Il 9 aprile, la Corte Costituzionale ha bocciato il divieto di eterologa contenuto nella legge 40. Divieto razzista che lasciandava intendere che i figli sono tali solo se hanno l Dna dei genitori Parla l’avvocato Filomena Gallo che da dieci anni lotta nelle aule di tribunale contro questa norma crudele e antiscientifica
Da left avvenimenti del 5 aprile. L’intervista è stata realizzata prima del pronunciamento della Consulta sulla legge 40, preconizzando la vittoria del diritti delle persone su una norma che invece li calpesta.
Con i suoi crudeli e antiscientifici divieti la legge 40/2004 sulla fecondazione assistita colpisce l’identità della donna, nella sua realtà più intima. E lo fa con violenza. Basta pensare all’originario obbligo di contemporaneo impianto di tre embrioni, anche se malati. O al divieto di accesso alla diagnosi pre impianto per coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche. Che nel 2012 la Corte di Strasburgo ha giudicato lesivo della Carta dei diritti dell’uomo: dacché all’articolo 8 riconosce il diritto di ognuno di decidere liberamente della propria vita affettiva, se e quando avere figli ecc. Negli anni 90, proprio mentre le tecniche mediche di fecondazione stavano diventando sempre più evolute e mentre si diffondevano sul territorio italiano centri specializzati, parlamentari cattolici di destra e di sinistra si sono coalizzati per imporre leggi dogmatiche da Stato etico, come la legge 40. Che l’8 aprile, dopo dieci anni di lotte nei tribunali da parte di associazioni di pazienti infertili e di coppie portatrici di malattie genetiche, è tornata davanti alla Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sul divieto di fecondazione eterologa (ovvero con gameti donati alla coppia). Se la Consulta giudicasse incostituzionale questo punto, uno degli ultimi crudeli divieti della norma verrebbe definitivamente cancellato. A determinare questa concreta possibilità è stato anche il lavoro di una donna avvocato, Filomena Gallo. Alla sua competenza e alla sua passione civile si devono molte delle 29 sentenze che negli ultimi anni hanno riguardato la legge 40. «Fin dal primo momento, nonostante tutto, ho creduto che questa cattiva legge potesse essere cambiata», racconta. «Poi, preso atto che questa classe politica si dimostrava sorda a ogni cambiamento ho cercato di percorrere tutte le strade possibili per vedere affermati i diritti delle persone calpestati dal legislatore».
Tutto iniziò dall’associazione Amica Cicogna?
Si tratta di un’associazione che riunisce coppie infertili. Anni fa mi chiesero di fare loro da presidente e lo sono tutt’ora. Amica Cicogna si scioglierà solo quando i divieti imposti dalla legge 40 saranno finalmente caduti. Quando si formò l’associazione nel 1998, in realtà, non c’era una norma. Si chiedeva una giusta regolamentazione. Chiedevamo l’istituzione di un registro pubblico di centri di fecondazione. Con la legge 40 almeno questo l’abbiamo ottenuto.
Ma contemporaneamente sono stati imposti pesanti limiti e divieti.
Dopo anni di dibattito nel 2004 il Parlamento ha emanato la peggiore legge possibile. Una norma che faceva finta di consentire alle coppie sterili di accedere alle tecniche medico sanitarie: il legislatore pretendeva di imporre al medico quale terapia adottare e imponeva divieti a cui corrispondevano dei reati. Di fatto significava non permettere più la fecondazione assistita in Italia. Già durante le audizioni abbiamo denunciato che la norma non aveva fondamento né giuridico né scientifico. Ma il 19 febbraio 2004 fu varato un testo che rigettava tutti gli emendamenti migliorativi presentati. Il capo dello Stato lo firmò. Pubblicata in Gazzetta il 24 febbraio, la legge entrò in vigore il 10 marzo 2004 .
In quegli anni incontrò Luca Coscioni, da cui prende il nome l’associazione per la libertà di ricerca scientifica di cui lei è segretario.
Incontrai Luca e i Radicali che subito proposero il referendum abrogativo totale della legge 40 (boicottato da una campagna a tappeto della Cei, ndr). Iniziammo la raccolta firme. A quel punto anche i Ds e i socialisti e altre forze politiche scesero in campo proponendo 4 quesiti di abrogazione parziale, sui divieti più assurdi della legge 40: il divieto di eterologa e quello di fecondazione di più di 3 ovociti e il loro contemporaneo impianto, il divieto di accesso alle tecniche per le coppie fertili portatrici di patologie genetiche. E il divieto di destinare embrioni alla ricerca.
Che cosa resta oggi?
Vorrei sottolineare un certo fenomeno. Negli anni 70, in una stagione di battaglie soprattutto delle donne, abbiamo avuto la riforma del diritto di famiglia, la legge sul divorzio e sull’aborto. Con la legge 40 è iniziata una regressione. Vi è stata una sottrazione di diritti. Ma le persone si sono ribellate, hanno detto di no. Hanno accettato di ricorrere ai tribunali rivolgendosi a me e ad altri colleghi. Io, per esempio, coordino il gruppo di legali delle associazione Coscioni, Amica Cicogna, Cercounbimbo, l’Altra cicogna. C’è un gruppo a Milano che fa capo a Massimo Clara e uno in Sicilia coordinato da Nello Papandrea, con Maria Paola Costantino e altri. Facciamo lavoro pro bono. Non ho mai preso una parcella dalle coppie che ho assistito. Il nostro obiettivo è far affermare dei diritti.
Quali persone si sono rivolte a lei?
Coppie che magari erano andate all’estero, ma volevano vedere l’affermazione dei propri diritti in Italia. La legge 40 ha determinato un federalismo sanitario riguardo ai trattamenti e un processo di emigrazione all’estero alla ricerca di trattamenti che prima del 2004 venivano eseguiti in Italia. In questi 10 anni di lotte non abbiamo mai tralasciato la via parlamentare. Facendo depositare tante proposte di legge. Ma ogni volta la risposta era: “Non bisogna parlare di questi temi”, “Non è il momento opportuno”. Noi pensiamo invece che non ci sia tempo da perdere quando si parla di diritti delle persone, di diritto alla salute, di principio di uguaglianza nell’accesso alle terapie. La Corte interamericana dei diritti umani ha sancito che il diritto per una coppia di ricorrere alle tecniche di fecondazione è un diritto umano meritevole di tutela. Da noi questo non viene riconosciuto. Adesso è il momento di agire, altrimenti ci ritroveremo senza diritti acquisiti con grandi battaglie. Rischiamo di perderli se non vengono affermati e non vengono fatti vivere.
Che cosa accadrà l’8 aprile?
La Consulta esaminerà il divieto di eterologa. Nella sua ipocrisia, la legge 40 consente alle persone sterili di accedere alla fecondazione ma vieta l’unica tecnica che potrebbe dare loro una speranza: la donazione di gameti. Fino al 2004 questa tecnica era usata in Italia senza problemi né giuridici né scientifici. Lo Stato riconosce ai figli di eterologa lo status di figlio giuridico, garantisce l’assenza di rapporto giuridico con il donatore dei gameti, in più la legge dice che non ci può essere disconoscimento di paternità e la madre non può dichiarare di non essere denominata alla nascita. Se il divieto viene cancellato quindi non si apre un vuoto giuridico.
Ed è già previsto che la Corte costituzionale torni a pronunciarsi sulla legge 40 in futuro.
Più avanti la Consulta sarà chiamata a pronunciarsi sul divieto di uso degli embrioni crioconservati per la ricerca scientifica. Mentre in tutto il mondo si studiano le staminali embrionali e quelle adulte senza preclusioni e la ricerca va avanti, noi siamo ancora qui a decidere che cosa fare di alcune migliaia di embrioni “abbandonati”. Anche di questo, del notevole progresso delle tecniche mediche e della ricerca parleremo nel terzo incontro del Congresso mondiale per la ricerca scientifica che si svolge a Roma, fino al 6 aprile, organizzato dall’associazione Coscioni.
Della legge 40 resterà solo l’amaro ricordo dei tanti paradossi?
Noi abbiamo denunciato in questi anni i paradossi e i divieti di questa norma, inaccettabili se si legge bene la Costituzione e le Carte europee. Alla fine non resterà più nulla di questa legge se non il danno creato a tante coppie in questi dieci anni, un danno non risarcibile. E resterà nella storia l’ignoranza del legislatore italiano che ha preferito mantenere accordi di convenienza piuttosto che riconoscere i diritti delle persone.