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Biennale democrazia. Nell’interesse dei molti

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 8, 2011

di Simona Maggiorelli

Forse mai come ora appuntamenti commenti come le Giornate della laicità di Reggio Emilia e la Biennale democrazia di Torino (entrambi al culmine questo fine settimana con decine di conferenze incontri, lezioni magistrali) assumono il significato politico di un dibattito pubblico sulla deriva che sta vivendo l’Italia. Un Paese , il nostro, in cui non solo gli strumenti della giustizia sono alterati da leggi ad personam (a favore del premier e del suo clan), non solo si vuole imbavagliare la stampa, non solo si contravviene all’articolo 11 della Costituzione che ripudia la guerra. Ma si negano diritti civili come l’accesso per tutti a tecniche mediche come la procreazione assistita mentre si vuole obbligare per legge a una vita meramente biologica attaccata alle macchine chi, avendo perso ogni facoltà mentale, si trovi in uno stato vegetativo permanente.

Di più. In Italia i diritti umani stessi vengono calpestati. Basta pensare alla sciagurata norma partorita dal governo Berlusconi e che ha istituito il reato di clandestinità. Una legge responsabile dei drammatici respingimenti di immigrati e di rifugiati (non riconosciuti come tali) a cui, impotenti, assistiamo in questi giorni. Per fare una diagnosi adeguata dello stato di salute della democrazia italiana, delle responsabilità dei governi di centrodestra, ma anche della debole opposizione della sinistra in Italia molti sono gli strumenti sul tavolo (su quest’ultimo tema, in particolare si veda lo stringente saggio di Rino Genovese “la responsabilità della sinistra italiana nell’affermarsi del berlusconismo” contenuto ne La democrazia in Italia edito da Cronopio).

La saggistica in questo ambito sta conoscendo una straordinaria fioritura. E tanti sono i libri che verranno presentati e discussi in questo fine settimana a Torino. A cominciare dal volume curato da Pier Paolo Portinaro per Einaudi L’interesse dei pochi, le ragioni dei molti che raccoglie una scelta significativa di interventi di politologi, giuristi, storici, sociologi e filosofi  presentati durante l’edizione 2009 della rassegna piemontese. E pubblicati ora con il preciso l’intento di offrire strumenti a una discussione pubblica documentata durante  questa Biennale democrazia 2011, come annota il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky nella prefazione. Senza soluzione di continuità con quel lavoro iniziato due anni fa, non a caso, il festival torinese quest’anno ha scelto tre parole chiave: Tutti-molti-pochi. «La democrazia è una sorta di elastico, si tende e si chiude,vive di una continua dialettica, tra l’interesse dei pochi e quello dei molti» chiosa lo stesso Zagrebelsky presidente di Biennale democrazia. Avvertendo: «Il nemico principe della democrazia è l’oligarchia e il punto oggi è proprio come poter praticare una redistribuzione di potere ai più, a coloro che ne sono stati esclusi». Perciò la riflessione sul tema dell’oligarchia parte da lontano con lezioni di  storia antica di Luciano Canfora e Michael Cox e con una ricerca di nessi fra passato e presente affidata, tra gli altri, a Nadia Urbinati e a Lucio Bertelli. E ancora: riflessioni sul “potere di tutti”, del cosiddetto popolo, durante questo fine settimana saranno svolti da un giovane narratore e ricercatore sul campo come Andrea Bajani, dallo scrittore Antonio Pennacchi e dal filosofo Salvatore Veca. Ma interessante anche la sezione dedicata all’indagine su ideologia e religione  e su quanto l’assenza di laicità nella sfera pubblica indebolisca la democrazia italiana (con interventi di Gian Enrico Rusconi, Giulio Giorello e altri) e infine quella dedicata alla riflessione sui linguaggi , a come  l’arte, la musica, la letteratura possano far crescere la polis. Il programma completo della manifestazione è sul sito www.biennaledemocrazia.it

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Non c’è democrazia senza laicità

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 17, 2009

vecaIl filosofo Salvatore Veca interviene nel dibattito pubblico con un nuovo libro che declina il dizionario minimo del nostro vivere pubblico e civile

di Simona Maggiorelli

«Democrazia e laicità formano un binomio imprescindibile per la politica e le istituzioni – dice con passione Salvatore Veca, filosofo politico dell’Università di Pavia, che ora di queste due parole ha fatto il cuore del suo nuovo libro Dizionario minimo (Frassinelli). «Un binomio – precisa subito il professore – che vedo molto offeso in questa realtà italiana Per più ragioni diverse».

Di questo lei parlerà alla Biennale democrazia ideata da Zagrebelsky. Qualche anticipazione?

Il punto di partenza del mio discorso è che democrazia e laicità simul stabant simul cadent o stanno assieme oppure, assieme, cadono. Se la laicità è sotto pressione significa che le leggi, le scelte collettive pubbliche, sono fatte nell’interesse di qualcuno e non di tutti. Ovvero si trattano alcuni cittadini come di serie B, mentre chi condivide la scelta della maggioranza sarebbe di serie A.

Leggi ad personam e populismo, uso politico della paura, come lei ha scritto, connotano questo governo di destra. Mentre il premier Berlusconi sembra aver cominciato una campagna di autopromozione per il Quirinale dalle zone terremotate…

Il Premier cerca di far passare il messaggio “sono uno di voi” e usa un meccanismo fatuo di rassicurazione. In situazioni pubbliche all’estero, poi, l’abbiamo anche visto fare il joker e l’amicone. Come diceva Garboli, Berlusconi è un «tip pictoresque», è un piazzista lombardo, una specie di Sordi del Nord. Di fatto replica la classica forma del populismo, in tempi mutati. Per questo irriderlo non basta. Da sinistra bisogna dire: così non va! Ma dobbiamo anche indicare cosa va fatto in positivo.

veca1La Sinistra, però, appare afasica, specie sui diritti civili e sulle questioni bioetiche. Nel manifesto del Pd, ad esempio, si legge che la religione appartiene alla sfera pubblica. Ma «valori non negoziabili» come quelli che la Chiesa vorrebbe imporre come possono trovare cittadinanza nell’agone politico?

Valori e credenze religiose, a mio avviso, hanno diritto ad avere voce nella discussione pubblica – quella che in modo poco brillante va in scena a Porta a Porta ma anche quella che abita il dibattito alto – dando spazio a tutte le voci. Ma non dovrebbero avere voce in capitolo nello spazio di deliberazione di nuove norme.

Questa posizione la differenzia nettamente da Habermas.

Sì diversamente da lui e dagli altri fautori di tesi cosiddette postsecolari io credo quando si fanno delle scelte che valgono per chiunque e non per qualcuno, non possiamo che rimanere fermi al vecchio, semplice, rude principio della laicità delle istituzioni. Certo, non senza aver ascoltato tutte le voci. Ex ante io rispetto tutte le persone, anche se non condivido le loro ragioni. Ma se facciamo una legge sul biotestamento o sulle staminali, o sulla fecondazione assistita, non possiamo corroborare la nostra scelta legislativa sulla base di un insieme di credenze. Dobbiamo puntare su scelte che diano la massimo di libertà e di opzioni alle persone, purché non rechino danno agli altri. Alla domanda di eticizzare le istituzioni noi dobbiamo rispondere deflazionando.Dobbiamo fare leggi in questo ambito che non siano coercitive, ma dicano: se vuoi, puoi. Noi siamo scarsamente abituati al pluralismo, che addirittura viene avvertito come una sorta di catastrofe, quando invece è un tratto persistente del paesaggio delle democrazie recenti.

Il pluralismo spesso viene stigmatizzato come relativismo.

Ma il problema non è il relativismo. Il punto è prendere sul serio il pluralismo dei valori. Ci sono al mondo civiltà e culture in cui le persone hanno idea che le cose buone della vita siano diverse fra loro. Oppure, all’opposto ci sono valori come equità efficienza, libertà e sicurezza che sono per tutti importanti. Ma se io pedalo solo su uno di questi lo pago in termini di altri. Sicurezza e libertà sono entrambi valori, ma confliggono tra loro e devo trovare un’idea degli equilibri il più possibile coerente. Purtroppo nella offerta di politiche alternative c’è chi lavora sulla sicurezza ritenendo che i prezzi di libertà siano poca cosa.

In Italia la Destra ci marcia…

La Destra è una grande imprenditrice della paura sociale. Sia quando la paura è giustificata, sia quando non lo è perché è costruita dalla politica stessa. Il problema, torniamo a dire, non è il relativismo una parola da lasciare ai talk show o alle prediche dei preti, il punto è costruire a partire dalle nostre idee diverse un modo per convivere bene.

Lo sviluppo della scienza oggi si impone di rinegoziare certi valori e modi di pensare. Perché la sinistra non sa contrapporre risposte forti a chi pretende che solo la religione sia un’ancora per l’etica?

Sono molto preoccupato del fatto che la Sinistra – con la quale mi identifico con la Sinistra quale che sia da molti anni – non abbia la capacità e la forza di rispondere con chiarezza e con la volontà di farsi comprendere dalle persone, di fronte a questioni di questo genere Certo le esperienze legate allo sviluppo della conoscenza scientifica possono in alcuni suscitare incertezza perché il mondo viene messo a soqquadro e possiamo fare nuove cose che ci trovano impreparati. Di fronte a questo ci sono due risposte possibili: una è quella della scurita. La risposta di chi si immunizza rispetto ai rischi del cambiamento e usa i vecchi schemi di giudizio, religiosi etici riguardo a questioni come il far nascere e il morire. In questo caso le possibilità che la tecnica e la scienza ci offrono vengono stigmatizzate come “male” e così si chiede al politico e al legislatore di sanzionare con la forza della coercizione delle comunità morali omogenee, basate su convinzioni che spesso poi nella vita non sono messe in pratica nemmeno da chi le propugna. Il discorso, al fondo è, io non farò mai l’aborto, ma non voglio che altri lo facciano. E’ questa, badi bene, è una domanda nuova. Fin qui alla politica era sempre stata fatta una domanda di diritti per sé, perché erano negati.

Per questa via il ddl Calabrò sul biotestamento affida a politici e a sacerdoti senza competenze il diritto di imporre terapie mediche, obbligando il medico a una cattiva pratica. Cosa ne pensa?

Che è una barbarie. Spero in un referendum. Ma intanto penso che la Sinistra tutta dovrebbe ribadire con gran forza un principio di libertà fondamentale. Non dovremmo lasciare alla destra un termine prezioso come libertà. Parliamo della libertà delle persone di scegliere se stesse, ovviamente senza fare danno agli altri. Questo è un principio da urlare a voce alta.

Noi di sinistra «ci siamo decostruiti fin troppo», lei ha detto di recente. La Sinistra oggi dovrebbe sviluppare una nuova identità facendo proprie le nuove conoscenze scientifiche?

Senza dubbio. Certe leggende metropolitane sulla scienza come del resto convinzioni del genere “solo un dio ci può salvare” sono segni di scarsa civiltà.

Lei si è occupato di immagine della scienza. Perché in Italia più che altrove i ricercatori sono dipinti come novelli Frankestein?

E’ un fatto tipico in Italia. Non vale nel Nord d’Europa. Negli Usa la faccenda è più controversa. Ora è girato il vento, ma da poco tempo. I costruttori di Frankestein o chi fantastica su mondi fatti di cloni esprime una condanna della tecnica. In realtà sono gli scienziati stessi, per primi a non fare promesse irreali, dicendo noi ad oggi possiamo arrivare fino a qui. Ma noi vecchi illuministi troppo spesso dimentichiamo che certe leggende metropolitane sulla scienza fanno presa sulla percezione di larghe fette di popolazione. Sappiamo fare discorsi da cattedra, da aristocrazia intellettuale di sinistra. Ma trascuriamo che politicamente siamo una aristocrazia senza popolo.

C’è un problema di rappresentanza nel Pd e non solo?

Non c’è dubbio. E io trovo questa cosa gravissima.

da left-Avvenimenti

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