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Via libera delle Regioni all’eterologa. Ma gli “ultimi giapponesi” fanno le barricate

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 5, 2014

  fecondazione01gLa Conferenza delle Regioni dà  il via libera all’eterologa. Sul modello della Toscana. Rompendo gli indugi del Governo nel dare piena attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale. Una sentenza che l’avvocato Gianni Baldini, docente di Biodiritto all’Università di Firenze e consulente della Regione Toscana, non esita a definire «un manifesto di libertà».

Ma fra i consiglieri del ministro della Salute Beatrice Lorenzin ci sono paladini oltranzisti della Legge 40 come Eugenia Roccella e i cattolici che siedono in Parlamento promettono battaglia. In nome della difesa dell’origine biologica, dei rapporti di sangue. E della famiglia tradizionale.

La Consulta ha riconosciuto che per ben dieci anni, con la legge 40/2004, sono stati negati diritti civili, costituzionali, a persone che chiedevano l’accesso a terapie mediche. E lo scenario che si apre ora in Italia per le coppie sterili è anche quello di potersi rivalere per il danno subìto, conferma l’avvocato Gianni Baldini, docente di Biodiritto all’Università di Firenze, che ha assistito molte coppie che, con coraggio, hanno scelto di battersi nelle Aule di tribunale contro gli antiscientifici divieti imposti dalla legge 40. Una norma – lo abbiamo scritto tante volte – degna di uno Stato etico che spia sotto le lenzuola, che violenta la donna fisicamente e psichicamente (basta pensare all’iniziale obbligo di impianto di tre embrioni anche se malati), discriminante e razzista, (vedi il divieto di eterologa cancellato dalla Consulta) ma anche piena di dogmi religiosi dal momento che tutela il concepito come fosse una persona. Come ha rilevato censurando l’Italia la Corte europea dei diritti dell’uomo. Dopo che la legge 40 è stata smontata pezzo dopo pezzo nelle aule di tribunale, ma soprattutto dopo la sentenza della Consulta del 9 aprile scorso che l’avvocato Baldini non esita a definire un manifesto di libertà si potrebbe anche prospettare l’occasione per far evolvere la cultura giuridica in Italia riguardo a diritti fondamentali della persona, erroneamente detti eticamente sensibili. Vediamo perché.

«La questione della legge 40 non si era mai posta in questi termini», dice Baldini che insieme all’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Coscioni, è stato il primo a sollevare il dubbio di legittimità costituzionale della norma. «La sentenza della Consulta parla chiaro e la recente ordinanza del tribunale di Bologna ne ha ribadito integralmente il contenuto. Le “autorità giuridiche” dicono che l’eterologa si può fare, che il diritto esiste ed è immediatamente eseguibile. Mentre i politici tergiversano, invocando una legge di recepimento della direttiva. Ma si tratta di una scusa (perché la direttiva è già stata recepita con i Dc.Lvi 191/07 e 16/10) per rivedere in senso reazionario la legge 40, per esempio eliminando l’anonimato ai donatori di gameti.

Gianni baldini, con Filomena Gallo , Rodotà e altri

Gianni baldini, con Filomena Gallo , Rodotà e altri

Avvocato Baldini, quale significato assume la sentenza di Bologna alla luce di questo scontro fra la Consulta e il Consiglio dei ministri che, dopo il ritiro del decreto Lorenzin, invoca una discussione in Parlamento?

Molto importante, direi. Non solo perché in base al diritto di autodeterminazione, al diritto alla salute e al principio di uguaglianza nell’accesso alle terapie, letta la sentenza della Consulta, il tribunale ha detto che non c’è bisogno di una nuova legge. Ma anche perché l’ordinanza afferma che le scelte terapeutiche devono essere fatte dal medico, tarandole sul caso concreto (previo consenso del paziente). Non dal legislatore. Riportandoci così in modo lineare alla giurisprudenza della Consulta in materia. Nonostante i furori ideologici di certa politica.
La Toscana si è avvalsa del suo lavoro di giurista per deliberare il via libera all’eterologa, senza attendere il Parlamento. I Nas potrebbero bloccare le terapie?
Se già il giudice – come ha fatto nelle due ordinanze il tribunale di Bologna – si rimette alle migliori competenze mediche e a questo si aggiungono le Direttive da parte di una istituzione pubblica come la Regione (competente in materia), il quadro è ben chiaro e direi tranquillizzante. Inoltre la legge 40 disciplina l’attività dei centri che, per esempio sono obbligati, tutelando la privacy, a conservare per 30 anni i dati relativi alla tracciabilità del materiale genetico. In Toscana i centri devono anche trasmettere i loro dati dell’ufficio della Regione dando soluzione ad alcuni problemi evocati dal ministro (donazioni plurime, esami per garantire sicurezza del materiale genetico, ecc) .
Come si configura la possibilità di chiedere i danni causati dal decennale divieto di eterologa?
La coppia di cui si è occupato il tribunale di Bologna, per esempio, nel 2006 è andata all’estero, ma senza successo. Ora che il diritto all’eterologa viene loro restituito, non hanno più 37 anni ma 45. Il danno subìto riguarda la perdita di chance di poter avere un figlio. In altri Paesi europei sono arrivate a sentenza cause per responsabilità della pubblica amministrazione nei confronti del cittadino (per cosiddetto illecito legislativo o costituzionale). È ormai pacifico che la violazione di una direttiva o di un regolamento europeo da parte di una legge nazionale, se lede i diritti del cittadino, apre la strada al risarcimento del danno. Perché non dovrebbe essere altrettanto quando una legge viola la Costituzione?
Potrebbero nascere anche delle class action?
Assieme ad alcune associazioni di pazienti stiamo studiando l’ipotesi: c’è la numerosità, la comunanza di interesse e la possibilità di perseguirlo da parte di chi si trova in condizione analoghe. Quanto agli esiti, ci si rimette ai giudici. Che, speriamo, abbiano voglia di innovare e di far evolvere il nostro ordinamento dando ingresso a nuove forme di tutela. Altre richieste di rimborso, invece, possono essere legate alla questione transfrontaliera e all’assistenza indiretta (in base alla direttiva del 9 marzo 2011 così come recepita dal D.Lvo n. 38 del 4 marzo 2014). Il paziente che si cura all’estero in questo caso, previa autorizzazione della propria Asl, anticipa i soldi e deve chiedere tempestivamente il rimborso al proprio sistema sanitario. Ma le cure rimborsabili sono solo quelle che non possono essere fatte in Italia in tempi utili per patologie.  In questo caso sarà possibile rimborsare il valore equivalente al costo della prestazione in Italia.  Ma solo se la patologia è stata inserita nei livelli essenziali di assistenza.L’eterologa lo è in Toscana, ma non ancora a livello nazionale, anche se il ministro Lorenzin aveva assunto un preciso impegno in questo senso.

Lei ha parlato della sentenza della Consulta come di un manifesto di libertà, che rimette al centro la salute psico-fisica della donna e della coppia. Calpestate dalla legge 40. «La più ideologica che sia mai stata fatta in Italia», ha detto Rodotà.
È in atto uno scontro fra chi ritiene che in uno Stato laico il diritto debba rispettare la libertà di tutti i cittadini e chi invece vuole piegare il diritto alla propria etica, come è accaduto con la legge 40 o il ddl Calabrò sul biotestamento. Ma il diritto non può essere lo strumento di un’etica che evidentemente ha perso forza di persuasione e per questo ha bisogno di essere imposta per legge. Scegli un’etica perché sei persuaso del suo valore non perché una legge te lo impone. Il diritto deve essere uno strumento di garanzia per tutte le etiche con il limite del rispetto dei principi di “libertà nella dignità” della persona umana. Vedi le leggi sul divorzio e l’aborto. Tanto più nella società multiculturale e multietnica di oggi. Io posso fare l’eterologa oppure no, ma non posso imporre agli altri un mio punto di vista, negando il diritto di scegliere. Lo ha affermato la Consulta ma anche la Corte europea dei diritti dell’uomo che ha ripetutamente condannato l’Italia a causa della legge 40. Parliamo qui di diritti fondamentali come il diritto alla salute e all’autodeterminazione. In tal senso vorrei ricordare l’ultimo comma dell’art 32 della Carta, una vera e propria clausola di habeas corpus: la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto (della dignità) della persona umana. Il legislatore non può invadere questi campi, che attengono alla sfera più intima e personale del soggetto. La Costituzione, la Carta dei diritti dell’uomo e i principi della Carta dei diritti fondamentali Ue contenuti del Trattato di Lisbona vengono prima della singola legge. Sono ambiti sottratti alla discrezionalità del legislatore che deve limitarsi a garantire senza possibilità di conformare, tanto meno, rispetto a propri convincimenti etico-morali.
La legge 40 violenta la donna, ma rappresenta anche un attacco al rapporto uomo donna?
Sì, la Corte costituzionale, infatti, non parla solo di integrità psicofisico della donna, ma nella sentenza 162 parla anche della salute della coppia intesa come benessere psico-fisico e sociale.
Una cattolica come la senatrice Paola Binetti sposa addirittura il materialismo pur di farsi paladina della matrice genetica. Perché questa classe politica teme così tanto l’eterologa?
Dietro alle barricate contro l’eterologa c’è una morbosità tutta italiana. Noi siamo il Paese della famiglia che diventa familismo. Siamo il Paese della sottolineatura esasperata dei rapporti di sangue, di stirpe, che non ha eguali in Europa. Da noi sì che la genitorialità è una questione di affetti, ma alla fine l’importanza che talvolta viene attribuita all’aspetto genetico rasenta il patologico. È un tema che riguarda l’adozione ma l’eterologa la evidenzia in maniera paradigmatica. Essere padre o madre non è un fatto biologico, genetico, ma di scelta, di affetti. E poi se superiamo la prospettiva meramente terapeutica (cosa che in Italia non è possibile) l’eterologa potrebbe essere lo strumento che permette una pluralità di progetti familiari.

Più in generale se per avere un figlio posso rivolgermi alla provetta appare sempre più chiaro che la sessualità umana non è legata alla procreazione come quella degli animali?

Ma infatti questo tentativo di bloccare l’eterologa appare sempre di più come una ‘tempesta in un bicchier d’acqua’ artificiosamente scatenata per negare che il diritto di autodeterminarsi nelle proprie scelte procreative e familiari spetta all’individuo a prescindere dal modello di famiglia nel quale esso si colloca. La metafora dei ‘quattro giapponesi’ che non si sono ancora accorti che la guerra è finita mi pare in tal senso calzante. Dopo la pronuncia della Consulta, il recente intervento del suo Presidente, Tesauro (che è stato anche il relatore della sentenza 162/14), la Delibera della Regione Toscana e le ordinanze del Tribunale di Bologna che ritengono che non vi è alcun vuoto normativo e dunque il diritto alla fecondazione eterologa risulti immediatamente eseguibile – rinviandosi ad una normativa tecnica di dettaglio ovvero alle migliori pratiche mediche la soluzioni delle questioni tecniche per assicurare l’esercizio dello stesso in condizioni di massima sicurezza (numero donazioni possibili, esami da svolgere e criteri di selezione dei donatori, tracciabilità)- ci si chiede su quali basi, giuridiche prima di tutto, i tecnici del Ministero possano continuare a sostenere l’esigenza di una legge senza la quale addirittura l’eterologa non si potrebbe fare….. Ben diversamente come è stato ripetutamente suggerito al Ministro e come i fatti hanno dimostrato, prima che le Regioni che lo vorranno seguano l’esempio della Toscana, sarebbe opportuno intanto aggiornare rapidamente le Linee Guida stabilendo le norme tecniche e di dettaglio sopra ricordate in modo da avere una disciplina uniforme in tutto il territorio nazionale. Poi, ove si ritenga che l’attuale disciplina in tema di tracciabilità che prevede la tutela di un rigoroso anonimato del donatore, ovvero i protocolli medici internazionali che stabiliscono che vi debba essere una comunanza dei caratteri biologici fondamentali tra donatore e riceventi colore della pelle, gruppo sanguinio, caratteri fenotipici essenziali), non vada bene, il Ministro potrà investire il Parlamento delle relative questioni che verranno definite con i tempi che dato la natura del tema, è facile intuire non saranno brevi.

( Simona Maggiorelli)

dal settimanale left 30 agosto, aggiornato il 5 settembre 2014

Filomena Gallo con attivisti dell'Associazione Coscioni

Filomena Gallo con attivisti dell’Associazione Coscioni

 La Conferenza delle Regioni ha approvato all’unanimità le linee guida sulla fecondazione eterologa. L’accordo prevede che la fecondazione eterologa sia gratuita o preveda al massimo un ticket ma anche che il fenotipo del neonato possa essere simile a quello dei genitori. Il bambino potrà, se vuole, conoscere i donatori, ma solo una volta cresciuto e raggiunti i 25 anni. E solo se i donatori accetteranno di rivelare la propria identità. I donatori devono avere tra i 20 e i 35 anni, se donne. Tra i 18 e i 40 anni, se uomini. Il documento stilato dal coordinamento degli assessori regionali alla Sanità, infine, chiede al ministro Lorenzin di inserire l’eterologa nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), come promesso. Un segnale forte per il Parlamento che il Governo Renzi ha chiamato ad esprimersi di nuovo sulla Legge 40

La Consulta e il tribunale di Bologna hanno posto fine a un divieto istituito nel 2004 con la legge 40 restituendo alle coppie sterili il diritto alla fecondazione eterologa. In arrivo una pioggia di ricorsi individuali e collettivi

Ha avanzato una richiesta di risarcimento danni la coppia a cui il tribunale di Bologna il 14 agosto ha riconosciuto il diritto immediatamente esigibile all’etero

loga. E adesso potrebbero essere molti altri a imboccare questa via, considerando che sono circa 20mila le persone che, dall’entrata in vigore della legge 40 nel 2004 a oggi, sono andate all’estero per fare la fecondazione assistita con gameti ricevuti da donatori esterni alla coppia. Mentre altre 9mila ancora attendono in Italia.

Non solo azioni individuali a pioggia, ma anche un’azione collettiva, una class action. Questa possibilità è stata prospettata, all’indomani della decisione della Consulta, dagli avvocati Gianni Baldini e Filomena Gallo. E subito ripresa dalla stampa specializzata di settore. «Sono migliaia – ha scritto il Quotidiano sanità – le coppie che potrebbero decidere di fare una class action contro lo Stato italiano per colpa della legge 40 che per 10 anni ha vietato loro il ricorso alla fecondazione assistita eterologa».

La sentenza che lo scorso 9 aprile ha cancellato il divieto di eterologa, ha “valore sub costituzionale” (cioè non può essere superata nemmeno dal Parlamento attraverso modifiche legislative) ed è immediatamente eseguibile e retroattiva. Questo senza determinare alcun vuoto normativo, come ha chiarito lo stesso presidente della Corte Giuseppe Tesauro. «Da aprile ad oggi ho ricevuto moltissime telefonate e tanti messaggi su facebook da coppie che vorrebbero fare ricorso per accedere all’eterologa» dice il segretario dell’associazione Coscioni Filomena Gallo, in questi giorni al lavoro per preparare l’XI congresso dell’associazione che si terrà a Roma dal 19 al 21 settembre sul tema delle libertà civili. «Se non si partirà presto con queste tecniche, ormai legali e lecite, saranno i tribunali a decidere, proprio come è avvenuto a Bologna. In molti fra coloro che mi hanno contattato in queste ore – spiega Gallo – si sono rivolti ai centri di fecondazione e sono in lista d’attesa. I centri si stanno attrezzando e stanno valutando il da farsi. Ho consigliato alle coppie di farsi indicare tempi certi. In assenza di questi elementi, infatti, si configura una chiara lesione dei loro diritti». Il tergiversare della politica nel recepimento della sentenza della Consulta e la decisione del Consiglio dei ministri di affidare la materia al Parlamento non contribuiscono certo a sbloccare la situazione. E i tempi si allungheranno a dismisura. Basta ricordare le annose discussioni, ideologiche e prive di basi scientifiche che i cattolici, di destra e di sinistra, ingaggiarono in Aula nel 2004 e nel 2005 all’epoca del referendum.

Unica Regione italiana ad aver dato il via all’eterologa e ad avere delle linee guida della legge 40 (quelle nazionali sono scadute dl 2008) è la Toscana. Mentre nella Penisola il panorama si presenta assai frastagliato. Frena riguardo alla scelta della Toscana di rompere gli indugi dando piena attuazione alla sentenza della Consulta, il presidente della Conferenza delle Regioni Sergio Chiamparino: «Non c’è fretta e non c’è necessità di accelerazioni. Occorre un quadro normativo nazionale» ha dichiarato. «In attesa che il Parlamento si pronunci serve un atto di indirizzo unitario, concordato con il ministro Lorenzin e il governo», dice analogamente la governatrice umbra Catiuscia Marini. Ma i radicali di Perugia contestano questo suo temporeggiare: «Dopo la sentenza della Consulta le coppie sterili hanno diritto di accesso all’eterologa» si legge nella nota firmata da Andrea Maori e Antonio Ventura. «Di conseguenza un centro ospedaliero pubblico non può rifiutarsi di eseguire questa tecnica. Lo stesso vale per gli ospedali umbri. Se un centro si rifiutasse potrebbe essere portato in tribunale per interruzione di pubblico servizio».

«Credo che ormai sia urgente e indispensabile stringere i tempi sull’eterologa. Anche per evitare qualunque rischio e ogni possibilità di ricorsi e tentativi di rivalersi sulle Regioni» afferma l’assessore alla Sanità della Sardegna Luigi Arru. E aggiunge: «Abbiamo visto cosa succede, si va dinanzi ai giudici e non è mai una cosa che dovrebbe accadere ai cittadini. La Sardegna, insieme alle altre Regioni, porterà la questione sul tavolo romano per avviare il necessario confronto». A sollecitare una rapida soluzione è anche l’elevato numero di richieste di fecondazione eterologa che si registrano in Sardegna dove è particolarmente alto il rischio di trasmissione di malattie genetiche come la talassemia maior. «In assenza di indicazioni nazionali chiare – prosegue Arru – in alcune regioni l’eterologa non sarà accessibile. Le coppie residenti andranno in altre regioni e saranno autorizzate a chiedere il rimborso, vista la sentenza della Consulta. E questo determinerebbe dei costi molto più elevati, considerando anche il diritto dei cittadini di essere rimborsati di viaggio e soggiorno, oltre a non essere eticamente corretto».
Auspicano, anche per questo, un rapido accordo fra le Regioni gli assessori alla Salute della Liguria Claudio Montaldo e quello dell’Emilia Romagna, Claudio Lusenti che si dice pronto a varare linee guida “emiliane” se la Conferenza delle Regioni – che è stata annunciata per la prima settimana di settembre – non si muoverà rapidamente. L’incontro servirà anche a delineare i contorni di una divisione che attraversa non solo il Pd. «La Corte costituzionale ha stabilito che esiste un diritto all’eterologa, senza alcun vuoto legislativo, e tale diritto deve essere reso esigibile anche attraverso il servizio pubblico», ha dichiarato a la Stampa, un esponente del centrodestra, il coordinatore degli assessori alla Sanità della Conferenza, Luca Coletto (assessore alla Sanità del Veneto) che considera prioritario l’aggiornamento delle linee guida nazionali della legge 40.

Intanto, nei mesi a venire, sono attese nuove sentenze: la Corte costituzionale dovrà esprimersi ancora una volta sulla legge 40, in particolare sul divieto di donazione alla scienza degli embrioni non idonei alla gravidanza e sul divieto di accesso alle tecniche di fecondazione per le coppie portatrici di malattie genetiche. ( dal settimanale left del 30 agosto, aggiornato il 5 settembre 2014)

La sessualità oltre la legge 40.

Correggio, Giove ed Io

Correggio, Giove ed Io

Lo scontro culturale sulla procreazione medicalmente assistita , è stato centrale nella politica dell’ultimo decennio: pronunciandosi sulla legge 40 si affronta il punto nodale del rapporto fra realtà biologica e la realtà psichica cioè dell’identità umana. La mentalità cattolica da una parte afferma il dovere di rispettare la “naturalità” del biologico, assimilato al sacro, dall’altra, con l’opposizione all’“eterologa” si pensa di difendere l’identità della famiglia. I cattolici non riescono a comprendere il passaggio dal biologico al mentale, che caratterizza la nascita umana. Pensano che lo zigote sia “persona” o, genericamente “vita” solo in base al genoma. Il genoma da solo, non fa la “persona”, non definisce né un’identità umana né un’identità biologica: i gemelli omozigoti formano cervelli anatomicamente diversi già in utero, quando non può essere presente un’attività mentale. All’esame morfologico esterno i feti omozigoti potrebbero apparire identici ma non lo sono per effetto dell’epigenetica. L’interazione dei geni con l’ambiente biologico intrauterino e la selezione casuale delle linee cellulari neuronali orientano lo sviluppo e determinano la variabilità della corteccia cerebrale. Quest’ultima come un’impronta digitale è diversa in ciascun individuo. Il patrimonio genetico è una sequenza di nucleotidi che viene letta progressivamente: il risultato finale non è determinabile a priori. E’ pertanto infondato affermare che lo zigote, pura potenzialità, sia già vita e persona.
La vita umana comincia alla nascita quando si costituisce, nei primi istanti il fondamento dell’essere. La luce attiva la sostanza cerebrale: entra in azione immediatamente un insieme di geni, prima silenti e si ha l’emergenza del pensiero nel substrato biologico. La dinamica della nascita determina una cesura radicale fra prima e dopo. Il contenuto mentale che ne deriva è lo stesso per tutti indipendentemente dalla variabilità morfologica delle strutture cerebrali. Pensare la vita umana presuppone individuare un’uguaglianza fondamentale all’origine che rende possibile la creazione di un mondo condiviso.
La mentalità religiosa opera in direzione antiscientifica, per cui si pretende di far pronunciare ancora il Parlamento sulle conclusioni della Corte Costituzionale che ha accolto la legittimità dei ricorsi e dei pronunciamenti Europei su questo tema. Viene così ignorata la falsità dei presupposti della legge 40. Le valutazioni morali e religiose non possono sostituirsi alla conoscenza dei processi biologici ed entrare nel merito delle linee guida che, partendo da evidenze scientifiche, regolano il rapporto medico paziente. Dietro l’opposizione alla fecondazione eterologa e la preoccupazione che essa possa prestarsi a derive eugenetiche, c’è sempre l’idea che l’identità umana sia inscritta nella sequenza del DNA. La genitorialità sarebbe legata alla condivisione dei geni fra genitori e figli cioè, estensivamente, all’appartenenza non solo a un nucleo familiare ma a un’etnia. La variabilità biologica non esclude però un’uguaglianza di base sul piano mentale: la nascita è per ciascuno il punto di partenza della realizzazione d’un’identità personale. Annullare la nascita, come realtà psichica universale, porta a sostenere come nell’ideologia razzista, che la variabilità genetica, quando modifica il colore della pelle, degli occhi o la forma del cranio, assume il significato di “alterità” ed “estraneità”. Per i nazisti chi non condivideva i geni della “razza” ariana era considerato non umano, cioè “untermensch”. Tutta l’operazione politica che ha portato all’approvazione della legge 40, la complicità della sinistra subalterna all’antropologia cattolica, ha avuto il significato di un attacco alla libertà di scelta delle donne. La sessualità femminile però non è finalizzata alla procreazione come sostiene la mentalità religiosa: l’enfasi che è stata posta sugli aspetti genetici e puramente biologici della fecondazione ha occultato il senso più profondo del rapporto uomo-donna ed ha impegnato l’opinione pubblica in un dibattito che distoglie dal vero obiettivo: è necessaria una nuova antropologia, che riconosca il diritto a una sessualità libera dall’obbligo della procreazione.
Nella cultura cattolica, che ha ereditato dalla filosofia greca l’idea della superiorità del pensiero razionale, lo stereotipo rimane la donna madre. Il desiderio è ancor oggi confuso con l’istinto o la bramosia cieca da sublimare per raggiungere con l’astinenza la perfezione della vita spirituale. E’ necessario al contrario pensare a una sessualità che dall’adolescenza sia realizzazione della fusione fra la realtà materiale del corpo e la realtà non materiale della mente senza perdersi nelle derive di un materialismo cieco o di una spiritualità astratta. La dialettica con il diverso da sé, uomo o donna, è allora ricerca sulla propria e altrui dimensione non cosciente non più pensata come “inconoscibile” o espressione del male. ( Maria Gabriella Gatti)

 

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Machiavelli tradito

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 26, 2013

09cinquecento anni dalla sua stesura il Principe di Machiavelli ha ancora molto da dire alla classe politica oggi. Machiavelli aveva una concezione alta della politica. Era la sua grande passione. Insieme alle donne. E non ha mai detto che il fine giustifica i mezzi. Fu la Controriforma ad attaccarlo e a mistificare il suo pensiero, come racconta Maurizio Viroli

di Simona Maggiorelli

Fiero repubblicano, Niccolò Machiavelli scrisse il Principe (1513) ma non abdicò mai alle proprie convinzioni. Da «realista con immaginazione» quale era cercava, anche attraverso questo trattato, di far passare la propria visione alta della politica. «Che non era affatto scissa dai valori etici» sottolinea lo studioso Maurizio Viroli che allo scrittore fiorentino ha dedicato molti libri, fino ai recentissimi Scegliere il principe. I consigli di Machiavelli al cittadino elettore e La redenzione d’Italia. Saggio sul Principe di Machiavelli usciti entrambi per Laterza. A cui si aggiunge Machiavelli filosofo delle libertà edito da Castelvecchi. E proprio dal significato che Machiavelli attribuiva alla parola libertà prende avvio la nostra intervista al professore emerito di teoria politica dell’University of Princeton, che ora insegna all’Università della Svizzera italiana e alla University of Texas.

«Libertà per Machiavelli significava vivere libero» dice Viroli che il 19 ottobre al Teatro Niccolini di San Casciano (Fi) ha aperto un ciclo di conferenze organizzato da Laterza per i cinquecento anni dalla stesura del Principe.

«Questa è un’espressione molto chiara che ricorre più volte negli scritti. E’ riferita a un popolo, a una città ma anche a un individuo che vive senza essere dipendente dalla volontà arbitraria di altri. Machiavelli ha della libertà la concezione che viene dal mondo romano. E’ libera la persona non sottoposta a dominio di altre persone che gli possano impedire di realizzarsi. Una città, diceva Machiavelli, in cui c’è anche un solo uomo al di sopra delle leggi non si può dire libera. L’Italia, ai suoi tempi, non era libera perché era alla mercé delle potenze d’Oltralpe.
MACHIAVELLIMachiavelli fu uno strenuo difensore della libertà repubblicana. Ma la sua ricerca della libertà non riguardava solo la sfera pubblica…
C’è anche una dimensione interiore della libertà. Come caratteristica dell’individuo. Se si vuole essere una persona libera, scriveva, per prima cosa bisogna essere se stessi. Essere liberi significa avere profonde convinzioni e avere il coraggio di esprimerle e difenderle anche quando vanno contro le opinioni dominanti. Machiavelli in questo era ammirevole: esprimeva consapevolmente concetti politici e morali che contestavano l’opinione comune del suo tempo. Sa come lo chiamavano i suoi sottoposti e collaboratori in Cancelleria che lui servì dal 1448 al 1512? Lo chiamavano “cheppia”dal nome di un pesce che dal mare risale contro corrente i fiumi per andare a depositare le uova.
Dal suo Machiavelli filosofo delle libertà emerge un ritratto a tutto tondo dello scrittore e dell’uomo, «cittadino di impeccabile onestà e rettitudine» che amava soprattutto la politica e le donne. Parlando di passioni Machiavelli, lei ricorda,scriveva all’amico Vettori «tanto mi paion or dolci, or leggieri, or gravi quelle catene e fanno un mescolo di sorte che io giudico non poter vivere contento senza quella qualità di vita»…
Per Machiavelli vivere liberi significava non rifiutare le passioni. Lasciarsi andare per esempio alla passione amorosa, alla bellezza, agli affetti, senza paura di incorrere nel biasimo dei benpensanti. Quando l’amico Francesco Vettori gli chiese un consiglio riguardo a una donna molto bella ma più giovane di cui si era innamorato, Machiavelli rispose:«chi vuol fare a modo d’altri non fa mai nulla”. È “meglio fare e pentirsi, che non fare e pentirsi». Auree parole. Bisogna dire anche che amava la compagnia e il buon vino, le cene e bei vestiti. Anche se poi di buono ne aveva solo uno. Fautore della libertà repubblicana ammirava le libere città Svizzere e Tedesche, ma definiva la loro una rozza libertà. Avrebbe voluto una libertà più raffinata, e auspicava che L’Italia potesse conquistarla.

SHEEHAN 0609.qxpE qui veniamo al punto, Machiavelli non faceva “piccola politica”, pensava a una rinascita civile della patria, detestava servi, adulatori e cortigiani. Ma il Principe fu messo all’indice. E la sua immagine del libero pensatore fu gesuiticamente degradata a campione del machiavellismo, di un  tatticismo pronto a tutto. Come si spiega questo fraintendimento durato secoli?
Machiavelli pensava che la politica fosse la più nobile attività pratica dell’essere umano perché, se esercitata secondo le regole dell’arte, può costruire in terra delle opere di grande valore: fondare un vivere libero, emancipare un popolo, ridare dignità ad una nazione, liberare dalla corruzione. Solo la grande politica, che Machiavelli ha sempre teorizzato, difeso e praticato, può realizzare questi importanti obiettivi. Ma dalla Controriforma in poi Machiavelli è stato visto come il teorico del fine giustifica i mezzi, come il politico corrotto che vorrebbe essere giudicato diversamente dalle persone comuni. Tutte queste stupidaggini non stanno né in cielo né in terra. Non ci sono nei testi di Machiavelli. Sono nate – guardi un po’- dai pensatori politici della Controriforma che praticavano la politica come adattamento alla corruzione, esercizio del potere, soddisfazione delle peggiori ambizioni e il soffocamento delle libertà. Avevano bisogno di distruggere Niccolò Machiavelli nella sua grandezza per potere praticare un’idea di politica completamente diversa. Tattica raffinata che è stata usata spesso in Italia. Quando c’è un grande pensatore lo distruggi per continuare ad essere mediocre e per continuare ad agire indisturbato in maniera opposta.

Maurizio Viroli

Maurizio Viroli

Che lezione politica potremmo trarre da Machiavelli oggi?
Nel mio libro La libertà dei servi (Laterza) qualche anno fa ho usato molte idee di Machiavelli, in particolare quella che ho ricordato all’inizio, ovvero che una Repubblica non è più libera se esiste un uomo con un potere enorme. Questo è Machiavelli puro ed io l’ho applicato alla realtà italiana dove esisteva ( e in parte esiste ancora), un uomo con un potere enorme. Nemmeno i più detestabili cortigiani di Berlusconi sono stati in grado di confutare questa mia affermazione. Ma Machiavelli non ci insegna solo questo. Nel capitolo XXIV del Principe ci spiega perché l’Italia era ridotta allo stato penoso in cui si  trovava all’inizio del Cinquecento . La responsabilità, diceva, è dei nostri principi, capaci di scrivere una bella lettera (oggi diremmo un buon comunicato stampa), di imbastire qualche discorso di circostanza, essere bravissimi ad ordire inganni. In questo anche molti dei nostri politici sono invincibili. E soprattutto diceva  Machiavelli vogliono che le loro parole siano prese come verità assolute, come sentenze di oracoli. Infatti la forma che prediligono è la dichiarazione davanti a una selva di microfoni, perché non sono in grado di sostenere un vero contraddittorio. Cosa ci ha detto in sostanza Machiavelli? Che senza grandi politici una repubblica è condannata al declino, all’impoverimento sia materiale che morale, alla perdita della dignità e della libertà. Questa analisi sulla responsabilità dei principi che Machiavelli svolse agli inizi del Cinquecento può essere ripetuta con piccoli adattamenti alla realtà italiana. Ma Machiavelli ci ha anche detto come si fa a uscirne. Lo aveva capito, perché studiava la storia. Bisogna avere la fortuna che emerga da qualche parte  un politico, che abbia una grandezza straordinaria ma che soprattutto sia capace di suscitare in un popolo motivazioni e passioni di libertà. Ora nessuno è in grado di dire se e quando verrà un politico di questo tipo. Certo è che con i politici attuali l’Italia non avrà un riscatto morale, politico e civile.

Per riprendere un grande classico come Machiavelli e Guicciardini di Felix Gilbert ora ristampato da Einaudi, potremmo dire che la difesa del «particulare» ha prevalso in Italia?

Questo è vero. Ma bisogna anche dire che Guicciardini era un uomo che teneva molto al suo interesse, ma lo legava sempre alla dignità dell’Italia e di Firenze. Era un uomo attaccato alla propria ricchezza e al proprio status, ma fu anche un buon governatore di Modena e Reggio e rischiò la vita nella difesa di Parma. A me pare che oggi in Italia siano pochissimi i politici in grado d pronunciare parole come “io amo la Repubblica”, “amo il bene comune, il vivere libero”, ed essere credibili. Guicciardini, come Machiavelli, lo era.

Dal settimanale left -Avvenimenti del 19 ottobre 2013

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Le maghe di Babilonia

Posted by Simona Maggiorelli su dicembre 6, 2009

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Ishtar

Alla scoperta dell’antica Mesopotamia dove la donna aveva una libertà che poi Cristianesimo e Islam le avrebbero negato. Una mostra al British Museum e nuove campagne di recupero delle rovine per ricostruire l’antico splendore della città di Hammurabi. «In Iraq c’è ancora la guerra civile. E’ impossibile per gli archeologi occidentali andare a visitare i siti» racconta l’archeologo Paolo Brusasco di Simona Maggiorelli

Babilonia “culla della civiltà” si studiava da piccolissimi. In questa area del mondo, si leggeva nei libri di scuola c’erano stati i primi grandi risultati nelle scienze umane, l’invenzione della scrittura cuneiforme, il primo codice di leggi di Hammurabi. Ma anche l’arte degli aruspici e degli interpreti di sogni. Un mondo favoloso, fino allo controriforma Moratti, sfuggito miracolosamente alle maglie della scuola gentiliana improntata sugli anatemi biblici contro la torre di Babele. Ma poi sul quel sogno infantile di civiltà antica fatto di giardini pensili su inespugnabili ziqqurrat sono piombate d’un tratto le agghiaccianti distruzioni della Guerra del Golfo. “Operazioni chirurgiche” come venivano raccontate dalla Cnn, dalla Bbc e dalla Rai nel 1991. A cui si sono sommate le missioni angloamericane contro le presunte armi atomiche del dittatore iracheno Saddam Hussein. Un’operazione pretestuosa, del tutto folle che “ha lascito sul campo più di 4mila soldati occidentali uccisi. E un numero ancora incalcolabile di morti fra i civili iracheni”, come ricorda l’archeologo e docente dell’Università di Genova Paolo Brusasco ad incipit del suo libro La Mesopotamia prima dell’Islam (Bruno Mondadori). Di pari passo, come è noto, sono stati distrutti centinaia di importanti siti archeologici, mentre dal museo di Bagdad sono andati dispersi- distrutti o trafugati -più di ventimila reperti importanti (che datano dal 7mila a. C al mille d. C) di arte dei Sumeri, degli Assiri e dei Babilonesi. an00404485_001-map-of-world-da-scontCome ricostruisce puntualmente l’archeologo Friederick Mario Fales nella recente riedizione del suo Saccheggio in Mesopotamia uscito nel 2003 per la casa editrice Forum di Udine. “Ancora oggi non abbiamo una stima esaustiva e definitiva, i danni potrebbero essere di molto superiori- rilancia Brusasco-. In Iraq è in corso una guerra civile ed è ancora impossibile per la maggior parte di noi occidentali andare a visitare i siti archeologici”. A cominciare da quello dell’antichissima città di Babilonia, la capitale del regno di Hammurabi del II millennio a. C, insieme a Uruk ,una delle città simbolo della Mesopotamia. Nonché una delle più segnate dalla presenza di soldati. “Del tutto incuranti delle raccomandazioni preventive dell’Unesco le truppe angloamericane – racconta a left Paolo Brusasco – hanno scavato trincee in siti archeologici di primaria importanza e buona parte dei danni causati, purtroppo, saranno purtroppo irrecuperabili”. Non solo è stata danneggiata la porta istoriata di Ishtar,installando una base di elicotteri a ridosso delle antiche e friabili mura in terra cruda, ma sono andate in rovina anche le ricostruzioni anni 70 che Saddam Hussein aveva fatto fare in mattoni cotti. “Certamente restauri che non avevano nulla di scientifico e confezionati a misura della propaganda di regime -sottolinea Brusasco – ma alcuni sostengono che almeno sommariamente potessero dare l’idea dello splendore antico di Babilonia”. Così dopo aver raso al suolo centinai di siti, dopo aver trafugato e rivenduto su internet reperti preziosissimi di arte sumera, assira e babilonese, oggi l’occidente sembra voler cercare di correre ai ripari. Per senso di colpa ma anche perché la ricostruzione può essere un buon business . Fatto è che da più parti. si annunciano campagne internazionali di scavo e di recupero dell’antica città della Mesopotamia. Una, dal titolo “Il futuro di Babilonia” e con la partecipazione economica di importanti organismi internazionali, secondo l’agenzia Reuters, partirà a giorni.oldest-lovers

Professore sarà davvero possibile un recupero delle rovine dell’antica Babilonia e in quanto tempo?
In realtà ancora siamo solo alle operazioni preventive di studio e di messa a punto organizzativa di possibili campagne. Il direttore del dipartimento del Vicino Oriente del British Museum, John Curtis, ha fatto già una serie di ispezioni portando alla luce alcuni danni, purtroppo irreversibili. Una base militare anglo americana è stata costruita, per esempio, proprio sulle rovine attigue al palazzo di Nabucodonosor, il sovrano della deportazione ebraica del 597 a. C. I soldati hanno coperto le rovine archeologiche di ghiaia e le hanno cosparse di spray chimico per non sollevare la polvere. S’immagini i danni che un esercito potrebbe fare se domani si installasi a Pompei. A Babilonia addirittura molti container sono stati riempiti di terra prelevando materiali da siti diversi, la stratigrafia è irreversibilmente danneggiata. Gesti che la popolazione irachena ha letto come una volontà di appropriarsi in modo neocolonialista del passato e della storia di queste aree. Se un giorno si faranno nuovi scavi in queste zone sempre bisognerà sempre tener presente che esiste uno strato dell’invasione anglo-americana. Hanno creato un disastro inimmaginabile dal punto di vista della lettura del sito.

La mostra londinese ora al British esplora il mito di Babilonia, quanto certo “orientalismo” ha oscurato il nostro sguardo occidentale? Babilonia è città delle prime leggi di Hammurabi, di questa città che poi fu governata Nabucodonosor ne hanno parlato in termini favolosi gli autori classici, ma soprattutto la Bibbia. Nell’immaginario occidentale è sempre stata una città simbolo di tirannia ma anche di meraviglia e di stupore. I racconti dei profeti ebrei che hanno scritto in cattività a Babilonia ce l’hanno sempre raffigurata in termini negativi e fino agli scavi del 1800 non si è mai conosciuta in Occidente la vera Babilonia.

Babilonia la grande meretrice, Babilonia che verrà distrutta dal castigo di dio sono le immagini anche dantesche…
Una parte della mostra ora al British Museum di Londra si occupa appunto del mito di Babilonia e punta a metterne in luce gli aspetti fasulli, quelli su cui si è basata la visione distorta dell’occidente. Basta pensare al mito della torre di Babele, alla minaccia della confusione delle lingue. Alle leggende che dipingevano la città come regno del vizio. In realtà la famigerata torre non era che lo ziqqurrat del dio Marduk a cui si rifacevano più colture diverse. Babilonia era una città dove convivano in modo pacifico diverse etnie. L’ interpretazione che ne ha dato l’Occidente non corrisponde in nulla ai reperti scavati.terracotta

Il fatto che lo sguardo deformante della tradizione biblica si sia accanito soprattutto su figure femminili ( basta pensare a Semiramide) farebbe pensare che le donne in Mesopotamia godessero di una certa libertà. E’ così?
Io l’ho scritto, ma non sono il solo. In Mesopotamia la donna non aveva la posizione sociale che poi ritroviamo nella tradizione cristiana o nell’islam. Soprattutto nel terzo millennio, nel periodo sumerico, i codici di leggi trovati ci raccontano di tantissime regine, donne che avevano realmente potere. Poi nel codice di Hammurabi troviamo che la donna può intraprendere attività commerciali come imprenditrice e avere libero rapporto con l’esterno. C’era anche una specifica categoria di cosiddette sacerdotesse imprenditrici che avevano delle grandi proprietà fondiarie e le gestivano autonomamente. Ovviamente non c’era una vera parità fra uomo e donna, però possiamo dire che in Mesopotamia, dal III al I millennio a C. non c’è prova che esistessero degli Harem. Solo intorno al 900 a. C. fra gli Assiri compaiono, in concomitanza con l’emergere della propaganda maschile legata alla guerra e che determinò una serie di leggi che per la prima volta relegavano la donna in aree specifiche della casa e del palazzo.

La libertà sessuale della donna in Mesopotamia, lei scrive, “non è affatto associata a un’istintualità primitiva o animale”.
Sì la sessualità e la figura femminile non sono viste in accezione negativa. Il desiderio femminile non è represso ma è considerato un elemento di vita, un aspetto culturale. Per esempio nel mito di Gilgamesh, l’eroe di Uruk, che si narra sia vissuto intorno al 2675 a. C aveva un nemico, Enkidu, che viveva nella foresta ed detto un incivile. Prima di scontrarsi con Gilgamesh, però, Enkidu viene “civilizzato” da una prostituta. In Mesopotamia il fatto che le prostitute fossero immerse nella vita urbana ne faceva delle detentrici di cultura e conoscenza. Anche da altri testi antichi si comprende che la sessualità era un mezzo per conoscere i rapporti umani di cui la società viveva. Non si trova mai in questo contesto una caratterizzazione in negativo della donna come si trova nella Bibbia. E il desiderio non è qualcosa di immediato da sfogare o da reprimere. La sessualità viene inserita in un ordine di idee urbano e civile non animale.

Non c’è un senso del peccato come nella tradizione giudaico cristiana?
No in Mesopotamia non c’è qualcosa di simile.

VA Bab 4431In un modellino di un letto conservato al British Museum si coglie uno scambio di sguardi fortissimo fra un uomo e una donna. Una rappresentazione ben diversa dalle fredde anatomie di Pompei.
Nelle abitazioni in Mesopotamia si trovano placche sessuali come amuleti di fecondità. Si rifacevano a miti del matrimonio sacro fra due divinità. In Mesopotamia l’accoppiamento fra esseri umani e divinità era considerata all’origine del mondo. Anche per questo la sessualità veniva vista in modo positivo. Ma sessualità era anche l’intimità fra uomo e donna è vista in senso sentimentale, romantico. Questo abbraccio, questo letto che rappresenta il simbolo della vita di coppia, soprattutto in epoca sumerica, nel periodo più antico è molto legato a situazioni sentimentali più profonde.

Nella cultura della Mesopotamia il Logos, inteso come ragione non arriva a schiacciare un mondo di immagini e di passioni come accade a un certo punto nella Grecia antica?
La ragione in Mesopotamia è secondaria rispetto a una concezione del mondo e anche della scienza sempre divinatoria. Per l’uomo della Mesopotamia il rapporto con il mondo non è logico ma è in qualche modo illogico, talvolta legato ai presagi. Grande importanza aveva l’astronomia ma anche l’astrologia. La divinazione era considerata una scienza. C’erano indovini, esorcisti, scienziati, specializzati nella lettura dei pianeti e delle stelle, maghi, interpreti di sogni. C’è un approccio completamente diverso da quello della logica greca.

Lei scrive anche che è un pregiudizio pensare che solo la lingua e la scrittura siano sistemi altamente simbolici. Anche l’arte in Mesopotamia tende ad essere rappresentazione simbolica, talvolta quasi astratta?
In Mesopotamia l’arte non è mai mimetica della realtà alla maniera greca. Parte da un altro presupposto. Non c’è l’umanesimo greco. L’arte mesopotamica è un’arte sempre simbolica, tanto che anche quanto raffigura la realtà, come nelle stele o nei rilievi assiri che pur narrando di guerre, le traspongono sempre con elementi astratti su un piano simbolico. Si parte da un fatto, da un azione singola, ma si arriva poi a trasporla su un piano universale. Sono scene che non tendono a una prospettiva precisa, ma puntano a a un’evidenza viva, alla drammaticità del racconto. All’arte mesopotamica non interessa raffigurare la realtà per ciò che è.

da Left-Avvenimenti 7/2009 del 20 febbraio

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La forza di un pensiero libero

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 16, 2009

A venticinque anni dalla sua morte, a Regalbuto e a Firenze, due convegni dedicati all’attualità del socialismo di Riccardo Lombardi

di Simona Maggiorelli

Riccardo Lombardi

Riccardo Lombardi

ll 18 settembre di venticinque anni fa moriva uno storico padre della sinistra italiana, Riccardo Lombardi. Un leader antifascista dalla statura politica alta e coerente che all’indomani della liberazione aveva assunto l’incarico di prefetto di Milano proprio per il suo impegno nella resistenza e nel partito d’azione (che gli costò il carcere e la lesione di un polmone per le botte dei fascisti). Ma anche un politico che seppe rinnovarsi dando un’impronta laica e aprendo la sinistra socialista al rapporto con i giovani.

Forse anche per questa sua ricerca continua – oltreché per la sua intelligenza critica e sempre scomoda per l’establishment – fu tenuto ai margini del Psi. Di fatto Lombardi (che non amava le poltrone) non occupò mai troppo a lungo cariche di potere. Fu per poco tempo ministro nel primo governo De Gasperi e direttore de L’ Avanti per brevi periodi, mal digerito, anche lì, perché non cercava alleanze con i comunisti. Con un neologismo si diceva «a-comunista» per dire che non era anti-comunista né filo-comunista, ricorda l’nviato Agi Carlo Patrignani, che quando non aveva ancora vent’anni militò nella corrente lombardiana e, dopo lunghe ricerche, sta ultimando un importante libro di ricostruzione storica e biografica su Lombardi. per le edizioni L’Asino d’oro.

Di lui intanto, il giornalista romano ci offre un breve e appassionato ritratto: «Brillante uomo politico, onesto, eretico, solitario, Lombardi coltivò l’utopia di una società socialista, quella “che riesce riesce a dare a ciascun individuo la massima possibilità di decidere della propria esistenza e di costruire la propria vita” cercando di legare insieme quello che il comunismo non aveva saputo fare: libertà, uguaglianza e giustizia sociale».

E dell’originalità della proposta lombardiana il 18 settembre Patrignani, insieme al leader radicale Marco Pannella, all’economista Andrea Ventura, Giorgio Ruffolo e a molti altri parla al convegno che il Comune di Regalbuto, con l’adesione del presidente della Repubblica Napolitano, dedica al suo illustre cittadino (che in provincia di Enna nacque il 16 agosto del 1901 per trasferirsi poi a Milano, completando gli studi di ingegneria al Politecnico). Una originalità che si legge già nella sua adesione alle battaglie Radicali per la legge sul divorzio, per la cancellazione delle norme fasciste del codice Rocco e via di questo passo, fino alla battaglia sull’aborto, su cui ebbe maggiori esitazioni, ma non opposizioni come larga parte del gruppo dirigente dell’allora partito comunista.

Ma anche nella sua visione dell’economia, ricorda Andrea Ventura, ricercatore di Economia politica all’Università di Firenze: «Perché tentò di fare una “forza socialista dell’autonomia” che non fosse né sulla sponda dell’accordo con i cattolici né allineata sulle posizioni del Pci». Ma interessante è anche l’interpretazione che dette al concetto marxista di alienazione. «Vide chiaramente che nelle società socialiste il superamento dell’alienazione non si era realizzato. Bisognava pensare una economia che non fosse schiacciata sul liberalismo né orientata sul marxismo». Inoltre, aggiunge Ventura, «intuì che non conta solo la soddisfazione dei bisogni elementari ma anche di ciò che oggi chiameremmo esigenze e che riguardano i rapporti umani. La sua era una visione dell’uomo non meccanicistica, non appiattita  sull’economicismo».

carlo patrignani

carlo patrignani

Dell’attualità del pensiero di Lombardi, nella mattinata del 18 settembre si parla anche al Consiglio regionale della Toscana. Fra i relatori, oltre a Valdo Spini, l’accademico dei Lincei Michele Ciliberto che così sintetizza il suo pensiero: «Lombardi è stato uno dei più eminenti personaggi della storia repubblicana e del movimento operaio italiano per quattro motivi: è riuscito ad avere uno sguardo lucido e disincantato sull’Urss quando uomini come Nenni e Morandi erano chiusi in un orizzonte ottuso, acritico e subalterno a Stalin; ha saputo individuare il ruolo dello Stato nelle società moderne ripensando la lezione di Keynes; ha insegnato a una intera generazione a guardare al mondo in modo libero e autonomo senza lasciarsi opprimere dalla tradizione, dall’abitudine, dalla passività al senso comune. Ha saputo liberarsi dalle eredità dei cattivi maestri e dal peso di esperienze tanto tragiche quanto miserabili . “I ricordi sono turpi”, disse una volta e in questa aspra battuta – conclude il professore – c’è il sigillo di un’eticità che non è usuale nel nostro infelice Paese».

da left-avvenimenti 18 settembre 2009

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Donne, islam e democrazia

Posted by Simona Maggiorelli su luglio 15, 2009

for Neda, Iran

for Neda, Iran

Con Musulmane rivelate, l’antropologa di origini palestinesi Ruba Salih vince
il premio Pozzale. A left racconta  la sua ricerca

di Simona Maggiorelli

Lo sguardo di Ruba Salih sul mondo musulmano appare particolarmente prezioso a chi, in Occidente, voglia capire i mutamenti che hanno attraversato la galassia del mondo islamico nella storia e ciò che di nuovo si sta muovendo oggi. A cominciare dalla rivolta di tanti giovani di Teheran contro il regime di Ahmadinejad e che vede tante studentesse in prima fila. Di origini palestinesi e docente di Antropologia sociale all’università di Bologna e in quella di Exeter in Gran Bretagna, Ruba Salih partecipa di molte e diverse culture e nei suoi lavori offre inediti spaccati di comparazione. Come nel bel libro Musulmane rivelate (Carocci) che il  12 luglio 2009 riceverà il premio Pozzale. Con atteggiamento laico, convinta che le «le idee e le ideologie di natura religiosa vadano viste e analizzate come prodotti della realtà sociale sulla quale poi esercitano un’influenza» Salih racconta in questo agile volume come nei Paesi islamici stia cambiando il rapporto fra uomo e donna e il ruolo delle donne nella società. Da qui prende il la il nostro incontro.
Professoressa Salih, come legge l’ampia partecipazione di giovani donne alle proteste contro le elezioni truccate in Iran?
È ancora presto per capire in che cosa si trasformerà questa protesta, se chiederà cambiamenti radicali o si fermerà alla rivendicazione di elezioni più trasparenti. Certo è che le donne sono molto presenti nell’iconografia di questa rivolta. E non è un caso. In Iran le donne non sono mai state assenti dalla scena pubblica. C’è un immagine bellissima che circola in Rete: si vede una donna che ferma l’auto del presidente Ahmadinejad. A me pare molto significativa.
Che significato assume oggi il velo?
Il velo, in realtà,, non ha un solo significato. In alcune società islamiche può essere strumento di negoziazione. In situazioni di crisi economica o quando si aprono delle nicchie di lavoro, le donne escono  velate per non distruggere tutto l’equilibrio delle relazioni di genere. Le donne lo usano per ottenere una maggiore libertà fuori casa, comunicando agli uomini che questo non comporterà una rivoluzione dei rapporti familiari E in contesti dove le donne hanno pochi diritti, la protezione della famiglia è una garanzia.
Maometto non impose il velo a tutte le donne. Da dove nasce l’obbligo?
Il velo preesisteva all’islam. Per esempio era un’usanza della società sassanide. Lo indossavano le donne dei ceti più alti. A un certo punto, alcune sure del Corano che parlano dell’abbigliamento femminile vengono interpretate in senso normativo.
Accade durante l’espansione islamica?
Sì, quando l’islam si fonde con gli usi delle regioni conquistate. Infatti ci sono molti tipi di velo. Cambiano da zona a zona. Perché diverso è ogni volta l’intreccio fra islam e culture locali.
Perché questo controllo sul corpo delle donne?
Studiose come Fatima Mernissi hanno documentato come sul corpo femminile si siano accaniti tutti, dai nazionalisti ai religiosi, ai modernisti. Nel mio libro provo a raccontare come ognuno di loro tenti di visualizzare il proprio progetto di società sul corpo delle donne. In Iran nel ’36 fu vietato indossare il velo ma non vedo troppa differenza fra questo divieto e quello attuale che proibisce alla donne di uscire  senza. Sono due facce della stessa medaglia.
Dalla sua ricerca sul linguaggio della letteratura coloniale emerge come l’Oriente fosse «femminilizzato, velato, visto come seduttivo e pericoloso». Al razionalismo lucido del conquistatore si contrapponeva una società vista come pericolosamente irrazionale?
Quando l’Occidente comincia a usare nelle sue rappresentazioni dell’Oriente l’immagine delle donne musulmane inizia un processo che è ancora in atto. Il colonialismo e l’orientalismo nella sua versione letteraria si accaniscono nel costruire l’altro in modo che l’Occidente, per contrapposizione, appaia moderno, aperto, logico. L’ambito della sessualità, avvertito come oscuro, intimo, morboso diventa giocoforza serbatoio di metafore. Ma il fatto è che i modernisti arabi hanno fatto propria questa rappresentazione iniziando a vedere nelle donne proprio l’elemento da modernizzare. E se è vero che hanno stilato nuovi codici di famiglia (anche se concessi dall’alto) riconoscendo diritti alle donne, dall’altro lato hanno rotto la sfera di potere che le donne avevano e si è iniziato a svalutare il sapere femminile. Nella famiglia più estesa, anche se patriarcale, le donne potevano avere un ruolo di cui poi vengono spodestate nella famiglia nucleare moderna. E sappiamo bene che anche in Occidente non è stata un territorio di libertà per le donne.
Nel libro accenna anche alla cesura che avvenne nel passaggio dalla società araba tribale all’islam.
Nel 600 l’islam si presentava come una religione “moderna”. Il Corano fungeva un po’ da codice: riconosceva alle donne il diritto ereditario (quello alla proprietà c’era già prima) e inseriva tutta una serie di meccanismi di protezione in caso di ripudio e di divorzio. Abolì l’infanticidio delle bambine. L’islam fu anche un movimento a cui si accompagnarono tutta una serie di trasformazioni economiche e di urbanizzazione, parliamo di dinamiche storico sociali che incisero profondamente su quello che sarà il destino delle donne. In città le donne furono più recluse nella sfera domestica: era la prova dello status elevato della famiglia. Le società preislamiche, invece, erano nomadi e avevano tratti matrilineari. Le donne stavano fuori casa ed effettivamente pare fossero più libere. La verginità, per esempio, non era così importante e le donne avevano un ruolo nella vita pubblica.
Ancora le mogli del profeta godevano di certe libertà?
Le femministe che si sono messe a studiare il Corano per fare una dialettica con gli uomini sul piano interpretativo, si riferiscono proprio alla vicenda delle donne di Maometto per rivendicare un diverso rapporto fra i generi nell’islam. Tutte le religioni, anche se in modi diversi, opprimono le donne. Ma se il cristianesimo condanna la sessualità e il desiderio femminile, per l’islam non è peccato. è così?

Nell’islam le donne hanno diritto al piacere sessuale. L’impotenza del marito, anche nella Sharjah, è fra le possibili cause di divorzio a vantaggio delle donne. Così come l’assenza prolungata del marito. Ma c’è un fatto  contraddittorio che consiste nel controllo sui corpi delle donne e sulla sessualità femminile perché le società islamiche, non dimentichiamolo, sono società patriarcali. E la cultura patriarcale si impone come un macigno sulla libertà femminile. Ed è un fatto trasversale che accade anche in contesti culturali diversi. I molti delitti che si verificano in Italia, e di cui si ha più notizia in estate, vedono quasi sempre come vittime le donne, uccise da mariti e fidanzati perché hanno agito in modo disonorevole o secondo canoni o scelte diverse. Questo è il patriarcato. Un tipo di cultura che preesiste all’islam e si intreccia con esso. Una mentalità che oggi le femministe arabe vogliono separare dall’islam. Ma decostruire il patriarcato non è facile.

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Elogio dell’incertezza

Posted by Simona Maggiorelli su Maggio 31, 2009

Incontro  con lo scrittore  e navigatore Björn Larsson, che il 23 giugno sarà ospite al Festivaletterature di Roma

di Simona Maggiorelli

Larsson sul Rustica

Larsson sul Rustica

Mettersi in gioco fino in fondo, dare tutto di sé per la ricerca. Per la conoscenza. Sacrificare il tempo libero e anche la vita privata, se occorre. Pur di trovare quel vaccino per una malattia incurabile. Pur di scovare quella argomentazione stringente che spazzi via l’oscurantismo religioso. Pur di mettere a punto quella formula che permetta un balzo avanti dello sviluppo scientifico. I protagonisti del nuovo romanzo di Björn Larsson Otto personaggi in cerca (con autore) (Iperborea) sono scienziati, linguisti, filosofi illuministi uniti dal filo rosso della passione per la ricerca, animati da una tensione, da uno streben verso la scoperta, verso il raggiungimento di obiettivi alti, nell’interesse di tutti.

Personaggi affascinanti perché vivono di intuizioni, amano molto, rischiano pensieri nuovi. Ma anche perché, lungo questo percorso, hanno il coraggio di mettersi in crisi. Così lo scrittore e navigatore svedese che ha fatto appassionare il pubblico a straordinarie avventure di mare con romanzi come Il cerchio celtico, La vera storia del pirata Long John Silver e che si è raccontato in libri come La saggezza del mare o Bisogno di libertà (tutti pubblicati in Italia da Iperborea) in questo nuovo romanzo mette al centro della narrazione una straordinaria serie di avventure intellettuali. Fatte di successi, ma anche di molta fatica e talvolta di grossi scacchi.

171_Larsson-OttopersonaggiNon di rado accade nell’esperienza di questi otto ricercatori usciti dalla penna di Björn Larsson che un imprevisto li faccia derogare dalla strada intrapresa, che eventi esterni, nuovi incontri e cambiamenti interiori impongano loro un nuovo inizio. «La ricerca non è avulsa dalla vita e il cuore della scienza, così come di ogni altro sapere, non consiste in una serie di dogmi, di certezze inconfutabili», dice lo scrittore che il prossimo 23 giugno sarà ospite del Festival Letterature di Roma. «Semmai la scienza è una esplorazione senza fine che non approda a rassicuranti certezze, ma offre una gamma di probabilità, di ipotesi, una serie di approssimazioni». E in questo percorso di avvicinamento alla verità richiede di saper esercitare costruttivamente l’arte del dubbio. «L’idea stessa di scienza comporta il rifiuto di ogni determinismo di ogni astratto scientismo- approfondisce Larsson-, altrimenti lo scienziato si ridurrebbe a un tecnocrate. Ma c’è di più. Il ricercatore ha il diritto di poter fallire. Fa parte del gioco. Ma questo oggi non viene accettato. Per cui nell’università, sempre di più, si punta sulla ricerca applicata, quella che porterà certamente utili, e non sulla ricerca pura, quella di base». Ma se le storie di questi otto personaggi si presentano come una grande metafora del cercare più che del trovare, sono anche costruite come poetici apologhi sull’incertezza: «La gente preferisce darsi una spiegazione purché sia. L’astrologia nasce per questo- nota Larsson-. Io invece penso che, nell’incertezza, sia importante continuare a cercare. In scienza come in letteratura serve immaginazione ma non si può mentire». Scienza e letteratura, due mondi apparentemente lontanissimi, ma che Larsson dice invece di voler avvicinare, tenendo a mente un esempio importante: quello di Primo Levi, al quale idealmente è dedicato questo suo nuovo libro, nonostante il titolo giocosamente pirandelliano.«Primo Levi ha cercato un modo per farle convivere – spiega Larsson-. La scienza per lui era uno strumento per conoscere la realtà, per essere presente nella vita civile, un mezzo per cercare capire il perché delle cose. Molti scrittori sono sordi alle tematiche di scienza. Invece avere curiosità scientifica, cercare di capire Darwin, per esempio, è importante per aprirsi a una certa concezione della vita e dell’universo». Un’operazione di avvicinamento di scienza e letteratura che in Italia fu tentata anche da Italo Calvino, specie nei suoi ultimi anni.
«Sì per Calvino la scienza è stata molto importante però- sottolinea Larsson- gli è mancata quella passione che invece Primo Levi aveva». Levi, Calvino, Pirandello, in un italiano perfetto, Larsson, ne parla da scrittore e da studioso di letteratura, con sguardo cosmopolita. «L’andar per mare – spiega – mi piace anche perché non ti fa sentire di appartenere a un luogo. L’esilio è sempre stato considerato dagli scrittori come perdita di radici, ma può essere anche una ricchezza. Quando arrivo in un paese mi piace impararne la lingua, per partecipare, per non essere solo un osservatore». Un impegno preso così sul serio che quando Larsson ha scritto Bisogno di libertà in francese (la lingua che insegna da tanti anni all’Università di Lund) ha raccolto i complimenti della critica parigina per il suo «francese classico», ma curiosamente ha dovuto fare i conti con la riottosità dell’editore svedese che alla fine si è rifiutato di pubblicarlo perché il libro, a suo dire, sarebbe stato «troppo poco svedese». Non si poteva immaginare insulto peggiore per uno scrittore come Larsson che ha fatto della libertà, anche in senso geografico, la sua bandiera. «In realtà- commenta lo scrittore – io non mi sento il cantore della libertà tout court. Io tengo a una certa idea di libertà, che è quella interiore, quella che c’è nell’incertezza, nel non avere tutto determinato razionalmente a tavolino». E la libertà che sperimenta per mare? «In mare non si è poi così liberi- abbozza Larsson, che a bordo del suo Rustica ha vissuto interi anni – Provi ad andare in Scozia con una piccola barca, per lungo tempo non vedrà che acqua senza potersi fermare. Quella in mare è una libertà relativa. No io semmai parlo della libertà che c’è nella ricerca. Il vero significato di questo libro, in fondo, è che il Paradiso è un inferno». Prego?«Pensi a quanto possa essere noiosa la vita là. Nel paradiso non c’è ricerca, non c’è mistero, tutto è tremendamente chiaro. Ma poi come farebbero quelli in Paradiso a dire io sono felice se non conoscono nessun’altra condizione? Per fortuna è tutta una invenzione».

dal quotidiano Terra del 31 maggio 2009

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Nonostante Platone

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 27, 2009

2254752359_f3c00ba4ac_b1Il suo l’Amore è un dio uscito per Feltrinelli (dopo una fortunata serie radiofonica) è diventato rapidamente un best seller. Per la semplicità e il rigore con cui Eva Cantarella conduce i suoi lettori nell’universo della mitologia e nella vita della polis antica. Già al lavoro su un ideale seguito di quel libro, sulla vita nella Roma antica, fra un impegno accademico e l’altro, Eva Cantarella è a Firenze per il convegno Donne in rivolta,organizzato dal Maggio musicale.

Il tema scelto dalla docente di diritto greco e romano dell’Università di Milano è una originale rilettura dell’Orestea e in particolare di Clitemnestra, figura tragica per antonomasia che, con la complicità di Egisto, diventa l’assassina di Agamennone.

Professoressa Cantarella perché questa scelta?

Fra tutti i personaggi tragici femminili è quello che più è stato oggetto di riletture interessanti. Da Dacia Maraini e Valeria Parrella. In lei colpisce la violenza terribile, anche psicologica, verso i figli Oreste e Elettra. Le femministe hanno scritto che non era cattiva, originariamente violenta. Ma vittima di quella che una volta si chiamava oppressione di genere. Nell’Orestea questo non è così chiaro, ma da altre fonti emerge cheha subito ingiustizie, che ha grande dignità, forza di carattere,consapevolezza della condizione di oppressione che grava sulle donne. Una condizione da cui secondo la Clitemnestra classica se ne può uscire solo “con la scure”. Ma più a fondo il personaggio pone la necessità di riflettere su come trasformare il rapporto con l’uomo.

Da studiosa di diritto antico che cosa l’ha interessata?

Sulla scia di riletture di antichisti e letterati sono tornata a esaminare l’ultima parte della storia. Clitemnestra è morta, c’è il processo a Oreste. La sua assoluzione contiene tutto il sensodell’Orestea. È la nascita deldiritto. Ma avviene con una sentenza che stabilisce la superiorità del padre e la conseguente subalternità della donna. Le Erinni che rappresentano la passione, le emozioni, la parte femminile del mondo, sono sconfitte dalla ragione. La nascita del diritto si lega alla fine di una fase che qualcuno, forse non del tutto impropriamente, ha voluto dire di matriarcato. Ma oggi, prendendo spunto da interessanti riletture del mito, c’è chi dice che il diritto non debba essere solo ragione. Per essere giusto, il diritto deve comprendere anche le emozioni.

00-3-ganymede-ferrara1Le donne, dice Aristotele, vanno messe sotto tutela. Perché non hanno il logos,non sono in grado di deliberare. In questo passaggio l’immagine e l’identità femminile vengono negate, deformate. Santippe, per esempio, è tramandata come la pestilenziale moglie di Socrate. Che fosse solo ribelle alla sua logica astratta del filosofo?

Tutto si può dire in tempi di revisionismo come quelli in cui viviamo, ma affermare che i Greci non fossero misogini è davvero difficile. Già Esiodo dice che Pandora, la prima donna, nasce perché Zeus deve mandare un castigo agli uomini. Così la dota di grazia e di desiderio struggente, e ne fa «una trappola da cui non si può sfuggire».

Esiodo dice che da quel momento gli uomini non vivranno più bene. Quali sono le radici di questa misoginia che fa distinguere Omero fra mogli obbedienti come Penelope e pericolose sirene?

Si radica nella necessità di controllare le donne. Dietro c’è la paura della sessualità femminile. Le donne sono sessualmente incontinenti, non si sanno controllare e, dal momento che fanno anche i figli, bisogna appropriarsi delle conseguenze dei rapporti. La teorizzazione della necessaria subalternità femminile cresce intorno a questa equazione. Donna uguale non razionale, materia, passività. Uomo, cioè spirito, logos

e tutto quanto.

Questo attacco all’identità femminile sarà ancora più forte nel passaggio dall’epoca pagana al cristianesimo?

Si compirà con l’identificazione fra donna-sesso-peccato, tipica della religione cristiana. Quanto al diritto, la libertà che le donne romane avevano avuto, sul piano sociale anche se solo nell’ambito del matrimonio, si riduce con gli imperatori cattolici. Giustiniano, per esempio, vieta il divorzio. E compare la punizione dell’aborto che primanon c’era. Con i Severi on era vietato perché si pensa che il feto abbia solo spes animantis. Homo non recte dicitur dicono i giuristi romani a proposito del feto. Andrebbe detto a Giuliano Ferrara. Però la donna che abortisce senza il consenso del marito viene punita. Ma se ha il suo consenso può continuare a farlo. Il cristianesimo, si sa, condannava l’aborto, ma gli imperatori cristiani non riuscirono subito ad adeguarsi fino in fondo alla sua morale perché era troppo in contrasto con la mentalità romana. Per esempio non riescono a vietare il divorzio consensuale. Oggi, insomma, con la legge 40 sulla fecondazione assistita, siamo regrediti perfino rispetto ad allora.

Riprendendo il titolo del convegno, “Donne in rivolta” che cosa pensa del pensiero femminista contemporaneo che, per esempio, con Judith Butler associa la liberazione delle donne alla cultura omosessuale e transgender?

Una prospettiva di questo tipo, devo ammettere, mi lascia più che perplessa. Il pensiero femminista mi ha sempre interessato molto. Ma da un po’ di anni, confesso, non riesco più a seguirlo. Da quello che capisco di questa nuova stagione del femminismo di cui mi accenna, posso solo dire che non credo che la liberazione delle donne passi da una rinuncia di questo genere . Penso semmai che in ciascuno di noi ci possa essere, per così dire, “una parte femminile”, sensibile e una maschile intesa come capacità teorica, logica. Ma come fatto interiore, che è cosa ben diversa- da quel capisco- dalla cultura tansgender. Sul piano della vita pubblica, invece, mi pare sia da percorrere la strada a cui accennavamo di un diritto che possa comprendere ragione ed emozione, dunque un discorso di conciliazione dei sessi sul piano del diritto.

Per finire, tornando al tema della conferenza che terrà a Firenze, perché le eroine della letteratura, tutte le più belle, le più libere dell’Ottocento e Novecento vengono fatte morire dai loro autori? Come se dovessero espiare?

Forse perché sono storie scritte degli uomini. Ma a ben pensare, non proprio tutte muoiono. La protagonista di Casa di bambola di Ibsen, per esempio scappa dal marito. Quando facevo il ginnasio,ricordo, mi portarono a vedere Nora seconda di Cesare Giulio Viola. Io che allora avevo appena letto Ibsen, sono uscii furente: Nora seconda era la stessa Nora. Ma pentita.

Carmen e le altre

Sensuale, libera, fedele solo al proprio desiderio, incurante dei giudizi. Così Carlos Saura torna a pensare e immaginare Carmen, protagonista 25 anni fa di un suo storico film, Carmen story, realizzato a partire dalle coreografie di Antonio Gades e dalle musiche del chitarrista Paco de Lucia. Di fatto, ci voleva l’affascinante sigaraia di Mérimée per convincere il cineasta spagnolo a tornare a mettersi in gioco con la lirica. Galeotta la proposta che gli è arrivata dal Maggio musicale fiorentino di curare la regia di un’opera per questa settantunesima edizione del festival. Così, dal 30 aprile all’11 maggio 2007, al Comunale di Firenze la Carmen di Georges Bizet trova un nuovo allestimento. Sul podio, il maestro Zubin Metha a dirigere l’Orchestra del Maggio. A dare voce a Carmen sarà Julia Gertseva, mentre Marcelo Alvarez è Don Josè, il brigadiere innamorato e tradito che impazzisce di gelosia e la uccide davanti all’arena di Siviglia, dove l’amante di Carmen, Escamillo, sta toreando«Una vicenda – sottolinea Saura- tristemente attuale. Le cronache nere traboccano di delitti efferati in cui la vittima è quasi sempre la donna». Ma il regista spagnolo, che si dice convinto che la radice del problema stia, in primis, nella testa degli uomini che temono il desiderio e la libertà delle donne («gli uomini perdono sempre la testa per Carmen ma poi vogliono farla diventare moglie e madre») non ha scelto una chiave realistica per questa sua nuova Carmen. Al contrario. Invece della assolata Spagna che potremmo aspettarci, punta su una raffinata veste scenografica, fatta di chiaroscuri e ombre cinesi. Ricreando in teatro quei giochi di luce che ora va sperimentando al cinema con Vincenzo Storaro, in un nuovo film sul mito di Don Giovanni, visto attraverso le vicende del librettista Lorenzo Da Ponte. Da una tragica storia di passione e morte, tipicamente ottocentesca, la 71/a edizione del Maggio approda il 5 giugno alla Phaedra contemporanea del compositore Hans Werner Henze. Poi il 21 giugno, proseguendo in un viaggio alla riscoperta delle figure femminili meno convenzionali della tradizione lirica, al Comunale torna Lady Macbeth nel distretto di Mzensk di Sostakovic diretta da James Conlon. Due i monologhi teatrali quest’anno: Il dolore di Marguerite Duras, interpretato da Mariangela Melato e la controversa Erodias di Testori riproposta da Lombardi e Tiezzi al Museo del Bargello. Mentre l’apertura del festival, il 26 aprile, è affidata a Charlotte Rampling (in foto), voce recitante de Il sopravvissuto di Varsavia di Schönberg direttoda Zubin Metha e con Peter Greenway nell’insolita veste di video jokey.Ma è soprattutto il trittico di debutti operistici a connotare questa edizione del Maggio dal titolo “Donne contro”, come racconta il direttore artistico Paolo Arcà: «Carmen, Fedra, Lady Macbeth, pur diversissime fra loro, sono tre protagoniste del teatro in musica con una personalità nitida, che si rapportano al loro ambiente con una caratterizzazione forte, vibrante, mai asservita o subalterna». Donne contro, certamente, ma anche eroine fragili, tragiche, come Katerina che Sostakovic fa precipitare in un gorgo autodistruttivo di fronte alla violenza dell’ambiente circostante, rappresentato da un mondo di pupazzi.


da left-Avvenimenti maggio 2008

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