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Donne, islam e democrazia

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su luglio 15, 2009

for Neda, Iran

for Neda, Iran

Con Musulmane rivelate, l’antropologa di origini palestinesi Ruba Salih vince
il premio Pozzale. A left racconta  la sua ricerca

di Simona Maggiorelli

Lo sguardo di Ruba Salih sul mondo musulmano appare particolarmente prezioso a chi, in Occidente, voglia capire i mutamenti che hanno attraversato la galassia del mondo islamico nella storia e ciò che di nuovo si sta muovendo oggi. A cominciare dalla rivolta di tanti giovani di Teheran contro il regime di Ahmadinejad e che vede tante studentesse in prima fila. Di origini palestinesi e docente di Antropologia sociale all’università di Bologna e in quella di Exeter in Gran Bretagna, Ruba Salih partecipa di molte e diverse culture e nei suoi lavori offre inediti spaccati di comparazione. Come nel bel libro Musulmane rivelate (Carocci) che il  12 luglio 2009 riceverà il premio Pozzale. Con atteggiamento laico, convinta che le «le idee e le ideologie di natura religiosa vadano viste e analizzate come prodotti della realtà sociale sulla quale poi esercitano un’influenza» Salih racconta in questo agile volume come nei Paesi islamici stia cambiando il rapporto fra uomo e donna e il ruolo delle donne nella società. Da qui prende il la il nostro incontro.
Professoressa Salih, come legge l’ampia partecipazione di giovani donne alle proteste contro le elezioni truccate in Iran?
È ancora presto per capire in che cosa si trasformerà questa protesta, se chiederà cambiamenti radicali o si fermerà alla rivendicazione di elezioni più trasparenti. Certo è che le donne sono molto presenti nell’iconografia di questa rivolta. E non è un caso. In Iran le donne non sono mai state assenti dalla scena pubblica. C’è un immagine bellissima che circola in Rete: si vede una donna che ferma l’auto del presidente Ahmadinejad. A me pare molto significativa.
Che significato assume oggi il velo?
Il velo, in realtà,, non ha un solo significato. In alcune società islamiche può essere strumento di negoziazione. In situazioni di crisi economica o quando si aprono delle nicchie di lavoro, le donne escono  velate per non distruggere tutto l’equilibrio delle relazioni di genere. Le donne lo usano per ottenere una maggiore libertà fuori casa, comunicando agli uomini che questo non comporterà una rivoluzione dei rapporti familiari E in contesti dove le donne hanno pochi diritti, la protezione della famiglia è una garanzia.
Maometto non impose il velo a tutte le donne. Da dove nasce l’obbligo?
Il velo preesisteva all’islam. Per esempio era un’usanza della società sassanide. Lo indossavano le donne dei ceti più alti. A un certo punto, alcune sure del Corano che parlano dell’abbigliamento femminile vengono interpretate in senso normativo.
Accade durante l’espansione islamica?
Sì, quando l’islam si fonde con gli usi delle regioni conquistate. Infatti ci sono molti tipi di velo. Cambiano da zona a zona. Perché diverso è ogni volta l’intreccio fra islam e culture locali.
Perché questo controllo sul corpo delle donne?
Studiose come Fatima Mernissi hanno documentato come sul corpo femminile si siano accaniti tutti, dai nazionalisti ai religiosi, ai modernisti. Nel mio libro provo a raccontare come ognuno di loro tenti di visualizzare il proprio progetto di società sul corpo delle donne. In Iran nel ’36 fu vietato indossare il velo ma non vedo troppa differenza fra questo divieto e quello attuale che proibisce alla donne di uscire  senza. Sono due facce della stessa medaglia.
Dalla sua ricerca sul linguaggio della letteratura coloniale emerge come l’Oriente fosse «femminilizzato, velato, visto come seduttivo e pericoloso». Al razionalismo lucido del conquistatore si contrapponeva una società vista come pericolosamente irrazionale?
Quando l’Occidente comincia a usare nelle sue rappresentazioni dell’Oriente l’immagine delle donne musulmane inizia un processo che è ancora in atto. Il colonialismo e l’orientalismo nella sua versione letteraria si accaniscono nel costruire l’altro in modo che l’Occidente, per contrapposizione, appaia moderno, aperto, logico. L’ambito della sessualità, avvertito come oscuro, intimo, morboso diventa giocoforza serbatoio di metafore. Ma il fatto è che i modernisti arabi hanno fatto propria questa rappresentazione iniziando a vedere nelle donne proprio l’elemento da modernizzare. E se è vero che hanno stilato nuovi codici di famiglia (anche se concessi dall’alto) riconoscendo diritti alle donne, dall’altro lato hanno rotto la sfera di potere che le donne avevano e si è iniziato a svalutare il sapere femminile. Nella famiglia più estesa, anche se patriarcale, le donne potevano avere un ruolo di cui poi vengono spodestate nella famiglia nucleare moderna. E sappiamo bene che anche in Occidente non è stata un territorio di libertà per le donne.
Nel libro accenna anche alla cesura che avvenne nel passaggio dalla società araba tribale all’islam.
Nel 600 l’islam si presentava come una religione “moderna”. Il Corano fungeva un po’ da codice: riconosceva alle donne il diritto ereditario (quello alla proprietà c’era già prima) e inseriva tutta una serie di meccanismi di protezione in caso di ripudio e di divorzio. Abolì l’infanticidio delle bambine. L’islam fu anche un movimento a cui si accompagnarono tutta una serie di trasformazioni economiche e di urbanizzazione, parliamo di dinamiche storico sociali che incisero profondamente su quello che sarà il destino delle donne. In città le donne furono più recluse nella sfera domestica: era la prova dello status elevato della famiglia. Le società preislamiche, invece, erano nomadi e avevano tratti matrilineari. Le donne stavano fuori casa ed effettivamente pare fossero più libere. La verginità, per esempio, non era così importante e le donne avevano un ruolo nella vita pubblica.
Ancora le mogli del profeta godevano di certe libertà?
Le femministe che si sono messe a studiare il Corano per fare una dialettica con gli uomini sul piano interpretativo, si riferiscono proprio alla vicenda delle donne di Maometto per rivendicare un diverso rapporto fra i generi nell’islam. Tutte le religioni, anche se in modi diversi, opprimono le donne. Ma se il cristianesimo condanna la sessualità e il desiderio femminile, per l’islam non è peccato. è così?

Nell’islam le donne hanno diritto al piacere sessuale. L’impotenza del marito, anche nella Sharjah, è fra le possibili cause di divorzio a vantaggio delle donne. Così come l’assenza prolungata del marito. Ma c’è un fatto  contraddittorio che consiste nel controllo sui corpi delle donne e sulla sessualità femminile perché le società islamiche, non dimentichiamolo, sono società patriarcali. E la cultura patriarcale si impone come un macigno sulla libertà femminile. Ed è un fatto trasversale che accade anche in contesti culturali diversi. I molti delitti che si verificano in Italia, e di cui si ha più notizia in estate, vedono quasi sempre come vittime le donne, uccise da mariti e fidanzati perché hanno agito in modo disonorevole o secondo canoni o scelte diverse. Questo è il patriarcato. Un tipo di cultura che preesiste all’islam e si intreccia con esso. Una mentalità che oggi le femministe arabe vogliono separare dall’islam. Ma decostruire il patriarcato non è facile.

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Non c’è democrazia senza laicità

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su aprile 17, 2009

vecaIl filosofo Salvatore Veca interviene nel dibattito pubblico con un nuovo libro che declina il dizionario minimo del nostro vivere pubblico e civile

di Simona Maggiorelli

«Democrazia e laicità formano un binomio imprescindibile per la politica e le istituzioni – dice con passione Salvatore Veca, filosofo politico dell’Università di Pavia, che ora di queste due parole ha fatto il cuore del suo nuovo libro Dizionario minimo (Frassinelli). «Un binomio – precisa subito il professore – che vedo molto offeso in questa realtà italiana Per più ragioni diverse».

Di questo lei parlerà alla Biennale democrazia ideata da Zagrebelsky. Qualche anticipazione?

Il punto di partenza del mio discorso è che democrazia e laicità simul stabant simul cadent o stanno assieme oppure, assieme, cadono. Se la laicità è sotto pressione significa che le leggi, le scelte collettive pubbliche, sono fatte nell’interesse di qualcuno e non di tutti. Ovvero si trattano alcuni cittadini come di serie B, mentre chi condivide la scelta della maggioranza sarebbe di serie A.

Leggi ad personam e populismo, uso politico della paura, come lei ha scritto, connotano questo governo di destra. Mentre il premier Berlusconi sembra aver cominciato una campagna di autopromozione per il Quirinale dalle zone terremotate…

Il Premier cerca di far passare il messaggio “sono uno di voi” e usa un meccanismo fatuo di rassicurazione. In situazioni pubbliche all’estero, poi, l’abbiamo anche visto fare il joker e l’amicone. Come diceva Garboli, Berlusconi è un «tip pictoresque», è un piazzista lombardo, una specie di Sordi del Nord. Di fatto replica la classica forma del populismo, in tempi mutati. Per questo irriderlo non basta. Da sinistra bisogna dire: così non va! Ma dobbiamo anche indicare cosa va fatto in positivo.

veca1La Sinistra, però, appare afasica, specie sui diritti civili e sulle questioni bioetiche. Nel manifesto del Pd, ad esempio, si legge che la religione appartiene alla sfera pubblica. Ma «valori non negoziabili» come quelli che la Chiesa vorrebbe imporre come possono trovare cittadinanza nell’agone politico?

Valori e credenze religiose, a mio avviso, hanno diritto ad avere voce nella discussione pubblica – quella che in modo poco brillante va in scena a Porta a Porta ma anche quella che abita il dibattito alto – dando spazio a tutte le voci. Ma non dovrebbero avere voce in capitolo nello spazio di deliberazione di nuove norme.

Questa posizione la differenzia nettamente da Habermas.

Sì diversamente da lui e dagli altri fautori di tesi cosiddette postsecolari io credo quando si fanno delle scelte che valgono per chiunque e non per qualcuno, non possiamo che rimanere fermi al vecchio, semplice, rude principio della laicità delle istituzioni. Certo, non senza aver ascoltato tutte le voci. Ex ante io rispetto tutte le persone, anche se non condivido le loro ragioni. Ma se facciamo una legge sul biotestamento o sulle staminali, o sulla fecondazione assistita, non possiamo corroborare la nostra scelta legislativa sulla base di un insieme di credenze. Dobbiamo puntare su scelte che diano la massimo di libertà e di opzioni alle persone, purché non rechino danno agli altri. Alla domanda di eticizzare le istituzioni noi dobbiamo rispondere deflazionando.Dobbiamo fare leggi in questo ambito che non siano coercitive, ma dicano: se vuoi, puoi. Noi siamo scarsamente abituati al pluralismo, che addirittura viene avvertito come una sorta di catastrofe, quando invece è un tratto persistente del paesaggio delle democrazie recenti.

Il pluralismo spesso viene stigmatizzato come relativismo.

Ma il problema non è il relativismo. Il punto è prendere sul serio il pluralismo dei valori. Ci sono al mondo civiltà e culture in cui le persone hanno idea che le cose buone della vita siano diverse fra loro. Oppure, all’opposto ci sono valori come equità efficienza, libertà e sicurezza che sono per tutti importanti. Ma se io pedalo solo su uno di questi lo pago in termini di altri. Sicurezza e libertà sono entrambi valori, ma confliggono tra loro e devo trovare un’idea degli equilibri il più possibile coerente. Purtroppo nella offerta di politiche alternative c’è chi lavora sulla sicurezza ritenendo che i prezzi di libertà siano poca cosa.

In Italia la Destra ci marcia…

La Destra è una grande imprenditrice della paura sociale. Sia quando la paura è giustificata, sia quando non lo è perché è costruita dalla politica stessa. Il problema, torniamo a dire, non è il relativismo una parola da lasciare ai talk show o alle prediche dei preti, il punto è costruire a partire dalle nostre idee diverse un modo per convivere bene.

Lo sviluppo della scienza oggi si impone di rinegoziare certi valori e modi di pensare. Perché la sinistra non sa contrapporre risposte forti a chi pretende che solo la religione sia un’ancora per l’etica?

Sono molto preoccupato del fatto che la Sinistra – con la quale mi identifico con la Sinistra quale che sia da molti anni – non abbia la capacità e la forza di rispondere con chiarezza e con la volontà di farsi comprendere dalle persone, di fronte a questioni di questo genere Certo le esperienze legate allo sviluppo della conoscenza scientifica possono in alcuni suscitare incertezza perché il mondo viene messo a soqquadro e possiamo fare nuove cose che ci trovano impreparati. Di fronte a questo ci sono due risposte possibili: una è quella della scurita. La risposta di chi si immunizza rispetto ai rischi del cambiamento e usa i vecchi schemi di giudizio, religiosi etici riguardo a questioni come il far nascere e il morire. In questo caso le possibilità che la tecnica e la scienza ci offrono vengono stigmatizzate come “male” e così si chiede al politico e al legislatore di sanzionare con la forza della coercizione delle comunità morali omogenee, basate su convinzioni che spesso poi nella vita non sono messe in pratica nemmeno da chi le propugna. Il discorso, al fondo è, io non farò mai l’aborto, ma non voglio che altri lo facciano. E’ questa, badi bene, è una domanda nuova. Fin qui alla politica era sempre stata fatta una domanda di diritti per sé, perché erano negati.

Per questa via il ddl Calabrò sul biotestamento affida a politici e a sacerdoti senza competenze il diritto di imporre terapie mediche, obbligando il medico a una cattiva pratica. Cosa ne pensa?

Che è una barbarie. Spero in un referendum. Ma intanto penso che la Sinistra tutta dovrebbe ribadire con gran forza un principio di libertà fondamentale. Non dovremmo lasciare alla destra un termine prezioso come libertà. Parliamo della libertà delle persone di scegliere se stesse, ovviamente senza fare danno agli altri. Questo è un principio da urlare a voce alta.

Noi di sinistra «ci siamo decostruiti fin troppo», lei ha detto di recente. La Sinistra oggi dovrebbe sviluppare una nuova identità facendo proprie le nuove conoscenze scientifiche?

Senza dubbio. Certe leggende metropolitane sulla scienza come del resto convinzioni del genere “solo un dio ci può salvare” sono segni di scarsa civiltà.

Lei si è occupato di immagine della scienza. Perché in Italia più che altrove i ricercatori sono dipinti come novelli Frankestein?

E’ un fatto tipico in Italia. Non vale nel Nord d’Europa. Negli Usa la faccenda è più controversa. Ora è girato il vento, ma da poco tempo. I costruttori di Frankestein o chi fantastica su mondi fatti di cloni esprime una condanna della tecnica. In realtà sono gli scienziati stessi, per primi a non fare promesse irreali, dicendo noi ad oggi possiamo arrivare fino a qui. Ma noi vecchi illuministi troppo spesso dimentichiamo che certe leggende metropolitane sulla scienza fanno presa sulla percezione di larghe fette di popolazione. Sappiamo fare discorsi da cattedra, da aristocrazia intellettuale di sinistra. Ma trascuriamo che politicamente siamo una aristocrazia senza popolo.

C’è un problema di rappresentanza nel Pd e non solo?

Non c’è dubbio. E io trovo questa cosa gravissima.

da left-Avvenimenti

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Biotestamento. La nuova legge truffa

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su marzo 29, 2009

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Piergiorgio e Mina Welby


di Simona Maggiorelli

Una legge inemendabile” l’aveva giudicata già settimane fa il giurista Stefano Rodotà. Mentre Giovanni Berlinguer, per lunghi anni membro del Comitato di bioetica dell’Unesco, la giudica senza mezzi termini, “ l’ultima nuova fetenzìa, dopo la legge 40”. Perché questa nuova “legge truffa” sulle dichiarazioni anticipate non solo va contro l’articolo 32 della Costituzione e contro la convezione di Oviedo, ma configura una gravissima intromissione dello Stato nel rapporto medico- paziente. “Una legge pessima, confusa, contraddittoria, ma soprattutto liberticida” la definisce il vicepresidente del Senato, Emma Bonino che, dopo l’approvazione della legge al Senato, auspica una grande mobilitazione popolare di protesta.

Fin qui, però va detto, che nonostante l’encomiabile buona volontà degli oltre duemila emendamenti depositati dai Radicali (che si sono fatti veicolo delle istanze della cosiddetta società civile) l’opposizione parlamentare è apparsa, nel suo complesso, evanescente. In risposta agli antiscientifici discorsi del sottosegretario al welfare Eugenia Roccella che al Senato, contro ogni evidenza medica, ha parlato di idratazione e alimentazione artificiali come pane e acqua e di Eluana Englaro come una “grave disabile” che sarebbe stata “capace di conservare immagini e ricordi in qualche parte della sua mente”, la capogruppo Pd Anna Finocchiaro ha saputo solo auspicare un ritorno al concetto di “morte naturale” condannando la sopravvivenza artificiale garantita dalle macchine. Recuperando la critica della tecnica di un pensatore nazista come Heidegger ma, soprattutto, appoggiandosi alla critica della bioetica liberale di Jürgen Habermas, il filosofo che il Pd ha eletto nel proprio Pantheon.

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Luca e Maria Antonietta Coscioni

Un macabro rovesciamento che la sottosegretaria al welfare con tutta evidenza non ha espresso solo a titolo personale. Nei discorsi della pasionaria pro-life nonché autrice di un libro clamorosamente ideologico contro la Ru486, riecheggiano certi discorsi del Premier sulla possibilità che Eluana avrebbe avuto di avere figli, dacché i danni al tronco encefalico non erano tali da non consentirle di mantenere una certa temperatura corporea, di respirare autonomamente e di regolare il ciclo ormonale, insomma di mantenere una mera vita biologica. In barba al fatto che – come ha dichiarato più volte il neurologo curante di Eluana, Carlo Alberto Defanti – la donna non potesse provare dolore, affetti, fare immagini e pensieri. (Riguardo alla precisa distinzione fra coma , stato di minima coscienza e stato vegetativo persistente, il libro di Defanti Soglie Medicina e fine della vita ,Bollati Boringhieri, raccoglie le più recenti acquisizioni internazionali).

Beppino Englaro e un ritratto di Eluana

Beppino Englaro e un ritratto di Eluana

Alla luce di tutto questo che dire di un Pd che con il segratario Franceschini fa sua la critica di Habermas alla cosiddetta “genetica liberale” che sarebbe guidata solo “dai meccanismi del mercato”? Che dire del segretario del principale partito di opposizione che (quando perfino Gianfranco Fini riconosce l’importanza della laicità delle istituzioni) definisce la religione non un fatto privato, ma intrinseco alla riflessione pubblica e all’attività politica?cop_defanti1

lecaldanoChe le religioni debbano avere una rilevanza sul piano legislativo, mi pare assolutamente inaccettabile”, commenta il filosofo Eugenio Lecaldano. ”Non sono un esperto di cultura tedesca – dice l’autore di Un’etica senza dio (Laterza)-. Ma quello che posso dire essendomi a lungo occupato dell’area anglosassone è che là non è mai accaduto che le Chiese potessero avere un’ingerenza sulle faccende dello Stato. Da noi in Italia questo passa per un pregio. A me pare un grave difetto”.


da left-avvenimenti del 27 marzo 2009

L’intervista

E’ tempo di dirsi atei

Un'opera di Maurizio Cattelan

Un'opera di Maurizio Cattelan

Trofeo del nascente Pdl la legge sul testamento biologico che va contro la Costituzione e la scienza medica. Il presidente della consulta di bioetica, Maurizio Mori, avverte: “E’ un segno della regressione culturale che il Paese sta vivendo”. Anche per un’opposizione afasica che ancora stenta a far sue le acquisizioni della scienza

di Simona Maggiorelli

Al grido “assassini, siete degli assassini”, un gruppo di giovani esponenti del movimento ultra cattolico Pax Christi irrompe nel convegno organizzato dall’Università la Sapienza, dal titolo “Le questioni etiche di fine vita fra riflessione filosofica e intervento legislativo”, una giornata di studi con medici, filosofi, giuristi a confronto: da Ignazio Marino a Stefano Rodotà, da Mario Riccio a Eugenio Lecaldano, da Gilberto Corbelli a Demetrio Neri, alla giornalista scientifica Gianna Milano e a molti altri.
E l’episodio accaduto venerdì 13 marzo nella università romana dove 67 docenti sono stati “messi all’indice”per aver segnalato in una lettera l’inopportunità di un intervento del papa ad apertura dell’anno accademico, la dice lunga sul clima che sta vivendo il Paese. Dal vivo, in aula, il filosofo Eugenio Lecaldano ha stigmatizzato l’aggressione come “fascista”. Oggi il presidente della Consulta di bioetica, Maurizio Mori, ripensando a quella ridda di interventi deliranti che accusavano il dottor Riccio di aver assassinato Welby e Beppino Englaro di aver deportato la figlia nell’ultimo hospice, pacatamente osserva: “Il fatto è che non sollevavano domande o obiezioni argomentate. I loro discorsi fumosi coprivano le solite tesi cattoliche di stampo vitalista”. Dietro a questo episodio, aggiunge il professore, c’è il fatto che “il cambiamento rapido cui stiamo assistendo genera paura o addirittura terrore e sgomento: queste manifestazioni sono un risultato dello stato d’animo che c’è in alcuni strati della società”.

La ricerca genetica e lo sviluppo delle biotecnologie, ma anche la moderna psichiatria, impongono un salto di paradigma scientifico. Da qui la feroce opposizione delle ideologie più oscurantiste, clericali e di destra?

Non è solo per il salto di paradigma. È che la rivoluzione biomedica cambia i parametri del vivere (e anche della produzione di beni). L’incomprensione di questo crea disastri, ma i clericali hanno capito il problema e cercano di fare il possibile per frenare il processo che sta creando loro enormi difficoltà (si pensi alla fecondazione assistita). Quel che manca è un corrispettivo di segno opposto che dovrebbe ispirare il programma di rinnovamento sociale.

La nuova legge sul testamento biologico, al comma 1, dice che la vita è indisponibile per chi la vive. Di chi sarebbe di dio? Dello Stato?

E’ la tesi tradizionale dei conservatori. Cercano una nuova restaurazione. Siccome il momento è a loro propizio, l’hanno riproposta. Quel che mi colpisce è la debolezza della Sinistra o comunque dell’opposizione, che si lascia incantare dalle sirene del neo-luddismo e dell’anti-tecnicismo tanto diffusi. Assistiamo a una regressione civile. Il discorso sarebbe molto ampio,chiederebbe un saggio.

I credenti, con Heidegger, demonizzano la tecnica. Ma la osannano se consente la vita solo biologica di chi è in stato vegetativo permanente. Un suo pensiero su questa discrasia?

Dietro c’è l’idea che la naturalità sia sempre buona. La discrasia sta nel fatto che non si rinuncia alla (cattiva) tecnica medica rianimatoria o nutritiva quando si tratta di un stato vegetativo permanente dove invece si dovrebbe rispettare la (buona) natura che porta a morte. Credo si debba cambiare il quadro e riconoscere da una parte che la natura è in sé indifferente e dall’altra che, in un senso, la cosiddetta “natura” è ormai un prolungamento della tecnica. Insomma, è la storia del “parco naturale”, che è frutto di una scelta umana di recintare tecnicamente un appezzamento e dire che lì vige ancora la “natura”.

Dopo le leggi sul divorzio e sull’aborto, la legge 40 e quest’ultima sulle dichiarazioni anticipate segnano una pesante regressione. Che cosa è accaduto nel frattempo?

Quello che posso dire è che vedo una grande confusione teorica, e un duplice errore: da una parte si continua a sperare che ci sia un “dialogo” o una qualche mediazione con la Chiesa. Dall’altra se ne sopravvaluta il ruolo politico. Forse anche perché non c’è stato l’impegno a costruire un’alternativa sul piano etico.

Habermas e Ratzinger

Habermas e Ratzinger

Il maggior partito di opposizione, il Pd, ha fatto suo il pensiero di Habermas sulla bioetica. Con quali danni?

Il Pd, in realtà, mi pare abbia pressoché tutte le posizioni disponibili. Come si è visto nel voto in consiglio comunale a Firenze per la cittadinanza onoraria a Beppino Englaro: 3 posizioni diverse. La radice dell’errore sta nel non capire la valenza politica e sociale delle posizioni bioetiche; il Pd le considera questioni “di coscienza”, stravolgendo così i discorsi sulla “libertà di coscienza”.

Nel libro Il caso Eluana Englaro (Pendragon) lei riporta al centro del dibattito una parola che oggi è ostracizzata da maggioranza e opposizione: l’ateismo. Che, lei dice,“è cosa diversa dal tiepido agnosticismo”.

L’agnosticismo mi pare tiepido perché continua ad assumere come centrale la domanda “religiosa” cui però non si riesce a dare risposta. Invece l’ateismo assume che quella domanda sia priva di senso, e quindi neanche da considerare. Il punto è che oggi per la prima volta nella storia la società secolarizzata presenta un alto numero di atei, e si tratta di riformulare la visione della vita partendo da tale nuova impostazione che una volta era limitata a pochissimi.

da left-avvenimenti del 27 marzo 2009



Biotestamento

I media? Armi di distrazioni di massa

cover-garofaloI media usati come armi di distrazioni di massa. Con il conduttore Bruno Vespa che a Porta a Porta su Rai 1 accusa il padre Beppino Englaro e i medici di mettere alla fame Eluana, una donna di 38 anni purtroppo morta 17 anni anni prima, quando ne aveva 21 e in una notte d’inverno fece un terribile incidente d’auto. Come hanno testimoniato l’anestesista De Monte e il neurologo Defanti lo stato vegetativo e i danni cerebrali subiti da Eluana, dopo così lungo tempo, erano irreversibili. Ma ancora oggi il caso viene strumentalizzato dal governo Berlusconi per imporre leggi liberticide. Con l’appoggio non solo dell’Avvenire e dei giornali di destra, ma anche di giornali presunti di sinistra che in questi mesi hanno sovrapposto storie di pazienti in coma a quella diversissima di Eluana, per confondere la testa del lettore. Una ridda di colpi bassi che – va detto – mai sarebbero stato possibili sulla stampa anglosassone. Ma tant’è. Da noi il giornalismo scientifico è ancora appannaggio di una elite. Lo racconta il docente di ricerca semiotica Francesco Galofaro nel libro Eluana Englaro, la contesa di fine vita (Meltemi),in un interessante confronto fra Italia e il resto d’Europa. “ La medicina va mantenuta in grado di funzionare e tutela da invasioni di campo giuridiche, politiche, filosofiche- scrive Garofalo -. Perché possa svolgere il proprio compito la scienza medica non va delegittimata. Non ha alcun senso mostrificarla, come fanno tanto alcuni bioetici che si direbbero laici e molti giuristi cattolici”.

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Il dovere di curare

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su marzo 27, 2009

L’anestetsista Mario Riccio: «C’era qualcuno che aveva diritto a interrompere la terapia, e quando ho accettato di occuparmi di lui ho sentito forte l’obbligo etico, ma ora dico anche giuridico, di dare una risposta a questa esigenza del paziente». Piergiorgio ha fatto riflettere tutti su un diritto considerato sacrilego.

In Italia è emergenza diritti civili. La sinistra si faccia interprete della domanda che viene anche dai giovani

di Simona Maggiorelli

il medico Mario Riccio

il medico Mario Riccio

«I temi di bioetica e i diritti civili sono un’emergenza in Italia. E la stiamo tirando troppo per le lunghe. Altri Paesi li hanno affrontati, discussi, hanno fatto leggi. È importante che si parli di testamento di vita, di aborto, di fecondazione assistita. Che si parli di pacs, di unioni civili. Nel centrosinistra fin qui non c’è stato modo di affrontarli. Lo hanno fatto, invece, i conservatori, il centrodestra, con la consegna totale di queste tematiche agli ambienti ecclesiastici. Questo soggetto nuovo, il Pd, su tutto questo tace. Non so – accenna Mario Riccio – se come medico posso permettermi di dire…ma questi sono argomenti molto importanti. E nessuno finora, a eccezione dell’area laica radicale, ha preso i mano la laicità come bandiera o come tematica chiara della propria proposizione ai cittadini». A un anno e due mesi dalla vicenda di Piergiorgio Welby il medico anestesista che lo aiutò nella sua battaglia politica torna a parlare. Ripercorrendo le tappe di una storia, quella di Welby, che oggi appare sempre più paradigmatica e con quella passione civile di chi ha “militato” a lungo nella Consulta di Milano, organizzando dibattiti e convegni di bioetica laica. «Senza troppi giri di parole – continua Riccio – a me piacerebbe sapere cosa vuole fare la sinistra la legge 194? Facciamo la moratoria? La fecondazione assistita? I tribunali continuano a dire che la legge 40 è incostituzionale, ci vogliamo mettere mano? Le coppie di fatto registrate nelle liste comunali delle unioni civili sono 700mila, in Italia un figlio su tre nasce da una coppia non sposata. Sono temi di primo piano nella vita dei cittadini. Ma vedo che nessuno se ne occupa. Spero che la Sinistra arcobaleno ne faccia un suo tema, un suo campo di battaglia, perché nella mia esperienza, di incontri e di dibattiti, noto che la base di questa sinistra ne parla. E se è vero, come si legge, che proprio a sinistra si potrebbe registrare un grosso astensionismo, rappresentare politicamente le esigenze dei cittadini su questo piano potrebbe essere una carta vincente. I giovani oggi hanno certamente il problema del mutuo, però una coppia di fatto che vuole un figlio, oppure che fa fatica ad averne uno, cerca delle risposte dalla politica».

Nella sua esperienza di medico quanto è sentita l’esigenza di una legge sul testamento biologico?

Mi pare chiaro che sia una necessità. Io vivo tutti giorni nell’area critica come rianimatore, ma la stessa esperienza la si vive nel campo oncologico, dove c’è sempre da scegliere, a un certo punto, se continuare la terapia o insistere, sono problematiche che toccano la vita di molti, quotidianamente.

Quanto il legislatore o il giudice possono legittimamente entrare in queste questioni? Il gup Renato Laviola, in particolare, nel caso di Welby, parlava di “diritto alla vita”. Parole che si addicono più a un uomo di Chiesa…

Se vogliamo tornare su quella storia, per il suo valore di prototipo, va ricordato che la vicenda non ebbe mai interruzione lungo una strada di una totale estraneità a un profilo penale. Mi spiego meglio. La Procura riconobbe che non c’era nessun profilo penale. E lo riconobbe anche il civile di Roma. In tutta quella storia ci fu solo una interruzione: il mio rinvio a giudizio da parte del gup Laviola che basò questa sua scelta su un supposto diritto alla vita. Ma la Carta fondamentale promuove lo sviluppo delle persone, l’istruzione, la salute eccetera, non parla mai di diritto alla vita. Del resto anche se ci fosse scritto diritto alla vita – cosa che non è – resterebbe il fatto che si tratterebbe di un diritto non di un dovere. Si può decidere se esercitarlo oppure no. Non esiste un diritto coercibile. A posteriori, oggi, mi rendo conto, però, che se non ci fosse stata la richiesta di rinvio a giudizio per me, forse non si sarebbe più parlato della vicenda Welby, con tutto il suo significato anche politico.

È stata una vicenda paradigmatica anche per quello che fu detto sulla questione sedazione.

Ora i toni, per fortuna, si sono raffreddati e mi fa piacere. È passato del resto un anno e mezzo, ma non posso dimenticare quel che disse l’ex presidente del Cnb Francesco d’Agostino: per lui il problema era se sedare Piergiorgio prima del distacco della macchina, se sedarlo dopo, se sedarlo poco o tanto. Sembrava quasi che se l’avessimo sedato troppo sarebbe stato un problema perché prima dovevamo farlo un po’ soffrire. Quando lessi tutto questo sulle pagine dei giornali mi prese lo sconforto. Pensavo che soluzione D’Agostino sarebbe stata di alto profilo etico e giuridico e dovetti leggere che stavano spiegando a me anestesista che tipo di farmaco usare e con quale dosaggio….

L’Italia continua a essere fanalino di coda nella terapia del dolore. Quanto la Chiesa riesce a intromettersi nel rapporto medico-paziente?

Giovanni XXIII sdoganò la morfina, disse che il dolore di per sé non è un valore, agli inizi degli anni ’60. Ma questo discorso non è stato più fatto, né da Woytila né tanto meno da Ratzinger…Mi viene particolarmente difficile pensare a un dio, specie come quello che ci prospettano, un dio un po’ guardone che si introduce nelle camere da letto o che va a misurare il dolore. Io non sono un credente, sono un ateo agnostico, ma ipotizzando per un attimo un’entità soprannaturale, non lo vedrei impegnato a occuparsi della mia sessualità. Mi parrebbe un po’ offensivo.

Ma le cure palliative spesso non bastano, c’è anche il dolore psichico dei malati terminali a cui il medico di trova a dover rispondere?

E’ quello che con un termine tecnico si chiama dolore totale, è la sommatoria di dolore psichico e dolore fisico. Lo si riscontra, per esempio, nei malati oncologici terminali. Pensare di dover vivere in una situazione particolarmente umiliante è devastante, diventa un dolore incoercibile che non si riesce a gestire nemmeno con l’uso della terapia antalgica. Si parla molto di medicina palliativa, anche su questo l’Italia deve recuperare il ritardo ma esiste una quota limitata di pazienti per i quali queste armi risultano spuntate. È questo che ha spinto paesi avanzatissimi dal punto di vista sanitario come l’Olanda a permettere l’eutanasia. Va fatta una riflessione seria, pacata, su questo tema. Non ha nulla a che vedere con l’indifferenza verso chi è incurabile. Al contrario.

Dovrebbe essere una questione che pertiene al rapporto medico-paziente?

Citare le sentenze in Italia oggi, per qualcuno, è una cosa provocatoria, quasi terroristica, ma io sono orgoglioso di farlo con quella del Gup nella vicenda Welby, in cui c’era il diritto del paziente e il mio dovere. Io ho fatto semplicemente il mio dovere di medico e di questo io sono sempre stato convinto. Lo spiegai alla conferenza stampa dove tutti pensavano che il giorno prima si fosse consumato un assassinio. Ma la spiegazione che io detti credo con sufficiente serenità passò quasi come un atto di prosopopea. Qui c’era qualcuno che aveva diritto a interrompere la terapia, e quando ho accettato di occuparmi di questa persona ho sentito forte dentro di me il dovere etico, ma ora dico anche giuridico, di dare una risposta a questa esigenza del paziente. E quella che sembrava una cosa extra siderale, ovvero che un paziente in queste condizioni rifiutasse la terapia, oggi è una cosa accettata. Piergiorgio Welby ci ha fatto fare una riflessione su un diritto che allora tutti consideravano come un sacrilegio.

da left-Avvenimenti 15 febbraio 2008

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La lettera di Welby al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Caro Presidente,

scrivo a Lei, e attraverso Lei mi rivolgo anche a quei cit­tadini che avranno la possibilità di ascoltare queste mie pa­ro/e, questo mio grido, che non è di disperazione, ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese.Fino a due mesi e mezzo fa la mia vita era sì segnata da difficoltà non indifferenti, ma almeno per qualche ora del giorno potevo, con l’ausilio del mio computer; scrivere, leg­gere, fare delle ricerche, incontrare gli amici su internet. Ora sono come sprofondato in un baratro da dove non trovo uscita. La giornata inizia con l’allarme del ventilatore polmo­nare mentre viene cambiato il filtro umidificatore e il catetere, trascorre con il sottofondo delta radio, tra frequenti aspirazioni delle secrezioni tracheali, monitorag­gio dei parametri ossimetrici, pulizie personali, medicazio­ni, bevute di Pulmocare. Una volta mi alzavo al più tardi alle dieci e mi mettevo a scrivere sul pc. Ora la mia patolo­gia, la distrofia muscolare, si è talmente aggravata da non consentirmi di compiere movimenti, il mio equilibrio fisico è diventato molto precario. A mezzogiorno con l’aiuto di mia moglie e di un assistente mi alzo, ma sempre più spesso riesco a malapena a star seduto senza aprire il computer perche sento una stanchezza mortale. Mi costringo sulla sedia per assumere almeno per un’ora una posizione diffi­rente di quella supina a letto. Tornato a letto, a volte, mi as­sopisco, ma mi risveglio spaventato, sudato e più stanco di prima. Allora faccio accendere la radio ma la ascolto di­strattamente. Non riesco a concentrarmi perche penso sem­pre a come mettere fine a questa vita. Verso le sei faccio un altro sforzo a mettermi seduto, con l’aiuto di mia moglie Mina e mio nipote Simone. Ogni giorno vado peggio, sem­pre più debole e stanco. Dopo circa un’ora mi accompagna­no a letto. Guardo la tv, aspettando che arrivi l’ora della compressa del tavor per addormentarmi e non sentire più nulla e nella speranza di non svegliarmi la mattina.

Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico, Vita è anche la donna che ti lascia, una gior­nata di pioggia, l’amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita è solo un te­stardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio, è lì, squa­dernato davanti a medici, assistenti, parenti. Montanelli mi capirebbe, Se fossi svizzero, belga o olandese potrei sot­trarmi a questo oltraggio estremo ma sono italiano e qui non c’è pietà. Starà pensando, Presidente, che sto invocando per me una «morte dignitosa». No, non si tratta di questo. E non parlo solo della mia, di morte. La morte non può essere «dignitosa», dignitosa, ovvero decorosa, dovrebbe essere la vita, in special modo quando si va affievolendo a causa della vecchiaia o delle malattie incurabili e inguaribili. La morte è altro. Definire la morte per eutanasia «dignitosa» è un modo di negare la tragicità del morire. È un continuare a muoversi nel solco dell’occultamento o del travisamento della morte che, scacciata dalle case, nascosta da un paravento negli ospedali, negletta nella solitudine dei gerontocomi, appare essere ciò che non è. Cos’è la morte? La morte è una condizione indispensabile per la vita. Ha scritto Eschilo: «Ostico, lottare. Sfacelo m’assale, gonfia fiumana. Oceano cieco, pozzo nero di pena m’accerchia senza spiragli. Non esiste approdo».

L’approdo esiste, ma l’eutanasia non è «morte dignitosa», ma morte opportuna, nelle parole dell’uomo di fede Jacques Pohier: Opportuno è ciò che «spinge verso il porto»; per Plutarco, la morte dei giovani è un naufragio, quella dei vecchi un approdare al porto e Leopardi la definisce il solo «luogo» dove è possibile un riposo, non lieto, ma sicuro.

In Italia, l’eutanasia è reato, ma ciò non vuoi dire che non «esista»: vi sono richieste di eutanasia che non vengono accolte per il timore dei medici di essere sottoposti a giudizio penale e viceversa, possono venir praticati atti eutanasici senza il consenso informato di pazienti coscienti. Per esaudire la richiesta di eutanasia, alcuni Paesi europei, Olanda, Belgio, hanno introdotto delle procedure che consentono al paziente «terminale» che ne faccia richiesta di programmare con il medico il percorso di «approdo» alla morte opportuna. Una legge sull’eutanasia non è più la richiesta incomprensibile di pochi eccentrici. Anche in Italia, i disegni di legge depositati nella scorsa legislatura erano già quattro o cinque. L’associazione degli anestesisti, pur con molta cautela, ha chiesto una legge più chiara; il recente pronunciamento dello scaduto (e non ancora rinnovato} Comitato nazionale per la bioetica sulle Direttive Anticipate di Trattamento ha messo in luce l’impossibilità di escludere ogni eventualità eutanasica nel caso in cui il medico si attenga alle disposizioni anticipate redatte dai pazienti. Anche nella diga opposta dalla Chiesa si stanno aprendo alcune falle che, pur restando nell’alveo della tradizione, permettono di intervenire pesantemente con le cure palliative e di non intervenire con terapie sproporzionate che non portino benefici concreti al paziente. L’opinione pubblica è sempre più cosciente dei rischi insiti nel lasciare al medico ogni decisione sulle terapie da praticare. Molti hanno assistito un famigliare, un amico o un congiunto durante una malattia incurabile e altamente invalidante e hanno maturato la decisione di, se fosse capitato a loro, non percorrere fino in fondo la stessa strada. Altri hanno assistito alla tragedia di una persona in stato vegetativo persistente.

Quando affrontiamo le tematiche legate al termine della vita, non ci si trova in presenza di uno scontro tra chi è a favore della vita e chi è a favore della morte: tutti i malati vogliono guarire, non morire. Chi condivide, con amore, il percorso obbligato che la malattia impone alla persona amata, desidera la sua guarigione. I medici, resi impotenti da patologie finora inguaribili, sperano nel miracolo laico della ricerca scientifica. 1ra desideri e speranze, il tempo scorre inesorabile e, con il passare del tempo, le speranze si affievoliscono e il desiderio di guarigione diventa desiderio di abbreviare un percorso di disperazione, prima che arrivi a quel termine naturale che le tecniche di rianimazione e i macchinari che supportano o simulano le funzioni vitali.

Piergiorgio Welby, 22 settembre 2006

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Raffaello liberato dai pregiudizi

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su marzo 25, 2009

Passione per le donne e per la creazione di immagini. Successi e nessun tormento spirituale. Una mostra ad Urbino invita a rileggere la storia del divin pittore

di Simona Maggiorelli

Raffaello, ritratto di donna, la muta

Raffaello, ritratto di donna, la muta

<!– @page { margin: 2cm } P { margin-bottom: 0.21cm } –>Raffaello pittore senza mistero: così chiaro, sereno, perfetto, al punto da rasentare quasi il distacco e apparire inafferrabile. Certo, le sue figure non hanno la plastica tormentata fisicità di quelle di Michelangelo, né quell’alone di mistero delle creature leonardesche. Ma la sua passione per la conoscenza, per l’invenzione di nuove immagini, la laicità e la fiducia nell’umano che connotano la sua pittura sono state troppo sbrigativamente liquidate dalla critica d’arte del ‘900, come già notava André Chastel. Quasi che il divino pittore fosse rimasto prigioniero del suo stesso mito di facilità e versatilità nel dipingere.  Senza contare poi che la vicenda artistica di Raffaello, fatta di passione per le donne e per la pittura, di successi e nessun tormento spirituale, non poteva che risultare insulsa allo sguardo alterato di certa critica esistenzialista convinta che genio sia sinonimo di pazzia.

Tanto che si sono dovuti aspettare gli illuminanti studi di Rudolf e Margot Wittkover negli anni Sessanta perché l’opera di Raffaello cominciasse a essere riletta nel suo giusto contesto storico e perché si riprendesse a studiare periodi ancora poco approfonditi come quello della sua formazione: una lacuna che, dopo la mostra londinese del 2004 e quella romana di due anni fa, ora la rassegna Raffaello e Urbino si sforza di colmare, raccogliendo in Palazzo Ducale una quarantina di  sue opere giovanili (pitture e disegni) accanto a opere che raccontano il contesto urbinate degli ultimi decenni del Quattrocento.

Di fatto, fin da bambino nella bottega del padre, Giovanni Santi (pittore ma anche poeta) Raffaello ebbe la possibilità di farsi una formazione ampia e di prendere rapporto con la raffinata cultura umanistica che si respirava alla corte di Guidobaldo da Montefeltro animata da intellettuali come Marsilio Ficino, fondatore del Neoplatonismo. Così che a diciassette anni il giovane artista poteva già firmarsi “magister”, come ricostruisce Lorenza Mochi Onori nel catalogo Electa che accompagna la mostra. Rimasto orfano a undici anni  Raffaello aveva dovuto far di necessità virtù, mettendosi al lavoro in bottega, ma quel che più colpisce delle sue prime opere,a cominciare dallo stendardo per la Santissima Trinità di Città di Castello dipinto nel 1500, è la grande maturità espressiva di questi lavori.

Da subito quello di Raffaello fu uno stile alto e personale, fatto di accattivante chiarezza, ma anche percorso da una certa inquietudine fiamminga mutuata da maestri come Giusto Di Gand e Pedro Berruguete che avevano lavorato a Urbino. Dalla tradizione tosco emiliana Raffaello aveva preso la cura nel disegno e la usava per tratteggiare immagini delicate, intimamente sensibili.  Al centro dei quadri di Raffaello, anche se di soggetto sacro, c’è sempre la grandezza e la dignità dell’umano. Accanto all’eleganza formale, ciò che più conta per lui è il pensiero che c’è dietro l’immagine. E quando poi per affrescare La loggia di psiche avrà a disposizione molti collaboratori, Raffaello riserverà a se stesso la creazione dell’immagine e la regia, lasciando però che l’opera finale fiorisse nell’ operare artistico collettivo.  Purtroppo“quel sogno di libertà” del Rinascimento interpretato da Raffaello come ricerca di una bellezza che non fosse solo involucro di lì a poco sarebbe tramontato. Come ci ricorda Antonio Forcellino nel suo Raffaello. Una vita felice (Laterza).

Il sacco di Roma del 1527 e l’incalzare della Riforma protestante avrebbero cambiato radicalmente il quadro, già sette anni dopo la morte di Raffaello. «Ma ancora oggi – annota lo scrittore e restauratore Antonio Forcellino – un approccio laico alla storia del Rinascimento può permettere di guardare con occhi nuovi all’opera di Raffaello riservando non poche sorprese. Nell’ultimo secolo intorno all’arte si è costruita la leggenda del tormento e della disperazione da cui la creazione artistica riscatterebbe, con la sua forza di sublimazione. Letto senza pregiudizi Raffaello smonta impietosamente l’ultima traccia di questo mito romantico».

».

da Left Avvenimenti del 3 aprile 2009

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Nuovo attacco della Chiesa all’identità medica

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su ottobre 31, 2008

L’Osservatore romano attacca la due giorni di studi che l’ospedale Meyer ha organizzato con la Consulta di Bioetica chiamando a convegno, il 30 e il 31 ottobre, i massimi esperti di neonatologia, ma anche ginecologi, anestesisti e esperti di bioetica (da Flamigni a Mori, a Pignotti). Dalle colonne del quotidiano del Vaticano, Carlo Bellieni accusa il Meyer di aprire all’eutanasia solo per il fatto di aver invitato il medico olandese Eduard Verhagen a parlare dei protocolli seguiti nel suo Paese. Ma soprattutto l’autore dell’articolo (stranamente rilanciato da un quotidiano che si dice di “opposizione” come La Repubblica) traccia un quadro della neonatologia italiana che non convince, accusando i medici di lasciar morire i prematuri e, soprattutto, di prendere decisioni in base alle proprie ansie e non secondo scienza e coscienza. «Dietro un apparente razionale criterio di sospensione delle cure nel miglior interesse del paziente – scrive Bellieni – ci possono essere le paure e le ansie del medico stesso». Ecco la risposta della Maria Gabriella Gatti, neonatologa dell’Azienda ospedaliera universitaria senese. s.m.

Caro Osservatore Romano, in corsia non si opera mai in base alle proprie ansie e paure di Maria Gabriella Gatti

L’organizzazione sanitaria italiana è tale che se una gestante è in procinto di avere un parto pretermine, da un punto nascita periferico, viene trasportata in un centro specializzato di terzo livello dotato di terapia intensiva neonatale, dove il neonatologo è sempre presente quando nasce un prematuro. Se accade tutto rapidamente e nasce in un centro non attrezzato una ambulanza adibita al trasporto neonatale protetto con neonatologo a bordo va a prelevarlo per condurlo in una terapia intensiva neonatale. Dalla 22-23esima settimana di gestazione per l’immaturità e la scarsa autonomia del neonato sono necessarie una rianimazione e cure intensive immediate.

Sarà la vitalità del bambino a decidere per la sua sopravvivenza. A 22 settimane ci sono scarse possibilità di sopravvivere (8 per cento) generalmente di poche ore; a 23 settimane è tra il 12- 25 per cento , a 24 settimane tra il 40-60 per cento. L’incidenza di danni cerebrali gravi è elevata a 23 settimane: essi tendono a diminuire progressivamente con la crescita dell’età gestazionale. Ogni bambino ha la sua storia e i genitori devono essere informati prima della sua nascita sulle possibilità teoriche di sopravvivere e successivamente su quelle derivate da valutazioni concrete d’ordine clinico. I genitori non possono chiedere al medico di non rianimare un prematuro che ha possibilità di vita anche se incerte, non possono pretendere che vengano sospese le cure: è comunque un dovere del medico non mettere in atto un accanimento terapeutico quando il danno cerebrale documentato è grave. I centri di rianimazione neonatale sono ad alta specializzazione e si confrontano per la qualità delle tecniche e delle cure con i protocolli nazionali e internazionali: sicuramente negli anni questa dialettica ha prodotto un più veloce e progressivo miglioramento dell’intervento e dell’assistenza medica. Un medico e soprattutto un rianimatore può far intervenire le «proprie ansie e paure» quando deve intervenire sul pericolo di vita di un paziente? L’identità medica si caratterizza anche per la possibilità di mantenere un preciso assetto psicologico che garantisca il miglior rapporto con la realtà in relazione alle esigenze di una tempestiva azione terapeutica. La rianimazione neonatale richiede grande capacità di prendere decisioni in tempi brevissimi, resistenza allo stress fisico e mentale di fronte alle sollecitazioni estreme di situazioni di emergenza che possono protrarsi molto a lungo nel tempo. Il neonatologo deve mantenere la sua indipendenza di giudizio basata su specifiche competenze anche di fronte a pressioni esterne emozionalmente inadeguate e potenzialmente fuorvianti.

Left 44/2008

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La legge 40 di nuovo a giudizio

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su agosto 1, 2008

Un’ordinanza del giudice civile Isabella Mariani solleva nuovi dubbi di costituzionalità. Ora la parola torna alla Consulta Intanto Scienza e vita vorrebbe imporre alla donna il curator ventris di Simona Maggiorelli

La legge 40 torna a essere sottoposta al giudizio della Corte costituzionale grazie all’ordinanza emessa dal giudice civile di Firenze, Isabella Mariani. Un’ordinanza lunga 35 pagine e che solleva molti e consistenti dubbi di costituzionalità sulla legge 40 a partire da un punto nodale: l’equiparazione che la legge sulla fecondazione assistita stabilisce fra diritti di un astratto concepito e quelli della madre. Equiparazione che cozza in particolare con una importante sentenza del ’75 che stabiliva una gerarchia fra i diritti di chi è persona e quelli di chi persona lo diventerà solo alla nascita, come riconosce il Codice civile. E questa volta in molti, non solo le associazioni dei malati, ma anche medici, operatori, ricercatori sperano che sia davvero la volta buona. Molti i punti che il giudice toscano ha messo in discussione. Riguardano, oltreché il divieto di diagnosi preimpianto (che le linee guida varate dall’ex ministro della Salute, Livia Turco, non hanno pienamente revocato), il numero fisso di embrioni che per legge si possono produrre in vitro (al massimo tre) e l’obbligo di trasferirli tutti in utero, senza che la donna possa revocare il consenso, ma anche il divieto di crioconservazione degli embrioni. Punti talmente qualificanti che se la Consulta desse ragione alle istanze sollevate dal giudice fiorentino, la legge 40 sarebbe ripulita dalla gran parte dei suoi più odiosi e assurdi divieti, restituendo così ai medici la possibilità di scegliere di caso in caso la terapia adeguata. Ma veniamo ai punti salienti di questa storia. La coppia protagonista di questa vicenda è la stessa che, nel dicembre scorso, ricorrendo al tribunale, era riuscita a vedersi riconoscere il diritto alla diagnosi genetica preimpianto in quanto portatrice di una grave malattia genetica ad alta possibilità di trasmissione ai figli. Già allora il giudice Mariani disse che dopo quel risultato necessario nell’immediato alla coppia, si sarebbe riservata di andare più a fondo. E coraggiosamente lo ha fatto. «Ma grande è stata la sorpresa – racconta l’avvocato difensore della coppia, Gianni Baldini – quando all’udienza si è presentato un esponente di Scienza e vita» con la pretesa di costituirsi parte civile e di essere nominato curatore speciale degli embrioni. «Niente meno che il curator ventris di buona memoria del diritto romano – sottolinea Baldini -. Voleva che il giudice togliesse ai genitori la patria potestà sugli embrioni per assumerla lui come curatore speciale evidenziando il conflitto di interesse fra la madre e gli embrioni. Una cosa che non era mai accaduta prima, che ci ha lasciato tutti basiti». Il curator ventris non a caso era quella figura istituzionale nel diritto romano che interveniva quando una donna incinta era senza pater familias e senza marito, perché vedova o altro. «Per il codice dei latini la donna non era cittadina, ma praticamente una schiava e si pensava che il suo ventre necessitasse di un tutore perché non avrebbe certamente saputo gestirlo da sola», chiosa Baldini, docente di Biodiritto all’università di Firenze. Di colpo un salto indietro di più di duemila anni. Che il giudice, per fortuna, ha prontamente respinto, snocciolando ai rappresentanti di Scienza e vita tutte le ragioni strettamente giuridiche per cui non potevano in alcun modo farsi portatori di interessi specifici, né essere legittimati a estromettere i genitori dalla disponibilità sul materiale genetico che essi avevano prodotto, insomma che non potevano in nessun modo essere nominati parte civile. «Che il giudice chiamato a rispondere a Scienza e vita avesse la competenza e la sensibilità della Mariani è stato importante, temo le cose sarebbero andate diversamente se ci fosse stato qualcun altro» si lascia scappare l’avvocato che da tempo segue le cause che riguardano la legge 40 difendendo i diritti negati delle coppie sterili o portatrici di malattie genetiche che si rivolgono all’associazione Madre provetta. E se per la risposta della Corte costituzionale bisognerà aspettare con ogni probabilità fino a inizio 2009, nelle prossime settimane altri casi di coppie che sono ricorse al tribunale arriveranno a giudizio.

Left 31/08

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Walter dillo a parole tue

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su giugno 13, 2008

Con la trasmissione soppressa da La7, vince il premio Riccione Ttv. E da acuto osservatore, il comico le canta alla destra e al Pd che le va al rimorchio

di Simona Maggiorelli

Daniele Luttazzi esce dal silenzio. Dopo la sospensione del suo programma Decameron che andava in onda su La7 (formalmente interrotto per improperi a Ferrara) il comico romagnolo, che domenica 15 giugno riceve il premio Riccione Ttv per la televisione, torna a parlare a tutto raggio. Di satira, di televisione, di censura. Di cui ” vanta” lunga esperienza fin dal 2001 quando il suo Satyricon fu oscurato. Quella volta era la tv pubblica, Rai2, diretta da Carlo Freccero. Da medico e da acuto osservatore della società passando a raggi x la politica di destra del governo Berlusconi, ma anche quella del Partito democratico che «va a rimorchio della destra».

Il nuovo rapporto sulla secolarizzazione della società italiana della Cgil nuovi diritti e di Critica liberale dice che l’Italia è sempre meno un Paese di cattolici praticanti. Eppure ministri e membri del governo preconizzano “tagliandi alla 194”, ripristino del divieto di diagnosi preimpianto e via di questo passo. Come la vedi? La Chiesa pratica il voto di scambio: appoggia i governi, se le danno qualcosa. La lista dei suoi desiderata è lunga; e fatta apposta per indurre in tentazione il politico bramoso di voti e di potere. Alla Chiesa fa gola uno Stato in cui peccati e reati coincidono: il suo modello è quindi l’islam. La Chiesa vuole mettere becco nelle vicende dello Stato italiano? Prima deve pagare il biglietto d’ingresso: deve pagare le tasse. L’8 per mille è una cuccagna immorale.

Sempre parlando di fecondazione assistita, un esponente del Pdl come Carlo Giovanardi parla di eugenetica quando i medici selezionano embrioni con lo scopo di evitare la trasmissione di malattie genetiche. Un tuo commento? L’eugenetica è un’imposizione praticata da uno Stato. La scelta dei genitori riguardo alla prole si chiama senso di responsabilità. Spetta forse a Giovanardi decidere sui tuoi figli? No, e se lo dici non sei certo nazista, come Giovanardi insinua coi suoi ragionamenti del menga.

E chi, come Eugenia Roccella, ora sottosegretaria alla Salute, scrive di Ru-486 chiamandola «kill pill» o «veleno per feti»? La destra usa i temi etici e le definizioni a effetto per rinforzare il proprio modello di potere, che è quello del padre autoritario. Legge 194 e Ru486 sono una sfida diretta a tale modello. Il padre autoritario dice: “Se le donne possono gestire da sé le gravidanze indesiderate, quando mai impareranno la lezione?”. Nessuno impone ai cattolici di servirsi della Ru486 o dell’aborto.

Il Decameron su La7 è stato chiuso dal direttore Campo Dall’Orto per il tuo monologo sull’enciclica papale. Che cosa conteneva di così scandaloso che una rete che si è sempre detta aperta, democratica, non potesse trasmettere? La satira del monologo rendeva evidente il plagio operato dalla religione, l’insussistenza dei suoi fondamenti e l’insopportabilità delle sue ingerenze nelle vicende dello Stato italiano. Dall’Orto si è rivelato un bigotto. Non a caso, una settimana dopo aver censurato Decameron, ha firmato la moratoria di Giuliano Ferrara sull’aborto.

Cosa pensi del fatto che Rai3 abbia deciso di spostare a tarda notte la rubrica giornalistica Primo piano per promuovere, in quello spazio, una striscia satirica condotta da Serena Dandini? Sto coi giornalisti. Una satira che sgomita per la prima serata mi insospettisce. C’è dietro un potere. La vera satira è contro il potere: non ne approfitta, non se ne serve.

E del falso movimento dell’opposizione che nelle scorse settimane ha finto di contrastare la maggioranza sulla questione Rete 4? Da poco è uscito un interessante libro di Michele De Lucia, Il baratto (Kaos edizioni) che ricostruisce il continuo spalleggiarsi di Berlusconi e Veltroni sul tema tv, iniziato quando Veltroni era giovane responsabile della comunicazione del Pci. Che ne pensi? Un Paese è democratico, se non c’è più l’opposizione?

Perché nessuno si ribella quando Dell’Utri, dando un preciso messaggio alla mafia a pochi giorni dalle elezioni, dichiara in un’intervista che lo stalliere Mangano è un eroe di Stato? Perché il framing elaborato da Berlusconi attraverso i suoi media è diventato ambiente. È diventato così pervasivo che anche il giornalismo di area diversa lo ha introiettato e parla ormai lo stesso linguaggio.

E perché adesso tutti parlano di Giulio Andreotti, come se fosse un “padre della patria”, dimenticando che il reato di partecipazione ad associazione mafiosa di cui è stato accusato è solo stato prescritto? Stesso motivo. Se una cornice è forte, i fatti vengono ignorati.

Tornando al premier Berlusconi ora gioca a fare “il cavaliere” evocando immagini di padri costituenti che duellavano verbalmente con eleganza di fioretto. Pensa, si dice, di rifarsi l’immagine per un futuro al Quirinale. Ma perché gli italiani credono alle sue bugie? La nostra malattia è una memoria straordinariamente corta? Le scienze cognitive hanno scoperto che gli elettori non votano i programmi elettorali, ma una visione del mondo. Quella di Berlusconi, ripeto, è molto ben definita: il padre autoritario. Il Pd non ne ha nessuna, si sposta al centro. E così perde. La destra non ha bisogno di spostarsi al centro per vincere le elezioni. È un problema di framing. Da trent’anni, coi suoi media, Berlusconi sta promuovendo il suo modello. La paura del terrorismo e quella per l’extracomunitario, così come la strumentalizzazione dei temi etici, servono a rinforzarlo. Il Pd deve ancora cominciare a elaborare il proprio modello, che dovrebbe essere alternativo. Nel frattempo va a rimorchio della terminologia della destra. Quando il Pd parla di «sgravi fiscali», ad esempio, rinforza il modello della destra, che usa quella terminologia perché considera le tasse un peso. Nel modello alternativo (che il Pd neanche sta immaginando) le tasse sono una protezione per il futuro dei nostri figli. Se tagli le tasse, i diritti tuoi e dei tuoi figli (sanità, scuola, pensione) diventano servizi a pagamento. Non c’è più giustizia sociale. Effetto domino: col taglio delle tasse, di fatto la destra decurta i fondi per i programmi sociali che si prendono cura della gente. Lo stesso dicasi delle privatizzazioni. Sono bravi quelli o allocchi questi? Entrambe le cose. Il modello alternativo è pieno di idee migliori, ma il Pd le ha abbandonate: adesso è eccitante come un catalogo di sementi.

Left 24/08

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Vogliono annullare le donne

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su febbraio 15, 2008

Stefano Rodotà: Il corpo della donna rischia di diventare qualcosa su cui legiferare indipendentemente dalla sua volontà. È incivile
di Simona Maggiorelli

Dopo la moratoria contro l’aborto lanciata da Ferrara che ora si candida con una lista pro-life sponsorizzato dalla Cei, Berlusconi alza il tiro e propone all’Onu di sottoscrivere la «tutela del non nato, fin dal concepimento». Intanto la responsabile “famiglie” di Forza Italia, la senatrice Burani Procaccini, già preconizza: «Con la nuova legislatura presenteremo un progetto di legge di modifica della 194, con una serie di misure di prevenzione obbligatorie e prevedendo l’interruzione volontaria di gravidanza solo a determinate e ristrettissime condizioni».

«L’iniziativa di Berlusconi e più in generale l’attacco alla 194 deriva dal rapporto sempre più forte tra le indicazioni delle gerarchie ecclesiastiche e il modo in cui una parte del mondo politico le ha raccolte», argomenta Stefano Rodotà, docente di Diritto Civile alla Sapienza di Roma ed ex garante della privacy. In Italia abbiamo avuto due episodi molto rivelatori: la legge 40 e il referendum. In questo “crescendo” Ferrara ha lanciato la proposta di una modifica della dichiarazione del 1948. E lo ha fatto manipolando fortemente i dati, facendo del terrorismo sui numeri, per esempio riguardo al deficit di nati che secondo lui sarebbe dovuto all’aborto. Dimenticando che l’aborto è un fenomeno che accompagna l’umanità dalle origini».

Professor Rodotà, qual è secondo lei il rischio più grave che minaccia il Paese in questa fase di regressione nel campo dei diritti civili?
Temo che sull’onda di questa enfasi propagandistica e ideologica molto forte si azzeri la presenza femminile. Mentre si fa finta di non conoscere gli effetti positivi delle discipline di interruzione della gravidanza sia in termini di riduzione degli aborti sia in termini di tutela della salute delle donne non più esposte ai rischi della clandestinità.

Il blitz delle forze dell’ordine nel reparto di ginecologia a Napoli parla di un clima da Medioevo. Che ne pensa?
È un fatto gravissimo. Purtroppo sta accadendo quello che non era difficile prevedere. Nel momento in cui si crea un clima di intimidazione e condanna di chi ricorre a ciò che è legalmente previsto, scattano azioni che puntano all’azzeramento della soggettività femminile e a una messa in discussione radicale e illegittima delle stesse norme vigenti. Quello che è accaduto a Napoli è assolutamente fuori dal diritto. Bisogna ricostruire immediatamente la legalità con un’inchiesta che chiarisca come sia potuto accadere.

Casini, Ferrara, ma anche la Binetti nel Pd parlano di “diritto alla vita”, ma nella Costituzione non c’è traccia di questo.
Il tentativo di cercare di estrarre dalla Costituzione una nozione di diritto alla vita non ha fondamenti. Lo stesso di può dire se guardiamo alla giurisprudenza internazionale. Nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il diritto alla vita non è stato mai considerato come qualcosa da chiamare in causa per impedire l’aborto. Il diritto alla vita è concepito in relazione alla pena di morte. Non è un caso Ferrara sia partito proprio dalla moratoria sulla pena di monte mettendola in parallelo con quella sull’aborto con una forzatura evidentissima.

Equiparazione da cui si deduce che per lui le donne sono assassine?
È il risultato dell’azzeramento della soggettività femminile di cui dicevo prima. Il corpo della donna diviene qualcosa su cui si può legiferare indipendentemente dalla sua volontà. È una regressione civile gravissima.

Da Il Foglio parte anche una campagna per la “privacy del non nato”.
Che cosa significa privacy del non nato? È stravagante anche l’uso della terminologia. Questa contrapposizione fra il concepito e la donna è una vecchia idea che ha portato a prevedere la necessità di regolare il comportamento della madre in modo autoritario. Una contrapposizione tra diritti che nega un dato di natura, la compenetrazione tra il feto e la soggettività della madre. Non si può scorporare e contrapporre. Questo porta a ipotizzare che ci debba essere qualche altro soggetto che decide quali sono i diritti del nascituro e che può farli valere anche contro la madre, contro la sua volontà.

Parlare di diritti dell’embrione cozza con la storia del diritto. Già nel codice napoleonico era previsto che i diritti si acquisiscono alla nascita.
Questa è la tradizione civilistica. Su questo si è inserito un modo improprio, distorto, di affrontare la questione. Si è detto che il concepito ha gli stessi diritti della persona. Un’affermazione ideologica. Una serie di inestricabili problemi giuridici dimostrano la fallacia di questa equiparazione. Un rischio che la riflessione giuridica più consapevole aveva già iniziato a mettere in evidenza e cioè che per quanto riguarda l’embrione, il suo cosiddetto “statuto”, si possono anche prevedere delle tutele differenziate, ma partendo dalla premessa che embrione e persona sono cose diverse. Questa furiosa equiparazione produce delle aberrazioni giuridiche che non possono essere in alcun modo risolte.

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