Dopo anni di tagli il governo ricomincia a finanziare la scuola, università e ricerca. “Non è una spesa, è una promessa di futuro. ma resta ancora molto da fare. parla il ministro dell’Istruzione e della ricerca Maria Chiara Carrozza
di Simona Maggiorelli
Laureata in Fisica, esperta di biotecnologie, Maria Chiara Carrozza ha insegnato alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, di cui è stata rettore. Da quattro mesi è ministro dell’Istruzione del governo Letta. Esponente dei Democratici – alle Politiche Bersani la inserì nel suo “listino” – ha guidato il forum Università e Ricerca del Pd. Nonostante le ristrettezze nel bilancio pubblico, sta provando a invertire
la rotta. Quella che l’Itala segue da anni: tagli delle risorse e scarsissima valorizzazione delle competenze.

La scienziata del Cern Fabiola Gianotti, a capo di uno dei due esperimenti che hanno confermato l’esistenza del bosone di Higgs, dice che in Italia il precariato uccide la ricerca. Qual è il suo punto vista ministro Carrozza?
Credo che la precarietà sia uno dei fattori che spinge la maggior parte dei nostri ricercatori a cercare opportunità all’estero. Come governo ne siamo consapevoli ed è per questo che una delle nostre prime iniziative è stato lo sblocco del turnover dal 20 al 50% per le università e gli enti di ricerca. Ma occorre fare di più: credo sia necessario stipulare un vero e proprio patto con i nostri giovani e pensare ad un meccanismo più chiaro e trasparente che delinei il percorso per l’immissione in ruolo nel mondo accademico e della ricerca, nel rispetto della carta europea dei ricercatori. Serve un percorso unico, altamente selettivo, che restituisca piena dignità ai nostri ricercatori e autonomia agli Atenei nelle loro scelte. Dobbiamo anche sviluppare i sistemi di selezione nazionale come i bandi Rita Levi Montalcini che attraggono ricercatori dall’estero e consentono loro di scegliersi l’ente dove andare in servizio.
Il 2014 sarà l’anno dei ricercatori in Italia. Sta lavorando a nuovi progetti che possano rispondere alle loro aspirazioni da molti anni deluse?
Abbiamo deciso per l’anno prossimo di concentrare le risorse sui progetti a cui i giovani possano accedere. Ad esempio daremo massima priorità al bando Firb (il Fondo per la ricerca di base), che ha l’obiettivo di favorire il ricambio generazionale presso gli atenei e gli enti di ricerca pubblici, destinando le risorse al finanziamento dei progetti di ricerca fondamentale proposti da giovani che hanno appena conseguito il dottorato. Daremo una linea di indirizzo su come andranno realizzate le pubblicazioni. Diremo che verrà premiato chi ha dimostrato autonomia e indipendenza. È un sistema già adottato nell’European Research Council dove i ricercatori devono dimostrare di saper pubblicare da soli. Anche nel valore dei progetti di ricerca terremo conto dell’indipendenza e dell’autonomia dimostrate. E privilegeremo gli atenei e i centri di ricerca che hanno ricercatori come responsabili e coordinatori di progetti. I giovani devono diventare i protagonisti della riscossa.
Riportare al centro il tema della formazione è un suo impegno forte. La disoccupazione giovanile in Italia è intorno al 40 per cento. E l’ex ministro del Welfare Elsa Fornero diceva che il problema è che ci sono troppi laureati. Che anche i figli degli operai vogliono fare i dottori.
Sono convinta che l’istruzione sia il principale motore della mobilità sociale. Lo è stato nel dopoguerra in Italia, e deve tornare ad esserlo oggi, in un periodo di crisi così profonda per la nostra economia e per quella europea. Non penso affatto che nel nostro Paese ci siano troppi laureati, il problema vero in Italia sono quei due milioni di ragazzi che non studiano e non lavorano, che hanno perso fiducia nel proprio futuro e nella possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita.
Molti Paesi che stanno vivendo un momento di forte sviluppo, dalla Malaysia a Singapore, dall’Indonesia alla Corea del sud hanno scelto di puntare in primis sull’istruzione dei giovani. C’è bisogno di un cambiamento culturale nella classe politica italiana ?
Sì è così. E come governo Letta abbiamo dato il segno di una prima inversione di rotta con il via libera al Decreto ‘L’istruzione riparte’, tornando a finanziare il diritto allo studio degli studenti universitari, puntando ad abbattere i costi per i libri ed i trasporti, rilanciando un piano per le assunzioni degli insegnanti, in particolare quelli di sostegno. Non solo non ci sono stati ulteriori tagli, ma abbiamo rilanciato i finanziamenti in istruzione, pur nelle difficoltà economiche, convinti che i soldi investiti in questo settore non siano una spesa, ma una promessa di futuro per le nuove generazioni.
Se il centrodestra dice che con la cultura non si mangia, il centrosinistra non segna abbastanza la propria differenza su questi temi. Non crede che il Pd dovrebbe impegnarsi di più su battaglie culturali invece di occuparsi solo di questioni congressuali?
Il prossimo congresso del Partito democratico dovrà parlare non solo di persone ma di programmi e contenuti. Per questo scriverò a tutti i candidati alla segreteria, per chiedere loro cosa pensano della scuola italiana, della formazione degli insegnanti, della ricerca e dell’innovazione e soprattutto come intendono porre questo tema al centro della politica del Pd nel prossimo futuro. L’istruzione e la formazione devono avere un ruolo centrale nell’idea di società del Pd e sono temi cruciali per la ricostruzione di questo Paese.
In Francia il ministro Vincent Peillon ha introdotto nelle scuole, dal 9 settembre, una “carta della laicità”. Gruppi evangelici creazionisti sostengono che la Carta impedisca loro di insegnare teorie in contrasto con l’evoluzionismo. Anche in Italia la Moratti tentò di inserire nei programmi lo studio del creazionismo in alternativa al darwinismo. Che ne pensa?
Non credo che la scuola debba diventare un luogo di battaglie ideologiche, ma un luogo aperto dove le nostre ragazze e i nostri ragazzi possano apprendere e imparare a convivere con le diverse culture e tradizioni. In ogni caso non si possono insegnare teorie non fondate sul metodo scientifico.
Da molti anni in Italia non si faceva un decreto per la scuola. E da tempo non si parlava di nuove assunzioni. Il suo impegno su questo ha ricevuto apprezzamenti. Tuttavia molti problemi restano sul tavolo. Frutto di anni di tagli dei fondi e di provvedimenti sbagliati. Che dire a chi parla di abilitazioni alla deriva? E a quegli insegnanti precari che non hanno avuto nuovi incarichi? O a quelli di ruolo che dovrebbero essere incentivati ad un aggiornamento?
Sono consapevole che il decreto approvato e anche le misure a favore dell’istruzione contenute nei Dl Fare e Lavoro sono soltanto un primo passo, ma abbiamo ripreso un cammino e rimesso questi temi al centro dell’azione del governo. La scuola negli ultimi anni ha sofferto per i troppi tagli alle risorse, ma anche perché è stata privata della sua centralità, è stata allontanata dal dibattito culturale del Paese. Oggi c’è bisogno di investimenti e di progettualità nel lungo termine, che le restituiscano una stabilità e un modello nel tempo. Per questo abbiamo lanciato la Convenzione, in cui tutto il mondo della scuola sarà chiamato a partecipare, intervenire, restituire all’istruzione il ruolo che le spetta nella società italiana.
Il sapere tecnologico, lei ha sottolineato più volte, è importante nella sfida globale della scienza. Ma recenti studi hanno mostrato il fallimento di un sistema di insegnamento Usa che trascura la formazione umanistica. Alla fine, dice la filosofa Martha Nussbaum, una scuola che invita a sviluppare una razionalità strumentale, senza stimolare l’aspetto emozionale, artistico, creativo dei ragazzi fallisce anche nel suo obiettivo primario di formare bravi tecnici.
Penso che oggi sia giusto parlare di sapere, non tanto di sapere umanistico e di sapere tecnologico. Credo molto nella lezione della “antidisciplinarietà” e nella volontà, in un momento di crisi come quello che attraversiamo, di ripensare e rimescolare le nostre conoscenze, le nostre ‘scuole’, per costruire qualcosa di nuovo che abbia un tratto unificante. Dobbiamo dare un orizzonte alla nostra ricerca, soprattutto in campo umanistico, alla storia dell’arte, alla valorizzazione del nostro patrimonio, un orizzonte che sia di rinascita, di progresso ma anche di sviluppo economico per l’Italia.
Non crede che l’istruzione sia qualcosa di diverso che addestrare i giovani a rispondere a dei quiz? E che i test Invalsi possano funzionare solo limitatamente?
L’istruzione è ovviamente un percorso complesso che non si può esaurire con delle risposte ai quiz. L’obiettivo dei test Invalsi non è valutare lo studente, ma aiutarci a conoscere meglio il nostro sistema, le differenze territoriali, il livello delle competenze e darci quindi uno strumento per migliorare. Rappresentano una guida utile per un percorso dove sono e saranno sempre le persone, con il loro impegno, a fare la differenza.
Infine il tema cardine dell’integrazione. Nell’ultimo anno scolastico, gli studenti con genitori non italiani erano circa il 10 per cento: una risorsa per il Paese?
La più grande risorsa e ricchezza per i nostri ragazzi. Ho sempre detto che la nostra scuola è il primo attore dell’integrazione in Italia. Basta andare davanti ad una scuola all’ora dell’uscita per vedere in qui volti il nostro futuro, la società di domani che sarà multietnica e multiculturale. Per questo sento di dover ringraziare i nostri insegnanti che ogni giorno lavorano in silenzio e con passione per far nascere i cittadini di domani.
dal settimanale left-avvenimenti 21 settembre 2013
L’intervista è stata letta lunedì 23 settembre a Pagina 3, la rassegna stampa di Radio Tre. La puntata è riascoltabile qui: http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-18ae0c14-5a1d-4a3e-a283-8482b8f6fd45.html