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Una tv confessionale?

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 14, 2015

CAn9LD4WQAIMoNsLa presenza del Vaticano e della religione cattolica in tv è diventata più pervasiva che nella Prima  Repubblica. E senza contradditorio. La ricerca di Critica liberale, commentata su left dal filosofo Carlo Alberto Viano. L’indagine stilata da Valeria Ferro è stata presentata il 13 aprile al Centro convegni Stelline in una serata organizzata dal Circolo Rosselli di Milano, con Gigliola Toniollo della Cglil nuovi diritti, Enzo Marzo, direttore di Critica Liberale, il professor  Marco Marzano e  il giurista Giulio Vigevani. (Presto sarà online la registrazione di Radio Radicale).

di Simona Maggiorelli
La tv pubblica trasmette la Messa e altre funzioni cattoliche tramite Rai Vaticano che collabora direttamente con il Centro tv Vaticano. La Rai manda in onda trasmissioni devozionali (tipo Una voce per Padre Pio) e fa dottrina con A sua immagine. Inoltre riporta ciò che dice il Papa quotidianamente nei telegiornali, offrendogli un posto di primo piano nella gerarchia delle notizie. Presenta “approfondimenti” molto orientati in senso religioso come La grande storia che lo scorso agosto ha dedicato una puntata a Medjugorje.

Contemporaneamente la Rai produce sempre più fiction con preti e santi e infarcisce talk show e format pomeridiani come La vita in diretta di presenze confessionali e di soubrette neo convertite. Esemplare il caso di Claudia Koll che, con la fede, ha trovato una nuova visibilità, insieme alla miracolata Sandra Milo. Quanto a Porta a Porta quest’anno ha addirittura aumentato le puntate a tema cattolico, arrivando a 15, dando ampio spazio al prete che tenne a battesimo il ministro  Maria Elena Boschi e a fans di Papa Bergoglio come Eugenio Scalfari e Vittorino Andreoli ( che ha una rubrica fissa su Avvenire), spacciati per laici.

Ma potremmo fare anche tanti altri esempi della capillare presenza cattolica in Rai e nelle tv private continuando ad attingere alla ampia indagine di Critica Liberale, pubblicata sul nuovo numero della rivista. Il senso però non cambierebbe: prendendo in esame la stagione tv 2013-2014 il dossier evidenzia una presenza assolutamente dominante dei cattolici sui media nostrani. Pari al 99 per cento, confermando un trend in atto da tempo, secondo le stime della Uaar che, sulla base di questo IV Rapporto su confessioni religiose e tv, ha fatto un esposto al Agcom, ottenendo dall’organo di vigilanza una risposta a dir poco evasiva, che invita gli esclusi a rivolgersi ai programmi dell’accesso. «Una risposta indecente, significa che l’Agcom non conosce la parola pluralismo – chiosa Enzo Marzo, direttore di Critica Liberale -.E allora perché la ripresa della Messa non viene relegata in quello spazio?».

I miracoli della tv intanto sono stati smascherati con un’analisi rigorosa. «La nostra ricerca ha preso in esame 7 reti generaliste italiane, dividendo i programmi religiosi per genere, produzioni, film, documentari, programmi di informazione riscontrando che raramente si danno informazioni sulle religioni, ma vengono prediletti gli aspetti più folkloristici di figure confessionali, in particolare di Papa Francesco e circostanze stupefacenti, come i miracoli. Con una modalità che non prevede dibattiti ma solo l’esposizione del fenomeno», spiega Valeria Ferro che ha lavorato al dossier. Quanto allo sbandierato successo di serie tv come Don Matteo «deve la sua fortuna a Terence Hill che indossa l’abito talare o la divisa di guardia forestale con la stessa prestazione recitativa, ottenendo la medesima reazione favorevole del suo pubblico», risponde l’esperta, specificando che la presenza in tv è determinante nella costruzione del successo di qualunque personaggio. «Vale per i politici, gente di spettacolo e per i religiosi», dice Ferro sottolineando che da questo punto di vista «il Papa gode di un’esposizione eccezionale» e che «la narrazione di Bergoglio in tv è sempre positiva e popolare». Anche quando la tv rilancia i suoi anatemi contro l’aborto, l’eutanasia e le coppie di fatto. «I diritti civili nelle tv nostrane hanno sempre avuto un’attenzione assai ridotta», rileva Valeria Ferro. «La Chiesa cattolica ha invece potuto contare sul favore dell’emittenza pubblica e di gran parte di quella privata. Non c’è informazione, solo propaganda». Nonostante atei e agnostici in Italia siano circa il 10 per cento. Una fetta del Paese che non ha voce in tv, denuncia la Uaar. «Le rare volte che si parla degli atei lo si fa in termini negativi. Un esempio? Nell’edizione serale del Tg1 del 7 aprile 2013 gli atei sono stati definiti «disabili del cuore».

«L’invadenza dei cattolici in Tv è molto cresciuta perfino rispetto alla Prima Repubblica e al predominio democristiano che la caratterizzava» dichiara il filosofo Carlo Alberto Viano, autore di libri come Laici in ginocchio (Laterza) e membro arte del comitato scientifico di Critica Liberale. «Le fiction popolate da preti e suore ne sono il segno. Ettore Bernabei non è più il patron cattolico della Rai ma continua a essere presente con le sue produzioni. Santi e miracoli sono poi pane quotidiano». Contribuendo a un vero e proprio caso Italia. «Certamente cose così non rientrano nei modelli di tv ai quali tutti, a parole, si rifanno, in primo luogo la Bbc», nota Viano. E poi aggiunge: «Ciò che non approvo è non tanto la presenza di voci cattoliche in tv, quanto l’assenza di voci almeno estranee, se non critiche. La colpa è anche della cultura laica, perché, accanto ai miracoli, dilagano i misteri, e nessuno che si faccia avanti a dire che si tratta di mistificazioni. Le poche volte in cui sono stato invitato in tv c’era sempre chi mi mi esortava a essere prudente, perché i mostri sacri hanno un’arma segreta: provocare il silenzio intorno a chi ne infrange il culto. Infine bisogna ammettere – nota il professore con rammarico – che tanta parte della cultura laica guarda con indulgenza a quella cattolica, in cui trova complicità nel respingere il sapere e le scomode demistificazioni delle ideologie vecchie e nuove».

Una complicità che diventa addirittura agiografia di Papa Francesco, perfino su giornali che si dicono laici come Repubblica. «Intorno ai papi si sono sempre creati miti – ricorda Viano -.Quanto c’è voluto per parlare delle simpatie tedesche e reticenze di Pacelli? Chi ricorda mai che Roncalli è stato un fascista? Per non dire delle mistificazioni di Giovanni Paolo II». Ma l’ unilaterale esaltazione di Papa Francesco non rischia di ricacciare nell’ombra crimini come la pedofilia clericale e scandali come i soldi riciclati dallo Ior? «Se il Papa correggesse gli abusi sessuali e finanziari della Chiesa sarebbe ora – risponde Viano -. Ma non vedo perché debba diventare un modello per laici che hanno sempre denunciato quegli scandali nella Chiesa e altrove. Non capisco gli entusiasmi di molti “laici”: nel suo appello alla carità ci sono faciloneria, concessioni alle superstizioni carismatiche e populismo di stile argentino. Molti si fanno incantare da invettive contro banche e denaro e diventano ciechi nei confronti delle esplicite imposture della predicazione papale». Nonostante tutto questo, però, il tasso di secolarizzazione della società italiana continua a crescere, come documenta di anno in anno il Rapporto stilato da Critica Liberale con la Cgil nuovi diritti. «La secolarizzazione ha fatto grandi passi anche da noi. Molti italiani non sanno nulla di religione o non le danno importanza, ma soprattutto non rispettano le condotte prescritte dalla Chiesa. Ci sono però insidie nove. L’Islam ha grande forza come strumento per mantenere la soggezione delle donne. E il cattolicesimo come espressione delle “radici”, indipendentemente da dogmi e tabù, potrebbe trovare in questo parte della forza perduta». Ma se la società è sempre più laica non lo è la classe di governo in Italia. Il Papa interviene di continuo su decisioni che spettano al Parlamento e una politica genuflessa ha prodotto norme come la legge 40 e, negli ultimi giorni, anche il divieto di adozione per i single e l’obbligo di test e ricetta per la pillola dei 5 giorni dopo.
«E’ insopportabile il modo in cui il Papa entra nei dettagli dello Stato italiano, essendo a capo di una Chiesa che ha voluto fare del proprio sommo sacerdote un capo di Stato. E spesso Bergoglio, che esibisce umiltà – sottolinea Viano – non mostra riguardo per chi non si riconosce nella Chiesa. Ha proposto di trattare con pietà i peccatori, ma dichiara che la morale cattolica non si cambia. Chi si sente peccatore potrà apprezzare di essere trattato con pietà, ma chi non accetta il codice della Chiesa esige rispetto. Realisticamente non c’è da aspettarsi riserbo da parte della Chiesa, di nessuna Chiesa, ma in un Paese laico non starebbe male un risposta adeguata alle aggressioni ecclesiastiche e sarebbe tenuto al rispetto della laicità chi lavora in istituzioni pubbliche. Ma -ribadisce Viano – è la cultura laica a essere poco reattiva e Papa Francesco ha fatto perdere la testa a molti: Scalfari pretende di interpretare il pensiero papale in interviste imbarazzanti per il Vaticano e per molti laici. Così spesso la discussione si è spostata sulla morale. I laici ne hanno una? «Indignati, hanno replicato di averne una, e pubblica. Poi – conclude il filosofo torinese -, alcuni hanno anche rivendicato una religione civile. Io francamente con la religione civile andrei cauto, anche con la morale, perché quando ne parlano i laici sembrano succubi della religione. Certe intemerate sul relativismo etico le lascerei ai preti».

dal settimanale left,  marzo 2015

Un anno dopo marzo 2016, il nuovo rapporto:

Varicano tv

Il primato Vaticano sulla Rai  altre tv italiane

Non è più solo il prezioso rapporto sulla secolarizzazione in Italia redatto da Critica liberale a documentare, di anno in anno, la progressiva disaffezione degli italiani verso la religione cattolica e i suoi riti.  Comincia ad essere una realtà ben presente anche nelle ricerche del Censis, dell’Istat e di altri istituti di indagine. In particolare la progressiva secolarizzazione del Bel Paese emerge in modo lampante da una ricerca Istat (diffusa dal quotidiano La Stampa). Questo in sintesi: mentre dieci anni fa una persona su tre ( il 33,4%) dichiarava di frequentare luoghi di culto almeno una volta alla settimana, la percentuale oggi è scesa al 29%.  Le persone che dichiarano di non frequentare mai luoghi di culto sono passate dal 17,2 al 21,4%. Ma c’è un altro dato interessante da sottolineare: che non sono solo i ventenni italiani a perdere la fede, ma anzi  – rispetto al 2006 – oggi sono anche le persone tra i 55 e i 59 anni a disertare i luoghi di culto, che  hanno perso il 30% di fedeli all’interno di quella fascia di età. Ma anche fra i 60-64enni  si registra un calo pare al 25%.

Nonostante tutto questo. O forse proprio per questo, ovvero perché la Chiesa sta perdendo rapidamente terreno in Italia, l’offensiva vaticana si fa più massiccia in tv. Anche sulle reti pubbliche italiane, complice un servizio pubblico genuflesso.  Basti dire che – come documenta il V rapporto sulle confessioni religiose e tv redatto da Critica Liberale (con la collaborazione di una agenzia che ha fatto un lavoro scientifico analizzando 7 tv lungo tutto l’anno) – le trasmissioni dedicate ad argomenti religiosi hanno subito un incremento da 355 a 380 ore. Appuntamenti fissi  continuano ad essere trasmissioni settimanali di taglio agiografico fin dal titolo: “A sua immagine”, “Sulla via di Damasco”, “Le frontiere dello spirito”. Senza contare che la tv pubblica  fa a gara con quella privata in Italia per trasmettere l’Angelus, messe di Natale e non solo.

Di tutte le trasmissioni a tema religioso prese in esame dalla studiosa Valeria Ferro nell’ultimo anno emerge che « l’11,5%  ha analizzato la figura di Papa Francesco e solo l’1,7% (pari ad un’ora nell’anno) ha trattato le vicende relative agli scan­dali vaticani, dai casi di pedofilia e agli illeciti finanziari». I soggetti confessio­nali invitati in tv «hanno privilegiato i temi legati alle questioni religiose (25%), alla figura del Papa (17%) e per il 12,5% si sono occupati di miracoli».  Paghiamo il canone anche per vedere «trasmissioni che spesso si occupano di fenomeni straordinari legati alla fede cattolica, raccontando – sottolinea Valeria Ferro –  di guarigioni inspiega­bili, di apparizioni e di altri eventi prodigiosi, come fa, ad esempio, “Storie vere”, a dispetto del titolo!».  Il problema dunque non sono solo le fiction che raccontano i santi o le serie tv in stile Don Matteo che in un anno sono raddoppiate (da 311 a 603) sulle reti generaliste, ma anche i programmi di intrattenimento che si spacciano per programmi di informazione. Un esempio per tutti per quanto riguarda la Rai:  Porta a Porta. Il programma di Bruno Vespa su Raiuno ha aumentato consi­derevolmente le puntate in cui si è oc­cupata di questioni religiose. «Si è pas­sati, infatti dalle 13 del 2012­ 13 e le 15 della scorsa stagione alle 34 dell’anno in esame», rileva Ferro nel saggio che  apre l’ampio dossier annuale pubblicato dal trimetrale Critica Liberale diretto da Enzo Marzo «Ai temi religiosi sono state dedicate 11 ore e mezza nel 2012­ 13, 7 ore lo scorso anno e 15 ore e 40 minuti nell’ultima stagione. I soggetti confes­sionali ospitati nel salotto buono di Raiuno sono stati 142 nel 2012­ 13, 67 durante la scorsa stagione».

Insomma la stagione televisiva 2014­ 2015 ha confermato la centralità della reli­ gione cattolica sia nei programmi di informazione sia in quelli di fiction. «Un elemento nuovo, rispetto alle sta­gioni precedenti, è costituito dalla maggiore presenza di soggetti confes­sionali e di temi legati all’Islam nelle trasmissioni di approfondimento», ma fa notare Valeria Ferro, soprattutto « nel contesto di terrorismo e di crisi internazionali».  E se da una parte  l’Islam viene criminalizzato collegandolo tout court al terrorismo, dall’altra le tv pubbliche si fanno megafono delle campagne di propoaganda cattolica messe in atto dal Vaticano di papa Francesco, omettendo di dire che il Giubileo è stato un totale flop.

« I dati contenuti in questo quinto rapporto sono veramenta scandalosi e mostrano quanti programmi di propaganda cattolica ci siano in Tv in Italia», ha denunciato Enzo Marzo direttore di Critica liberale e componente della società Pannunzio per la libertà di informazione presentando la ricerca alla Camera.«Quello che noto è che più aumenta la secolarizzazione,  più aumenta l’invasione mediatica del Vaticano che condiziona il mondo politico italiano. L’ insipienza e incapacità politica del mondo non clericale nel reagire mi pare però altrettanto evidente. Le vittime dovrebbero rispondere. Dobbiamo assolutamente cercare di fermare questa deriva».

« Bene ha fatto la Uaar a fare un esposto all’Agcom sulla base di questi dati; i cittadini devono cominciare a organizzarsi, visto che manca la volontà politica di intervenire. Bisogna cominciare a fare dei ricorsi- ha detto Andrea Maestri di Sel -. Ciò che emerge da questo quadro è che vengono violati i principi della pluralità e il principio della laicità dello Stato, che è un cardine. La laicità dello Stato è un principio ribadito di recente anche da una bella sentenza del Tar di Bologna quando ha invalidato  l’autorizzazione alla benedizione pasquale di aule scolastiche. Dobbiamo farci sentire come cittadini per far valere questi principi e diritti fondamentali». ( dal settimanale Left- marzo 2016)

@simonamaggiorel

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Federico II, il re scienziato. Raccontato da Pietro Greco

Posted by Simona Maggiorelli su novembre 29, 2014

federico II  exultet, salerno Biblioteca Capitolare

federico II exultet, salerno Biblioteca Capitolare

La Sicilia medievale non fu solo la culla della poesia italiana. Ma anche del metodo sperimentale. Che il sovrano usò nei suoi studi. Lo ricostruisce Pietro Greco nel libro, La scienza e l’Europa. Dalle origini al XIII secolo, edito dall’Asino d’oro (il volume sarà presentato oggi alle 17,30 alla Feltrinelli di Latina da Federico Tulli e Felice Costanti). Eccone un estratto
di Pietro Greco
Federico interroga i filosofi naturali in maniera sistematica. E non solo quelli della sua corte. Anzi, le serie di domande più significative sono rivolte a filosofi islamici che vivono nelle terre arabe, in particolare a Ibn Sab‘ıˉn (1217-1270), e al matematico pisano Leonardo Fibonacci…

Seguiamo l’intenso scambio epistolare, tutt’altro che convenzionale, che, tra il 1237 e il 1242, intercorre tra il ‘re dei Romani’ e Ibn Sab‘ıˉn: dopo l’inusuale crociata che lo ha incoronato re di Gerusalemme, Federico cerca di interloquire in maniera sistematica con i filosofi islamici. Ha una serie di cinque domande fondamentali – passate alla storia come le “questioni siciliane” – che non riguardano solo la filosofia naturale, ma la filosofia tout court. Attengono, infatti, all’eternità dell’universo, al fine ultimo della teologia, alle categorie di Aristotele, all’immortalità dell’anima.

L’ultima domanda, la quinta, esula addirittura dalla filosofia ed è considerata una curiositas.

I quattro temi principali sono al centro di un dibattito che si va sviluppando in Europa, proprio dopo le traduzioni degli scritti di Aristotele e delle loro interpretazioni. In primis quella di Averroè.
Federico è curioso di sapere cosa ne pensino i filosofi islamici, che lui considera, non a torto, di un livello culturale non ancora raggiunto nell’Europa occidentale. Invia, dunque, le sue domande in giro per il mondo islamico, ai migliori filosofi di Egitto, Siria, Yemen, Iraq…

Come in poesia, infatti, Federico non si limita a studiare la filosofia naturale e organizzare la cultura scientifica alla sua corte. Il re non è solo un mecenate. È anche un attore in prima persona. È un filosofo naturale, il primo in Europa che fa ricerca, ottiene risultati originali e li pubblica. Il primo che ottiene nuova tecnologia dalle sue ricerche. Dopo lunghe osservazioni empiriche e studi teorici durati trent’anni, scrive infatti un libro che rappresenta una pietra miliare nella storia della scienza. Almeno nella storia della scienza europea e italiana: il De arte venandi cum avibus. Un manuale di oltre mille pagine sull’arte della caccia con il falco, che circola in molte copie illustrate per tutto il XIII e anche il XIV secolo e che può essere considerato, a giusto titolo, il primo prodotto originale di filosofia naturale in Europa. Insomma, il primo libro europeo che contiene nuove conoscenze sulla natura. Un libro, per intenderci, che nella filosofia naturale ha un ruolo analogo a quello del Liber abaci di Fibonacci in matematica.

Nell’elaborare il suo De arte venandi cum avibus Federico II non si limita neppure a descrivere le sue esperienze, ma segue un percorso complesso che prevede tutti gli stadi della ricerca che oggi definiamo scientifica.
Inizia da un’analisi attenta e completa della letteratura esistente, che è, soprattutto, letteratura greca e araba. Cerca così tutti i trattati di ornitologia e, più in generale, tutti i trattati che riguardano gli animali e, alcuni, li fa tradurre. Studia in particolare il De animalibus di Aristotele. Ma chiede: a Michele Scoto di realizzare un compendio del De animalibus di Avicenna; a Teodoro di Antiochia di tradurre in latino il Moamin, il celebre trattato di falconeria scritto dal medico arabo al-Balkhıˉ (850-932); a Giordano Ruffo (m. 1257) di scrivere un trattato di veterinaria equina, Hippiatria, il primo trattato di veterinaria realizzato in Europa. L’analisi della letteratura esistente è solo il primo passo, l’azione propedeutica, per la ricerca empirica. Non bisogna, infatti, dare per scontato che quello che hanno scritto gli antichi, anche i più grandi, sia vero. Scrive in maniera esplicita Federico: «Su molti argomenti Aristotele, come abbiamo appreso attraverso l’esperienza, sembra discostarsi dal vero soprattutto a proposito delle nature di alcuni uccelli. Non seguiamo perciò punto per punto il principe dei Filosofi in quanto verosimilmente egli praticò poco o nulla la caccia con gli uccelli che noi invece abbiamo sempre amata e praticata». Non vale, dunque, l’ipse dixit. Ed è possibile intravedere in queste parole almeno un’anticipazione di quello scetticismo sistematico che è uno dei valori fondanti della scienza.
Con questo bagaglio di conoscenze e di sano scetticismo, Federico compie poi una serie di esperimenti per chiarire questioni che la letteratura non ha ancora risolato. Per esempio verifica in Puglia che le uova di struzzo possono essere incubate al sole. Dimostra che gli avvoltoi mangiano solo animali morti…

Con il suo libro, dunque, Federico non si propone solo come il primo sovrano europeo dedito alla ricerca sperimentale, ma come uno dei primi scienziati europei, come uno dei primi studiosi che, nell’appendice più occidentale dell’Eurasia, è stato capace di produrre nuove conoscenze con il metodo sperimentale, fornendo dal Regno di Sicilia un contributo forse non ancora pienamente apprezzato nella costruzione di una identità europea….
Con lamorte di Federico II nel 1250 un’epoca si chiude e un’altra se ne apre. Con la sua scomparsa comincia la lezione della sua eredità in cui possiamo davvero ritenere chiuso il Medioevo: il primato della sperimentazione scientifica, il prevalere della logica sulla teologia. Non è esagerato attribuire a Federico un ruolo così importante. In fondo, lo abbiamo visto, alla sua corte e nato o, comunque, ha avuto un forte sviluppo il diritto moderno; e nata la letteratura italiana e si e affacciata in Europa la scienza sperimentale. Con lui il conflitto tra Chiesa e impero diviene, per la prima volta, un conflitto anche tra fede e ragione.

All’apice di uno scontro senza precedenti, Gregorio IX accusa Federico di andar dicendo che l’uomo non dovrebbe credere in qualche cosa che non possa essere provato dalla forza e dalla ragione della natura.

Certo, Federico si e lasciato largamente influenzare dal modo di operare dei sultani islamici. Ma nulla di simile si era visto mai in Europa. Certo, altri sovrani europei vanno manifestando, in questa prima parte del XIII secolo, interessi analoghi. Segno evidente che Federico non rappresenta una fluttuazione strana, ma la punta emergente del bisogno di un nuovo ordine, del bisogno sociale diffuso di nuova conoscenza, di nuovo sapere intorno alla natura, di cultura scientifica. Ma, appunto, e lui la punta emergente. Non altri. Leonardo Fibonacci in matematica e Federico II nelle scienze naturali, con la loro capacità di produrre nuova conoscenza, possono essere considerati, a giusta ragione, i primi scienziati d’Europa. I pionieri che danno inizio a un’avventura inedita nel continente, che immediatamente si consolida e che costituisce il collante di un’identità.

( estratto dal libro di Pietro Greco pubblicato come anticpazione della rivista Left)

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Hack, 90 anni laici e ribelli

Posted by Simona Maggiorelli su giugno 29, 2013

L’astrofisica pubblica un nuovo libro  in difesa della libertà di ricerca.  Per proteggerla dagli attacchi della Chiesa e di questa classe politica

Margherita Hack

«La scienza cerca di scoprire quali sono le leggi che regolano l’universo, il nostro pianeta, il nostro corpo mediante osservazioni ed esperimenti. La conoscenza scientifica rende liberi, ci sottrae alle paure, a quel terrore che i nostri antenati provavano davanti a fenomeni naturali inusuali, come l’apparizione di una cometa, un’eclisse di luna o peggio ancora il sole», scrive Margherita Hack a incipit del suo nuovo libro Sotto una cupola stellata (Einaudi) scritto con Marco Santarelli e che la scienziata presenterà il 24 novembre al Pisa Book Festival e poi a Più libri più liberi, la kermesse della piccola e media editoria che si tiene a Roma dal 6 al 9 dicembre.

«La curiosità che caratterizza la razza umana l’ha portata, attraverso secoli di informazioni, a decifrare pian piano il libro dell’universo», ricorda l’astrofisica più famosa d’Italia che, appena festeggiati i suoi primi 90 anni «laici e ribelli», torna a scrivere per dissipare ogni diffidenza verso la ricerca scientifica; in Italia, spesso, bersaglio di attacchi inusitati da parte di «una classe politica ignorante che spesso si vanta di non saper nulla di matematica e fisica, una classe politica- stigmatizza la Hack – che dal 1945 non era mai stata di così basso livello». Senza contare che in Italia la ricerca è presa di mira dalla Chiesa,  «che contribuisce a diffondere un sentimento antiscientifico. Papa Ratzinger – sottolinea la studiosa fiorentina – non perde occasione per dire che gli scienziati sono avidi e arroganti e vogliono sostituirsi a Dio». Aggiungendo a queste parole una sua personale e acuta lettura di un episodio cardine dell’Antico Testamento, quello di Eva e della famigerata mela, che ci vorrebbe tutti irrimediabilmente segnati dal peccato originale e, per questo, originariamente violenti e “cattivi”.

«Nella Bibbia Eva è rappresentata come peccatrice che ha traviato anche il suo compagno Adamo. Per questo si dice che fu cacciata dal paradiso terrestre. Invece – rilancia la Hack -, se proprio si vuole prendere in considerazione queste che per me son solo favole, allora valorizziamo la curiosità della nostra  mitologica madre Eva, che volle mangiare il frutto della conoscenza disobbedendo all’autorità. E poi- aggiunge- visto che parlano tanto di un Dio padre amorevole, se fosse un padre davvero dovrebbe essere contento che i suoi figlioli cerchino di imitarlo e magari di fare meglio di lui».

Dunque per Margherita Hack non c’è nessuna possibilità di coniugare scienza e religione come vorrebbe fare una parte della Chiesa oggi? «Scienza e religione toccano piani completamente diversi: la scienza cerca di scoprire le leggi, come è fatto l’universo, come si è evoluto, come funziona il nostro corpo e soprattutto il nostro cervello e la nostra mente. La religione cerca di rispondere al perché e, nel farlo, si fonda  su atti di fede non dimostrabili scientificamente. Il fatto di credere o non credere in Dio è una faccenda puramente personale. Ma la religione non può e non deve interferire nella ricerca, che chiede una mente libera da dogmi e da credo indimostrabili. Personalmente reputo che uno scienziato non possa riporre fiducia in un Dio che gli spiega tutto in maniera un po’ puerile. Sarebbe come credere all’esistenza della Befana e di Babbo Natale». Quanto all’etica e alla morale? «Io penso che l’etica non sia appannaggio esclusivo dei credenti. Di più: ritengo che l’etica di un non credente sia più pura e disinteressata di quella di un credente che si comporta bene perché spera nella ricompensa e teme la punizione nell’al di là».      Simona Maggiorelli

da left-Avvenimenti del 17 novembre 2012

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Mondolfo, Gramsci e la crisi della sinistra oggi

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 21, 2013

Luciano Canfora, Elisabetta Amalfitano, Simona  Maggiorelli. Ernesto Longobardi

Luciano Canfora, Elisabetta Amalfitano, Simona Maggiorelli. Ernesto Longobardi

di Simona Maggiorelli

Il libro della filosofa Elisabetta Amalfitano Dalla parte dell’essere umano, il socialismo di Rodolfo Mondolfo ( L’Asino d’oro edizioni) ha il merito di riproporci una figura di intellettuale piuttosto rara in Italia e ingiustamente trascurata dagli studi. Una figura di raffinato studioso della filosofia antica che nei suoi 99 anni di vita (Mondolfo era nato a Senigallia nel 1877 e morì nel 1976 a Buenos Aires) non separò mai studi accademici dall’impegno civile, portando avanti la propria ricerca come forma di resistenza antifascista perché tutta volta- basta vedere i suoi scritti sulla pedagogia – a risvegliare il senso critico, a dare strumenti di lettura della storia e del presente ai suoi studenti. Fra i quali a Torino forse ci fu anche Gramsci.

Un lavoro di insegnamento che Rodolfo Mondolfo svolse con grande coerenza, senza soluzione di continuità, prima nelle scuole superiori e poi all’Università di Torino, di Padova (1907) e di Bologna (1913-38), fin quando – dopo aver promosso e firmato il Manifesto degli intellettuali contro il fascismo – nel 1938 fu costretto dalle leggi razziali a cercare riparo a Buenos Aires.

Rodolfo Mondolfo intellettuale dal profilo non comune nel panorama italiano, dicevamo. Anche perché profondamente laico. Un aspetto indigesto all’establishment politico in Italia. Ancora oggi. Basta vedere il desolante mancato sostegno alla candidatura di Rodotà da parte del Pd  Alle giornate della Repubblica delle idee che, proprio qui a Bari, mentre parliano pretendono di mettere insieme scienza e fede.Oppure al neoconfessionalismo dei marxisti ratzingeriani, ovvero Pietro Barcellona e Mario Tronti, intellettuali organici del Pci e che oggi, dopo il crollo delle ideologie, sono diventati organici al Vaticano.

Luciano canfora, Elisabetta Amalfitano e Simona Maggiorelli

Luciano canfora, Elisabetta Amalfitano e Simona Maggiorelli

Rodolfo Mondolfo no. Da socialista e illuminista si oppose sempre a ogni forma di oscurantismo. Andando a spigolare validi anticorpi nel pensieri di filosofi come Giordano Bruno, Feuerbach, e Marx. Del quale – scrive Elisabetta Amalfitano- Mondolfo seppe dare una lettura originale, coniugandolo con Rousseau nel tentativo di superare la scissione cartesiana (fra corpo e mente, fra teoria e prassi). Il tentativo era quello di mettere al centro della propria riflession l’essere umano nella sua interezza, nella sua complessità di bisogni ed esigenze, che riguardano l’alimentazione, il lavoro, la salute, ma anche la formazione, la conoscenza, la qualità dei rapporti dei rapporti umani, la creatività. In questa chiave , ricostruisce Elisabetta , Mondolfo, lavorò all’ipotesi di una via riformista al socialismo, prendendo le distanze da ogni forma di materialismo metafisico e deterministico. E prendendo esplicitamente le distanze per esempio dalla proposta di Antonio Labriola: “Il suo materialismo dimentica che nella storia la realtà vera ed essenziale sono gli uomini”.

La libertà per Mondolfo era importante quanto l’uguaglianza e cercò per tutta la vita di elaborare una filosofia della prassi che riuscisse a coniugare questi elementi. Tacciato di moderatismo dai giovani Gramsci e Gobetti presi dal fuoco della rivoluzione bolscevica, il pensiero di Mondolfo apparve del tutto inattuale ai giovani del ’68 e ai fautori di una lettura strutturalista del marxismo quando, proprio nel ’68, pubblicò Umanesimo di Marx. Ma come ho avuto il piacere di dire anche in un’altra occasione a me pare che – superata quella fase storica – oggi il pensiero di Mondolfo offra invece molti spunti interessanti di riflessione a questa sinistra che ha urgente bisogno di ripensare e rilanciare la propria identità. Elisabetta Amalfitano, in questo suo appassionato libro, ne squaderna molti.

A cominciare dall’idea che la trasformazione sociale che per Mondolfo parte dalla trasformazione interiore degli individui. E dal rifiuto della violenza, in nome invece di una forza della praxis che significa anche resistenza, capacità di reagire, di proporre un pensiero. E ancora.

Lontanissimo dall’essere per la morte heideggeriano, Mondolfo – potremmo dire parafrasando quello che il professor Luciano Canfora ha scritto a proposito di di Arthur Rosenberg ne l’inquietante mestiere dello storico (Ll’uso politico dei paradigmi storici, Laterza) invita alla lotta, con i mezzi della ricerca storica e filologica, contro l’ideologia a base razzistica andata al potere nelle università tedesche nel 1933 e veleno che dilagava anche in Italia.

Luciano Canfora , Elisabetta Amalfitano e Simona Maggiorelli,

Luciano Canfora , Elisabetta Amalfitano e Simona Maggiorelli,

Per misurare tutta la distanza di Mondolfo dal pensiero conservatore basta leggere le pagine che Elisabetta dedica alla sua concezione delle masse che nel XXI secolo si sono affacciate da protagoniste sul palcoscenico della storia. Una concezione lontanissima da quella di Lombroso, ma anche da quella di Freud, che sulla scorta di Le Bon, in Psicologia delle masse e analisi dell’io (1921 libro molto amato da Mussolini) parlava delle masse come reviviscenza dell’orda primordiale e distruttiva, come lacrima di Batavia che basta che sia colpita in un punto perché finisca in mille schegge, una massa lavoratrice che secondo Freud ha sempre bisogno di un capo carismatico che le dia coesione. E di leggi che permettano la convivenza civile impedendo il fratricidio. Rodolfo Mondolfo, scrive Elisabetta Amalfitano, non aveva questa concezione pessimistica della massa. E per questo rifiutava anche l’idea della necessità di un partito novello principe che imponga dall’alto il cambiamento. Ma qui mi fermo, perché con noi c’è Il professor Luciano Canfora che molto di più può dirci sul rapporto fra Gramsci e Mondolfo.

Intervento introduttivo alla presentazione del libro di Elisabetta Amalfitano Dalla parte dell’essere umano, il socialismo di Rodolfo Mondolfo ( L’Asino d’oro edizioni), alla libreria Laterza di Bari, il 20 aprile 2013, con Luciano Canfora, Ernesto Longobardi, Maria Laterza e l’autrice

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Biotestamento, una legge che ferisce

Posted by Simona Maggiorelli su novembre 11, 2012

Il ddl Calabrò potrebbe diventare norma per un blitz del Pdl, denuncia il senatore Ignazio Marino. Che durante un’iniziativa a Torino con Bersani ha lanciato un’agenda bioetica laica per il prossimo governo

Ignazio Marino alla manifestazione dei medici del 29 ottobre

di Simona Maggiorelli

La riforma sanitaria è stata approvata con due voti di fiducia e ora è legge. «Non era mai accaduto dal 1947 che un testo del governo, che cambia la rete del Sistema sanitario nazionale (Ssn) passasse dai due rami del Parlamento senza modifiche». Il senatore Ignazio Marino è indignato per il modo in cui è passato il decreto Balduzzi ma anche perché, dice, «è un provvedimento annuncio» che parla di ambulatori aperti h 24, come se potessero essere realtà, a costo zero. «Lei provi a pensare cosa accadrebbe – incalza Marino – se come presidente della Commissione di inchiesta sul Ssn questa sera alle 22:30 inviassi i Nas per controllare se gli ambulatori sono aperti… Non è difficile immaginare cosa troverebbero. Non si può prendere in giro la gente». « Basta dire – spiega il senatore Pd – che in Toscana dove funzionano già 40 strutture h 24 il costo è di 16 milioni l’anno». E la riforma sanitaria fatta senza reale dibattito, purtroppo, non è la sola forzatura in questo  ultimo scorcio di legislatura. Il governo tecnico guidato da Monti potrebbe vedere anche la traduzione in legge del famigerato ddl Calabrò sul biotestamento, già passato alla Camera. Parlamentari del Pdl, infatti, hanno raccolto le firme perché vada direttamente in Aula, scavalcando la discussione in commissione Sanità. Se il blitz riuscisse avremmo «una legge che ferisce mortalmente la libertà delle persone», non esita a dire Marino. «Perché all’articolo 3 recita che le persone che vivono in Italia non potranno lasciare indicazioni, non potranno scegliere se sottoporsi o meno a idratazione e nutrizione artificiale in caso di perdita di coscienza. Beninteso – precisa Marino – chi volesse sottoporsi a queste terapie anche quando non vi fosse più ragionevole speranza di un recupero della propria integrità intellettiva, a mio avviso, deve essere tutelato. Ma non può obbligare altri a farsi incidere l’addome e inserire un tubo di plastica nell’intestino». «Una persona non può essere espropriata per legge del proprio pensiero, individualità, cultura, convinzioni. Non può essere un capogruppo del Pdl, della Lega o di qualsiasi altro partito a dire come ci dobbiamo curare». Ma c’è di più: «Ci dovremmo interrogare – rimarca Marino – perché una legge che impedisce la libertà di scelta nasca solo in questo Parlamento e non esista in nessun altro Paese al mondo». Solo in Italia, del resto, capita di dover sentire un senatore Pdl e medico come Calabrò affermare che «le persone in stato vegetativo permanente sanno dare molto agli altri». «Se le famiglie non se la sentono, ci sono gli hospice», ha detto in un pubblico convegno. «Il ragionamento non è posto correttamente», sbotta Marino. «Urge tornare a un’interpretazione laica della Costituzione. Solo in quel perimetro, c’è spazio per la libertà di tutti. Se aboliamo la laicità, creiamo discriminazioni e ghetti. Qui non si tratta tanto di carico sanitario per i familiari e per le strutture. Il punto è che se passa la legge Calabrò, anche chi non ha la sua fede, sarà sottoposto a terapie anche se inutili. Al senatore va ricordato che un giovane Aldo Moro nel ’47 ebbe la lungimiranza di proporre che nell’articolo 32 della Carta fosse scritto non solo che tutti devono avere accesso alle cure, ma anche il diritto di rifiutarle». Laicità, diritti civili, ricerca sulle embrionali, diritto alla diagnosi preimpianto (mentre incombe l’annunciato ricorso di Balduzzi contro la sentenza della Corte europea). E ancora cittadinanza ai figli di immigrati, liberalizzazione delle droghe leggere e adozioni per single e gay, se nel primario interesse del bimbo, sono stati i temi che Marino ha lanciato il 5 novembre a Torino  con Bersani. «Il segretario del Pd ha detto che questi sarebbero i suoi temi prioritari come premier» .Dal settimanale left-Avvenimenti 9-15 novembre

Il pressing di Maurizio Gasparri: ”Abbiamo rappresentato al presidente Schifani l’appello sottoscritto da 160 senatori che chiedono un rapido approdo in Aula del testo sul fine vita. Schifani ha assicurato che prendera’ contatto con il presidente della commissione per rappresentargli questo fatto e affiche’ acceleri la conclusione dell’iter del ddl”. Lo ha detto il capogruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri al termine della conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama ( Asca 8 novembre 2012)

Il Pdl “cerca la rissa in Aula sul testamento biologico”, dice Belisario dell’Idv

”Il Pdl cerca la rissa in Aula per introdurre nella nostra legislazione un testo retrogrado, oscurantista, che vuole di fatto privare i cittadini di un diritto costituzionale, quello alla salute. Non poter disporre del proprio fine vita e’ una barbarie”. Lo afferma il presidente dei senatori IdV, Felice Belisario, dopo che il capogruppo Pdl, Maurizio Gasparri ha sollecitato in conferenza dei capigruppo il presidente Schifani affinche’ prenda atto dell’appello di 160 senatori che chiedono il rapido approdo in Aula del ddl sul testamento biologico. (Asca 8 novembre)

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Furio Colombo: Ora una legge Martini sul biotestamento

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 6, 2012

Il rifiuto delle terapie da parte del Cardinale deve diventare un diritto di tutti. L’onorevole Furio Colombo del Pd propone una norma laica sul biotestamento. Ma il Parlamento rilancia l’antiscientifico Ddl Calabrò

di Simona Maggiorelli

Furio Colombo

Sembrava destinato a rimanere nei cassetti, archiviato come brutto tentativo di bloccare ogni buona legge sul biotestamento in Italia. Dopo il primo passaggio in Aula il Ddl Calabrò sulle dichiarazioni anticipate di trattamento sembrava aver perso urgenza per la maggioranza di centrodestra che lo sponsorizza, ma anche per il governo Monti impegnato nel risanamento dei conti del Paese. Ma, inaspettatamente, il 19 settembre scorso, la commissione Sanità del Senato ha deciso di riavviare l’iter di questo provvedimento che i medici e una larghissima parte degli italiani giudicano sbagliato. In Parlamento, fra le voci di centrosinistra che si sono levate contro il Ddl Calabrò, si è fatta sentire forte e chiara quella dell’onorevole Furio Colombo del Pd, che agli inizi di settembre aveva depositato una proposta di legge intitolata al Cardinale Martini e, tanto più significativa in questo nuovo quadro.

Onorevole Colombo come giudica la decisione di riavviare l’iter del Ddl Calabrò? 

Come una decisione di cattivo Parlamento, che funziona male. Qui deliberatamente tutte le parti, in ossequio a un’unica fonte di potere esecutivo ossia quello Vaticano, ignorano le voci che non sono di consenso alle indicazioni della Chiesa. Ignorarle significa che certi temi non entrano nella discussione, non vengono calendarizzati, non entrano nel dibattito della commissione Sanità. Noto anche la tempistica: immediatamente dopo la presentazione della mia legge, la commissione Sanità ha riesumato il Ddl Calabrò che era dormiente e l’ha messo subito sul percorso per entrare in Aula. Così sono stati commessi due illeciti. Il primo: risvegliare arbitrariamente un provvedimento su un tema importantissimo ma non così urgente come i problemi che dobbiamo risolvere giorno per giorno. Il secondo: aver ripreso la vecchia, pessima, legge che era stata tenuta in sospeso proprio perché inaccettabile e immensamente impopolare. Qui in Parlamento, invece, è popolare. Le elezioni sono vicine e le due parti di quest’Aula che tengono in piedi il governo Monti, finirebbero per confluire sull’appoggio al Ddl Calabrò. Una buona parte del Pd, temo, e tutta la destra, convergerebbero su questo assurdo e incredibile decreto. Nel frattempo si ignora la mia proposta evitando ogni tipo di discussione.La sua legge Martini ha un articolato agile e mette in primo piano il diritto di dire no all’accanimento terapeutico, ma anche l’alleanza terapeutica medico paziente… 

Rispettare i diritti del malato, questo è il punto essenziale. Qui parliamo di un malato in condizioni terminali e per indicare quali sono questi diritti ho usato le parole della nipote di Martini che sul Corsera ha raccontato gli ultimi momenti di vita del Cardinale, quando lui rifiuta il sondino e ogni altro accanimento terapeutico. Leggendo quella lettera qualcuno poteva anche avere l’impressione che Martini avesse esercitato un privilegio non concesso a tutti. Con la mia proposta di legge, insieme ad altri dieci parlamentari che l’hanno firmata, ho voluto far sì che quella libertà di scelta fosse un diritto di tutti. Martini ha detto testualmente: «Voglio vivere senza terrore e dolore». I medici gli sono venuti incontro. È stato profondamente e irreversibilmente sedato e così ha potuto dignitosamente morire. La nostra legge questo chiede per ogni cittadino.

Il Ddl Calabrò ignora la definizione di morte contenuta nel protocollo di Harvard mentre il sondino naso-gastrico è detto “sostegno vitale” e non terapia quale è. Dunque si basa su dogmi, su un’idea della vita antiscientifica ma anche disumana, dacché obbliga a un inutile accanimento terapeutico. Come evitare tutto questo? 

È difficile. Tutto ciò ci costringe a prendere atto che in Italia vige una Shari’a simile a quella delle teocrazie musulmane. Si vuol far coincidere la vita politica con quella religiosa, il credo politico con i punti in cui si legifera. Questa faccenda del fine vita è la rappresentazione perfetta del messaggio che il papa ha affidato all’onorevole Casini (Udc) domenica scorsa durante una visita in cui gli ha dato il compito di fare in modo che tutti i cattolici presenti alla Camera impediscano il biotestamento, le coppie di fatto e operino per la proibizione assoluta e perenne dell’aborto. Mi guardo intorno, sono in Aula mentre parliamo, e non sono affatto tutti credenti, ma la massa dei finti credenti è enorme. Sono i due terzi e praticano tutto il tempo la professione di finti credenti. E non riunceranno mai a mostrarsi come tali, temendo di perdere il voto.

Il ministro della Salute Balduzzi ha annunciato il ricorso contro la sentenza della Corte europea che accusa la Legge 40 di violare i diritti umani. Che ne pensa? 

Le rispondo ricordando una “coincidenza”: dopo la sentenza della Corte dei diritti umani di Strasburgo il presidente Mario Monti è salito in Vaticano. Il giorno successivo il ministro della Salute Renato Balduzzi ha annunciato il ricorso.

da left-avvenimenti

A MILANO, IL 6 E IL 7 OTTOBRE  IL CONGRESSO DELL’ASSOCIAZIONE LUCA COSCIONI
di Carlo Troilo

Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Coscioni

Quelli che ci siamo appena lasciati alle spalle sono giorni segnati dalla decisione del Cardinale Martini di rifiutare il sondino e di essere sedato: una decisione che ha portato a un dibattito piuttosto acceso nelle alte sfere del Vaticano, reso più vivace dalla affermazione di Martini secondo cui la Chiesa sui temi etici è duecento anni indietro. Per semplificare, da un lato i “conservatori” (Sgreccia e Ruini, sostenuti da “Avvenire”), dall’altro i “riformatori” (Forte e Scola). La scelta di Martini ha anche rimesso in moto i politici teodem, che improvvisamente chiedono di approvare entro la Legislatura la legge sul testamento biologico, proprio perché essa renderebbe irrinunciabile il sondino, negando che l’alimentazione artificiale costituisca una terapia: una richiesta duramente contrastata dalle forze politiche del centro sinistra. Al tema delle scelte di fine vita si aggiungono quello delle unioni gay e quello più generale dei diritti civili, su cui il PD sembra deciso a farsi coraggio, malgrado la estrema cautela – quasi una insofferenza – di due esponenti
autorevoli come Massimo D’Alema e Rosy Bindi. Infine, il governo dei tecnici appare in difficoltà su due fronti “eticamente sensibili”: la concreta attuazione delle norme sul pagamento dell’IMU sulle proprietà della Chiesa e il decreto sanità del ministro Balduzzi, che “perde i pezzi per l’assalto
delle lobby” (il titolo è di un giornale moderato come “La Stampa”).  Le  nostre beghe ci fanno guardare con invidia alla vicina (e cattolica) Francia, dove il governo ha annunciato l’introduzione nelle scuole di una nuova materia di insegnamento: la “morale laica”.

Alcuni di questi temi saranno al centro del dibattito del IX Congresso dell’Associazione Luca Coscioni che si tiene a Milano, a Palazzo Reale, il 6 e 7 ottobre: “Lombardia chiama Europa: Per fermare gli azzeccagarbugli della “Vita” (e i Don Rodrigo delle Proibizioni). Ricerca, Eutanasia, Salute, Disabilità: Dal Corpo dei malati al cuore della politica.”Hanno già confermato la partecipazione, fra molti altri:Umberto Veronesi, Maria Teresa Agati, Emma Bonino, Elena Cattaneo, Maria Antonietta Farina Coscioni, Giulio Cossu, Elena Cattaneo, Carlo Flamigni,  Marco Pannella, Mario Riccio, Amedeo Santosuosso, Piergiorgio Strata, Mina Welby e molti altri.

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I segreti di Sua Santità

Posted by Simona Maggiorelli su giugno 3, 2012

Crimini di pedofilia, affarismo, riciclaggio di soldi, rapporti pericolosi con organizzazioni malavitose. Ecco cosa la Chiesa vorrebbe nascondere. Mentre cerca di manipolare le scelte politiche italiane sul biotestamento, sull’aborto, sulla famiglia, sulle scuole private.  Ilnuovo libro di Gianluigi Nuzzi documenta in  modo incontrovertibile  gli affari sporchi del Vaticano.

di Simona Maggiorelli

Benedetto XVI

Una lotta per il potere, senza esclusione di colpi. Così il socialista Rino Formica intervistato da La Stampa descrive quanto sta accadendo Oltretevere. «Il Papa ha finito per restare vittima dell’attuale tendenza della Curia, che oramai è diventata una cosa sola con l’eterno “partito romano”, quello che per decenni è prosperato in un intreccio di massoneria, clericalismo, affarismo. Per tanto tempo questo potere trasversale e senza principii è stato fonte di ricchezza materiale per la Chiesa, ma ha aperto la strada ora alla sua gravissima crisi», dice l’ex ministro. La cui testimonianza Gianluigi Nuzzi – con una copia della La Stampa del 29 maggio alla mano – ci legge a voce alta, sottolineandone dei passi. Alla luce della lunga carriera, da laico che ha combattuto le ingerenze vaticane, Formica sa di che parla.

Come giornalista, dopo molte e approfondite inchieste, Gianluigi Nuzzi è arrivato a una conclusione non troppo diversa. «il Vaticano è una monarchia assoluta», ribadisce, con molti lati oscuri che riguardano mancanza di trasparenza, violazioni di diritti ma anche e soprattutto le prestazioni occulte della sua banca, lo Ior, implicata in questioni di riciclaggio e intermediazioni con la mafia. E questo a dirlo non è Nuzzi ma una ordinanza di un giudice, sottolinea il giornalista di Libero e di La7.

Che dopo le 250mila copie vendute del suo Vaticano Spa uscito nel 2009 ora “rischia” di fare il bis con il nuovo Sua Santità.Le carte segrete di Benedetto XVI. uscito sempre per Chiarelettere. Onde scongiurare questa eventualità, le più alte sfere vaticane hanno accusato Nuzzi di furto e di ricettazione. Ma quello che ci sembra ancor più grave è che politici italiani come l’ex ministro (e ora senatore) Maurizio Gasparri e l’onorevole Paola Binetti abbiano chiesto il sequestro del libro perché basato su documenti riservati della Chiesa e lesivo dell’immagine del Papa.

Come se la segretezza e l’oscurantismo che vuole imporre il Vaticano «dovesse diventare per un giornalista autoscurantismo» chiosa Nuzzi. Come se il compito dei giornalisti non fosse proprio quello di scovare notizie inedite e verificate. E tenendo la schiena ben diritta rispetto al potere. Ma, più a fondo, cosa spaventa tanto il clero e certa politica riguardo al lavoro di Nuzzi?  Cosa cercando di nascondere i media concentrati sul giallo del maggiordomo e che evitano di entrare in merito al libro? “Banalmente” il fatto che accuse gravi e circostanziate rispetto alle politiche di omertà e copertura del Vaticano rispetto a crimini come la pedofilia dei preti, i traffici illeciti dello Ior compreso il riciclaggio dei soldi della mafia e i sospetti di pesanti ed eversive ingerenze nello Stato italiano abbiano trovato una inconfutabile dimostrazione in questo libro, documentatissimo, basato su lunghe ricerche e testimonianze dirompenti raccolte in giro per il mondo.

Più di quanto possa fare in articoli Nuzzi qui approfondisce, traccia nessi, riflette sul significato di scioccanti documenti pubblicati per esteso in apparato. E che «riguardano spinose questioni temporali e scandali che vanno gestiti e silenziati» come fa notare l’autore. «Ma la polvere nascosta sotto il tappeto riemerge sempre da qualche altra parte», fa notare il giornalista. Così dal suo libro si apprende che «gli abusi fisici e psicologici commessi dal fondatore dei Legionari di Cristo Marcial Maciel Degollado erano stati denunciati a Sodano e altri in Vaticano già nel 2003 ma si decise di coprire i crimini di pedofilia e di ladrocinio commessi dai Legionari».

Gianluigi Nuzzi

Intanto il papato varava una Commissione di avvicinamento per cercare di ridurre l’impatto economico delle richieste di risarcimento da parte delle vittime, «con linguaggio freddamente pragmatico, senza spendere una parola sulla gravità dei fatti e sui traumi causati sulle vittime», nota Nuzzi. Ma non solo. Da Sua Santità emergono fatti gravissimi che riguardano le istituzioni e la politica italiana: Giulio Tremonti, quando era ancora ministro della Repubblica italiana, consigliava all’allora presidente dello Ior, Gotti Tedeschi, come evitare sanzioni dell’Unione europea riguardo al mancato pagamento dell’Ici da parte della Chiesa per gli enti commerciali. E, senza soluzione di continuità il premier Mario Monti ha fatto anche peggio. «Dopo l’esposto fatto dai Radicali Italiani nel 2005 proprio riguardo alle “esenzioni Ici” l’Italia avrebbe potuto rivalersi incassando parecchie centinaia di milioni di euro, che in questo momento di crisi sarebbero stati molto utili alle casse dello Stato» ricostruisce Nuzzi. «Ma con abile operazione mediatica il Vaticano si è detto disponibile a pagare qualcosa e il premier Monti ha cambiato la normativa, così» sottolinea Nuzzi, «cambiata la legge, lo Stato italiano non potrà più ricorrere. La manovra fatta da Monti fa fuori la possibilità di potersi rivalere sull’infrazione precedente». E ancora, quanto ai tentativi delle gerarchie vaticane di imporre un’agenda politica e norme improntate a «valori non negoziabili» (perché basati sul dogma religioso) una delle pagine più “sorprendenti” di Sua Santità è la numero  297, dove è pubblicato l’originale di una nota della Santa Sede riguardo a un incontro con Giorgio Napolitano del 19 gennaio 2009. Ebbene in quella occasione il Papa, capo dello Stato Vaticano avrebbe dovuto “convincere” il presidente della Repubblica italiana a fare leggi per la tutela della famiglia e, si legge nella nota vaticana: «Si devono evitare equiparazioni legislative tra il matrimonio ed altri tipi di unione». Nel Ddl in discussione in Parlamento sul biotestamento e in altre «norme eticamente sensibili»  deve essere inserita «una chiara riaffermazione del diritto alla vita, che è diritto fondamentale di ogni persona umana, indisponibile ed inalienabile. Conseguentemente si deve escludere qualsiasi forma d’eutanasia e ogni assolutizzazione del consenso». Ma in questo documento c’è anche un capitolo sulle scuole private. La nota vaticana lascia trasparire una certa preoccupazione: «Il problema attende sempre una soluzione, pena la scomparsa di molte scuole paritarie. Occorre trovare un accordo sulle modalità dell’intervento finanziario anche al fine di superare recenti interventi giurisprudenziali che mettono in dubbio la legittimità dell’attuale situazione». Intanto il Vaticano continua senza scrupoli a incassare dalle tasse dei cittadini italiani circa sei miliardi di euro l’anno, sebbene l’articolo 33 della nostra Costituzione reciti: «Lo Stato non deve sopportare alcun onere per le scuole private».

da left Avvenimenti

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Fertile laicità

Posted by Simona Maggiorelli su Maggio 26, 2012

I nuovi risultati di cura ottenuti con le staminali embrionali  impongono di ripensare l’agenda della biotica imposta dal governo Berlusconi. Il senatore Pd Ignazio Marino riapre la discussione su fecondazione assistita biotestamento e ricerca

di Simona Maggiorelli

Il senatore e chirurgo Ignazio Marino

Ospedale San Filippo Neri, uno dei centri più importanti fra quanti nel Lazio, fra pubblico e privato, praticano la fecondazione assistita. Il 27 marzo scorso un addetto alla gestione della sala di crioconservazione si è accorto che la temperatura toccava i venti gradi invece dei meno 190 previsti per i 94 embrioni, i 130 ovociti e i 5 campioni di liquido seminale lì  conservati. Un incidente, si è detto. «Questa è una vicenda che mi ha lascia sbigottito. Come presidente della Commissione d’inchista sulla sanità del Senato ho avviato un’inchiesta» racconta il senatore Pd e luminare della chirurgia Ignazio Marino. «Dalla relazione dei Nas ho appreso che il San Filippo Neri, come altre strutture analoghe del Lazio da otto anni lavoravano senza che vi sia stato un sopralluogo delle autorità amministrative. Proprio nella regione dove i conflitti su questi temi sono stati accesissimi queste strutture non hanno sentito l’esigenza di accreditarsi dal punto di vista strutturale e professionale». Ma non è tutto.

«Leggendo l’istruttoria», prosegue Marino, «mi sembrava di avere in mano un romanzo a cui mancava l’ultimo capitolo. Erano descritti tutti gli aspetti dell’incidente. Che fine avevano fatto quegli embrioni? Ebbene, con mio grande stupore, ho saputo che sono ancora lì sigillati, a marcire. E allora come  medico e ricercatore ma anche come senatore presidente di una commissione di inchiesta mi chiedo perché non hanno detto una parola tutti coloro che fino all’altro ieri hanno alzato barricate nel sostenere le loro idee sulla vita, sulla ricerca scientifica, contro l’uso di cellule staminali embrionali che oggi sappiamo possono guarire malattie finora incurabili». Una questione, questa della ricerca sulle staminali embrionali che in Italia è particolarmente scottante, visti i molti paletti legislativi e ideologici che sono imposti ai ricercatori che lavorano in questo settore. Di questo tema Ignazio Marino parla anche nel suo nuovo libro Credere e conoscere (Einaudi); inaspettatamente, visto che si tratta di un dialogo con il cardinale Carlo Maria Martini. «Il 31 dicembre 2011, chiudendo le bozze del libro, pensavo a cosa poteva accadere se fosse andato a buon fine uno degli esperimenti che stavano facendo in Inghilterra con embrioni abbandonati nelle cliniche di infertilità nel tentativo di curare persone paralizzate da un trauma della colonna vertebrale e  rese cieche da una maculopatia della retina», ricorda Marino. Poi la notizia a lungo attesa, in primis dalle persone affette da questa patologia invalidante. Sulla rivista medica The Lancet di recente è apparso uno studio in cui si riporta il caso di una donna che è tornata a vedere dopo che in California le sono state iniettate nella retina cellule derivate da staminali embrionali. «Adesso riesce a contare le dita di una mano e a percepire il contrasto dei colori» sottolinea Marino. «Quello che mesi fa era solo un’ipotesi ora e scientificamente provato. Non possiamo più continuare ad affrontare in Italia questi temi con l’idea di tifoserie opposte riottose ad affrontare l’urgenza delle persone che soffrono e che ora possono avere una cura con queste preziosissime cellule. Dove è la nostra etica se non ci scandalizziamo per il fatto che gli embrioni abbandonati non possano essere usati a a scopi terapeutici e anzi vengono lasciati a spegnersi nel freddo? Quando dei ciechi chiederanno di poter riprendere a vedere grazie all’uso delle embrionali, gli diranno che eticamente è più giusto che essi rimangano ciechi?».

Ma in Italia, si sa la legge 40/2004 anche se non vieta direttamente di fare ricerca sulle embrionali, ipocritamente, costringe i ricercatori a lavorare solo su linee cellulari derivate all’estero. Intanto il caso di una coppia che andata a Creta a sottoporsi alla fecondazione eterologa pee non trasmettere al figlio una malattia genetica ha scritto al presidente della Repubblica per raccontare l’odissea delle coppie costrette ad “emigrare” per affermare i propri diritti. Talvolta, come in questo caso, senza successo. Di fronte alla tragedia della coppia che dopo la terapia a Creta non è riuscita a evitare la trasmissione della malattia al nascituro l’Avvenire non ha trovato di meglio che parlare di «illusione eugenetica della provetta eterologa» stigmatizzando i media che hanno sollevato il caso della coppia, come fosse un tentativo di pilotare la decisione dei giudici della Consulta che il 22 maggio si  dovrà pronunciare sulla legittimità costituzionale del articolo 4 (comma 3) della legge 40 che vieta l’eterologa. Secondo i dati rilevati dall’Osservatorio del turismo procreativo riportati in Fecondazione e(s)terologa, firmato per L’Asino d’oro dai ginecologi Carlo Flamigni e Andrea Borini, risulta evidente che la legge 40 con i suoi diktat ha costretto molte coppie a scegliere di cercare fuori dall’Italia la via per una gravidanza. Da un’indagine sul 2005 risulta che nel primo anno dopo l’entrata in vigore della norma sono state ben 3610 le coppie italiane che si sono rivolte a centri specializzati esteri. Per rendersi conto di cosa ha determinato la norma basti dire che nel 2003, il ricorso alla eterologa fuori dai confini era stato scelto solo da 1318 coppie che si potevano permettere di spendere fino all’equivalente di 30mila dollari nelle cliniche Usa o britanniche. «Devo dire la verità», commenta il senatore Marino, «Io sono favorevole alla eterologa, ma mi sentirei di avanzare una proposta, ovvero che si possa evitare che i bimbi nati con questa metodologia poi da adolescenti possano andare a cercare i loro genitori biologici. Dal mio punto di vista è importante proteggere i rapporti e gli affetti con cui il ragazzo è cresciuto, quella che è realmente la sua famiglia». Quanto invece alle linee guida della legge 40 (e peggiorative della norma), varate fuori tempo massimo dall’ex sottosegretaria Eugenia Roccella, quando il governo Berlusconi era già caduto, il chirurgo e senatore Marino ha pochi dubbi: «C’erano già delle linee guida accettabili varate sotto il governo Prodi, mi auguro che il governo Monti ne faccia tesoro». Ignazio Marino collaborò alla loro stesura, come e ancor più si è impegnato negli anni a mettere a punto una buona legge sul testamento biologico. Come è noto, però, l’ex governo Berlusconi ha fatto di tutto per far passare in fretta e furia alla Camera un disegno di legge che lo stesso Marino definisce «contro il testamento biologico e contro la libertà di scelta». «Stiamo parlando di un testo che imponeva a ciascuno di noi di sottoporci a terapie come l’idratazione e l’alimentazione forzata anche contro la nostra volontà. Il governo Berlusconi era determinato ad approvarla entro il dicembre 2011. Ma con l’insediamento del governo Monti quel testo deve essere finito in qualche polveroso cassetto del Senato e ho la sensazione che non riemergerà per questa legislatura. «Questo fa maliziosamente pensare», conclude Marino,«che l’urgenza del governo Berlusconi non fosse legata ad un irrefrenabile e appassionato desiderio di dotare il Paese di una legge importante sulle terapie del fine vita ma che fosse uno strumento ideologico da usare all’interno del dibattito politico e parlamentare. Spero proprio che quel disegno di legge finisca nel dimenticatoio. Lo dico come persona che crede nella laicità dello Stato e nei diritti delle persone».

da left avvenimenti del 19 maggio 2012

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L’avventura di Joyce Lussu

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 15, 2012

Giovane laica e cosmopolita nella Firenze di primo Novecento. Poi partigiana, poetessa, traduttrice e attivista dei movimenti di liberazione. Torna in libreria Portrait, straordinario autoritratto di scrittrice

di Simona Maggiorelli

Come in un romanzo. Ma ancora più potente, perché nelle pagine di Portrait, in rapide sequenze cinematografiche, scorre l’avventurosa vita della scrittrice e partigiana Joyce Salvadori Paleotti. Più conosciuta come Joyce Lussu, dal cognome del marito Emilio, rivoluzionario sardista, leader di Giustizia e libertà e poi ministro negli anni cruciali della costruzione dell’Italia nel dopo guerra.

Una abitudine, quella di chiamare l’autrice di libri come Fronti e Frontiere e come L’olivastro e l’innesto, stroria di un’isola ritrovata con il cognome da sposata, invalsa anche nei manuali di storia della letteratura, ma che rischia di far torto allo spirito indomito di questa donna indipendente, allergica ai dogmi e agli steccati ideologici. (Che accettò di sposarsi con rito civile solo perché suo figlio non fosse registrato come nato da «madre ignota»).
Fino alla sua scomparsa nel 1998, Joyce non smise mai di lottare contro ogni forma di fascismo e di oppressione, continuando a fare ricerca, nel rapporto vivo con le persone, spesso confrontandosi con culture lontane e diverse. Come quando, dopo aver partecipato attivamente alla Resistenza, nel dopo guerra, insofferente della burocrazia di Palazzo e verso i salotti romani, seppe inventarsi una seconda vita di traduttrice di poeti africani, arabi e asiatici, riscoprendo un passione nata nell’infanzia trascorsa in una casa «dove c’erano più libri che mobili»; in quella Firenze socialista dove l’azione degli squadristi fu particolarmente violenta.

Joyce all’epoca aveva appena nove anni e nella cartella  nascondeva un pezzetto di carbone per scrivere sui muri «Abbasso il fascio». La scrittrice lo ricorda in questo agile e franco Portrait che, in nuova edizione, con la prefazione di Giulia Ingrao, ha inaugurato la nuova collana “Omero” de L’Asino d’oro edizioni.

In quegli anni maturò anche il suo ateismo, incoraggiato dai genitori, intellettuali democratici di origine inglese (il padre, Guglielmino Salvadori tradusse Herbert  Spenser ed era vicino alle idee di Russell).  Joyce non era battezzata e le avevano insegnato a guardare con sospetto i testi sacri. «In quei libri ci deve essere qualcosa che non va perché hanno fatto ammazzare un sacco di gente», le diceva la madre, Giacinta Galletti.

«Il dogma e l’assoluto- scrive Joyce in Portrait – ci apparivano come segni di arretratezza mentale e civile». E ancor più inaccettabile le sarebbe sembrata ad Heidelberg l’ambigua neutralità e la sottovalutazione del nascente nazismo da parte dei suoi professori ad Heidelberg, a cominciare dal filosofo Karl Jaspers.

Così quella fanciulla che a tavola si lanciava in focose contese con Benedetto Croce smascherando la sua misoginia (e quella di una lunga stirpe di filosofi da Platone in poi) di fronte alla ferocia nazi-fascista decise che non era più tempo di stare a studiare in biblioteca. Ed ecco le pagine più appassionanti del libro, quelle in cui racconta la Resistenza ma anche l’incontro con il carismatico rivoluzionario socialista Emilio Lussu. Il desiderio, la passione, e quella sensazione di incertezza che per la prima volta le aveva fatto sperimentare quell’uomo che le era apparso così diverso dai compagni comunisti , troppo spesso carichi «di maschilismo autoritario e di  una violenza virile che vedeva nel sacrificio proprio e altrui, non un accidente purtroppo necessario e da superare al più presto, ma quasi un valore immanente, una catarsi con coloriture paramistiche che a me, donna, dava una reazione di rigetto»

Joyce Lussu (1938)

E quell’ istintivo rifiuto della misoginia leninista e stalinista, poi  si sarebbe trasformato in pratica politica.  Fra le fondatrici dell’Udi, l’Unione donne italiane, Joyce era solita scompigliare riunioni politiche e comizi, pretendendo, prima di cominciare a parlare, che  i compagni andassero a  prendere le mogli che avevano lasciato a casa. «Più che un pensiero femminista, quello di Joyce era un pensiero femminile. E in questo senso lungimirante e attualissimo», ricorda oggi l’archeologo e restauratore Tommaso Lussu, nipote di Joyce e che ad Armungia  in Sardegna, con generosità ha aperto la casa di famiglia a studiosi e ai ricercatori. «Come attualissima» aggiunge,  «è ancora  la lezione  di laicità che Joyce ci ha lasciato. Ma anche  il suo impegno ambientalista e quello politico di stampo  libertario, tanto che non si volle legare più ad un partito politico dopo lo scioglimento del Psiup nel 1969», ricorda ancora Tommaso.

Senza dimenticare poi quell’impegno poetico e letterario che, di pari passo con il sostegno a movimenti di liberazione africani, la portò a tradurre i versi del poeta e rivoluzionario angolano Agostinho Neto. Ma  anche i versi del curdo  Nazim Hikmet. Con il quale strinse una profonda amicizia. Tanto da riuscire a tradurre le sue poesie, grazie a  una lunga e profonda  frequentazione, pur non conoscendo direttamente la lingua curda.

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Istanbul, la femmina

Posted by Simona Maggiorelli su gennaio 15, 2011

A colloquio con la filologa Silvia Ronchey, in questi giorni al lavoro a una grande mostra su Bisanzio a Roma, mentre sono usciti di recente due  suoi  nuovi libri, che aiutano a capire di più della storia del Medioriente a noi più vicino.

di Simona Maggiorelli

Istanbul, Mimar di Sinan

Mentre sta lavorando alacremente a una grande mostra storica su Bisanzio che per la prima volta esporrà a Roma i tesori bizantini della Chiesa cattolica, accanto a quelli della Chiesa ortodossa e quelli del Museo di Istanbul, Silvia Ronchey non trascura il lavoro di studiosa e di divulgatrice della storia del Vicino Oriente. Così dopo l’antologia pubblicata a settembre con Tommaso Braccini Il romanzo di Castantinopoli (Einaudi) che riscopre testi di scrittori, viaggiatori, filosofi e artisti sulle rotte della grande città turca, a fine 2010 è uscita anche una sua nuova biografia, Ipazia, la vera storia (Rizzoli), dedicata alla filosofa e scienziata alessandrina Ipazia, assassinata nel IV secolo d.C. da fondamentalisti cristiani. Due lavori che ci hanno dato il la per un incontro con  la docente di Filologia classica e civiltà bizantina dell’Università di Siena.

Professoressa Ronchey,nell’ultimo anno la filosofa alessandrina è stata al centro di una vera e propria riscoperta e sono usciti molti libri. Mancava una biografia scientifica?
E’ vero, c’è stato  un affiorare nelle librerie e nei giornali di pubblicazioni su Ipazia ma molte sono riedizioni, sulla scia del successo del film Agorà di Amenábar. Così La Lepre ha ripreso il libro di Petta e La Tartaruga quello di Moneti Codignola. Io stessa avevo scritto su Ipazia in un volume miscellaneo uscito, ormai diciasette anni fa, per Laterza. E da anni mi riproponevo di tornarci. Il fatto che siano uscite molte rielaborazioni letterarie, attualizzazioni e ricostruzioni libere mi ha dato il la per tornare alla storia con metodo scientifico.

In un convegno su Ipazia organizzato dalla Treccani lei aveva posto l’accento sulla complessità del contesto in cui  fu uccisa. Che cosa deve essere messo a fuoco ancora nell’analisi di quelle vicende?
La vicenda di Ipazia si svolse in un quadro non riducibile solol a uno scontro ideologico fra pagani e cristiani. Da Diderot in poi ha preso campo  la posizione  illuminista che legge l’assassinio di Ipazia come l’uccisione del libero pensiero da parte di una Chiesa. Arrivando anche a vedere in Ipazia una proto-illuminista. Dal punto di vista storico, però, non possiamo trascurare che Ipazia era un’autorevolissima caposcuola di una confraternita platonica, dunque una teurga. Ma ci sono anche tanti altri punti da chiarire senza facili semplificazioni. Anche per questo ho pensato di aggiungere al mio libro un apparato di “documentazione ragionata”. Dove c’è quello che un lettore può voler sapere a partire da quanto racconto nella storia principale. Sono documenti che aiutano a capire la complessità di dibattiti come, per esempio, quello sul monofisismo e che sono sullo sfondo della vicenda di Ipazia.

BRAUN GEORG, Alessandria d'Egitto (1572)

La quantità di interventi su Ipazia  che si possono leggere anche in rete testimoniano un interesse vivo e diffuso.Perché secondo lei si accende proprio oggi?
Ci troviamo in un momento storico in cui la laicità ritorna di attualità e ha bisogno di attingere a qualche precedente. Abbiamo attraversato periodi di grandi fedi secolari, di grandi fedi e ideologie pervasive che a un certo punto sono venute a  crollare. Al contempo abbiamo assistito a un rigurgito teocon, alla salita al soglio pontificio dell’ala più conservatrice della Chiesa cattolica. C’è da notare che l’ayatollah Khomeini e Woytila sono ascesi al vertice in contemporanea. Poi il pontificato di Ratzinger ha portato un alteriore irrigidimento fondamentalista. Insomma appare chiaro quanto sia urgente un dibattito sulla laicità. E spero che il mio libro possa contribuirvi. Al centro non a caso c’è il tema del rapporto fra Stato e Chiesa. Nella Alessandria del IV secolo c’era un’influenza politica diretta sullo Stato da parte di Cirillo che fu fortemente contrastata nel mondo bizantino. Un’infiltrazione che  divenne una bandiera dell’infiltrazione papista cattolica nello Stato. Questo ci spiega perché la vicenda di Ipazia sia stata così censurata in Occidente.

Dervisci turchi

Alessandria d’Egitto era una città multietnica e multiculturale. E ancor più lo è stata Costantinopoli lungo i secoli. Da qui il fascino di Istanbul?
Qui ci riallacciamo a quanto dicevo prima: Costantinopoli fu lo specchio della civiltà di cui era capitale. Per più di undici secoli, sommando quelli bizantini a quelli ottomani. Gli ottomani che conquistarono Costantinopoli nel 1453 si posero come continuatori di quella civiltà statale che era stata dell’impero multietnico bizantino. Una convivenza, non solo di etnie ma di culti era alla base dell’esistenza stessa di questa superpotenza del Medioevo che lo sarà anche nell’Età moderna. La forza bizantina, e poi ottomana, stava nella capacità di mescolare, di amalgamare tradizioni e culture o, nel caso, di tollerarle. Quello ottomano era uno stato laico con una distinzione netta fra potere spirituale e temporale. Già al momento della conquista, Maometto II non impose l’islam come religione di Stato ma nominò un patriarca ortodosso, cosa che non fecero i crociati che, invece, presa Costantinopoli, sostituirono al patriarca bizantino ortodosso un loro patriarca latino. Il fascino di questa città nasce dal suo incarnare un ideale di fusione e di tolleranza, come capacità inclusiva. Per questo il passato bizantino ha molto da dare a un’epoca come la nostra di scontro di civiltà. Per undici secoli questo scontro è stato evitato proprio lì, sull’istmo. Il volto di Istanbul appare, ieri come oggi, molto stratifico. è la città che più di ogni altra al mondo mantiene i simboli delle civiltà sconfitte. E proprio questo è il filo di Arianna che abbiamo seguito con Baccini nel preparare questa antologia. L’architettura e la pittura a Istanbul condensano questa sua realtà storica.

Istanbul, Suleimaniye Mosque

Curiosamente molti scrittori e viaggiatori parlavano di Costantinopoli al femminile. Perché?
Istanbul è la città femminile per eccellenza, fin dall’età pagana. Già prima di Teodosio era consacrata ad Artemide. La falce lunare che nei secoli ha continuato a rappresentare la città, in origine era il simbolo di Artemide. Poi anche la Madonna così è diventata una divinità femminile e lunare. Questo simbolo della falce lunare campeggia anche nella bandiera ottomana. C’è una continuità femminile che ritorna anche nelle titolazioni delle chiese, a cominciare da Santa Sofia. Non solo. La “femminilità” di questa città fu captata anche dai conquistatori. In alcune cronache incluse nel Romanzo di Costantinopoli si parla quasi in termini “pornografici” della penetrazione in città.

Nella prefazione a Figure bizantine di Charles Diehl lei ricorda che opere letterarie e teatrali come Teodora contribuirono a creare il mito di un Oriente seducente ma pericoloso.
Cocteau definiva Costantinopoli «la decrepita mano ingioiellata che si protende verso l’Europa». Lo stereotipo della decadenza cominciò già a definire Bisanzio e continuò nella definizione di Costantinopoli.  Vista come minaccia ipnotica seduttiva, quasi vampiresca. Ma va anche detto che molti scrittori, soprattutto nell’Ottocento, che parlavano di questa malìa negativa, scrissero le loro cose migliori proprio a Costantinopoli o grazie a un’ispirazione che veniva loro da lì. Vale per Flaubert  per Potocki, per Byron e molti altri. Per cui sì, lo stereotipo della seduttrice pericolosa è la creazione di uno stereotipo orientale, di una Medea, di una sirena, a lungo operante, ma che ripaga gli scrittori, trasformandosi a posteriori in musa.

Proprio parlando di sirene è intervenuta di recente su Radio 3, ne nascerà un libro?
Il mio intervento si basava su un libro di Luigi Spina, Il mito delle sirene. Uno studio fantastico che ripercorre anche l’oltre vita simbolico e letterario della sirena. A questo non c’è da aggiungere altro. Mi interessava il fatto che questo mito ci lascia intendere che già i greci avevano una visione alterata dell’immagine femminile. La paura della donna c’era già in Omero. Da sempre l’immagine femminile si sdoppia in un’immagine materna (la Madonna) e un’immagine mortifera, che in realtà è l’altra faccia della madre. In una battuta, ecco perché molto spesso gli uomini hanno una moglie e un’amante. C’è una scissione nella ricerca, nell’attrazione per l’immagine femminile. E questo è un aspetto che obiettivamente manca nella donna. I miti antichi ci danno conto di questa inquietudine per quel volto, la faccia scura della Madonna,  simbolo lunare. La donna sarebbe questo essere che ti fa perdere i confini dell’io, trascinandoti in una naturalità, in un mondo di puro istinto, di pura passione. Un mondo di smarrimento, di ebbrezza. Le figure del mito non a caso sono tutte legate a elementi dionisiaci, perfino alle droghe, il nepente di Elena, il nome stesso di Medea si lega alla sua capacità di preparare droghe. Similmente per Medusa. Oggi i greci per dire sirena usano Gorgone. Quello delle sirene è un canto, legato a una dimensione dionisiaca che fa uscire l’uomo dalla coscienza, questa è la sua grande forza. Da qui la paura della passione che scinde l’animo del maschio, che sia Odisseo o che sia quello di oggi.

IN MOSTRA Istanbul nello sguardo di Gabriele Basilico Come si fa a cogliere la forma di una città? Quella non solo esteriore ma che rimanda a un’immagine più nascosta? Di certo ci vuole lo sguardo di un artista. Specie quando si tratta di una città particolare come Istanbul, megalopoli che sia sul versante asiatico che su quello occidentale sembra percorsa da morbide onde di strade e palazzi, a perdita d’occhio, senza soluzione di continuità fino al mare. Uno scintillante tappeto di luci negli scatti notturni del grande fotografo Gabriele Basilico. Catturando  il profilo della città dalle colline al Bosforo.  è una delle immagini guida  della mostra Gabriele Basilico Istanbul 05.010, che si è tenuta alla Fondazione Stelline di Milano e raccantata in volume edito da Corraini. Una mostra in cui Basilico torna a rappresentare la città amata, cogliendone la vitalità, il flusso continuo di persone che la percorre a ogni ora ma anche gli aspetti più malinconici, come le splendide ville di legno sul mare della borghesia turca del secolo scorso e oggi perlopiù abbandonate.  «Pur rimanendo fedele al proprio sguardo esatto, il grande fotografo milanese – annota Luca Doninelli nel catalogo – non rinuncia al senso del mistero. Come il narratore di talento – prosegue lo scrittore – sa cavare il fascino delle sue storie dalla scrupolosa messa in fila degli eventi, senza nulla  concedere alle facili evocazioni d’atmosfera, lasciando che la complessità delle cose si trasformi in esattezza di sguardo».
L’Oriente è un’invenzione dell’Occidente», scriveva Edward W. Said in un saggio che è già un classico: Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, uscito in Italia per Feltrinelli. Un’invenzione esotica, abbagliante, che però nasconde uno sguardo colonialista e maschilista. «Non possono rappresentare se stessi devono essere rappresentati», del resto, denunciava già Marx. E in questa trappola di un orientalismo seducente ma ambiguo sono caduti anche letterati di rango. A cominciare da Gustave Flaubert, ideatore di uno stereotipo letterario della donna orientale destinato ad avere lungo successo: la cortigiana egizia di Flaubert non parla mai di sé, non esprime le proprie emozioni, la propria sensibilità o la propria storia. «è lo scrittore francese a farlo per lei», faceva notare Said. Parallelamente, come ora ricostruisce Emmanuelle Gaillard nel volume L’orientalismo e le arti (Electa), in pittura e in architettura si sviluppava nell’Europa dell’Ottocento uno stile di gran moda. Sul piano alto della ricerca, intanto, grandi artisti come Delacroix e Matisse hanno contribuito ad allargare il nostro sguardo oltre un asfittico eurocentrismo, regalandoci immagini sontuose di Babilonia, di Algeri, di Casablanca. Ma al tempo stesso con le loro splendide odalische hanno contribuito a fissare nel nostro immaginario fantasie di un Vicino Oriente femminile ma del tutto inerte. In questo suo nuovo lavoro, Gaillard analizza queste rappresentazioni riavvolgendo il nastro della storia fino al XVII secolo, quando comparvero i primi vagheggiamenti di un Oriente, terra lontana, luogo opulento, mitico, d’evasione.                          s.m.
dal settimanale left-avvenimenti

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