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#Boncinelli: La scienza libera le donne dal destino “naturale”

Posted by Simona Maggiorelli su agosto 8, 2015

Il genetista Edoardo Boncinelli

Il genetista Edoardo Boncinelli

«L’invenzione della pillola anticoncezionale ha avuto un impatto enorme. E non è certo finita. Anzi, il bello deve ancora venire…Oggi si parla di gameti e di riproduzione, con l’apertura di orizzonti prima inimmaginabili» ha scritto il genetista Edoardo Boncinelli sul Corsera commentando la notizia del via libera, a larga maggioranza, da parte Parlamento inglese a un tipo di fecondazione assistita che permette di evitare la trasmissione di malattie genetiche gravi da madre a figlio. Una tecnica ideata da un gruppo di scienziati dell’Università di Newcastle, che prevede la sostituzione del Dna mitocondriale difettoso della madre con quello di una donatrice sana. Ma questa non è la sua innovazione più interessante in questo ambito».

Professor Boncinelli, nuove tecniche di fecondazione in vitro fanno a meno dell’intervento dello spermatozoo. Viene stimolato l’ovocita per provocare una partenogenesi. Di che si tratta più precisamente?

In alcune specie la partenogenesi è un fenomeno naturale. Non ha bisogno dell’intervento dei cromosomi maschili per dar vita a nuovo organismo. Negli animali superiori, compreso l’uomo, di solito non avviene. O meglio non avviene spontaneamente. Ma si può attivare la cellula uovo. Nei conigli, per esempio, è piuttosto comune, s’inietta una gocciolina di iodio e l’uovo comincia a svilupparsi anche senza l’intervento del gamete maschile. In linea teorica nel caso dell’essere umano è possibilissimo ottenere tutto questo. In linea teorica, ripeto, perché poi il processo viene fermato. Per esempio, si può stimolare la cellula uovo attraverso degli ioni calcio. In questo caso non c’è traccia di cromosomi maschili, fa tutto la parte femminile. E comunque si ottiene un organismo completo. O per meglio dire si otterrebbe visto che non è ancora mai stato portato a termine.

Boncinelli Noi siamo cultura

Boncinelli Noi siamo cultura

Si possono anche produrre gameti maschili e femminili in laboratorio?

Questa è l’ultima notizia. Anche se per noi scienziati non è del tutto nuova, perché se ne era parlato nella comunità scientifica. Le cellule staminali, come sappiamo, possono produrre vari tipi di tessuti e anche i gameti. Certo, vanno indirizzate in questa direzione. Un domani potremmo ottenere da una parte cellule uovo e dall’altra spermatozoi, semplicemente partendo da cellule staminali. Il che porta un vantaggio in medicina: si potrebbe sapere esattamente che patrimonio genetico hanno perché discendono da una cellula specifica.

Se si aggiunge anche la fecondazione da tre Dna diversi

Il quadro si fa piuttosto articolato. Con la differenza che quest’ultima strada è già pienamente realizzabile. Ed è abbastanza facile. Con questa tecnica si aggira la minaccia di avere un bambino con malattie gravi di tipo mitocondriale perché la donatrice ha i mitocondri sani.

La medicina più avanzata “libera” la sessualità umana dalla procreazione?

Sì, sempre di più. Ma permette anche di poter avere un figlio sano. Naturalmente se si ricorre alla tecnica come puro gioco, non ha molto senso, ma se avere un figlio per una coppia è sentito come una realizzazione e poi si è in grado di dargli affetto, sostegno, istruzione ecc. questo è sicuramente un vantaggio per il neonato, perché lo libera da difetti genetici per i quali ad oggi non c’è una cura.

Parlando di tecniche che sono già a disposizione di tutti, dovremmo anche citare la diagnosi pre-impianto: le dedica ampio spazio nel suo libro Einaudi, Genetica e guarigione.

Certo, perché la diagnosi pre-impianto è la punta di diamante di tutta la genetica moderna. In Italia è proibita dalla legge, anche se poi c’è chi l’ha utilizzata.

Ci sono state sentenze di tribunale che hanno riconosciuto il diritto di coppie sterili ad accedere a questa tecnica Ma crudelmente è ancora vietata dalla Legge 40 alle coppie fertili, anche se, per esempio, portatrici di malattie genetiche

La questione non è stata chiarita del tutto, purtroppo. E in assenza di un quadro definito c’è chi in Italia preferisce non utilizzarla. Ma da scienziato dico che la diagnosi pre-impianto offre degli enormi vantaggi per la salute. Sarebbe assurdo rinunciarci.

Nel saggio Homo Faber, da poco uscito per Baldini&Castoldi lei parla dell’ingegneria genetica come di una grande avventura umana. Ma nel nostro Paese incontra la forte opposizione della Chiesa. Il Papa dice che le donne devono fare più figli ma poi condanna la fecondazione assistita. Come si spiega?

Boncinelli, Rizzoli

Boncinelli, Rizzoli

Loro adducono tanti motivi, ma il fatto è che la Chiesa è sessuofobica, vede di malocchio la donna e la sessualità. E poi sostiene che queste tecniche non siano naturali. Ma cosa c’è di naturale, per esempio, in una iniezione che introduce nei muscoli un ferro per far passare delle sostanze? Non per questo si rinuncia a curarsi.

Il Papa si schiera in difesa dell’anima ma poi difende l’embrione come fosse sacro. Non c’è una sorta di feticismo, una forma estrema di materialismo?

Lo è. Addirittura sostengono che l’embrione è persona quando ha i cromosomi umani. Questo vuol dire che anche una cellula della lingua o un bulbo di capello è un essere umano. Il che è inaccettabile.

Nei dibattiti «appena compare la parola “sacro” si smette di ragionare», lei ha detto annunciando di voler scrivere un libro contro il sacro. Fuor di battuta lo farà?

Io spero proprio di riuscire a farlo

 Simona Maggiorelli, Left

 

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Via libera delle Regioni all’eterologa. Ma gli “ultimi giapponesi” fanno le barricate

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 5, 2014

  fecondazione01gLa Conferenza delle Regioni dà  il via libera all’eterologa. Sul modello della Toscana. Rompendo gli indugi del Governo nel dare piena attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale. Una sentenza che l’avvocato Gianni Baldini, docente di Biodiritto all’Università di Firenze e consulente della Regione Toscana, non esita a definire «un manifesto di libertà».

Ma fra i consiglieri del ministro della Salute Beatrice Lorenzin ci sono paladini oltranzisti della Legge 40 come Eugenia Roccella e i cattolici che siedono in Parlamento promettono battaglia. In nome della difesa dell’origine biologica, dei rapporti di sangue. E della famiglia tradizionale.

La Consulta ha riconosciuto che per ben dieci anni, con la legge 40/2004, sono stati negati diritti civili, costituzionali, a persone che chiedevano l’accesso a terapie mediche. E lo scenario che si apre ora in Italia per le coppie sterili è anche quello di potersi rivalere per il danno subìto, conferma l’avvocato Gianni Baldini, docente di Biodiritto all’Università di Firenze, che ha assistito molte coppie che, con coraggio, hanno scelto di battersi nelle Aule di tribunale contro gli antiscientifici divieti imposti dalla legge 40. Una norma – lo abbiamo scritto tante volte – degna di uno Stato etico che spia sotto le lenzuola, che violenta la donna fisicamente e psichicamente (basta pensare all’iniziale obbligo di impianto di tre embrioni anche se malati), discriminante e razzista, (vedi il divieto di eterologa cancellato dalla Consulta) ma anche piena di dogmi religiosi dal momento che tutela il concepito come fosse una persona. Come ha rilevato censurando l’Italia la Corte europea dei diritti dell’uomo. Dopo che la legge 40 è stata smontata pezzo dopo pezzo nelle aule di tribunale, ma soprattutto dopo la sentenza della Consulta del 9 aprile scorso che l’avvocato Baldini non esita a definire un manifesto di libertà si potrebbe anche prospettare l’occasione per far evolvere la cultura giuridica in Italia riguardo a diritti fondamentali della persona, erroneamente detti eticamente sensibili. Vediamo perché.

«La questione della legge 40 non si era mai posta in questi termini», dice Baldini che insieme all’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Coscioni, è stato il primo a sollevare il dubbio di legittimità costituzionale della norma. «La sentenza della Consulta parla chiaro e la recente ordinanza del tribunale di Bologna ne ha ribadito integralmente il contenuto. Le “autorità giuridiche” dicono che l’eterologa si può fare, che il diritto esiste ed è immediatamente eseguibile. Mentre i politici tergiversano, invocando una legge di recepimento della direttiva. Ma si tratta di una scusa (perché la direttiva è già stata recepita con i Dc.Lvi 191/07 e 16/10) per rivedere in senso reazionario la legge 40, per esempio eliminando l’anonimato ai donatori di gameti.

Gianni baldini, con Filomena Gallo , Rodotà e altri

Gianni baldini, con Filomena Gallo , Rodotà e altri

Avvocato Baldini, quale significato assume la sentenza di Bologna alla luce di questo scontro fra la Consulta e il Consiglio dei ministri che, dopo il ritiro del decreto Lorenzin, invoca una discussione in Parlamento?

Molto importante, direi. Non solo perché in base al diritto di autodeterminazione, al diritto alla salute e al principio di uguaglianza nell’accesso alle terapie, letta la sentenza della Consulta, il tribunale ha detto che non c’è bisogno di una nuova legge. Ma anche perché l’ordinanza afferma che le scelte terapeutiche devono essere fatte dal medico, tarandole sul caso concreto (previo consenso del paziente). Non dal legislatore. Riportandoci così in modo lineare alla giurisprudenza della Consulta in materia. Nonostante i furori ideologici di certa politica.
La Toscana si è avvalsa del suo lavoro di giurista per deliberare il via libera all’eterologa, senza attendere il Parlamento. I Nas potrebbero bloccare le terapie?
Se già il giudice – come ha fatto nelle due ordinanze il tribunale di Bologna – si rimette alle migliori competenze mediche e a questo si aggiungono le Direttive da parte di una istituzione pubblica come la Regione (competente in materia), il quadro è ben chiaro e direi tranquillizzante. Inoltre la legge 40 disciplina l’attività dei centri che, per esempio sono obbligati, tutelando la privacy, a conservare per 30 anni i dati relativi alla tracciabilità del materiale genetico. In Toscana i centri devono anche trasmettere i loro dati dell’ufficio della Regione dando soluzione ad alcuni problemi evocati dal ministro (donazioni plurime, esami per garantire sicurezza del materiale genetico, ecc) .
Come si configura la possibilità di chiedere i danni causati dal decennale divieto di eterologa?
La coppia di cui si è occupato il tribunale di Bologna, per esempio, nel 2006 è andata all’estero, ma senza successo. Ora che il diritto all’eterologa viene loro restituito, non hanno più 37 anni ma 45. Il danno subìto riguarda la perdita di chance di poter avere un figlio. In altri Paesi europei sono arrivate a sentenza cause per responsabilità della pubblica amministrazione nei confronti del cittadino (per cosiddetto illecito legislativo o costituzionale). È ormai pacifico che la violazione di una direttiva o di un regolamento europeo da parte di una legge nazionale, se lede i diritti del cittadino, apre la strada al risarcimento del danno. Perché non dovrebbe essere altrettanto quando una legge viola la Costituzione?
Potrebbero nascere anche delle class action?
Assieme ad alcune associazioni di pazienti stiamo studiando l’ipotesi: c’è la numerosità, la comunanza di interesse e la possibilità di perseguirlo da parte di chi si trova in condizione analoghe. Quanto agli esiti, ci si rimette ai giudici. Che, speriamo, abbiano voglia di innovare e di far evolvere il nostro ordinamento dando ingresso a nuove forme di tutela. Altre richieste di rimborso, invece, possono essere legate alla questione transfrontaliera e all’assistenza indiretta (in base alla direttiva del 9 marzo 2011 così come recepita dal D.Lvo n. 38 del 4 marzo 2014). Il paziente che si cura all’estero in questo caso, previa autorizzazione della propria Asl, anticipa i soldi e deve chiedere tempestivamente il rimborso al proprio sistema sanitario. Ma le cure rimborsabili sono solo quelle che non possono essere fatte in Italia in tempi utili per patologie.  In questo caso sarà possibile rimborsare il valore equivalente al costo della prestazione in Italia.  Ma solo se la patologia è stata inserita nei livelli essenziali di assistenza.L’eterologa lo è in Toscana, ma non ancora a livello nazionale, anche se il ministro Lorenzin aveva assunto un preciso impegno in questo senso.

Lei ha parlato della sentenza della Consulta come di un manifesto di libertà, che rimette al centro la salute psico-fisica della donna e della coppia. Calpestate dalla legge 40. «La più ideologica che sia mai stata fatta in Italia», ha detto Rodotà.
È in atto uno scontro fra chi ritiene che in uno Stato laico il diritto debba rispettare la libertà di tutti i cittadini e chi invece vuole piegare il diritto alla propria etica, come è accaduto con la legge 40 o il ddl Calabrò sul biotestamento. Ma il diritto non può essere lo strumento di un’etica che evidentemente ha perso forza di persuasione e per questo ha bisogno di essere imposta per legge. Scegli un’etica perché sei persuaso del suo valore non perché una legge te lo impone. Il diritto deve essere uno strumento di garanzia per tutte le etiche con il limite del rispetto dei principi di “libertà nella dignità” della persona umana. Vedi le leggi sul divorzio e l’aborto. Tanto più nella società multiculturale e multietnica di oggi. Io posso fare l’eterologa oppure no, ma non posso imporre agli altri un mio punto di vista, negando il diritto di scegliere. Lo ha affermato la Consulta ma anche la Corte europea dei diritti dell’uomo che ha ripetutamente condannato l’Italia a causa della legge 40. Parliamo qui di diritti fondamentali come il diritto alla salute e all’autodeterminazione. In tal senso vorrei ricordare l’ultimo comma dell’art 32 della Carta, una vera e propria clausola di habeas corpus: la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto (della dignità) della persona umana. Il legislatore non può invadere questi campi, che attengono alla sfera più intima e personale del soggetto. La Costituzione, la Carta dei diritti dell’uomo e i principi della Carta dei diritti fondamentali Ue contenuti del Trattato di Lisbona vengono prima della singola legge. Sono ambiti sottratti alla discrezionalità del legislatore che deve limitarsi a garantire senza possibilità di conformare, tanto meno, rispetto a propri convincimenti etico-morali.
La legge 40 violenta la donna, ma rappresenta anche un attacco al rapporto uomo donna?
Sì, la Corte costituzionale, infatti, non parla solo di integrità psicofisico della donna, ma nella sentenza 162 parla anche della salute della coppia intesa come benessere psico-fisico e sociale.
Una cattolica come la senatrice Paola Binetti sposa addirittura il materialismo pur di farsi paladina della matrice genetica. Perché questa classe politica teme così tanto l’eterologa?
Dietro alle barricate contro l’eterologa c’è una morbosità tutta italiana. Noi siamo il Paese della famiglia che diventa familismo. Siamo il Paese della sottolineatura esasperata dei rapporti di sangue, di stirpe, che non ha eguali in Europa. Da noi sì che la genitorialità è una questione di affetti, ma alla fine l’importanza che talvolta viene attribuita all’aspetto genetico rasenta il patologico. È un tema che riguarda l’adozione ma l’eterologa la evidenzia in maniera paradigmatica. Essere padre o madre non è un fatto biologico, genetico, ma di scelta, di affetti. E poi se superiamo la prospettiva meramente terapeutica (cosa che in Italia non è possibile) l’eterologa potrebbe essere lo strumento che permette una pluralità di progetti familiari.

Più in generale se per avere un figlio posso rivolgermi alla provetta appare sempre più chiaro che la sessualità umana non è legata alla procreazione come quella degli animali?

Ma infatti questo tentativo di bloccare l’eterologa appare sempre di più come una ‘tempesta in un bicchier d’acqua’ artificiosamente scatenata per negare che il diritto di autodeterminarsi nelle proprie scelte procreative e familiari spetta all’individuo a prescindere dal modello di famiglia nel quale esso si colloca. La metafora dei ‘quattro giapponesi’ che non si sono ancora accorti che la guerra è finita mi pare in tal senso calzante. Dopo la pronuncia della Consulta, il recente intervento del suo Presidente, Tesauro (che è stato anche il relatore della sentenza 162/14), la Delibera della Regione Toscana e le ordinanze del Tribunale di Bologna che ritengono che non vi è alcun vuoto normativo e dunque il diritto alla fecondazione eterologa risulti immediatamente eseguibile – rinviandosi ad una normativa tecnica di dettaglio ovvero alle migliori pratiche mediche la soluzioni delle questioni tecniche per assicurare l’esercizio dello stesso in condizioni di massima sicurezza (numero donazioni possibili, esami da svolgere e criteri di selezione dei donatori, tracciabilità)- ci si chiede su quali basi, giuridiche prima di tutto, i tecnici del Ministero possano continuare a sostenere l’esigenza di una legge senza la quale addirittura l’eterologa non si potrebbe fare….. Ben diversamente come è stato ripetutamente suggerito al Ministro e come i fatti hanno dimostrato, prima che le Regioni che lo vorranno seguano l’esempio della Toscana, sarebbe opportuno intanto aggiornare rapidamente le Linee Guida stabilendo le norme tecniche e di dettaglio sopra ricordate in modo da avere una disciplina uniforme in tutto il territorio nazionale. Poi, ove si ritenga che l’attuale disciplina in tema di tracciabilità che prevede la tutela di un rigoroso anonimato del donatore, ovvero i protocolli medici internazionali che stabiliscono che vi debba essere una comunanza dei caratteri biologici fondamentali tra donatore e riceventi colore della pelle, gruppo sanguinio, caratteri fenotipici essenziali), non vada bene, il Ministro potrà investire il Parlamento delle relative questioni che verranno definite con i tempi che dato la natura del tema, è facile intuire non saranno brevi.

( Simona Maggiorelli)

dal settimanale left 30 agosto, aggiornato il 5 settembre 2014

Filomena Gallo con attivisti dell'Associazione Coscioni

Filomena Gallo con attivisti dell’Associazione Coscioni

 La Conferenza delle Regioni ha approvato all’unanimità le linee guida sulla fecondazione eterologa. L’accordo prevede che la fecondazione eterologa sia gratuita o preveda al massimo un ticket ma anche che il fenotipo del neonato possa essere simile a quello dei genitori. Il bambino potrà, se vuole, conoscere i donatori, ma solo una volta cresciuto e raggiunti i 25 anni. E solo se i donatori accetteranno di rivelare la propria identità. I donatori devono avere tra i 20 e i 35 anni, se donne. Tra i 18 e i 40 anni, se uomini. Il documento stilato dal coordinamento degli assessori regionali alla Sanità, infine, chiede al ministro Lorenzin di inserire l’eterologa nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), come promesso. Un segnale forte per il Parlamento che il Governo Renzi ha chiamato ad esprimersi di nuovo sulla Legge 40

La Consulta e il tribunale di Bologna hanno posto fine a un divieto istituito nel 2004 con la legge 40 restituendo alle coppie sterili il diritto alla fecondazione eterologa. In arrivo una pioggia di ricorsi individuali e collettivi

Ha avanzato una richiesta di risarcimento danni la coppia a cui il tribunale di Bologna il 14 agosto ha riconosciuto il diritto immediatamente esigibile all’etero

loga. E adesso potrebbero essere molti altri a imboccare questa via, considerando che sono circa 20mila le persone che, dall’entrata in vigore della legge 40 nel 2004 a oggi, sono andate all’estero per fare la fecondazione assistita con gameti ricevuti da donatori esterni alla coppia. Mentre altre 9mila ancora attendono in Italia.

Non solo azioni individuali a pioggia, ma anche un’azione collettiva, una class action. Questa possibilità è stata prospettata, all’indomani della decisione della Consulta, dagli avvocati Gianni Baldini e Filomena Gallo. E subito ripresa dalla stampa specializzata di settore. «Sono migliaia – ha scritto il Quotidiano sanità – le coppie che potrebbero decidere di fare una class action contro lo Stato italiano per colpa della legge 40 che per 10 anni ha vietato loro il ricorso alla fecondazione assistita eterologa».

La sentenza che lo scorso 9 aprile ha cancellato il divieto di eterologa, ha “valore sub costituzionale” (cioè non può essere superata nemmeno dal Parlamento attraverso modifiche legislative) ed è immediatamente eseguibile e retroattiva. Questo senza determinare alcun vuoto normativo, come ha chiarito lo stesso presidente della Corte Giuseppe Tesauro. «Da aprile ad oggi ho ricevuto moltissime telefonate e tanti messaggi su facebook da coppie che vorrebbero fare ricorso per accedere all’eterologa» dice il segretario dell’associazione Coscioni Filomena Gallo, in questi giorni al lavoro per preparare l’XI congresso dell’associazione che si terrà a Roma dal 19 al 21 settembre sul tema delle libertà civili. «Se non si partirà presto con queste tecniche, ormai legali e lecite, saranno i tribunali a decidere, proprio come è avvenuto a Bologna. In molti fra coloro che mi hanno contattato in queste ore – spiega Gallo – si sono rivolti ai centri di fecondazione e sono in lista d’attesa. I centri si stanno attrezzando e stanno valutando il da farsi. Ho consigliato alle coppie di farsi indicare tempi certi. In assenza di questi elementi, infatti, si configura una chiara lesione dei loro diritti». Il tergiversare della politica nel recepimento della sentenza della Consulta e la decisione del Consiglio dei ministri di affidare la materia al Parlamento non contribuiscono certo a sbloccare la situazione. E i tempi si allungheranno a dismisura. Basta ricordare le annose discussioni, ideologiche e prive di basi scientifiche che i cattolici, di destra e di sinistra, ingaggiarono in Aula nel 2004 e nel 2005 all’epoca del referendum.

Unica Regione italiana ad aver dato il via all’eterologa e ad avere delle linee guida della legge 40 (quelle nazionali sono scadute dl 2008) è la Toscana. Mentre nella Penisola il panorama si presenta assai frastagliato. Frena riguardo alla scelta della Toscana di rompere gli indugi dando piena attuazione alla sentenza della Consulta, il presidente della Conferenza delle Regioni Sergio Chiamparino: «Non c’è fretta e non c’è necessità di accelerazioni. Occorre un quadro normativo nazionale» ha dichiarato. «In attesa che il Parlamento si pronunci serve un atto di indirizzo unitario, concordato con il ministro Lorenzin e il governo», dice analogamente la governatrice umbra Catiuscia Marini. Ma i radicali di Perugia contestano questo suo temporeggiare: «Dopo la sentenza della Consulta le coppie sterili hanno diritto di accesso all’eterologa» si legge nella nota firmata da Andrea Maori e Antonio Ventura. «Di conseguenza un centro ospedaliero pubblico non può rifiutarsi di eseguire questa tecnica. Lo stesso vale per gli ospedali umbri. Se un centro si rifiutasse potrebbe essere portato in tribunale per interruzione di pubblico servizio».

«Credo che ormai sia urgente e indispensabile stringere i tempi sull’eterologa. Anche per evitare qualunque rischio e ogni possibilità di ricorsi e tentativi di rivalersi sulle Regioni» afferma l’assessore alla Sanità della Sardegna Luigi Arru. E aggiunge: «Abbiamo visto cosa succede, si va dinanzi ai giudici e non è mai una cosa che dovrebbe accadere ai cittadini. La Sardegna, insieme alle altre Regioni, porterà la questione sul tavolo romano per avviare il necessario confronto». A sollecitare una rapida soluzione è anche l’elevato numero di richieste di fecondazione eterologa che si registrano in Sardegna dove è particolarmente alto il rischio di trasmissione di malattie genetiche come la talassemia maior. «In assenza di indicazioni nazionali chiare – prosegue Arru – in alcune regioni l’eterologa non sarà accessibile. Le coppie residenti andranno in altre regioni e saranno autorizzate a chiedere il rimborso, vista la sentenza della Consulta. E questo determinerebbe dei costi molto più elevati, considerando anche il diritto dei cittadini di essere rimborsati di viaggio e soggiorno, oltre a non essere eticamente corretto».
Auspicano, anche per questo, un rapido accordo fra le Regioni gli assessori alla Salute della Liguria Claudio Montaldo e quello dell’Emilia Romagna, Claudio Lusenti che si dice pronto a varare linee guida “emiliane” se la Conferenza delle Regioni – che è stata annunciata per la prima settimana di settembre – non si muoverà rapidamente. L’incontro servirà anche a delineare i contorni di una divisione che attraversa non solo il Pd. «La Corte costituzionale ha stabilito che esiste un diritto all’eterologa, senza alcun vuoto legislativo, e tale diritto deve essere reso esigibile anche attraverso il servizio pubblico», ha dichiarato a la Stampa, un esponente del centrodestra, il coordinatore degli assessori alla Sanità della Conferenza, Luca Coletto (assessore alla Sanità del Veneto) che considera prioritario l’aggiornamento delle linee guida nazionali della legge 40.

Intanto, nei mesi a venire, sono attese nuove sentenze: la Corte costituzionale dovrà esprimersi ancora una volta sulla legge 40, in particolare sul divieto di donazione alla scienza degli embrioni non idonei alla gravidanza e sul divieto di accesso alle tecniche di fecondazione per le coppie portatrici di malattie genetiche. ( dal settimanale left del 30 agosto, aggiornato il 5 settembre 2014)

La sessualità oltre la legge 40.

Correggio, Giove ed Io

Correggio, Giove ed Io

Lo scontro culturale sulla procreazione medicalmente assistita , è stato centrale nella politica dell’ultimo decennio: pronunciandosi sulla legge 40 si affronta il punto nodale del rapporto fra realtà biologica e la realtà psichica cioè dell’identità umana. La mentalità cattolica da una parte afferma il dovere di rispettare la “naturalità” del biologico, assimilato al sacro, dall’altra, con l’opposizione all’“eterologa” si pensa di difendere l’identità della famiglia. I cattolici non riescono a comprendere il passaggio dal biologico al mentale, che caratterizza la nascita umana. Pensano che lo zigote sia “persona” o, genericamente “vita” solo in base al genoma. Il genoma da solo, non fa la “persona”, non definisce né un’identità umana né un’identità biologica: i gemelli omozigoti formano cervelli anatomicamente diversi già in utero, quando non può essere presente un’attività mentale. All’esame morfologico esterno i feti omozigoti potrebbero apparire identici ma non lo sono per effetto dell’epigenetica. L’interazione dei geni con l’ambiente biologico intrauterino e la selezione casuale delle linee cellulari neuronali orientano lo sviluppo e determinano la variabilità della corteccia cerebrale. Quest’ultima come un’impronta digitale è diversa in ciascun individuo. Il patrimonio genetico è una sequenza di nucleotidi che viene letta progressivamente: il risultato finale non è determinabile a priori. E’ pertanto infondato affermare che lo zigote, pura potenzialità, sia già vita e persona.
La vita umana comincia alla nascita quando si costituisce, nei primi istanti il fondamento dell’essere. La luce attiva la sostanza cerebrale: entra in azione immediatamente un insieme di geni, prima silenti e si ha l’emergenza del pensiero nel substrato biologico. La dinamica della nascita determina una cesura radicale fra prima e dopo. Il contenuto mentale che ne deriva è lo stesso per tutti indipendentemente dalla variabilità morfologica delle strutture cerebrali. Pensare la vita umana presuppone individuare un’uguaglianza fondamentale all’origine che rende possibile la creazione di un mondo condiviso.
La mentalità religiosa opera in direzione antiscientifica, per cui si pretende di far pronunciare ancora il Parlamento sulle conclusioni della Corte Costituzionale che ha accolto la legittimità dei ricorsi e dei pronunciamenti Europei su questo tema. Viene così ignorata la falsità dei presupposti della legge 40. Le valutazioni morali e religiose non possono sostituirsi alla conoscenza dei processi biologici ed entrare nel merito delle linee guida che, partendo da evidenze scientifiche, regolano il rapporto medico paziente. Dietro l’opposizione alla fecondazione eterologa e la preoccupazione che essa possa prestarsi a derive eugenetiche, c’è sempre l’idea che l’identità umana sia inscritta nella sequenza del DNA. La genitorialità sarebbe legata alla condivisione dei geni fra genitori e figli cioè, estensivamente, all’appartenenza non solo a un nucleo familiare ma a un’etnia. La variabilità biologica non esclude però un’uguaglianza di base sul piano mentale: la nascita è per ciascuno il punto di partenza della realizzazione d’un’identità personale. Annullare la nascita, come realtà psichica universale, porta a sostenere come nell’ideologia razzista, che la variabilità genetica, quando modifica il colore della pelle, degli occhi o la forma del cranio, assume il significato di “alterità” ed “estraneità”. Per i nazisti chi non condivideva i geni della “razza” ariana era considerato non umano, cioè “untermensch”. Tutta l’operazione politica che ha portato all’approvazione della legge 40, la complicità della sinistra subalterna all’antropologia cattolica, ha avuto il significato di un attacco alla libertà di scelta delle donne. La sessualità femminile però non è finalizzata alla procreazione come sostiene la mentalità religiosa: l’enfasi che è stata posta sugli aspetti genetici e puramente biologici della fecondazione ha occultato il senso più profondo del rapporto uomo-donna ed ha impegnato l’opinione pubblica in un dibattito che distoglie dal vero obiettivo: è necessaria una nuova antropologia, che riconosca il diritto a una sessualità libera dall’obbligo della procreazione.
Nella cultura cattolica, che ha ereditato dalla filosofia greca l’idea della superiorità del pensiero razionale, lo stereotipo rimane la donna madre. Il desiderio è ancor oggi confuso con l’istinto o la bramosia cieca da sublimare per raggiungere con l’astinenza la perfezione della vita spirituale. E’ necessario al contrario pensare a una sessualità che dall’adolescenza sia realizzazione della fusione fra la realtà materiale del corpo e la realtà non materiale della mente senza perdersi nelle derive di un materialismo cieco o di una spiritualità astratta. La dialettica con il diverso da sé, uomo o donna, è allora ricerca sulla propria e altrui dimensione non cosciente non più pensata come “inconoscibile” o espressione del male. ( Maria Gabriella Gatti)

 

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La Consulta cancella il divieto di eterologa. La neonatologa Gatti: “La legge 40 è contro le donne”

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 10, 2014

La neonatologa Maria Gabriella Gatti

La neonatologa Maria Gabriella Gatti

 Il  9 aprile la Corte costituzionale ha bocciato il divieto di eterologa contenuto nella legge 40 sulla fecondazione assistita. E finalmente un altro pezzo di questa famigerata legge è stato cancellato. Il commento della neonatologa e psicoterapeuta Maria Gabriella Gatti, dell’università di Siena

Da un punto di vista medico e scientifico la legge 40 è «caratterizzata da contraddizioni logiche  e da gravi incongruenze mediche», dice la neonatologa e psicoterapeuta Maria Gabriella Gatti. «Per esempio – spiega la docente di Neurologia neonatale dell’università di Siena – quando impedisce a coppie portatrici di malattie genetiche ma fertili l’accesso alla diagnosi genetica pre-impianto dell’embrione che comporta una pratica abortiva, in caso di malformazione. In quest’ultimo caso l’aborto è una lesione senza senso, del tutto gratuita che lede l’identità ed il corpo  della donna».

Ma c’è anche un altro aspetto inaccettabile sotteso alla norma sulla fecondazione assistita, ovvero «il fraintendimento del significato delle più recenti acquisizioni scientifiche nel campo dell’embriologia», sottolinea la professoressa Gatti: «è assurdo considerare l’embrione “vita umana” quando ancora non esistono strutture anatomo-funzionali nel sistema nervoso che possano sostenere un’attività di pensiero. Per l’immaturità dei circuiti cerebrali prima della 23-24esima settimana non c’è possibilità alcuna di sopravvivenza fuori dall’utero».
Tuttavia, nonostante la legge 194 riconosca il diritto di poter interrompere una gravidanza, si cerca ancora di farle sentire delle assassine. «Nella nostra società alle donne giungono in continuazione dei falsi messaggi sulla natura del loro ruolo nella società e su presunte responsabilità morali in casi di aborto», approfondisce Gatti. «è in atto una campagna di colpevolizzazione, una vera e propria crociata dentro i reparti di ginecologia, che tende a equiparare l’aborto con l’omicidio e a far sentire la donna marchiata da un delitto inespiabile agli occhi del mondo. L’altissimo numero di ginecologi obiettori che si rifiutano di eseguire un atto medico dovuto per legge come la pratica abortiva è indicativa di quanto la mentalità colpevolista è diffusa nella società».
Con quali effetti? «Il mondo femminile corre il grande rischio di interiorizzare il senso di colpa e di diventare incapace di reagire ai falsi messaggi che provengono sia dalla religione cattolica sia da certo razionalismo il quale in tempi recenti si è spinto fino a legittimare il cosiddetto “aborto postnatale”, una vera aberrazione non solo terminologica ma concettuale e scientifica. La donna continua a essere lesa nel suo corpo e nella dignità di essere umano da un pensiero dominante a livello antropologico, filosofico e medico, che ha radici greche e cristiane. L’alleanza ideologica e storica fra religione e ragione ha condannato il genere femminile a una subalternità culturale e sociale subìta per millenni. Questo richiederebbe un’ampia riflessione. Detto in estrema sintesi il pensiero dominante oggi è ancora espressione di una cultura che continua a negare l’identità della donna. C’è sempre più l’esigenza di un mutamento radicale del rapporto fra uomo e donna che vada oltre ciò che è cosciente e razionale, basandosi sul confronto fra due soggettività uguali ma nello stesso tempo diverse». (Simona Maggiorelli)

 

dal settimanale left-avvenimenti

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Requiem per la #Legge40. Parla l’avvocato che l’ha demolita in tribunale

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 8, 2014

 

Filomena Gallo

Filomena Gallo

Il 9 aprile, la Corte Costituzionale ha bocciato il divieto di eterologa contenuto nella legge 40. Divieto razzista che lasciandava intendere che i figli sono tali solo se hanno l Dna dei genitori Parla l’avvocato Filomena Gallo che da dieci anni lotta nelle aule di tribunale contro questa norma crudele e antiscientifica

Da left avvenimenti del 5 aprile. L’intervista è stata realizzata prima del pronunciamento della Consulta sulla legge 40, preconizzando la vittoria del diritti delle persone su una norma che invece li calpesta.

Con i suoi crudeli e antiscientifici divieti la legge 40/2004 sulla fecondazione assistita colpisce l’identità della donna, nella sua realtà più intima. E lo fa con violenza. Basta pensare all’originario obbligo di contemporaneo impianto di tre embrioni, anche se malati. O al divieto di accesso alla diagnosi pre impianto per coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche. Che nel 2012 la Corte di Strasburgo ha giudicato lesivo della Carta dei diritti dell’uomo: dacché all’articolo 8 riconosce il diritto di ognuno di decidere liberamente della propria vita affettiva, se e quando avere figli ecc. Negli anni 90, proprio mentre le tecniche mediche di fecondazione stavano diventando sempre più evolute e mentre si diffondevano sul territorio italiano centri specializzati, parlamentari cattolici di destra e di sinistra si sono coalizzati per imporre leggi dogmatiche da Stato etico, come la legge 40. Che l’8 aprile, dopo dieci  anni di lotte nei tribunali da parte di associazioni di pazienti infertili e di coppie portatrici di malattie genetiche, è tornata davanti alla Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sul divieto di fecondazione eterologa (ovvero con gameti donati alla coppia). Se la Consulta giudicasse incostituzionale questo punto, uno degli ultimi crudeli divieti della norma verrebbe definitivamente cancellato. A determinare questa concreta possibilità è stato anche il lavoro di una donna avvocato, Filomena Gallo. Alla sua competenza e alla sua passione civile si devono molte delle 29 sentenze che negli ultimi anni hanno riguardato la legge 40. «Fin dal primo momento, nonostante tutto, ho creduto che questa cattiva legge potesse essere cambiata», racconta. «Poi, preso atto che questa classe politica si dimostrava sorda a ogni cambiamento ho cercato di percorrere tutte le strade possibili per vedere affermati i diritti delle persone calpestati dal legislatore».
Tutto iniziò dall’associazione Amica Cicogna?
Si tratta di un’associazione che riunisce coppie infertili. Anni fa mi chiesero di fare loro da presidente e lo sono tutt’ora. Amica Cicogna si scioglierà solo quando i divieti imposti dalla legge 40 saranno finalmente caduti. Quando si formò l’associazione nel 1998, in realtà, non c’era una norma. Si chiedeva una giusta regolamentazione. Chiedevamo l’istituzione di un registro pubblico di centri di fecondazione. Con la legge 40 almeno questo l’abbiamo ottenuto.
Ma contemporaneamente sono stati imposti pesanti limiti e divieti.
Dopo anni di dibattito nel 2004 il Parlamento ha emanato la peggiore legge possibile. Una norma che faceva finta di consentire alle coppie sterili di accedere alle tecniche medico sanitarie: il legislatore pretendeva di imporre al medico quale terapia adottare e imponeva divieti a cui corrispondevano dei reati. Di fatto significava non permettere più la fecondazione assistita in Italia. Già durante le audizioni abbiamo denunciato che la norma non aveva fondamento né giuridico né scientifico. Ma il 19 febbraio 2004 fu varato un testo che rigettava tutti gli emendamenti migliorativi presentati. Il capo dello Stato lo firmò. Pubblicata in Gazzetta il 24 febbraio, la legge entrò in vigore il 10 marzo 2004 .
In quegli anni incontrò Luca Coscioni, da cui prende il nome l’associazione per la libertà di ricerca scientifica di cui lei è segretario.
Incontrai Luca e i Radicali che subito proposero il referendum abrogativo totale della legge 40 (boicottato da una campagna a tappeto della Cei, ndr). Iniziammo la raccolta firme. A quel punto anche i Ds e i socialisti e altre forze politiche scesero in campo proponendo 4 quesiti di abrogazione parziale, sui divieti più assurdi della legge 40: il divieto di eterologa e quello di fecondazione di più di 3 ovociti e il loro contemporaneo impianto, il divieto di accesso alle tecniche per le coppie fertili portatrici di patologie genetiche. E il divieto di destinare embrioni alla ricerca.
Che cosa resta oggi?
Vorrei sottolineare un certo fenomeno. Negli anni 70, in una stagione di battaglie soprattutto delle donne, abbiamo avuto la riforma del diritto di famiglia, la legge sul divorzio e sull’aborto. Con la legge 40 è iniziata una regressione. Vi è stata una sottrazione di diritti. Ma le persone si sono ribellate, hanno detto di no. Hanno accettato di ricorrere ai tribunali rivolgendosi a me e ad altri colleghi. Io, per esempio, coordino il gruppo di legali delle associazione Coscioni, Amica Cicogna, Cercounbimbo, l’Altra cicogna. C’è un gruppo a Milano che fa capo a Massimo Clara e uno in Sicilia coordinato da Nello Papandrea, con Maria Paola Costantino e altri. Facciamo lavoro pro bono. Non ho mai preso una parcella dalle coppie che ho assistito. Il nostro obiettivo è far affermare dei diritti.
Quali persone si sono rivolte a lei?
Coppie che magari erano andate all’estero, ma volevano vedere l’affermazione dei propri diritti in Italia. La legge 40 ha determinato un federalismo sanitario riguardo ai trattamenti e un processo di emigrazione all’estero alla ricerca di trattamenti che prima del 2004 venivano eseguiti in Italia. In questi 10 anni di lotte non abbiamo mai tralasciato la via parlamentare. Facendo depositare tante proposte di legge. Ma ogni volta la risposta era: “Non bisogna parlare di questi temi”, “Non è il momento opportuno”. Noi pensiamo invece che non ci sia tempo da perdere quando si parla di diritti delle persone, di diritto alla salute, di principio di uguaglianza nell’accesso alle terapie. La Corte interamericana dei diritti umani ha sancito che il diritto per una coppia di ricorrere alle tecniche di fecondazione è un diritto umano meritevole di tutela. Da noi questo non viene riconosciuto. Adesso è il momento di agire, altrimenti ci ritroveremo senza diritti acquisiti con grandi battaglie. Rischiamo di perderli se non vengono affermati e non vengono fatti vivere.
Che cosa accadrà l’8 aprile?
La Consulta esaminerà il divieto di eterologa. Nella sua ipocrisia, la legge 40 consente alle persone sterili di accedere alla fecondazione ma vieta l’unica tecnica che potrebbe dare loro una speranza: la donazione di gameti. Fino al 2004 questa tecnica era usata in Italia senza problemi né giuridici né scientifici. Lo Stato riconosce ai figli di eterologa lo status di figlio giuridico, garantisce l’assenza di rapporto giuridico con il donatore dei gameti, in più la legge dice che non ci può essere disconoscimento di paternità e la madre non può dichiarare di non essere denominata alla nascita. Se il divieto viene cancellato quindi non si apre un vuoto giuridico.
Ed è già previsto che la Corte costituzionale torni a pronunciarsi sulla legge 40 in futuro.
Più avanti la Consulta sarà chiamata a pronunciarsi sul divieto di uso degli embrioni crioconservati per la ricerca scientifica. Mentre in tutto il mondo si studiano le staminali embrionali e quelle adulte senza preclusioni e la ricerca va avanti, noi siamo ancora qui a decidere che cosa fare di alcune migliaia di embrioni “abbandonati”. Anche di questo, del notevole progresso delle tecniche mediche e della ricerca parleremo nel terzo incontro del Congresso mondiale per la ricerca scientifica che si svolge a Roma, fino al 6 aprile, organizzato dall’associazione Coscioni.
Della legge 40 resterà solo l’amaro ricordo dei tanti paradossi?
Noi abbiamo denunciato in questi anni i paradossi e i divieti di questa norma, inaccettabili se si legge bene la Costituzione e le Carte europee. Alla fine non resterà più nulla di questa legge se non il danno creato a tante coppie in questi dieci anni, un danno non risarcibile. E resterà nella storia l’ignoranza del legislatore italiano che ha preferito mantenere accordi di convenienza piuttosto che riconoscere i diritti delle persone.

 

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Diieci anni di legge 40. La rivolta dei cittadini contro lo Stato etico

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 18, 2014

paradiso-legge40Antiscientifica e discriminatoria, la Legge 40 sulla fecondazione assistita è andata a processo 28 volte. I cittadini la contestano ricorrendo ai tribunali. Ma la politica è sorda

di Simona Maggiorelli

In dieci anni è finita alla sbarra ben 28 volte. Grazie al coraggio di cittadini che hanno deciso di ricorrere ai tribunali per far valere il proprio diritto di accesso a tecniche mediche e per difendere la propria libertà di scelta riguardo alla propria vita sessuale e affettiva. Il testo della legge italiana sulla fecondazione medicalmente assistita (Pma), così come fu firmato il 19 febbraio del 2004, contiene una serie di divieti discriminatori e si basa su assunti antiscientifici come l’equivalenza fra embrione, feto e bambino, ricorrendo a termini vaghi come «concepito». Da allora il lavoro instancabile di associazioni che riuniscono coppie infertili o portatrici di malattie genetiche, con l’aiuto di avvocati come Filomena Gallo, ha prodotto importanti risultati, riuscendo a far cancellare intere parti della norma come la crudele imposizione di trasferimento in utero di tutti e tre gli embrioni (anche se malati) prodotti con la Pma. Anno dopo anno, una lunga serie di sentenze e di pronunciamenti della Corte Costituzionale e uno in particolare della Corte europea di Strasburgo hanno definito la Legge 40 lesiva dei diritti delle donne, pericolosa per la loro salute e in contrasto con la Carta europea dei diritti dell’uomo. L’8 aprile prossimo, come è noto, la Consulta dovrà pronunciarsi di nuovo sulla norma, dopo che il tribunale di Roma ha sollevato un dubbio di legittimità costituzionale riguardo al divieto di accesso alla Pma per le coppie fertili portatrici di malattie genetiche. «Non si può prevedere come risponderà la Corte. Ma penso che ci siano buone possibilità che consideri discriminatorio il divieto di accesso alle tecniche da parte di coppie fertili che non riescono a portare a termine una gravidanza o sarebbero costrette a veder morire il proprio figlio nell’arco di pochi anni per malattie ad oggi incurabili», dice Filomena Gallo che, in qualità di segretario dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca, con il tesoriere Marco Cappato, ha scritto una lettera aperta ai giornali per avviare un pubblico dibattito su questo grande tema della Legge 40. Che, dopo la campagna di disinformazione pilotata dalla Conferenza episcopale italiana all’epoca del referendum del 2005, per lo più è caduto nel silenzio. «Si potrebbe così compensare quanto accaduto in questi anni in termini di conoscenza» scrivono Gallo e Cappato, riportando i dati del Centro di ascolto di informazione radio-televisiva. Da cui risulta, per esempio, che nel 2012 le trasmissioni tv che hanno toccato il tema della Pma sono state pari allo 0,001% del totale. Mentre nei Tg di due anni fa troviamo il tema, in media, una volta ogni 184 edizioni, per un totale di 1 ora e 25 minuti, pari allo 0,02% del totale delle notizie. E questo nonostante si tratti di una legge che ha importanti ripercussioni sulla scienza, dal momento che vieta di produrre embrioni per la ricerca, ma anche di usare a questo scopo quelli abbandonati. Ipocritamente permettendo ai ricercatori solo di lavorare su linee cellulari acquistate all’estero. Ma soprattutto parliamo di una legge antiscientifica che, come ha scritto la Corte di Strasburgo, confonde feto e bambino. Nonché basata su un pregiudizio razzista, dato che vieta l’eterologa come se la paternità o la maternità fossero solo un fatto biologico e genetico. E ancora: parliamo di una norma – non ci stancheremo mai di ripeterlo – che dà allo Stato la possibilità di intromettersi pesantemente nella vita privata delle persone, negando il loro pieno diritto di decidere se e quando avere figli. Di una norma che attacca l’identità femminile e il rapporto fra uomo e donna. E che mette a rischio la salute delle donne, vietando la diagnosi genetica preimpianto e costringendole poi a ricorrere all’aborto terapeutico se il feto è malato. «Non ci dobbiamo dimenticare in quale contesto politico fu varata la 40 del 2004 e come la difesero esponenti cattolici come Francesco Rutelli e Dorina Bianchi» commenta Filomena Gallo. E aggiunge: «Se si emanano divieti di quella portata significa che c’è un bene da tutelare. Ma nella norma non è identificato. Perché non viene chiarito cosa è il “concepito” e cosa è l’embrione. Con la Legge 40 hanno voluto introdurre dei reati che, a veder bene, corrispondono a precetti religiosi cattolici. E questo – sottolinea l’avvocato Gallo – è inammissibile in una democrazia». In Parlamento, va ricordato, il varo della Legge 40 fu possibile grazie a un accordo trasversale fra cattolici che sedevano nei banchi della destra come della sinistra. «Quando i Radicali nel 2005 proposero il quesito unico di abrogazione della norma per intero, riuscirono a coinvolgere anche la sinistra – dice il segretario dell’Associazione Coscioni -. L’allora segretario del Pd Fassino, in un primo momento, dichiarò che si poteva rivedere la Legge 40. E, dopo il disegno di legge firmato Amato, molti altri sono stati i Ddl per modificare la norma depositati in Parlamento, ma non sono mai stati calendarizzati per la discussione». Nonostante analisi puntuali come l’annuale Rapporto sulla secolarizzazione della società italiana stilato da Critica liberale con Cgil nuovi diritti documentino la costante crescita dello iato fra i comportamenti imposti dai dogmi cattolici e la vita reale degli italiani. La nuova edizione della ricerca, presentata nei giorni scorsi da Enzo Marzo, mostra chiaramente come sia cambiato anche il modo di vivere la genitorialità, affrontata come «una scelta sempre più consapevole», con un crescente ricorso alle misure anticoncezionali. La percentuale delle donne che prendono la pillola, per esempio, è passata dal 10,3% nel 1992 al 18,9% nel 2004. Attraverso centri per la difesa della vita e con attivisti nei consultori, la Chiesa «tenta di porre un freno a tutti questi cambiamenti, soprattutto riguardo alle scelte in materia di procreazione», si legge nel Rapporto. Interessanti sono anche i dati che riguardano l’aborto. E le differenze che emergono fra nord a sud. Se per esempio il tasso di abortività è del 9,5 % in Piemonte e del 9,1 in Toscana è solo il 6,5 in Sicilia. Questo perché in Sicilia il tasso di medici obiettori è dell’81 % contro il 66 % di Piemonte e Toscana. Altrettanto grandi sono le differenze nell’uso delle pillola Ru 486 per indurre l’aborto, usata nel 13 per cento degli aborti in Piemonte, nel 9 % in Toscana e solo pari al 6,5 % in Sicilia, come rileva Silvia Sansonetti ricercatrice della Fondazione Giacomo Brodolini. Per quanto riguarda le scelte etiche, infine, i matrimoni civili sono stati il 56 per cento nel 2011 in Toscana il 48,9 in Piemonte e solo il 24 % in Sicilia. Ma se la società italiana è sempre più secolarizzata e gli stessi cattolici (come risulta da una recente ricerca Univision), si dicono, per esempio, a favore della fecondazione assistita, la classe politica italiana resta perlopiù sorda.«Destra e sinistra hanno pari responsabilità nel voler mantenere questa legge – ribadisce Filomena Gallo -. Ma i cittadini , ricorrendo ai tribunali, hanno dimostrato che esistono norme che, insieme alla Costituzione, tutelano i diritti. E singoli cittadini hanno cercato di affermarli in ogni sede. Ciò che appare evidente ora – conclude Gallo – è il distacco della società civile dalla politica legata alle convenienze di potere»

 dal settimanale Left-avvenimenti

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#Aborto. A rischio i diritti delle donne, bersaglio dei #no-choice

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 1, 2014

spagna_nIl primo febbraio una grande manifestazione internazionale contro il dietro front del governo spagnolo sui diritti delle donne riguardo all’aborto. Alle 15 sit-in davanti all’Ambasciata spagnola a Roma.

E in Italia cosa sta accadendo? La riscossa dei No-choice riparte da Firenze. Confidando nel sindaco. Mentre  non si sono ancora spente le polemiche per il voto dei sei europarlamentari Pd che nel dicembre scorso hanno affossato la risoluzione Estrela che chiedeva aborto sicuro in tutti Paesi dell’Unione Europea. E il movimento religioso l’embrione è “uno di noi” raccoglie 1.700.000 firme per cancellare in Europa  la ricerca scientifica che utilizza embrioni.

di Simona Maggiorelli

«No all’aborto», «Fermiamo la soppressione legalizzata dei concepiti». Con questi slogan il 4 gennaio si sono presentati davanti all’ospedale di Careggi alcuni attivisti di gruppi cattolici, che in tutta Italia organizzano maratone di preghiera per sostenere una proposta di legge di tutela degli embrioni.

Era un numero sparuto di pro life quello che ha manifestato a Firenze per chiedere l’abrogazione della legge 194, ma non è la prima volta che nella città governata da Renzi gli anti abortisti scendono in piazza: qualche mese fa lo hanno fatto anche tentando di intralciare il lavoro dei consultori. E dopo che la giunta del sindaco ha deliberato a favore di un cimitero per i feti, è partita anche una raccolta firme per una proposta di legge che chiede «tutele per le famiglie dei bambini mai nati».

Promossa dall’associazione Pensiero Celeste e sostenuta dal Mir (Moderati in rivoluzione) e dal progetto politico Innamorati dell’Italia, a dicembre è stata presentata in Palazzo Vecchio da Walter Ferrazza (ex sottosegretario Affari regionali) e dal consigliere di Forza Italia Jacopo Cellai. Segnali che anche una città dalla tradizione di sinistra come Firenze si sta allineando alla Roma papalina, dove solo farsi prescrivere la pillola del giorno dopo è un percorso a ostacoli? Certo è che l’offensiva contro la 194 da parte degli oltranzisti cattolici trova un solido appoggio in Papa Francesco, che nei giorni scorsi è tornato a parlare dell’«orrore dei bimbi vittime dell’aborto», dopo interviste come quella apparsa su Civiltà cattolica in cui il pontefice diceva che l’aborto pesa enormemente nella vita delle donne e che per questo dovrebbero pentirsi. Per la Chiesa la donna che decide di interrompere una gravidanza è, da sempre, un’assassina. E ora dal pulpito si cerca di irretirla nelle scelte, brandendo il fantasma del senso di colpa e della «sindrome post aborto», che i fondamentalisti cristiani chiamano anche «sindrome del boia» (vedi left del 15 luglio 2013). Una “patologia” che la moderna psichiatria stigmatizza come invenzione ideologica, perché senza alcun fondamento scientifico. Mentre la neonatologia ha ampiamente dimostrato che l’aborto non è un assassinio e che il feto non ha nessuna possibilità di vita autonoma fuori dall’utero prima delle ventiquattro settimane.

«La donna che ha deciso di abortire non uccide una vita umana come si vuol far credere – ha detto la neonatologa e psicoterapeuta Maria Gabriella Gatti -. Il feto ha una realtà puramente biologica e quindi anche sul piano etico e giuridico l’aborto non può essere equiparato a un omicidio. Il cervello del neonato – approfondisce la docente di neurologia neonatale dell’Università di Siena – è completamente diverso da quello del feto che è funzionale ai processi di accrescimento e non a una attività di pensiero che ha inizio con la nascita». Ma nonostante queste acquisizioni scientifiche compaiano anche in sentenze importanti come quella della Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo), che invita l’Italia a rivedere il testo della Legge 40 sulla fecondazione assistita perché confonde il feto con il bambino, la politica italiana – specie quella più ligia ai diktat vaticani – continua a non perdere occasione per attaccare il diritto di poter ricorrere all’aborto. Basta ricordare che alla fine del 2013 sei eurodeputati Pd (renziani e non) hanno affossato la risoluzione Estrela che semplicemente invitava gli Stati membri a garantire, per le donne di tutti i Paesi della Unione Europea, gli stessi diritti in tema di sessualità e salute riproduttiva e l’aborto legale e sicuro, senza i vincoli dell’obiezione di coscienza.

«Anche a causa della capillare azione dei No-choice, il testo è stato bocciato e sostituito con una proposta di esponenti del Ppe che afferma la non competenza del Parlamento europeo su queste tematiche, rimandando alle scelte dei singoli Paesi», commentano attiviste del movimento Se non ora quando. Per poi aggiungere: «L’astensione di parlamentari del Pd, che ha consentito che questo avvenisse, ci sorprende e ci preoccupa, anche perché il testo non era vincolante ed era già stato modificato al ribasso».

La bocciatura al Parlamento europeo della “risoluzione Estrela” «è l’ultimo di una lunga serie di attacchi ai diritti delle donne» ribadisce la ginecologa Anna Pompili della Laiga, tornando a denunciare l’uso strumentale dell’obiezione di coscienza, che rende praticamente impossibile effettuare aborti in molti ospedali italiani e che rischia di riaprire la piaga dell’aborto clandestino (che la 194 ha drasticamente ridotto). «Il rapporto Estrela impegnava i governi degli Stati membri, anche le cattolicissime Irlanda e Italia, a promuovere la salvaguardia della salute riproduttiva attraverso l’accesso alla informazione sessuale, alla contraccezione oltreché all’aborto sicuro – sottolinea la ginecologa -. Troppo aggressivo, secondo l’europarlamentare Pd David Sassoli, che con Silvia Costa, Patrizia Toia e gli altri del gruppo Pd a Strasburgo difende le diverse sensibilità di ciascun Paese su temi “eticamente sensibili”». Per rispondere in maniera positiva, dando voce alle donne, la Laiga rilancia una manifestazione internazionale che si svolgerà con ogni probabilità l’8 marzo e organizzata dalla rete Womenareurope. « La sinistra in Italia – dice Anna Pompili – deve ricominciare a pensare che i diritti umani (e la salute riproduttiva lo è a pieno titolo) non sono temi secondari rispetto alla drammaticità della crisi economica, temi per i tempi di “vacche grasse”, restituendo dignità a quella sua vocazione originaria da troppo tempo dimenticata. Insomma – conclude la rappresentante della Laiga – il Pd deve chiarire la sua posizione in tema di aborto, contraccezione, fecondazione assistita, laicità dello Stato. Lo deve a quelle cittadine che vedono i loro diritti calpestati in nome di un’etica superiore, e che spesso sono costrette ad una dolorosa migrazione in altri Paesi per esercitarli. Anche se la legge italiana è una delle più avanzate d’Europa».

dal settimanale left avvenimenti

La campagna l’embrione è uno di noi raggiunge 1.700.000 firme. A rischio la ricerca scientifica che utilizza embrioni

BRUXELLES 28 febbraio 2014- I venti di destra che soffiano sull’Europa dei diritti civili e delle donne in particolare trovano un’altra preoccupante conferma: nella Ue l’iniziativa religiosa l’embrione è “uno di noi” ha raccolto 1,7 mln firme tagliare i finanziamenti alle ricerche scientifiche che implicano la distruzione di embrioni . La Commissione Ue, s ilegge in un comunicato Ansa, ha reso noto che l’iniziativa ha superato la soglia minima di un milione di firme (raccolte in almeno 7 Paesi membri) necessaria per obbligare le istituzioni Ue a valutare l’opportunità di legiferare. ‘Uno di noi’ mira ”a proteggere la vita umana sin dal concepimento.Sulla base della definizione di embrione come ”l’inizio dello sviluppo dell’essere umano’. Entro i prossimi tre mesi la Ue dovrà decidere

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L’agenda bioetica che piace al Vaticano

Posted by Simona Maggiorelli su Maggio 10, 2013

Gaetano Quagliariello

Gaetano Quagliariello

Quagliariello, Lorenzin e Lupi protagonisti di crociate per impedire la libertà di scelta sul fine vita e per mantenere la legge 40. “Disumana” secondo la Corte europea di Strasburgo. Mentre Enrico Letta disertò il referendum del 2005, secondo i diktat del Cardinale Ruini e della Cei

di Simona Maggiorelli

«Eluana non è morta, è stata ammazzata» si mise a gridare il vicepresidente vicario dei senatori Pdl, Gaetano Quagliariello, quando in Aula si diffuse la notizia che Eluana Englaro aveva cessato di “vivere” quella sua esistenza artificiale, solo biologica, resa possibile dalle macchine, dopo quel terribile incidente di 17 anni prima.

Le parole del neo ministro delle Riforme allora – era l’8 febbraio 2009 – dettero la stura a un vociare «assassini!», «assassini!» «assassini!» che si levò dai banchi del centrodestra rivolto a quelli dell’opposizione. Quella scena indecente, avvenuta a palazzo Madama, si può ancora oggi vedere su youtube. Ed è stata massicciamente rilanciata in rete, a mo’ di eloquente commento alla scelta del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di nominare Quagliariello fra i suoi dieci saggi.

Di più ha fatto Enrico Letta, che incaricato da Napolitano di formare il nuovo Governo l’ha messo nella sua squadra di ministri. Da Oltretevere ringraziano. Non solo per la nomina di Quagliariello, ma anche per quella di una compatta flotta di ex Dc, margheritini, popolari europei, ciellini (se ne contano almeno tre: Lupi del Pdl, Mauro della Lista civica e Zanonato del Pd) che ora figura nella compagine di governo. Tutti cattolici praticanti e convinti, come il premier Pd Enrico Letta, che essere credente non sia un fatto privato. E che anzi la fede debba improntare le scelte politiche e legislative, specie quando si parla di bioetica e di questioni “eticamente sensibili”. Ovvero, fuori dal gergo confessionale, di diritti civili, questioni che toccano direttamente la vita dei cittadini. Temi come la fecondazione assistita, l’aborto, la contraccezione, le unioni civili, il fine vita sui quali gli italiani dimostrano di avere opinioni molto più laiche e progressiste dei loro governanti. Come si evince da vari studi. A cominciare dal rapporto 2013 sulla secolarizzazione in Italia stilato da Critica Liberale e la Cgil nuovi diritti per arrivare all’ultima indagine Eurispes da cui emerge che il 77,2% degli italiani sono per le coppie di fatto, il 79,4 % è contro la legge 40 e il 77,3% vuole il testamento biologico.

Lorenzi, Sacconi e Alfano in Chiesa

Lorenzi, Sacconi e Alfano in Chiesa

Una realtà che appare lontana anni luce dalla “Weltanschauung” del docente di storia della Luiss, ex radicale ed ex consigliere di Marcello Pera ai tempi della difesa delle radici cristiane, al quale ora è affidato il delicatissimo ministero delle riforme costituzionali. Basta ricordare qui che dopo quell’episodio indecoroso in Aula, Quagliariello, solidale con il fronte più talebano del centrodestra (Sacconi, Giovanardi, Binetti, Volonté, la sottosegretaria Roccella e il neo ministro Maurizio Lupi) strumentalizzò il caso di Eluana per cercare di far passare in fretta e furia una legge sul fine vita che, così come è tracciata nel Ddl Calabrò, cancella ogni possibilità da parte dal malato, se cade in stato di incoscienza, di rifiutare trattamenti medici come alimentazione e idratazione artificiale. A prescindere dalle scelte e dalle convinzioni espresse da quella stessa persona quando poteva ancora parlare.

Per fortuna, non produssero gli effetti desiderati dal centrodestra il pressing e le molte audizioni, organizzate, non con medici e specialisti, ma con attivisti vicini alla Chiesa e personaggi di richiamo come, ad esempio, l’associazione Risvegli e l’attore Alessandro Bergonzoni. Così il tentativo del governo berlusconiano di imporre una legge sul fine vita che recepisse i diktat del Vaticano si arenò. E il ddl Calbrò è finito in un cassetto. Fino alla scorsa legislatura, quando – con una specie di blitz – il Pdl riuscì a riportarlo in Aula. Riscuotendo il plauso dei cattolici dell’Udc, della Lega e del Pd.

Enrico Letta(Pd) con lo zio Gianni Letta (Pdl)

Enrico Letta(Pd) con lo zio Gianni Letta (Pdl)

In questo contesto da bagarre ideologica come si è mossa la deputata pidiellina Beatrice Lorenzin ora alla guida del ministero della Salute? Pur evitando i toni facinorosi dei cattolici più oltranzisti si è sempre dichiarata in linea con l’agenda della bioetica stilata da Sacconi caratterizzata da prese di posizione antiscientifiche e dogmaticache su temi come il fine vita, l’aborto, la Ru486, la legge 40. Nel 2010, per esempio, quando i cosiddetti “cattolici democratici” del Pd si dissero pronti ad accogliere l’appello di Sacconi in difesa dei “temi etici” Lorenzin ebbe a dire che «l’agenda biopolitica», fondata sul concetto antiscientifico secondo cui l’embrione è persona, segnava «un’intesa trasversale nonostante i fumi del teatrino della politica». «Su questi temi fondamentali- aggiungeva Lorenzin – c’è un evidente maggioranza pro life pronta ad esprimersi dal biotestamento alle forme di aborto farmacologico». Inutile dire che in un paese come l’Italia dove, a causa di percentuali vertiginose di medici obiettori (sfiora mediamente il 90%), la legge 194 è largamente disapplicata un ministro della Salute, che non è medico e difende posizioni pro life certo non fa ben sperare.

Riguardo alla norma sulla fecondazione assistita, in particolare, Lorenzin ha detto in più occasioni che «la legge 40 non va cambiata». In barba alle 18 sentenze dei tribunali italiani che dal 2005 a oggi hanno fatto cadere tutti i divieti più ideologici contenuti nella legge e nonostante il recente verdetto, ribadito anche in appello, della Corte Europea di Strasburgo che giudica la legge 40 lesiva di diritti umani. Una posizione sbilanciata sulle posizioni del Vaticano quella di Lorenzin che fa perfettamente il paio con quella del neo Premier Enrico Letta, ex scout, cresciuto all’oratorio, nonché nipote del pidiellino Gianni gentiluomo del papa e assiduo frequentatore delle stanze del potere Oltretevere.

All’epoca del referendum per abrogare i punti più dannosi e controversi della legge 40, va ricordato qui, Enrico Letta fece suo l’appello del cardinale Ruini che consigliava di disertare il voto e andare al mare. Scavalcando a destra i cattolici Pd Dario Franceschini (neo ministro dei rapporti con il Parlamento) e Rosy Bindi che, invece, andò a votare tre no. I sì ai quesiti abrogativi posti dal referendum, come forse i lettori ricorderanno, furono circa 10 milioni. Ma l’astensionismo propagandato massicciamente dalla Cei determinò il fallimento del referendum che non raggiunse il quorum. Con grande giubilo dell’allora esponente del Pdl Maurizio Lupi (neo ministro dei trasporti e delle infrastrutture), strenuo paladino cattolico dei «valori non negoziabili» e che in tutti questi anni non ha mai smesso di ripetere che la «la vita va tutelata fin dal concepimento». Anche quella dell’embrione, anche quella dello zigote.

Da vice presidente Pdl alla Camera, quando a fine agosto 2012 il governo Monti annunciò di voler presentare ricorso contro la sentenza della corte dei diritti dell’uomo (ricorso poi perso) disse che non solo appoggiava la decisione del ministro Renato Balduzzi ma anche «che non possono lasciar prevalere né le semplificazioni dei giudici (sic!), né le ideologie dei cultori dell’eugenetica».Tali sarebbero secondo il ministro Lupi quei genitori portatori di malattie genetiche oggi incurabili che si rivolgono alla fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto per avere un figlio che non sia condannato a soffrire e a morire in poco tempo.

 dal settimanale left-avvenimenti

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Fecondazione assistita, il far west causato dalla legge 40

Posted by Simona Maggiorelli su dicembre 12, 2012

Diagnosi genetica preimpianto, congelamento degli ovociti, utero surrogato, embrioni non più impiantabili ma utili alla scienza. Ecco cosa i media italiani non dicono.  E qualche volta nemmeno  i centri specializzati.  Che  non presentano le nuove tecniche alle pazienti

di Simona Maggiorellicittini

Negli ultimi anni la ricerca nel campo della cura della sterilità ha ottenuto risultati importanti «tanto che ormai il congelamento degli ovociti non è più da considerarsi pratica sperimentale» racconta il medico specialista Andrea Borini, dati e percentuali alla mano. «I risultati hanno fugato i dubbi di chi sospettava che le procedure di congelamento potessero inficiare la qualità dell’ovocita» e dunque la riuscita dell’intervento di fecondazione assistita. Un successo della ricerca medica che, non solo regala maggiore liberà alle donne nello scegliere se e quando diventare madri, ma soprattutto consente alle donne la cui fertilità sia stata compromessa dalla chemioterapia di poter avere un figlio. «Però in Italia, nonostante le alte percentuali di guarigione di alcuni tumori, quasi mai le pazienti oncologiche in età fertile vengono debitamente informate dell’esistenza di queste tecniche, pure ormai consolidate» dichiara Borini. E una ricerca di ProFert sulle informazioni a disposizione dei pazienti eco-ematologici che ha preso in esame i principali centri ospedalieri specializzati nella cura di leucemie e linfomi e i siti internet delle associazioni dei pazienti oncologici offre numerosi riscontri alla denuncia dello specialista, direttore di Tecnobios. 

Cambio di scena. Idealmente andiamo a Cagliari dove una signora affetta da talassemia e  suo marito (portatore della stessa malattia) si sono rivolti all’ospedale Microcitemico chiedendo di fare la diagnosi preimpianto. Per avere un figlio sano. Per evitare un aborto qualora la diagnosi prenatale poi avesse rilevato un feto malato. Ma quegli stessi medici che fino al 2004 facevano la diagnosi genetica preimpianto e pubblicavano studi scientifici in materia hanno risposto che non potevano fare quell’esame perché non attrezzati. Il caso, come è noto, è finito in tribunale e il mese scorso una ordinanza del tribunale di Cagliari ha riconosciuto il diritto della donna ad accedere a diagnosi e cure. È dovuto intervenire il giudice per ristabilire diritti sanciti dalla Costituzione e, perfino, dalla famigerata Legge 40 sulla fecondazione assistita. «La norma entrata in vigore nel 2004 in realtà consente la diagnosi preimpianto, osservazionale e a scopo terapeutico. Purché non sia a fini eugenetici. Furono le linee guida del 2004 a introdurre questo divieto. Che poi fu cancellato dalle linee guida del 2008: per la prima volta stilate, non più come atto solo amministrativo, ma come atto vincolante» spiega l’avvocato Filomena Gallo, che ha seguito il caso sardo e ha assistito molte altre coppie che hanno portato le loro battaglie in tribunale per il diritto di tutti. Ma se le linee guida del 2008, con una certa lungimiranza, consentivano l’accesso alla diagnosi preimpianto alle coppie infertili ma anche a chi aveva contratto l’Hiv, disinformazione e battaglie ideologiche del centrodestra e dei cattolici hanno fatto passare l’idea che il divieto fosse assoluto. E gli stessi centri pubblici specializzati, dal 2004 a oggi, molto spesso hanno negato l’accesso alle terapie a coppie che invece ne avevano diritto. Con il risultato che chi ne aveva bisogno è dovuto andare all’estero oppure rivolgersi al privato. In entrambi i casi dovendo sborsare di tasca propria cifre altissime. Tanto che c’è chi, come il senatore Ignazio Marino del Pd, parla di anticostituzionale selezione censitaria di accesso alle tecniche di fecondazione.

Nuovo cambio di scena. Ora spostiamo il fuoco dell’attenzione sul caso di una  giovane donna affetta da sindrome di Rokitansky Kuster, una patologia che determina una malformazione dell’apparato genitale. La ragazza di cui stiamo parlando si è trovata a non avere un utero adatto a portare avanti una gravidanza, pur producendo ovociti. In altri Paesi, non solo nella lontana India, ma anche nella vicina Grecia, le sarebbero stati riconosciuti tutti i requisiti per una maternità surrogata. Non così in Italia dove un fuoco di fila di pregiudizi ha ostacolato il suo percorso prima ancora che cominciasse. La vicenda è  ricostruita da Filomena Gallo nel libro Il legislatore cieco. I paradossi della Legge 40, che l’avvocato e segretario dell’associazione Luca Coscioni ha scritto con Chiara Lalli e appena uscito per Editori internazionali riuniti.

«Il procedimento che abbiamo avviato parla di utero surrogato a scopo solidale, senza lucro», precisa Gallo. «Di fatto una maternità surrogata di questo tipo è stata già autorizzata in Italia dal tribunale di Roma, nel 2000». Ma poi è intervenuta la mannaia della legge sulla fecondazione assistita. «In realtà – spiega l’avvocato che sta seguendo il caso – la Legge 40 sanziona la commercializzazione di gameti, di embrioni e l’utero surrogato. Ma non si capisce se lo sanziona solo se è a scopo economico o anche quando fosse a scopo solidale. Che venga accettato l’aiuto solidale di una persona che ha già avuto un bambino e mette a disposizione il proprio utero per nove mesi è importante, anche al di là del singolo caso. E noi ci stiamo battendo». Per allargare la sfera dei diritti e perché si vigili sull’accesso alle cure garantito dalla Costituzione, l’associazione Coscioni lavora da dieci anni. E per accendere un dibattito pubblico sul “caso Italia”, espunto dai dibattiti sulle primarie e dall’agenda politica, l’associazione radicale ha organizzato gli Stati generali dei diritti civili all’università di Roma. Una due giorni . a inizio dicembre  in cui si è discusso dell’anomalia italiana: unico Paese al mondo, dopo il Costa Rica, ad avere una norma antiscientifica come la Legge 40. Sanzionata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con una sentenza del 28 agosto 2012 , che incredibilmente il Governo Monti  lo scorso 28 novembre  ha impugnato, ricorrendo in Appello. Ma anche per parlare di un’Italia del nuovo millennio in cui rischia di passare una legge sul fine vita che di fatto vieta il testamento biologico, di un Paese dove la 194 è disapplicata, dove si cerca di mettere paletti alla ricerca in ogni modo. A cominciare dal divieto di destinare gli embrioni alla ricerca scientifica, perfino quelli non più adatti all’impianto in utero. «Un divieto che ha ricadute non solo nell’ambito della fecondazione assistita, ma che riguarda a più ampio raggio la ricerca su malattie oggi incurabili», ricorda l’avvocato Gianni Baldini che ha  seguito il caso arrivato a sentenza oggi, 12 dicembre e che riguarda una coppia  che non volendo utilizzare embrioni malati voleva donarli alla ricerca scintifica: il Tribunale di Firenze ha rinviato di nuovo la Legge 40  all’esame della Consulta, per una questione di costituzionalità proprio in merito al divieto di uso per  fini della ricerca degli embrioni sovrannumerari malati o abbandonati e per  il divieto imposto all donna  di revocare il consenso informato.   Se la politica fin qui è stata complice dei divieti imposti dal Vaticano oppure  afasica e impotente è un’aula di tribunale a dar ragione, finalmente,  agli scienziati che lavoran suo staminali embrionali per trovare terapie  a malattie oggi incurabili. Ma dà voce anche a quel 78,2 per cento di italiani che, secondo una ricerca del Censis è favorevole a questo tipo di ricerca.

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Il Governo Monti ricorre contro la Corte europea dei diritti dell’uomo

Posted by Simona Maggiorelli su novembre 29, 2012

di Simona Maggiorelli

Mario Monti

Il governo Monti ha  presentato ricorso contro la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che il 28 agosto scorso ha giudicato la  Legge 40 sulla fecondazione assistita, una norma che lede i diritti umani.

Il  ministro della Salute Renato Balduzzi aveva preannunciato sull’Osservatore romano ( non su un giornale italiano, ma sul giornale del Vaticano) il proposito di ricorrere in appello contro la sentenza di Strasburgo sul caso di Rosetta Costa e Walter Pavan, una coppia italiana portatrice di fibrosi cistica che aveva visto riconociuto dall’Europa il diritto negato in Italia di poter accedere alla diagnosi genetica preimpiano per avere un figlio sano. Il  governo Monti  il 28 novembre ha dato seguito al proposito del ministro Balduzzi, lo ha fatto in corner, nell’ultimo giorno utile, quando le associazioni di malati speravano ormai che gli assurdi e antiscientifici divieti contenuti della norma italiana sulla fecondazione assistita sarebbero decaduti una volta per tutti.

Una decisione politica, in linea con i dettami del Vaticano e in contrasto aperto con la comunità medico scientifica. Ora il governo Monti dovrà rispondere ai cittadini italiani e in particolare a quelle, tante, coppie portatrici di malattie genetiche che sono costrette ad emigrare all’estero,  per poter accedere ( a costi altissimi)  a tecniche di diagnosi genetica preimpianto, per poter avere un figlio libero da tare genetiche e malattie invalidanti per le quali non c’è ancora una cura.

Lo scorso 28 agosto, è utile ricordare , l’Italia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo per violazione dell’articolo 8 della Carta europea dei diritti umani, che riguarda  le scelte familiari, ma anche il diritto all’autodeterminazione nelle scelte terapeutiche.  Negando alle coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche di poter accedere alla diagnosi genetica preimpianto, infatti,  la Legge 40/2004  si intromette indebitamente nel privato dei cittadini. Ma non solo.

Ad agosto, è utile ricordare, la  Corte di Strasburgo ha anche rilevato che la Legge 40 , in modo antiscientifico, confonde feto e bambino  e va contro l’equilibrata gerarchia di diritti stabilita nella legge 194/1978 che permette l’aborto  e riconosce che il diritto alla salute psicofisica della donna è prioritario  rispetto a quello dell’embrione, che non è persona. Ma queste importanti affermazioni evidentemente non sono state comprese dal Governo dei supertecnici guidato dal Premier Monti. Che con questa richiesta di ricorso in appello dimostra di essere del tutto sordo alle richieste dei malati che gli avevano rivolto numerosi inviti a non ricorrere. Ma si dimostra anche incurante delle 19 decisioni italiane ed europee  che dal 2004 a oggi hanno smantellato pezzo dopo pezzo la Legge 40,  perché giudicata  incostituzionale ed ideologica da Tribunali, Tar e Corte Costituzionale a vario titolo.

“La diagnosi pre-impianto permette due importanti risultati: evitare un aborto e mettere al mondo un figlio che non soffra. Mi chiedo perché questo governo non abbia agito mosso da questi semplici pensieri di rispetto del diritto della salute e abbia invece operato contro i cittadini italiani” commenta a caldo l’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’associazione Luca Coscioni. Che  promette di dare battaglia.  “Le associazioni di pazienti e  più dei 60 Parlamentari italiani ed europei che con l’Associazione Luca Coscioni avevano presentato un amicus curiae nel precedente procedimento dinanzi alla Corte Europea dei diritti umani  non si fermano qui: ci costituiremo davanti alla Grande Camera della  Corte Europea dei diritti dell’uomo, che dovrà pronunciarsi rispetto al ricorso italiano. Vogliamo che siano rispettati i diritti delle persone”.

La Grande Camera, infatti potrebbe anche confermare la decisione presa l’estate scorsa dalla Corte sul caso della coppia Costa -Pavan. “Quella del 28 agosto 2012 sotto il profilo giuridico è una decisione inattaccabile – commenta Filome Gallo – perché è stata presa all’unanimità. Tutti e 15 i giudici hanno espresso parare positivo motivandolo. Sono state già rigettate tutte le eccezioni avanzate dal governo italiano in prima istanza e speriamo che anche la Grande Camera possa proseguire su questa strada, noi gli offriremo tutte le informazioni necessarie per poter decidere con cognizione di causa”. Intanto l’associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica indice per il 30 novembre e il primo dicembre gli Stati generali dei diritti civili. Una due giorni  nella sala congressi del dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’università di Roma per discutere del caso Italia, unico Paese al mondo – dopo il Costa Rica – ad avere una legge sulla fecondazione assistita così zeppa di divieti.

left web – 28 nov 2012 20:09

Europeista con i forti, antieuropeo con i deboli:

le due facce del governo Monti

Mario Monti e Ratzinger

Mario Monti e Ratzinger

Il ricorso contro la sentenza Ue che accusa l’Italia di violare i diritti umani con la legge 40 sulla fecondazione assistita, mette a nudo una odiosa contraddizione

di Federico Tulli

Mentre la prossima settimana il governo del Costa Rica, dove la fecondazione assistita è proibita per legge, sarà giudicato dalla Corte interamericana dei diritti dell’uomo, il governo Monti (che si dice europeista e tecnico) presenta ricorso alla Corte europea dei diritti umani, contro la sentenza della Corte di Strasburgo che lo scorso agosto ha riconosciuto che la legge 40 viola l’articolo 8 della Carta dei diritti dell’uomo, intromettendosi nelle scelte familiari delle coppie e impedendone l’autodeterminazione quanto a scelte terapeutiche. Così, se il Costa Rica sarà costretto a rimuovere gli ostacoli ideologici che impediscono ai suoi cittadini di far ricorso alla fecondazione in vitro, l’Italia resterà l’unico Paese al mondo con divieti antiscientifici che colpiscono il diritto di accesso alle terapie di coppie portatrici di malattie genetiche. Come Rosetta Costa e Walter Pavan, genitori di una bambina affetta da fibrosi cistica, che volendo evitare di trasmettere a un’altra figlia una malattia così terribile e invalidante, avevano fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) per veder riconosciuto il proprio diritto di ricorrere alla fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto. Possibilità che la legge 40 del 2004 vieta alle coppie fertili, anche se portatrici di gravi patologie genetiche. La Corte di Strasburgo, come è noto, lo scorso 28 agosto ha emesso una sentenza che ha dato ragione alla coppia italiana, riconoscendo l’aspetto antiscientifico della norma italiana sulla fecondazione assistita che confonde feto e bambino, ma anche il fatto che la legge 40 è in contrasto con la 194 che stabilisce una chiara gerarchia di priorità fra diritto alla salute psicofisica della madre e diritti dell’embrione, che non è persona. Ma il governo Monti, sordo alle lettere di malati che chiedevano di non procedere contro la sentenza della Corte Europea, in corner, nell’ultimo giorno utile ha depositato alla Grande camera della Cedu il ricorso contro la sentenza.

Fatto “curioso”, in una nota Palazzo Chigi spiega che il rinvio alla Grande Chambre «si fonda sulla necessità di salvaguardare l’integrità e la validità del sistema giudiziario nazionale, e non riguarda il merito delle scelte normative adottate dal Parlamento né eventuali nuovi interventi legislativi». Salvaguardare l’integrità del sistema giudiziario nazionale? E le numerose sentenze emesse da tribunali italiani che dal 2004 a oggi stanno smontando pezzo dopo pezzo questa legge? Non solo, sempre nella nota si legge: «La Corte europea di Strasburgo ha deciso di non rispettare la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni, ritenendo che il sistema giudiziario italiano non offrisse sufficienti garanzie». Se così fosse allora perché non emendare subito la legge 40 e le sue linee guida accogliendo quanto ha stabilito proprio sulla stessa materia, il tribunale di Cagliari poche settimane fa quando ha riconosciuto a una coppia portatrice di talassemia il diritto di poter accedere alla diagnosi genetica preimpianto? Le tante associazioni di coppie infertili e portatrici di malattie genetiche da Amica Cicogna a Madre Provetta, dall’Associazione Luca Coscioni a Cerco un bimbo, aspettano dal Governo Monti una risposta.

da Babylonpost/Globalist

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La diagnosi preimpianto è un diritto

Posted by Simona Maggiorelli su novembre 16, 2012

Per la prima volta dall’entrata in vigore della legge 40 sulla fecondazione assistita, un giudice ha riconosciuto il diritto di poter fare la diagnosi preimpianto. Il Tribunale di Cagliari ha autorizzato l’accesso a questa tecnica  per una donna malata di talassemia major e  il suo compagno portatore sano della stessa patologia genetica.

di Simona Maggiorelli

fecondazione assistita

I centri pubblici italiani specializzati nella fecondazione assistita devono offrire la diagnosi preimpianto alle coppie che la richiedono perché affette da malattie genetiche. Lo ha stabilito il tribunale di Cagliari rispondendo a una coppia di talassemici che chiedeva di poter ricorrere alla diagnosi genetica preimpianto per avere un figlio libero da questa grave malattia genetica. Una sentenza, questa di Cagliari, perfettamente in linea con quella emessa della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo a fine agosto scorso che ha dato ragione a una coppia italiana contro la legge 40/2004, giudicata una norma contro i diritti umani. Dopo un a lunga e coraggiosa battaglia nelle aule di tribunale (supportata come nel caso sardo dall’avvocato Filomena Gallo dell’Associazione Luca Coscioni) la coppia italiana portatrice sana di fibrosi cistica a fine agosto ha visto riconosciuto dall’Europa il proprio diritto di avere un figlio sano. Poi, come è noto, Scienza e Vita ha alzato barricate. E quel che è più grave il ministro della Salute Renato Balduzzi ha annunciato di voler fare ricorso contro la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo, incurante del fatto che le associazioni di malati hanno chiesto al Governo di recepire la sentenza, cogliendo l’occasione per abrogare o riscrivere la legge 40 che, sulla base di assunti antiscientifici, dal 2004 costringe le coppie italiane ad andare all’estero perpoter fare la fecondazione eterologa (con gameti di donatori esterni alla coppia) e la diagnosi preimpianto. Costringendole ad espatriare per vedere riconosciuti un diritto alle cure mediche riconosciuto dalla nostra Costituzione. Senza contare la feroce discriminazione di censo che le coppie devono subire, visti i costi dei cicli di terapie e dei soggiorni all’estero.

Ma ora, proprio quando mancano pochi giorni alla scadenza della possibilità di ricorrere in appello da parte del Governo Monti contro la sentenza della Corte europea, ecco che il Tribunale di Cagliari viene in aiuto alle coppie portatrici di malattie genetiche con una importante sentenza che da ora in avanti obbliga tutti i 357 centri di fecondazione assistita attivi in Italia a dispensare la diagnosi preimpianto alle coppie sterili o portatrici di malattie genetiche che la richiedano. Fin qui nessuno dei 76 pubblici italiani ha permesso alle coppie di esercitare il proprio diritto alla diagnosi preimpianto, nonostante le linee guida Turco del 2008 sulla legge 40/2004 avessero almeno esteso il diritto alle coppie in cui lui fosse affetto da HIV.  La battaglia contro questa legge antimoderna però non è finita. Ancora resta in piedi il divieto di donare alla ricerca gli embrioni congelati e non più adatti al trasferimento in utero. Per completare l’opera di smantellamento di questa legge c’è ancora un pezzo di strada da fare e le sentenze in tribunali italiani attese per i prossimi giorni saranno decisive.

DA CAGLIARI UNA SENTENZA DECISIVA

di Federico Tulli

Tutti i cittadini in Italia hanno diritto di poter accedere a trattamenti sanitari. Si tratta di un diritto costituzionale ma, a quasi 65 anni dall’entrata in vigore della Carta, ancora oggi deve essere rivendicato in tribunale. È il caso di una coppia di Cagliari che si è dovuta rivolgere ai giudici del capoluogo sardo per “costringere” il laboratorio di citogenetica dell’ospedale Microcitemico di Cagliari a eseguire l’indagine diagnostica preimpianto nell’ambito della procedura di fecondazione in vitro che i due avevano richiesto per evitare che il nascituro ereditasse la talassemia, malattia genetica di cui è affetta la madre. Con una sentenza emessa oggi il Tribunale di Cagliari ha accolto il ricorso della coppia ordinando al laboratorio di eseguire l’indagine diagnostica o di utilizzare strutture esterne, ristabilendo così l’equità dell’accesso alle cure – in sintonia con la legge 40/2004 sulla Procreazione medicalmente assistita (Pma) così come è stata modificata in seguito a una sentenza della Corte costituzionale nel 2009.  In base alla norma si può accedere alla Pma perché infertili e quindi anche eseguire diagnosi preimpianto per verificare prima dell’impianto in utero se l’embrione è affetto dalla patologia dei genitori. Tuttavia il laboratorio di citogenetica della struttura pubblica che deve analizzare il campione si è rifiutata di analizzare le cellule. La coppia avrebbe potuto rivolgersi ad una struttura privata i cui costi però si aggirano intorno ai novemila euro a ciclo, cifra incompatibile con il loro reddito. Pertanto, assistita dagli avvocati Gallo e Calandrini, si è appellata al Tribunale di Cagliari per chiedere l’esecuzione dell’indagine richiesta alla struttura pubblica e prevista dalla legge 40: risulta, infatti, del tutto illegittimo oltre che gravemente lesivo dei diritti costituzionalmente garantiti il rifiuto della struttura pubblica. L’azienda ospedaliera è stata quindi riconosciuta colpevole della violazione. In Italia, attualmente sono attivi 357 centri di fecondazione medicalmente assistita. Quelli che applicano tecniche in vitro identificati per secondo e terzo livello sono 202: 76 svolgono servizio pubblico e 22 servizio privato convenzionato, i rimanenti 104 offrono servizio privato. In base alla decisione dei giudici cagliaritani tutti i centri pubblici (tra questi a oggi nessuno effettua diagnosi preimpianto) saranno obbligati a osservare scrupolosamente la legge 40 perché effettuare tecniche di fecondazione in vitro significa anche avere l’obbligo, se la coppia lo richiede, di fornire informazione sullo stato di salute dell’embrione. Anche per questo motivo, nel procedimento sono intervenute con atto unico le associazioni di pazienti infertili Cerco un bimbo e L’altra cicogna oltre alla associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica.

da Cronache laiche del 15 novembre 2012

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