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Musulmani in carne ed ossa

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 30, 2011

Trappole dell’immaginario che impediscono di conoscere chi approda dal Medioriente in cerca di una nuova vita e possibilità di lavoro. Pregiudizi e ignoranza strutturano il razzismo Europa. Il sociologo Stefano Allievi dell’Università di Padova in un nuovo libro va alla radice di ciò che muove la gurra delle moschee. Lo presenterà nell’ambito del  festival vicino/lontano di Udine dal 12 al 15 maggio a Udine.

di Simona Maggiorelli

Musulmani in Europa

Dopo aver indagato le trappole dell’immaginario che deformano la realtà dell’altro ogniqualvolta parliamo di musulmani in Occidente, il sociologo Stefano Allievi, con un team internazionale di studiosi, pubblica La guerra delle moschee (Reset/Marsilio) un libro che, cifre e dati statistici alla mano, descrive minuziosamente la diffusione dell’Islam in Europa e come viene percepita dall’opinione pubblica. Emergono così in primo piano i gravi danni provocati dalle politiche conservatrici che fanno leva sulla paura e sul fantasma di un mondo islamico granitico e tout court fondamentalista, tratteggiato a prescindere da ogni conoscenza diretta. «Quello che ci viene propinato da certa politica e dai media – sottolinea lo studioso dell’Università di Padova – è un Islam monolitico, che non corrisponde alla reale complessità della galassia musulmana». In altre parole, insomma, l’islam non è uno solo, ma una realtà plurale. «Tutto ce lo conferma -annota Allievi in un suo scritto per Forum editrice -. Ce lo confermano la diversità culturale, geografica, linguistica, di scuole giuridiche, di usi e costumi, perfino, per quanto lo si ammetta malvolentieri, di teologie, di idee di Dio e dell’uomo». Ma le generalizzazioni e le semplificazioni, si sa, “tolgono” la fatica di pensare, mentre usare la contrapposizione «noi-loro ci offre a buon mercato una Weltanschaung di riferimento, buona per tutte le occasioni». Specie per quelle occasioni che permettono a politici di destra di accaparrarsi seggi e assessorati. Così la paura dell’altro, di ciò che è sconosciuto, viene brandita per impedire la costruzione di nuove moschee e per chiuderne di già esistenti. Con tanto di incursioni per «desacralizzare» con sangue di maiale gli spazi di riunione musulmana. E nel dibattito pubblico nel Nord d’Italia dove primeggia la Lega (ma non solo) tornano ad affiorare categorie tristemente note come quelle di “sacro” e di “ autenticità”, di “puro” e di “impuro”. «E contro l’impuro, contro il Male, si chiama alla crociata» avverte Stefano Allievi, ricordando anche come le parole “autentico” e “impuro” riecheggiassero nei discorsi nazisti. Anche per questo gli abbiamo chiesto di aiutarci a capire quali sono le radici di ciò che sta accadendo in Europa riguardo agli immigrati

Professor Allievi quanto è forviante l’opposizione Islam – Occidente cristiano?

Lo è fortemente, basta dire che le tre grandi religioni monoteistiche, ebraismo, cristianesimo e islam hanno una comune discendenza da Abramo., tanto che si dicono religioni abramitiche.

Ma ebraismo e cristianesimo vengono dette anche religioni occidentali…

A rigore nessuna delle tre religioni è occidentale. Sono nate tutte in quell’area che noi chiamiamo Medioriente. e a poca distanza l’una dall’altra.

Ma di due di queste religioni, lei ha scritto, siamo disposti a pensare che si sono occidentalizzate o che l’occidente l’hanno addirittura inventato, della terza no.

Per capire quanto sia una visione storicamente falsa basta pensare, sul piano geo-politico, all’importanza che ha avuto la denominazione arabo-islamica in Andalusia ovvero l’araba al-Andalus, oppure alla Sicilia dove l’incontro con le culture arabe non è stato certo uno dei periodi più cupi. Oppure pensiamo a quanto la scienza occidentale ha preso dall’astronomia, dall’algebra, dalla medicina, dall’arte, dalla chimica arabe. Mentre tanti contenuti della cultura occidentale sono stati assorbiti e rielaborati da quelle mediorientali.

Nonostante tanti contatti e scambi culturali lungo i secoli, ancora oggi, da noi, c’è tanta ignoranza sull’Islam?

L’idea dell’Islam che passa sui media è gravemente alterata. Si stigmatizza l’uso del velo e giustamente certo maschilismo arabo ma non si sa, per esempio, che il divorzio è una pratica riconosciuta da tempo nell’Islam. Ad indossare il hijab spesso sono donne colte , libere, che lavorano. La realtà è assai più complessa e articolata di quanto si creda e si dica.

Su temi come l’aborto l’islam ha posizioni più aperte del cattolicesimo. Per esempio, il feto non è considerato sacro e intoccabile fin dalle prime settimane di vita. E’ così?

Sì, certo, così come nell’Islam non c’è il peccato originale. Ma con questo non voglio dire che l’Islam sia una religione più progressista, dico che va studiata e conosciuta per quello che è nella pratica quotidiana dei musulmani. In Italia il dialogo interculturale manca totalmente e mancano anche le basi della conoscenza. I giornalisti e i politici che alimentano il sospetto intorno alle moschee perlopiù non ci hanno mai messo piede. Ma basterebbe fare una telefonata ai carabinieri o interpellare la Digos per sapere tutto ciò che c’è da sapere. Le moschee in Italia sono tra i luoghi più monitorati . E le leggi vengono applicate più che scrupolosamente. Come è giusto che sia, del resto. Ma va detto anche che nel Veneto dove vivo, per esempio, capita che di fronte a una medesima infrazione, un locale di proprietà di cittadini “autoctoni” venga multato mentre uno di musulmani venga direttamente chiuso.

L’ immigrazione in Italia è davvero a maggioranza musulmana come si legge e paventa sui giornali?

In realtà il grosso dell’immigrazione in Italia arriva da paesi di religione cristiana, molti sono gli ortodossi dalla Romania e da altri Paesi dell’Est, tanti sono i cattolici dalle Filippine, altri sono maroniti oppure animisti africani e via di questo passo. Solo un terzo dello stock dell’intera immigrazione proviene di paesi musulmani. E non è detto che chi viene da un’area regionale dove l’Islam è la religione più diffusa sia un praticante o un credente. Se io emigrassi dovrei essere considerato là un cattolico perché vengo da un Paese a maggioranza cattolica? Qui da noi se una maestra ha in classe un bambino arabo la prima cosa che fa è badare a non dargli per merenda il panino al prosciutto. Oppure con tutta onestà gli chiede di spiegare in classe cosa è il Ramadan, senza considerare che quel bambino, pur provenendo da un paese musulmano, potrebbe essere cresciuto in una famiglia non praticante.

L’etnicizzazione dell’immigrazione è una delle distorsioni più diffuse. In Italia chi viene da Paesi arabi può solo incontrare suoi connazionali in moschea?

Dico spesso che in Italia per quei giovani immigrati c’è ben poco tra il bar e la moschea. Una rete laica di associazioni di cultura araba è praticamente inesistente. E questo in un momento in cui il nostro associazionismo politico è morente e il maggior sindacato è soprattutto formato da pensionati…

Un caso solo italiano?

Nell’Europa del Centro-nord gli immigrati dal Medioriente trovavano fino a qualche anno fa un’associazionismo attivo e maturo, declinato in maniera laica, anche grazie alla rete che si era sviluppata su input del panarabismo socialista. Ma oggi la situazione è peggiorata. In Italia poi tocca i punti più bassi. Il bar notoriamente non è un luogo associativo organizzato. In moschea si va per pregare anche per trovare una macelleria halal e altri prodotti , ma soprattutto per avere una rete di rapporti di sostegno. Detto questo non è che ad oggi ci sia una particolare concentrazione di moschee sul territorio italiano e nemmeno nel resto dell’Europa. In barba a tutti gli allarmismi. Senza contare che per tradizione la moschea è un luogo di incontro, aperto; spesso al suo interno ha un mercato. Insomma parliamo di una realtà molto diversa dalle nostre chiese.

Allargando lo sguardo all’Europa, il processo di integrazione ha subito contraccolpi negli ultimi anni?

E’ un processo che va avanti, ma anche contraddittorio che conosce battute di arresto. C’è stata una universalizzazione dei diritti, ma non funziona ovunque.

Nella civilissima Svizzera, come è noto, è passato un referendum per la messa al bando delle moschee. Un caso emblematico?

Ecco il punto. Quel referendum dà molto da pensare ma al tempo stesso sarebbe difficile dire che in Svizzera l’integrazione degli immigrati non sia un processo avviato e da tempo. Siamo di fronte a una situazione per molti versi contraddittoria. Per cui i maggiori sì alla messa al bando dei minareti si sono registrati nei cantoni di montagna più isolati e non nelle città svizzere dove l’immigrazione musulmana è più massiccia. Qui torniamo all’inizio della nostra conversazione: quello che manca è la conoscenza dei musulmani in carne ed ossa, mentre si fa molta propaganda riguardo a musulmani immaginari pensati così come li descrivono i media, alterando la realtà.

Da left-avvenimenti

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Leggere il Corano oggi

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 16, 2009

Un dio unico e assoluto. Ma anche una visione del mondo antropocentrica e sessuata. Basata sul rapporto fra uomo e donna. L’eminente islamista Biancamaria Scarcia Amoretti racconta il testo sacro

di Simona Maggiorelli

Quran Kufic calligraphy

Quran Kufic calligraphy

Sono 1.570 milioni  i musulmani nel mondo: il 23 per cento dei 6,8 miliardi della popolazione globale. L’ultima ricerca del Pew forum in religion & public life fotografa una situazione inaspettatamente in crescita. E intanto si moltiplicano gli studi che riguardano la religione e la cultura islamica. Finalmente anche in Italia. Autorevole islamista, Biancamaria Scarcia Amoretti ha appena pubblicato per Carocci una sua proposta di lettura del testo sacro dell’islam e left ha colto l’occasione per rivolgerle alcune domande sulla concezione del mondo e della vita umana che il Corano presenta ai suoi fedeli. «è un testo molto complesso anche perché non abbiamo una tradizione ininterrotta di traduzioni». Il Corano, insomma, è un libro difficile che ha uno statuto speciale perché i musulmani lo considerano parola di dio. Ma è anche da leggere storicamente con occhi sgombri «per vedere cosa dice veramente e quali sono le strumentalizzazioni che ne sono state fatte».
Dunque la fisionomia della creazione, la definizione di dio come assoluto, l’antropocentrismo ma anche il rapporto fra uomo e donna, sono alcuni dei temi che Scarcia Amoretti analizza in questo suo colto e sintetico studio, nato anche con un intento divulgativo.
Prof.ssa Scarcia, cominciamo dalla differenza fra maschile e femminile, una dualità che lei dice essere fondamentale nel Corano.
Iniziamo col dire che il monoteismo assoluto dell’islam prevede un solo dio, non c’è l’idea di trinità cristiana. Da qui il distacco, la differenza, fra creatore e creatura che si concretizza nel fatto che la creatura è sessuata. Non a caso i mistici poi superarono questo tipo di divisione. Ma c’è un altro fatto a mio avviso interessante. Si dice che l’islam non ammetta figure, rappresentazioni. Non è vero tout court, ma lo è per quel che riguarda dio. La rappresentazione del divino è affidata alla parola che ci dice di un dio “bello”, privo però di qualunque caratteristica di genere.
L’incarnazione del dio cristiano è nell’uomo Gesù…
Allah non è padre, è creatore. Il seme può avere un valore maschile, ma il Corano dà una enorme attenzione al corpo femminile. Dire come fa l’islam che dio è creatore in senso assoluto significa che lui è l’unico che non può essere concepito in termini di genere.

calligraphy

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Nel Corano non c’è condanna del corpo e del desiderio femminile?
Assolutamente no. Nel Corano si dice che tutto quello che è creato è buono in sé. E c’è un versetto molto famoso, che riguarda il digiuno, in cui si dice che dio aveva pensato di dare una prova più dura alle sue creature ma poi cambiò idea. Nella concezione islamica, essendo completamente libero, decide di concedere la notte per la vita naturale e il benessere umano. Dunque si può mangiare ma si può anche godere del rapporto uomo donna.
Qual era la condizione della donna prima dell’islam?
Ci sono molte ipotesi, fra cui anche che ci fosse un matriarcato nella penisola araba. Noi abbiamo solo alcuni fatti storici e il testo. Conosciamo molte divinità femminili pre islamiche ed è un fatto che la prima generazione di musulmani abbia conosciuto un grande protagonismo femminile.
Nel Corano ci sono molte figure di donna significative a cominciare da A’isha
La più emblematica, a mio avviso è quella di Maria, madre di Gesù. E’ più eversiva della nostra perché non  c’è nessun Giuseppe ad  affiancarla.
C’è un dibattito bioetico a partire da ciò che è scritto o non è scritto dal Corano?
Mi sono premurata di metterlo da parte: ho voluto presentare il testo, con una impostazione che rivendico a tutto tondo. Non voglio fare una storia dell’esegesi perché siamo ancora ben lontani da quelle che sono state realizzate per il Vangelo, con alle spalle secoli di studi. I musulmani non sono stati inferiori in questo. Ma non abbiamo il polso della situazione. Nella galassia musulmana ci potrebbe essere qualcuno che con assoluta coerenza e dottrina ha tirato fuori un commento che finalmente espliciti in una chiave molto autorevole questi temi. Ma oggi non possiamo saperlo perché non abbiamo raccolto tutti i commenti. Sfido chiunque a dire di essere aggiornato in merito.
Lei scrive che secondo il Corano il processo di crescita del feto nell’utero non è strutturalmente diverso da quello che avviene, per esempio, nel mondo vegetale: l’uomo è cosa (Shay’) venuta in essere. Ovvero?
La sessualità nel rapporto uomo donna non è solo destinata alla procreazione. E questo è un punto importante. Inoltre il Corano è un libro fortemente versato sul fatto che l’uomo sia “un pezzo” di natura. Per questo ci deve essere una grande armonia, che prevede però una scala gerarchica: l’uomo può usare gli animali. Così come essi approfittano del mondo vegetale.
Il Corano non scoraggia la conoscenza scientifica?
No, perché tutto ciò che è creato è buono, dunque perché non conoscerlo?
Il dio assoluto dell’islam può aver influenzato alcuni filosofi occidentali, per esempio Spinoza?
Il discorso è affascinante, ma su questo versante gli studi sono molto indietro. Nei secoli del Medioevo sono passate tematiche filosofiche improntate a questa visione di dio. Poi per tanto tempo si è negato che vi fosse stato un contributo. Io credo che questa storia sia ancora da scrivere. Fin qui è stata fatta solo per frammenti, ritrovando tracce in Anselmo d’Aosta, piuttosto che in altri. Ma non c’è un discorso più complessivo, anche perché gli occidentali oggi non mi sembrano molto disponibili a portare avanti questo discorso. Anche fra gli studiosi la tendenza è piuttosto a dire che non vi è stata influenza. Come se i secoli della dominazione andalusa non fossero esistiti. Solo nel settore della mistica e dell’esoterismo si è stati disposti ad ammettere un contatto, ma la mistica è solo un singolo aspetto e poi è un’esperienza connotata in senso aristocratico, elitario.
La forma letteraria del Corano è certamente alta.

Il Corano è il testo letterario per eccellenza: proprio su questo tema sono usciti centinaia di studi modernissimi. I musulmani dicono che il Corano non è né prosa né poesia, il che già la dice lunga. Anche perché si tratta di una forma inimitabile. La lingua, poi, è ciò che dà corpo alla parola di dio. E come la si definisce? Certi capitoli sono letti come fossero degli inni, con una metodica di cesure di accenti interna, e appunto si continua a studiare.
L’oralità così come il rapporto con la poesia precedente all’islam come si configura?
La poesia precedente è importante non tanto perché veniva detta oralmente ma perché costituisce il vocabolario pregresso dell’arabo. Che poi l’oralità nel mondo musulmano funzioni molto lo vediamo anche oggi. Capire perché e come avvengano certe forme di indottrinamento, in questo caso certamente negative, implica ripercorre certi modi antichi. Nell’islam il rapporto è più personalizzato, c’è sempre un richiamo che passa attraverso una voce. Che, va detto, può essere anche femminile.

CAPIRE L’UNIVERSO ARABO

Mentre torna in nuova edizione un  classico come Il mondo musulmano di Biancamaria Scarcia Amoretti, l’editore Carocci pubblica anche la lettura de  Il Corano che  la docente di Islamistica de La Sapienza ha scritto per offrire strumenti a un migliore dialogo fra differenti culture. Un’avventura intellettuale che, su invito dell’editore, Scarcia ha intrapreso, forte della sua vastissima cultura e delle sue ininterrotte frequentazioni del mondo intellettuale islamico. Ben consapevole però dei problemi che pone la mancanza di traduzioni antiche “canoniche”, così come la polisemia del testo che ammette una pluralità di interpretazioni.«Il mio tentativo – spiega Scarcia – è stato quello di presentare la mia versione, quello che io ho tratto da questo libro, essendo laica. E aggiunge: «Laica in tutti i sensi, non solo per il fatto che non sono addetta delle religioni».

da left-Avvenimenti 16 ottobre 2009–

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Donne, islam e democrazia

Posted by Simona Maggiorelli su luglio 15, 2009

for Neda, Iran

for Neda, Iran

Con Musulmane rivelate, l’antropologa di origini palestinesi Ruba Salih vince
il premio Pozzale. A left racconta  la sua ricerca

di Simona Maggiorelli

Lo sguardo di Ruba Salih sul mondo musulmano appare particolarmente prezioso a chi, in Occidente, voglia capire i mutamenti che hanno attraversato la galassia del mondo islamico nella storia e ciò che di nuovo si sta muovendo oggi. A cominciare dalla rivolta di tanti giovani di Teheran contro il regime di Ahmadinejad e che vede tante studentesse in prima fila. Di origini palestinesi e docente di Antropologia sociale all’università di Bologna e in quella di Exeter in Gran Bretagna, Ruba Salih partecipa di molte e diverse culture e nei suoi lavori offre inediti spaccati di comparazione. Come nel bel libro Musulmane rivelate (Carocci) che il  12 luglio 2009 riceverà il premio Pozzale. Con atteggiamento laico, convinta che le «le idee e le ideologie di natura religiosa vadano viste e analizzate come prodotti della realtà sociale sulla quale poi esercitano un’influenza» Salih racconta in questo agile volume come nei Paesi islamici stia cambiando il rapporto fra uomo e donna e il ruolo delle donne nella società. Da qui prende il la il nostro incontro.
Professoressa Salih, come legge l’ampia partecipazione di giovani donne alle proteste contro le elezioni truccate in Iran?
È ancora presto per capire in che cosa si trasformerà questa protesta, se chiederà cambiamenti radicali o si fermerà alla rivendicazione di elezioni più trasparenti. Certo è che le donne sono molto presenti nell’iconografia di questa rivolta. E non è un caso. In Iran le donne non sono mai state assenti dalla scena pubblica. C’è un immagine bellissima che circola in Rete: si vede una donna che ferma l’auto del presidente Ahmadinejad. A me pare molto significativa.
Che significato assume oggi il velo?
Il velo, in realtà,, non ha un solo significato. In alcune società islamiche può essere strumento di negoziazione. In situazioni di crisi economica o quando si aprono delle nicchie di lavoro, le donne escono  velate per non distruggere tutto l’equilibrio delle relazioni di genere. Le donne lo usano per ottenere una maggiore libertà fuori casa, comunicando agli uomini che questo non comporterà una rivoluzione dei rapporti familiari E in contesti dove le donne hanno pochi diritti, la protezione della famiglia è una garanzia.
Maometto non impose il velo a tutte le donne. Da dove nasce l’obbligo?
Il velo preesisteva all’islam. Per esempio era un’usanza della società sassanide. Lo indossavano le donne dei ceti più alti. A un certo punto, alcune sure del Corano che parlano dell’abbigliamento femminile vengono interpretate in senso normativo.
Accade durante l’espansione islamica?
Sì, quando l’islam si fonde con gli usi delle regioni conquistate. Infatti ci sono molti tipi di velo. Cambiano da zona a zona. Perché diverso è ogni volta l’intreccio fra islam e culture locali.
Perché questo controllo sul corpo delle donne?
Studiose come Fatima Mernissi hanno documentato come sul corpo femminile si siano accaniti tutti, dai nazionalisti ai religiosi, ai modernisti. Nel mio libro provo a raccontare come ognuno di loro tenti di visualizzare il proprio progetto di società sul corpo delle donne. In Iran nel ’36 fu vietato indossare il velo ma non vedo troppa differenza fra questo divieto e quello attuale che proibisce alla donne di uscire  senza. Sono due facce della stessa medaglia.
Dalla sua ricerca sul linguaggio della letteratura coloniale emerge come l’Oriente fosse «femminilizzato, velato, visto come seduttivo e pericoloso». Al razionalismo lucido del conquistatore si contrapponeva una società vista come pericolosamente irrazionale?
Quando l’Occidente comincia a usare nelle sue rappresentazioni dell’Oriente l’immagine delle donne musulmane inizia un processo che è ancora in atto. Il colonialismo e l’orientalismo nella sua versione letteraria si accaniscono nel costruire l’altro in modo che l’Occidente, per contrapposizione, appaia moderno, aperto, logico. L’ambito della sessualità, avvertito come oscuro, intimo, morboso diventa giocoforza serbatoio di metafore. Ma il fatto è che i modernisti arabi hanno fatto propria questa rappresentazione iniziando a vedere nelle donne proprio l’elemento da modernizzare. E se è vero che hanno stilato nuovi codici di famiglia (anche se concessi dall’alto) riconoscendo diritti alle donne, dall’altro lato hanno rotto la sfera di potere che le donne avevano e si è iniziato a svalutare il sapere femminile. Nella famiglia più estesa, anche se patriarcale, le donne potevano avere un ruolo di cui poi vengono spodestate nella famiglia nucleare moderna. E sappiamo bene che anche in Occidente non è stata un territorio di libertà per le donne.
Nel libro accenna anche alla cesura che avvenne nel passaggio dalla società araba tribale all’islam.
Nel 600 l’islam si presentava come una religione “moderna”. Il Corano fungeva un po’ da codice: riconosceva alle donne il diritto ereditario (quello alla proprietà c’era già prima) e inseriva tutta una serie di meccanismi di protezione in caso di ripudio e di divorzio. Abolì l’infanticidio delle bambine. L’islam fu anche un movimento a cui si accompagnarono tutta una serie di trasformazioni economiche e di urbanizzazione, parliamo di dinamiche storico sociali che incisero profondamente su quello che sarà il destino delle donne. In città le donne furono più recluse nella sfera domestica: era la prova dello status elevato della famiglia. Le società preislamiche, invece, erano nomadi e avevano tratti matrilineari. Le donne stavano fuori casa ed effettivamente pare fossero più libere. La verginità, per esempio, non era così importante e le donne avevano un ruolo nella vita pubblica.
Ancora le mogli del profeta godevano di certe libertà?
Le femministe che si sono messe a studiare il Corano per fare una dialettica con gli uomini sul piano interpretativo, si riferiscono proprio alla vicenda delle donne di Maometto per rivendicare un diverso rapporto fra i generi nell’islam. Tutte le religioni, anche se in modi diversi, opprimono le donne. Ma se il cristianesimo condanna la sessualità e il desiderio femminile, per l’islam non è peccato. è così?

Nell’islam le donne hanno diritto al piacere sessuale. L’impotenza del marito, anche nella Sharjah, è fra le possibili cause di divorzio a vantaggio delle donne. Così come l’assenza prolungata del marito. Ma c’è un fatto  contraddittorio che consiste nel controllo sui corpi delle donne e sulla sessualità femminile perché le società islamiche, non dimentichiamolo, sono società patriarcali. E la cultura patriarcale si impone come un macigno sulla libertà femminile. Ed è un fatto trasversale che accade anche in contesti culturali diversi. I molti delitti che si verificano in Italia, e di cui si ha più notizia in estate, vedono quasi sempre come vittime le donne, uccise da mariti e fidanzati perché hanno agito in modo disonorevole o secondo canoni o scelte diverse. Questo è il patriarcato. Un tipo di cultura che preesiste all’islam e si intreccia con esso. Una mentalità che oggi le femministe arabe vogliono separare dall’islam. Ma decostruire il patriarcato non è facile.

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