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Olivetti e il sogno di un’altra Italia

Posted by Simona Maggiorelli su luglio 26, 2013

Adriano Olivetti

Adriano Olivetti

In otto mesi le Edizioni di Comunità hanno venduto più di 40mila copie dei primi titoli di Adriano Olivetti usciti nella agile collana Humana Civitas. Grazie all’iniziativa di Beniamino de’ Liguori Carino (nipote dell’industriale di Ivrea) che ha recuperato il glorioso marchio e ha messo in piedi una rete di collaboratori che, tra l’altro, gestiscono con adesione quasi militante il rapporto diretto con 150 librerie indipendenti e con molte associazioni. «Per quanto sia una mia impresa indipendente – racconta il giovane editore – il progetto si lega all’attività della Fondazione che dal ‘62 porta avanti l’eredità olivettiana e al lavoro di BeccoGiallo (brand del fumetto civile) che condivide l’idea che il pensiero di Olivetti sia attuale soprattutto per la generazione dei 30/40enni, parlando d’innovazione, di tecnologia e di un nuovo modo di fare impresa senza perdere di vista l’umano».

L’importanza del sapere tecnico non scisso da quello umanistico, la riflessione sui movimenti e un certo ambientalismo sono alcuni dei temi olivettiani che le Edizioni di Comunità hanno riportato in primo piano pubblicando titoli come Democrazia senza partiti, Il cammino della comunità e Ai lavoratori, con prefazioni autorevoli firmate daStefano Rodotà, Salvatore Settis e Luciano Gallino. «Con questi primi libri e gli altri in arrivo vogliamo raccontare aspetti salienti della vicenda olivettiana con un linguaggio nuovo, più contemporaneo ed accessibile, anche fuori delle accademie. Abbiamo cercato di spogliarlo di quella mitologia con cui è stata neutralizzata la sua modernità», sottolinea de’ Liguori.

Gli stabilimenti di Ivrea

Gli stabilimenti di Ivrea

Quali sono oggi gli elementi più vivi e vitali del pensiero di Olivetti? «Sono quelli che mi hanno portato ad impegnarmi nella ripubblicazione anzitutto dei suoi scritti: la sua idea di una possibile giustizia sociale, la sua idea di sviluppo e di crescita che allora si concretizzava nella fabbrica e che oggi forse si realizza di più nelle opportunità offerte dalla tecnologia se finalizzata al potenziamento dell’umano». E su un piano più personale? «L’essere riuscito ad isolare gli aspetti universali del pensiero di Olivetti mi ha permesso di superare il rapporto parentale e il peso che ha avuto una personalità così forte sulla mia formazione. Mi interessa il valore civile del suo pensiero. Quella di Adriano Olivetti in fondo è l’Italia come avrebbe potuto essere. E la sua voce risulta oggi più chiara di cinqunat’ anni fa e più in linea con i tempi».

Fra le questioni che Olivetti in qualche modo aveva preconizzato c’è anche il ruolo dei movimenti alternativi al modello del partito “novello principe”. «Sì, per questo abbiamo pubblicato quel testo del ‘49 Democrazia senza partiti che non è un elogio dell’antipolitica. Olivetti parlava di comunità come organizzazione sociale locale che trovava poi rappresentazione politica in un coordinamento a livello nazionale».

Franco Fortini in Olivetti

Franco Fortini in Olivetti

Un’idea di comunità, la sua, che per quanto avesse accenti religiosi, quanto meno non idealizzava l’antico e l’Italia povera, ignorante, preindustriale osannata da Pasolini. «La grandezza di Olivetti e la sua originalità – commenta de’ Liguori – risiede proprio nel fatto che la sua filosofia sociale si legava a un’idea di modernizzazione industriale. Non dobbiamo dimenticarci che Olivetti era soprattutto un imprenditore che aveva saputo fare dell’azienda che aveva ereditato un’impresa fra le più avanzate a livello internazionale in termini di qualità del prodotto, di tecnologie di reti commerciali». E i rapporti che Adriano Olivetti aveva con gli intellettuali? «Fortini, Volponi e altri erano stati chiamati ad Ivrea non per fare i menestrelli del principe ma per ricoprire ruoli aziendali importanti. Le scienze per lui erano uno strumento dell’intelletto al pari delle discipline umanistiche. Vedeva il sapere tecnico come strumento di emancipazione». Questo sottintendeva una visione “complessa” dell’umano, che lo portava a non considerare solo i bisogni materiali degli operai? «Era la cifra che lo distingueva, alla fine degli Cinquanta Olivetti riusciva a mettere in relazione ciò che si sta facendo nel laboratorio di Ivrea con una certa idea di persona, profonda, empatica. Tutto era collegato e pensato con un fine umanistico».

 dal settimanale left-avvenimenti

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Saramago, indignazione da Nobel

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 9, 2009

Lo scrittore portoghese è in Italia per presentare le sue acute riflessioni affidate a un blog. E ora a un libro. Eccone un piccolo assaggio

di José Saramago

Saramago

Saramago

Una buona notizia, diranno i lettori ingenui, supponendo che, dopo tanti disinganni, ve ne siano ancora. La Chiesa anglicana… ha annunciato una importante decisione: chiedere perdono a Charles Darwin, ora che si commemorano i duecento anni  della sua nascita, per il modo in cui lo ha trattato dopo la pubblicazione dell’Origine delle specie e, soprattutto, dell’Origine dell’uomo... Anche se Darwin fosse vivo e disposto a mostrarsi benevolo, dicendo «sì, perdono», la generosa parola non potrebbe cancellare un solo insulto, una sola calunnia, una sola manifestazione di disprezzo dei molti che gli caddero addosso. L’unica a trarne beneficio sarebbe la Chiesa anglicana, che avrebbe aumentato, senza spese, il suo capitale di buona coscienza. Ringraziamola comunque del suo pentimento, che forse spingerà il papa Benedetto XVI a chiedere perdono… a Giordano Bruno, cristianamente torturato, con molta carità e perfino al rogo su cui fu bruciato. Questa richiesta di perdono non sarà gradita ai creazionisti nordamericani. Fingeranno indifferenza ma è evidente che si tratta di un ostacolo ai loro piani. Un ostacolo per quei repubblicani che, come la loro candidata alla vicepresidenza, inalberano la bandiera di questa aberrazione pseudoscientifica chiamata creazionismo (settembre 2008).

Ateismo militante
(…) le religioni non solo non avvicinano gli esseri umani, ma vivono, loro stesse, in stato di permanente mutua inimicizia, nonostante tutte le arringhe pseudo-ecumeniche ritenute vantaggiose da una parte e dall’altra per occasionali e passeggeri motivi di ordine tattico. Le cose stanno così da che mondo è mondo e non si vede alcun indizio di un possibile cambiamento. Salvo l’ovvia idea che il pianeta sarebbe molto più pacifico se tutti fossimo atei. (febbraio 2009).

Dogmi
I dogmi più nocivi forse non sono quelli che come tali sono stati espressamente enunciati, quale è il caso dei dogmi religiosi, perché quelli fanno appello alla fede e la fede non sa né può mettere in discussione se stessa. Il guaio è che si sia trasformato in dogma ciò che, per sua natura, non ha mai aspirato ad esserlo. Marx per esempio, non ha dogmatizzato, ma sono subito spuntati pseudo-marxisti pronti a convertire Il capitale in un’altra Bibbia…(novembre 2008).
Berlusconi e Co.
Secondo la rivista nordamericana Forbes il gotha della ricchezza mondiale, la fortuna di Berlusconi ascenderebbe a quasi diecimila milioni di dollari. Onoratamente guadagnati, è chiaro, sebbene con non pochi aiuti esterni, come ad esempio il mio. Essendo io pubblicato in Italia dall’editrice Einaudi, proprietà di Berlusconi, qualche soldo glielo avrò fatto guadagnare. Una infima goccia d’acqua nell’oceano, ovviamente, ma che gli sarà servita almeno per pagarsi i sigari, ammettendo che la corruzione non sia il suo unico vizio… Ebbene, come di solito si sente dire, i popoli sono sovrani, ma anche saggi e prudenti, soprattutto da quando il continuo esercizio della democrazia ha fornito ai cittadini alcune nozioni utili a capire come funziona la politica e quali sono i diversi modi per ottenere il potere. Ciò significa che il popolo sa molto bene quel che vuole quando è chiamato a votare. Nel caso concreto del popolo italiano – perché è di questo che stiamo parlando e non di un altro (ci arriveremo) – è dimostrato come l’inclinazione sentimentale che prova per Berlusconi, tre volte manifestata, sia indifferente a qualsiasi considerazione di ordine morale. In effetti, nel paese della mafia e della camorra, che importanza potrà mai avere il fatto privato che il primo ministro sia un delinquente? In un paese in cui la giustizia non ha mai goduto di buona reputazione che cosa cambia se il primo ministro fa approvare leggi a misura dei suoi interessi, tutelandosi contro qualsiasi tentativo di punizione dei suoi eccessi e abusi di autorità? ( settembre 2008).

Che fare con gli italiani?
… è appena giunta la notizia delle dimissioni di Walter Veltroni. Ben vengano, il suo Pd è cominciato come una caricatura di partito ed è finito,senza parole né progetti, come un convitato di pietra sulla scena politica… Veltroni è responsabile, certo non l’unico, ma nell’attuale congiuntura, il maggiore, dell’indebolimento di una sinistra di cui era arrivato a proporsi come salvatore. Pace all’anima sua. ( febbraio 2009).
Tratto da José Saramago, “Il Quaderno” (Bollati Boringhieri)

l’intervista: ITALIA SVEGLIATI

Un quaderno di riflessioni acuminate. Nate in margine a fatti di cronaca. Ma non solo. Prima affidate con passione da blogger  all’immediatezza della Rete. Poi distillate in libro che, come è noto, ha avuto una travagliata vicenda editoriale. Rifiutato da Einaudi, vede ora la luce grazie a Bollati Boringhieri con il titolo Il Quaderno. E mentre si parla di un trasferimento in blocco di tutta la sua opera nel catalogo Feltrinelli (a partire dal prossimo romanzo Caino), Saramago arriva in Italia per presentare il suo nuovo libro e incontrare il pubblico. Prima tappa il 9 ottobre proprio a Torino, la città di Bollati Boringhieri ma anche dello storico marchio enaudiano acquisito dalla Mondadori di Berlusconi. Alle 21 il Nobel è al circolo dei lettori e il giorno dopo all’università. E poi ancora ad Alba, a Milano ( 12 ottobre) e a Roma (14 ottobre, al Teatro Quirino, con Marramao). In attesa di questi incontri dal vivo, left ha rivolto a Saramago qualche domanda via mail.
Il Partito del premier si chiama Partito della libertà. Che tipo di libertà propone agli italiani?
La libertà di aprire il cammino al fascismo. Molti italiani credono di vivere in paradiso, ma forse si sveglieranno all’inferno. Se, purtroppo, ciò accadesse che non cerchino altri colpevoli.
Freedom House e l’ Economist denunciano che libertà di stampa è venuta meno in Italia. Che ne pensa?
Qualsiasi persona, perfino la meno attenta, lo confermerà. Fredoom House e Economist non ci hanno detto niente di nuovo.
Perché la reazione degli italiani e del Partito democratico alle continue bugie del premier è ancora così debole?
Non chieda a un semplice scrittore portoghese che dica ciò che gli italiani dovrebbero essere i primi a sapere. Sono loro che hanno messo Berlusconi dov’è. Che decidano adesso cosa fare
C’è uno svuotamento della cultura?
La cultura italiana sta resistendo e continuerà a resistere. Si prendano come esempio Saviano, Eco, Fo, Magris, Flores D’Arcais e tanti altri che difendono la fortezza della dignità e della sapienza.
Simona Maggiorelli
(traduzione di Sonia Castillo)

da left-avvenimenti 9 ottobre 2009

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Sonia Gandhi, la donna che guida la più grande democrazia

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 7, 2009

sonia e rajiv gandhi

sonia e rajiv gandhi

Lo scrittore Javier Moro:«è curioso che in Italia sia conosciuta solo come la vedova di Rajiv Gandhi. In pochi sanno che ha sulle spalle le aspirazioni di una sesta parte dell’umanità»

di Simona Maggiorelli

Nel 1965 quando Sonia Maino andò a Cambridge per imparare l’inglese, di certo, non avrebbe mai immaginato di entrare nella politica indiana ai più alti ranghi, come presidente del Partito del congresso fondato da Gandhi e Nerhu. Ma nella fredda e inospitale cittadina inglese, fra gli studenti fuori sede che facevano gruppo, la bella ragazza di Orbassano, per caso, incontrò un giovane, come lei, molto timido e dal sorriso seducente. Era Rajiv Gandhi. E anche se lei pensava un futuro da interprete e lui da pilota, la storia tormentata dell’India e la lotta intrapresa da Jawaharlal Nehru e poi da sua figlia Indira Nehru-Gandhi per la democrazia cambiò completamente le loro vite.
«Ero in India nel 1991 quando Rajiv fu assassinato – racconta il giornalista spagnolo Javier Moro -. In tv vidi la cerimonia di cremazione e rimasi molto colpito dal dolore e dal coraggio di Sonia mentre tutta la sua vita andava in fumo insieme alle ceneri del suo uomo». Fu in quel momento che Moro decise di scrivere una storia dell’India attraverso la vicenda di Sonia Maino. Prima però sarebbero venuti altri libri come Mezzanotte e cinque a Bhopal (scritto nel 2001 con lo zio Dominique Lapierre e Passione indiana (Mondadori, 2006). Dopo tre anni di ricerche l’anno scorso Javier Moro è riuscito finalmente a portare a termine il suo lavoro che ora esce in Italia per la casa editrice Il Saggiatore. «Io non volevo scrivere una biografia romanzata di Sonia – spiega Moro che in questi giorni è in Italia per presentare il libro -. Ma raccontare, attraverso lei la complessità di un Paese-continente come l’India». Ne è uscito un grande affresco di storia, ma anche un affascinante tentativo di capire più a fondo la personalità di questa donna che dal 2004 ha portato due volte il Partito del congresso a vincere le elezioni. «Volevo capire come questa donna timida che non aveva ambizioni pubbliche sia riuscita – per passione democratica, per lealtà verso Rajiv – a vincere le proprie riluttanze accettando di entrare in politica. Oggi – sottolinea Moro – secondo la rivista Forbes, Sonia Gandhi è una delle tre donne più potenti al mondo. Io volevo scoprire come sia stata possibile questa trasformazione e raccontarla.
In India Sonia Maino Gandhi guida il partito di governo. Noi non abbiamo mai avuto né un premier né un presidente donna. E intanto, grazie a Berlusconi, non si parla che di escort e veline. Come vede la situazione italiana?
Problematica. Per essere diplomatico. Ciò che mi sorprende è che in Italia nessuno sappia chi è realmente Sonia Gandhi. Qui è conosciuta come una povera vedova. Una ragazza di provincia che diventò indiana. Ma in pochi sanno cosa rappresenti davvero questa donna che ha sulle sue spalle le aspirazioni di una sesta parte dell’umanità. Non si conoscono i problemi con cui si confronta, i conflitti che si trova a dirimere, le sfide continue. Io ho fatto il lavoro che un giornalista italiano avrebbe dovuto fare. Insomma vorrei dire al pubblico italiano che non esiste solo Berlusconi come politico, che c’è una donna come Sonia Gandhi che sta facendo un lavoro importante per cercare di rispondere all’ingiustizia e alla povertà che affliggono l’India.
L’ateismo di Nerhu e le idee progressiste e cosmopolite d Indira l’hanno influenzata?
Con Indira c’era un rapporto di profondo affetto. Sonia ne ha assorbito il pensiero politico. In più non ha mai dimenticato le sue radici povere. Questo è ammirevole perché sposando Rajiv avrebbe potuto diventare la grande borghese che a Delhi riceve Mandela o Mick Jagger. è molto consapevole che il cognome Gandhi si lega a una storia importante. E non vuole che nessuno se ne approfitti.
La non violenza gandiana l’ha guidata in politica?
Molto ma l’India non è un Paese omogeneo. Ci sono ben 4.635 comunità diverse, un mondo di religioni e di culture differenti e le tensioni sono fortissime. Il popolo indiano è, al fondo, pacifico. Se guardiamo alla storia, l’India non ha mai invaso un altro Paese. Ma questo non vuol dire che le tensioni fra le comunità non possano diventare pericolose. Le relazioni fra musulmani e induisti sono difficili e complesse. Ma da quando Sonia ha vinto per la prima volta le elezioni nel 2004 si sono placate. L’India ha un grande partito democratico al governo; un partito che difende gli ideali di Nerhu, ovvero ideali di laicità e di uguaglianza di fronte alla legge. Ma deve fronteggiare un partito religioso induista che non vuole un’India in cui si integrino molteplici identità. I fondamentalisti indiani, oggi all’opposizione, vorrebbero una nazione specchio del Pakistan: una nazione induista tanto quanto loro sono musulmani. In dieci anni Sonia Gandhi ha portato il Partito del congresso, da disgregato che era, ad avere la maggioranza assoluta. è frutto del lavoro di una donna italiana che non voleva fare politica.

dal quotidiano Terra 7 ottobre 2009

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In piazza per la libertà di stampa

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 3, 2009

di Simona Maggiorelli

manifestazione per la libertà di stampa, Roma

manifestazione per la libertà di stampa, Roma

Esistono ancora in Italia le condizioni per esercitare in modo compiuto la professione di giornalisti?. E’ la domanda che ha mosso Oreste Flamminii Minuto a scrivere Troppi farabutti. Il conflitto fra stampa e potere in Italia (Baldini Castoldi Dalai, in uscita il 6 ottobre). Una domanda fondamentale per valutare lo stato in cui versa la nostra democrazia. Dopo una serrata disamina della stampa italiana e della legislazione, l’autore, che da oltre cinquant’anni anni fa l’avvocato, si trova costretto a rispondere che in Italia la democrazia non è propriamente in pericolo: «è che proprio la libertà di stampa non c’è».

Un’affermazione grave basata non solo sui progetti in atto da parte del governo di bloccare la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche. Non solo per gli editti “bulgari” del Premier contro giornalisti scomodi. Non solo per il vertiginoso incremento di denunce per diffamazione usate come mezzo per bloccare il lavoro dei giornalisti viste le lungaggini della giustizia. Ma anche, e soprattutto, per un fatto ormai strutturale come la scomparsa di editori puri, che non abbiano interessi e partecipazioni dirette in politica e negli affari. Da qui origina la tendenza da parte di editori-padroni a nominare direttori- signorsì pronti a farsi il loro braccio armato. Il caso de Il Giornale docet. E purtroppo non è il solo.

Difensore di molti giornalisti ed ex rappresentante legale dell’Espresso e dell’Unità, Flamminii, però, non si limita a raccontare e a esaminare questo brutto presente. Ma cerca di rintracciare i possibili prodromi nella storia italica. Uno, inconfutabile, lo si trova proprio nella nostra legislazione. Nonostante l’articolo 21 che garantisce la libertà di stampa sia inscritto nella nostra Costituzione, la legislazione italiana, ricorda Flamminii in Troppi farabutti, prevede anche la legge 47 promulgata nel 1948: «Una legge che è fatta apposta per tenere in scacco i giornalisti».

La legge 47, infatti, prevede la galera («per molestia») per quei giornalisti che cercano conferme di fonti di informazione. Ma anche per chi  scrive che un imputato, forse, si sta pentendo. In questo caso la norma parla, nientemeno che di favoreggiamento. A inquadrare la questione in un’ottica più ampia, ma sempre “dolorosa”, è il costituzionalista Michele Ainis. Nel suo ultimo saggio La cura (Chiarelettere)  presenta un decalogo di proposte per costruire una società basata sul merito, la legalità e l’uguaglianza: «Un’uguaglianza dei diritti, dal basso». Ma su Terra torneremo su questo argomento per approfondire le questioni sollevate dal libro che sarà presto in libreria.

+unità-1Intanto, nel giorno della manifestazione per la libertà di stampa a Roma indetta (in “ribattuta”) per il 3 ottobre certamente non possiamo dimenticare (al di là della difesa del nostro piccolo “particulare”) i colleghi che in varie parti del mondo,  per il fatto di fare bene il proprio lavoro , hanno perso la vita. Fra i libri che indagano il conflitto mortale fra informazione e regime segnaliamo, intanto, due titoli importanti di prossima uscita. Entrambi riguardano il Paese guidato da  Medvedev e dal grande amico di Berlusconi, Vladimir Putin. Una Russia dove negli ultimi anni molti giornalisti sono scomparsi o sono stati uccisi. Come Anna Politkovskaja assassinata il 7 ottobre 2006 e Natalija Estemirova freddata il 15 luglio 2009. Entrambe a causa delle verità scottanti che avevano riportato alla luce. Perché, il volume di articoli della Politkovskaja in uscita per Adelphi  si avvale del lavoro dei suoi due figli e dei colleghi della Novaja gazeta che hanno scandagliato l’hard-disk dei computer di Anna e il suo archivio personale. In drammatica successione quei pezzi sulla Cecenia  per i quali fu “condannata a morte”. Nel libro Ragazze della guerra (Voland), invece, la giornalista Susanne Scholl ripercorre la storia di Anna in parallello a quella di Natalija che ne stata stretta collaboratrice e ne aveva poi portato avanti il lavoro. La giornalista tedesca sarà in Italia dal 23 ottobre per parlare di questo suo nuovo libro.

dal quotidiano Terra 3 ottobre 2009

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Non c’è democrazia senza laicità

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 17, 2009

vecaIl filosofo Salvatore Veca interviene nel dibattito pubblico con un nuovo libro che declina il dizionario minimo del nostro vivere pubblico e civile

di Simona Maggiorelli

«Democrazia e laicità formano un binomio imprescindibile per la politica e le istituzioni – dice con passione Salvatore Veca, filosofo politico dell’Università di Pavia, che ora di queste due parole ha fatto il cuore del suo nuovo libro Dizionario minimo (Frassinelli). «Un binomio – precisa subito il professore – che vedo molto offeso in questa realtà italiana Per più ragioni diverse».

Di questo lei parlerà alla Biennale democrazia ideata da Zagrebelsky. Qualche anticipazione?

Il punto di partenza del mio discorso è che democrazia e laicità simul stabant simul cadent o stanno assieme oppure, assieme, cadono. Se la laicità è sotto pressione significa che le leggi, le scelte collettive pubbliche, sono fatte nell’interesse di qualcuno e non di tutti. Ovvero si trattano alcuni cittadini come di serie B, mentre chi condivide la scelta della maggioranza sarebbe di serie A.

Leggi ad personam e populismo, uso politico della paura, come lei ha scritto, connotano questo governo di destra. Mentre il premier Berlusconi sembra aver cominciato una campagna di autopromozione per il Quirinale dalle zone terremotate…

Il Premier cerca di far passare il messaggio “sono uno di voi” e usa un meccanismo fatuo di rassicurazione. In situazioni pubbliche all’estero, poi, l’abbiamo anche visto fare il joker e l’amicone. Come diceva Garboli, Berlusconi è un «tip pictoresque», è un piazzista lombardo, una specie di Sordi del Nord. Di fatto replica la classica forma del populismo, in tempi mutati. Per questo irriderlo non basta. Da sinistra bisogna dire: così non va! Ma dobbiamo anche indicare cosa va fatto in positivo.

veca1La Sinistra, però, appare afasica, specie sui diritti civili e sulle questioni bioetiche. Nel manifesto del Pd, ad esempio, si legge che la religione appartiene alla sfera pubblica. Ma «valori non negoziabili» come quelli che la Chiesa vorrebbe imporre come possono trovare cittadinanza nell’agone politico?

Valori e credenze religiose, a mio avviso, hanno diritto ad avere voce nella discussione pubblica – quella che in modo poco brillante va in scena a Porta a Porta ma anche quella che abita il dibattito alto – dando spazio a tutte le voci. Ma non dovrebbero avere voce in capitolo nello spazio di deliberazione di nuove norme.

Questa posizione la differenzia nettamente da Habermas.

Sì diversamente da lui e dagli altri fautori di tesi cosiddette postsecolari io credo quando si fanno delle scelte che valgono per chiunque e non per qualcuno, non possiamo che rimanere fermi al vecchio, semplice, rude principio della laicità delle istituzioni. Certo, non senza aver ascoltato tutte le voci. Ex ante io rispetto tutte le persone, anche se non condivido le loro ragioni. Ma se facciamo una legge sul biotestamento o sulle staminali, o sulla fecondazione assistita, non possiamo corroborare la nostra scelta legislativa sulla base di un insieme di credenze. Dobbiamo puntare su scelte che diano la massimo di libertà e di opzioni alle persone, purché non rechino danno agli altri. Alla domanda di eticizzare le istituzioni noi dobbiamo rispondere deflazionando.Dobbiamo fare leggi in questo ambito che non siano coercitive, ma dicano: se vuoi, puoi. Noi siamo scarsamente abituati al pluralismo, che addirittura viene avvertito come una sorta di catastrofe, quando invece è un tratto persistente del paesaggio delle democrazie recenti.

Il pluralismo spesso viene stigmatizzato come relativismo.

Ma il problema non è il relativismo. Il punto è prendere sul serio il pluralismo dei valori. Ci sono al mondo civiltà e culture in cui le persone hanno idea che le cose buone della vita siano diverse fra loro. Oppure, all’opposto ci sono valori come equità efficienza, libertà e sicurezza che sono per tutti importanti. Ma se io pedalo solo su uno di questi lo pago in termini di altri. Sicurezza e libertà sono entrambi valori, ma confliggono tra loro e devo trovare un’idea degli equilibri il più possibile coerente. Purtroppo nella offerta di politiche alternative c’è chi lavora sulla sicurezza ritenendo che i prezzi di libertà siano poca cosa.

In Italia la Destra ci marcia…

La Destra è una grande imprenditrice della paura sociale. Sia quando la paura è giustificata, sia quando non lo è perché è costruita dalla politica stessa. Il problema, torniamo a dire, non è il relativismo una parola da lasciare ai talk show o alle prediche dei preti, il punto è costruire a partire dalle nostre idee diverse un modo per convivere bene.

Lo sviluppo della scienza oggi si impone di rinegoziare certi valori e modi di pensare. Perché la sinistra non sa contrapporre risposte forti a chi pretende che solo la religione sia un’ancora per l’etica?

Sono molto preoccupato del fatto che la Sinistra – con la quale mi identifico con la Sinistra quale che sia da molti anni – non abbia la capacità e la forza di rispondere con chiarezza e con la volontà di farsi comprendere dalle persone, di fronte a questioni di questo genere Certo le esperienze legate allo sviluppo della conoscenza scientifica possono in alcuni suscitare incertezza perché il mondo viene messo a soqquadro e possiamo fare nuove cose che ci trovano impreparati. Di fronte a questo ci sono due risposte possibili: una è quella della scurita. La risposta di chi si immunizza rispetto ai rischi del cambiamento e usa i vecchi schemi di giudizio, religiosi etici riguardo a questioni come il far nascere e il morire. In questo caso le possibilità che la tecnica e la scienza ci offrono vengono stigmatizzate come “male” e così si chiede al politico e al legislatore di sanzionare con la forza della coercizione delle comunità morali omogenee, basate su convinzioni che spesso poi nella vita non sono messe in pratica nemmeno da chi le propugna. Il discorso, al fondo è, io non farò mai l’aborto, ma non voglio che altri lo facciano. E’ questa, badi bene, è una domanda nuova. Fin qui alla politica era sempre stata fatta una domanda di diritti per sé, perché erano negati.

Per questa via il ddl Calabrò sul biotestamento affida a politici e a sacerdoti senza competenze il diritto di imporre terapie mediche, obbligando il medico a una cattiva pratica. Cosa ne pensa?

Che è una barbarie. Spero in un referendum. Ma intanto penso che la Sinistra tutta dovrebbe ribadire con gran forza un principio di libertà fondamentale. Non dovremmo lasciare alla destra un termine prezioso come libertà. Parliamo della libertà delle persone di scegliere se stesse, ovviamente senza fare danno agli altri. Questo è un principio da urlare a voce alta.

Noi di sinistra «ci siamo decostruiti fin troppo», lei ha detto di recente. La Sinistra oggi dovrebbe sviluppare una nuova identità facendo proprie le nuove conoscenze scientifiche?

Senza dubbio. Certe leggende metropolitane sulla scienza come del resto convinzioni del genere “solo un dio ci può salvare” sono segni di scarsa civiltà.

Lei si è occupato di immagine della scienza. Perché in Italia più che altrove i ricercatori sono dipinti come novelli Frankestein?

E’ un fatto tipico in Italia. Non vale nel Nord d’Europa. Negli Usa la faccenda è più controversa. Ora è girato il vento, ma da poco tempo. I costruttori di Frankestein o chi fantastica su mondi fatti di cloni esprime una condanna della tecnica. In realtà sono gli scienziati stessi, per primi a non fare promesse irreali, dicendo noi ad oggi possiamo arrivare fino a qui. Ma noi vecchi illuministi troppo spesso dimentichiamo che certe leggende metropolitane sulla scienza fanno presa sulla percezione di larghe fette di popolazione. Sappiamo fare discorsi da cattedra, da aristocrazia intellettuale di sinistra. Ma trascuriamo che politicamente siamo una aristocrazia senza popolo.

C’è un problema di rappresentanza nel Pd e non solo?

Non c’è dubbio. E io trovo questa cosa gravissima.

da left-Avvenimenti

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