano fatto di corda. Immagine che improvvisamente accorcia tutte le distanze geografiche e culturali togliendo dal piedistallo ogni nostro retroterra classico: «Asia e Europa si toccano, si guardano e si spingono da millenni – annota il curatore della mostra -.  Tanto che nessuno che abbia viaggiato attraverso le loro cento frontiere/cicatrici sa dove cominci l’una e finisca l’altra». Chi si è documentato con qualche classico sull’argomento sa almeno che la questione è sempre aperta a nuove interpretazioni. Ma giustamente mette a tacere ogni discorso alla Massimo Cacciari o alla  Marcello Pera: «Chi vi balbetta qualche coglionata postmoderna, evocando le radici giudeo-cristiane dell’Europa et similia, non ha probabilmente viaggiato altrimenti che in aereo».

di Simona Maggiorelli

da left avvenimenti , 6 febbraio 2009


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La rivolta dei filosofi

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 6, 2009

filosof_modenaIl più importante festival di filosofia d’Italia è a rischio. Defenestrati i fondatori. Più di 40 intellettuali, per protesta, danno forfait. Marramao: “ Non ha nessun senso smantellare un’eccellenza”   di Simona Maggiorelli

Un festival che ogni anno richiama migliaia di persone a discutere di filosofia, arte, ma anche di scienza e di bioetica, non è cosa comune in un’Italia sempre più tramortita sul piano culturale e politico. Per giunta quello di Modena, Carpi e Sassuolo – diversamente da altre kermesse culturali – non è mai stato un festival in senso stretto. Nel senso che non è mai stato solo una vetrina di incontri, ma ha sempre avuto una ricaduta concreta nel dibattito pubblico e legami stretti con una scuola di formazione, il San Carlo, attraverso la partecipazione diretta di ricercatori e studenti al lavoro culturale della rassegna. Insomma stiamo parlando di un unicum. Sapere alto, convivialità e piacere del confronto anche schietto con punti di vista diversi sono sempre state le cifre di questa rassegna che nell’orgoglio di una partecipazione diffusa, nelle piazze e nei teatri ha saputo farsi anche sorprendentemente “popolare”. Perciò per chi frequenta la rassegna dalla sua nascita, (come chi scrive) la notizia che il gruppo di intellettuali che ha fondato il Festival sia stato azzerato immotivatamente dal cda della Fondazione San Carlo arriva come una pessima notizia. Tanto brutta che giustamente una quarantina di studiosi di primo piano minacciano di dare forfait alle prossime edizioni. Cantarella, Augé, Balibar, Odifreddi, Vegetti, Escobar, Veca, Sini e molti altri lo hanno scritto in una lettera di protesta. Ma cosa è accaduto perché si arrivasse a tanto? “E’ successo che alla professoressa Michelina Borsari non è stato rinnovato il contratto alla direzione della Scuola di alti studi in scienza della cultura e a quella del Festival di filosofia, presentando meschinamente la Borsari come avida di denaro in tempi di crisi” ci risponde Remo Bodei. “Queste ragioni pretestuose – spiega – hanno indotto alle dimissioni l’intero comitato scientifico della Scuola, che non è stato consultato”. Né per questo avvicendamento, che ha il sapore di un clamoroso autogol di una politica locale miope, è stato consultato Bodei, che è supervisore scientifico del Festival e ne è stato l’ideatore.“Le nostre dimissioni non sono state date solo per solidarietà all’eccezionale lavoro e all’intelligenza di Michelina Borsari- prosegue il docente di filosofia all’università di Los Angeles- ma anche perché sono state, paradossalmente, messe in pericolo due istituzioni che funzionavano al meglio. Per questo ci conforta la solidarietà di quanti hanno partecipato al Festival e alle attività della Scuola e non vogliono più farlo”. bodei_piazza_grande2Fra questi il filosofo Maurizio Ferraris dell’Università di Torino: “Molte cose non vanno in Italia e altre vanno bene. Tra queste, indubbiamente c’è il Collegio S.Carlo di Modena con la sua scuola di alti studi e il Festival che ne è l’espressione pubblica più visibile. Borsari e Bodei sono gli artefici dello sviluppo del S. Carlo e del festival, che- sottolinea Ferraris – non ha equivalenti nel mondo. E’ a dir poco sorprendente il fatto che si possa pensare di sostituirli senza alcun chiaro motivo, se non, forse (e purtroppo) l’enorme successo del festival”. Dunque che fare perché un’iniziativa così fertile non muoia? “Di fronte a una notizia di questo genere- risponde il filosofo torinese- quello che di concreto posso fare per esprimere il mio sconcerto è molto poco, ma doveroso: dichiarare che non parteciperò a festival filosofici di Modena organizzati da altri”. Appena rientrato da Parigi il filosofo Giacomo Marramao si dice costernato: “ Io davvero non capisco come mai in Italia compiamo sforzi inauditi per disfare ciò che è stato fatto bene. La rassegna di Modena, Carpi e Sassuolo era un’eccellenza, legata a un’istituzione importante come il San Carlo, è assurdo che non si sia fatto tutto il possibile per salvaguardarli. Chi si propone ora di sostituire Borsoni, per giunta in passato era un suo collaboratore… mi auguro davvero che ci sia ancora spazio per fare inversione di marcia”.

Da Left Avvenimenti del 6 febbraio 2009

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Zero Tolerance verso dio

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 6, 2009

539123210_441ef33331_b di Simona Maggiorelli

La rivolta di un artista contro la xenofobia va “in scena” con immagini dirompenti nella multietnica Torino: città di frontiera, avamposto verso l’Europa, ma da sempre teatro di un aspro conflitto fra “città alta” e immigrazione. I migranti degli anni 50 e 60 arrivavano dal Sud d’Italia. Quelli di oggi, ugualmente in cerca di lavoro e di una vita migliore, arrivano dall’Africa, dalla Romania e dall’Albania…La violenza resta la stessa. Anche se cambiano “le parole che escludono”.

Adel Abdessemed ripercorre quelle rotte reinventando la propria storia. Nato a Costantine nel ’71 e fuggito dall’Algeria al tempo della dittatura militare, prima è approdato in Francia, poi – forte di una ricerca artistica dirompente – si è fatto la sua strada nella Grande Mela. Le sue immagini orchestrate mescolando mezzi differenti (video, fotografia, scultura, performance) raccontano il dolore dell’esilio, dello sradicamento, denunciano la violenza razzista. Ma soprattutto esprimono un forte rifiuto del fondamentalismo. Cristiano o islamico che sia. Un rifiuto che nelle sue opere si esprime spesso attraverso il ribaltamento, il gusto di dire il contrario di ciò che è. Non a caso la sua personale alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino (fino al 18 maggio) si intitola ironicamente Le ali di dio.

Con linguaggio schietto e per questo “scandaloso”, Adel infrange i tabù religiosi con immagini che parlano di desiderio e di un’irrazionale “selvaggio” come un possente leone che, solitario, si aggira nel cuore della metropoli (Séparation, 2006). Poi, con un meccanico tango fra una donna in abito da sposa e uno scimmione Adel rovescia vecchie e noiose fiabe. Mentre in Foot on (2003) è ancora il piede nudo di una ragazza che, elegante, scansa una lattina di Coca Cola a dare il senso di un netto  rifiuto dei falsi miti a stelle e strisce. Ma non sono sempre immagini “belle”. Una carcassa di auto arsa e rovesciata, nella sua nuda brutalità, in Zero Tolerance (2006) diventa inaspettatamente un monumento ai ribelli caduti della banlieue parigina. E uno scroscio di latte che inzuppa un uomo di colore (Zen, 2000) è insieme denuncia dello sguardo violento dell’uomo bianco,quanto della feroce superstizione religiosa che in Tanzania condanna a morte gli albini. Nella fucina artistica di Abdessemed le immagini, anche quelle più comuni, perdono la scorza dell’ordinario per offrire la sorpresa di un pensiero imprevisto. In un fertile corto circuito di senso. In un subitaneo ribaltamento di punti di vista. Talvolta scioccante. E se in Real Time (2003)  Adel mette in scena un Ratto d’Europa visto attraverso la lente delle più recenti ingiustizie perpetrate dal mondo occidentale ai danni del Medioriente in Mohammedkarlpolpot (1999) l’artista algerino urla che il genocidio non appartiene solo all’imperialismo. Ma può accadere ovunque se alla pazzia di uno o di pochi si allea inspiegabilmente la pazzia di una folla di gregari. Nell’immaginario di Adel Mohammedkarlpolpot rappresenta la violenza di ogni ideologia astratta e religiosa. “E’ insieme la rappresentazione del profeta, del filosofo e del dittatore: una trinità in grado di catturare l’immaginazione delle masse” scrive il curatore Francesco Bonami. Che così conclude: “Non  è la speranza che Adel ci offre, ma la volontà di combattere il torpore della realtà, a cui troppo spesso ci abituiamo. Abbiamo bisogno dell’amore come una forza che ci spinga tutti a ribellarci all’ingiustizia. E tuttavia, come il Karamazov di Dostoevskij sappiamo che la salvezza di uno non serve a nulla se non ci salviamo tutti. L’arte di Abdessemed è amore spogliato di ogni debolezza romantica”. Amore come forza, come passione vitale, mai come sentimentalismo. da Left-Avvenimenti 13 febbraio

Da Sud a Nord e viceversa. Luca Vitone e Adel Abdessemed. Due artisti in transito di Simona Maggiorelli

Cosmopolita per scelta ma anche per “errore” ( nel 2003 la Biennale di Venezia per sbaglio lo dava per svizzero) Luca Vitone è spesso in transito fra Genova ( dove è nato), Milano ( dove vive) e New York ( dove lavora). Ma questo suo Ultimo viaggio lo ha portato a cambiare rotta. Lo racconta la sua nuova mostra alla Nomas Foundation di Roma. Curata dal critico d’arte Cornelia Lauf segna una nuova tappa della riflessione che Vitone sul rapporto fra luogo e mappa, fra curiosità del viaggiare e di nuovi incontri e voglia di perdersi in se stessi. Classe 1964 e con un tratto di esperienza artistica condivisa con l’amica e concittadina Vanesse Beecroft, Vitone, nonostante una scelta stilistica scabra e quasi minimalista, non invita a chiusura solipsistica. Prova ne è questa mostra romana che, in un combinato disposto di fotografia, video, sabbia e vecchie auto apre le mura di una stanza a orizzonti sconfinati. Vitone esplora le trasformazioni sociali dei territori che attraversa cercando le tracce vive delle tradizioni locali. La spinta creativa in questo a caso viene dalla memoria di un viaggio in auto da Genova al Golfo Persico compiuto dall’artista quando era poco più che adolescente. In Ultimo viaggio ( aperta fino al 20 marzo) tracce di autobiografia d’artista si intrecciano poeticamente a schegge di immaginario collettivo sull’eterno sogno di una libera fuga verso il Sud. Un viaggio da Sud, dal sole del Nordafrica al Nord delle nebbie di Torino, invece, è quello compiuto dall’artista algerino Adel Abdessemed che alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Fuggito dal suo Paese ai tempi della dittatura militare, Abdessemed si è trasferito in Francia con la famiglia quando era ancora bambino e oggi vive e lavora a New York. All’incrocio di queste diverse rotte culturali e di vita nasce il suo lavoro che mescola video, fotografia, scultura e performance. A Torino, in questa mostra curata da Francesco Bonami, Abdessemed gioca causticamente con Ali di dio mescolando in chiave spiazzante sesso, religione e politica. Le sue opere sono spesso giudicate scandalose perché usano un linguaggio scarno e diretto. Al fondo, come nel caso di questa mostra torinese, vi si legge una denuncia della violenza della religione, ma anche di ogni razzismo e di ogni eslusione fatta sulla base di pregiudizi, paure, deliri che alterano l’immagine dell’altro. Fra la bellezza delle immagini e la violenza dell’ideologia che nascondono Abdessemed crea un potente corto circuito. A crearlo, nelle opere di questo giovane artista algerino, può essere anche del latte versato sul volto di una persona di colore. La tensione emotiva che da artista riesce a creare si trasforma in una salutare scossa emotiva in chi guarda. Per esprimere la cieca violenza di certa idee sull’altro in Practice zero tolerance del 2008 gli basta un calco in terracotta della cracassa di un auto carbonizzata e riversa un un fianco. Dal quotidiano Notizie Verdi, 11 febbraio 2009

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