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Legge 40, finalmente incostituzionale?

Posted by Simona Maggiorelli su marzo 26, 2009

L'avvocato Filomena Gallo

L'avvocato Filomena Gallo

A cinque anni dalla sua promulgazione, dopo un tentativo referendario di abrogazione e decine di cause in tutta Italia promosse da altrettante donne in difesa del proprio diritto alla salute, senza contare la messa all’indice da parte dell’intera comunità medico-scientifica, la legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita arriva per la seconda volta sotto la lente della Corte costituzionale. Che ha fissato per il 31 marzo l’udienza per valutare i punti sollevati nel 2008 dalle ordinanze del Tar del Lazio e del tribunale di Firenze.

Sotto accusa gli articoli 6 e 13 che impongono il divieto di revoca del consenso informato, il limite di impianto di tre embrioni e il divieto di congelarli. «A partire dall’articolo 1, la legge 40 non rispetta l’articolo 32 della Costituzione, perché viola il diritto alla salute della donna, ci ricorda l’avvocato Filomena Gallo, presidente dell’associazione Amica cicogna e vice presidente dell’associazione Luca Coscioni. “Ci auguriamo – aggiunge – che la Consulta colga l’occasione per rimediare a questi effetti». L’articolo 13 è per la seconda volta al vaglio della Corte. Che già il 9 novembre del 2006 aveva dichiarato inammissibile una questione di legittimità costituzionale sollevata dal tribunale di Cagliari. Ma poi, a settembre 2007, lo stesso tribunale aveva dato ragione a una donna portatrice di una grave malattia genetica che chiedeva il riconoscimento del diritto alla diagnosi preimpianto negato dalla legge 40. Un divieto questo parzialmente corretto dalle linee guida promulgate nel gennaio 2008 dall’allora ministro Livia Turco. Certo, viviamo giorni in cui il varo della legge sul testamento biologico così come  è stato elucubrato dal centrodestra non incute ottimismo. Il ddl Calabrò è stato definito- e non a torto- «testamento ideologico» dalla senatrice radicale del Pd Donatella Poretti. Anche la vice presidente del Senato Emma Bonino non ha mancato in questi ultimi giorni di ricordare le inquietanti analogie di questa nuova norma con quella sulla Pma. Per il comune impianto antiscientista e illiberale di ispirazione cattolica che caratterizza entrambe. E il pensiero che  ci possa essere ancora un ripensamento sulla legge 40 alimenta in queste ore le associazioni di pazienti sterili e infertili e chi questa norma la combatte sin da quando è stata proposta. La Corte costituzionale potrebbe, d’un sol colpo, se guardasse al vero, dichiarare incostituzionali  due  o più articoli della legge 40.

Anche sulla base dall’ennesima bocciatura subita dalla legge 40 per mano di giudici ordinari nelle scorse settimane: il tribunale di Milano con due diverse ordinanze del 6 e del 10 marzo ha ampliato quanto affermato dal tribunale di Firenze e dal Tar del Lazio. I giudici milanesi si sono pronunciati sui ricorsi presentati da due coppie siciliane portatrici di beta-talassemia e drepanocitosi abbinata a Beta-talassemia, sostenuti dalle associazioni Hera di Catania, Sos Infertilità di Milano e Cittadinanza attiva. In questo caso è stato messo in rilievo che le pratiche di Pma risultano lesive della salute della donna e soprattutto non sono conformi al principio di non invasività stabilito dall’articolo 4 della legge 40.  E ancora , risultano  invasivi e lesivi della integrità della salute della donna l’obbligo di produrre solo tre embrioni e di trasferirli tutti insieme contemporaneamente, il divieto di crioconservazione degli embrioni, la costrizione imposta alle coppie affette o portatricidi di gravi malattie genetiche di rinunciare a una gravidanza oppure di ricorrere poi all’aborto. Secondo il tribunale si tratta di norme troppo rigide che non tengono conto delle singole situazioni. Come dire che è il carattere generale di una legge a renderla inapplicabile nelle situazioni di cura. Dal momento che queste devono essere valutate caso per caso dall’unica persona autorizzata a farlo (tra l’altro per legge). E cioè, il medico.

— di Federico Tulli da Left Avvenimenti del 27 marzo 2009


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Ancora lontani dall’Europa

Posted by Simona Maggiorelli su agosto 29, 2008

Un Paese in cui i fondi per la ricerca finiscono ovunque, tranne che nei laboratori. L’appello degli scienziati al presidente della Repubblica di Simona Maggiorelli

«In Italia un adeguato sistema di finanziamenti alla ricerca non esiste. Perciò come scienziati abbiamo deciso di scrivere un appello al presidente della Repubblica, come figura istituzionale super partes, perché prenda piena consapevolezza del problema». Così ci raccontava alcuni mesi fa, in margine a un convegno dell’Accademia dei Lincei sulla ricerca per le cellule staminali, il professor Paolo Bianco, ordinario di Anatomia patologica all’università degli studi di Roma La Sapienza. Con altri 1.500 scienziati, Bianco ha stilato un documento, pubblicato da Il sole 24 ore e rilanciato da Nature, in cui si denuncia lo stato in cui versa la ricerca italiana, dal punto di vista dei fondi ma anche del sistema di valutazione dei progetti. «Il problema è che nel mondo politico esiste assai poca sensibilità al problema e all’importanza del settore della ricerca – spiega Bianco -. Troppo spesso viene ridotto a “un problema dei ricercatori”, se hanno più o meno soldi e se i fondi sono distribuiti adeguatamente o meno. Ma quello di cui non ci si vuole rendere conto è che questo non è un problema dei ricercatori. È un problema del Paese. E della politica». Da parte sua, il governo Berlusconi non potrebbe essere più sordo su questo argomento. E se, come spiega Bianco, i problemi vengono da molto lontano, i tagli alla ricerca e all’università previsti dalla prossima Finanziaria di certo rendono il quadro della ricerca in Italia ancor più fosco.
Professor Bianco, come funziona il meccanismo di valutazione a livello internazionale per il finanziamento dei progetti di ricerca?
Tutti i ricercatori, che siano giovani o premi Nobel, passano attraverso uno stesso tipo di procedura. Si scrive un progetto, si presenta, dopo di che, in base alla valutazione di scienziati competenti anonimi e indipendenti, quei progetti sono o non sono finanziati. Questa è una regola.
L’ex ministro della Salute, Livia Turco, aveva promesso maggiore trasparenza nell’assegnazione dei fondi, in particolare rispetto alla ricerca sulle staminali. E alcuni scienziati, come Elena Cattaneo, denunciano che, qui in Italia, solo quella sulle staminali adulte è stata davvero finanziata.
L’allora ministro Turco rispose alla lettera che le avevamo indirizzato, dicendo che aveva provveduto lei stessa a imporre che il finanziamento della ricerca sulle cellule staminali previsti dalla finanziaria 2007 fossero assegnati solo previa emanazione di un bando pubblico. Del bando pubblicato dall’ex ministro Turco non vi è traccia. Ma vorrei uscire dalla polemica. Il fatto stesso che la faccenda dei bandi pubblici non sia stata affrontata prima del 2006, la dice lunga sul sistema italiano dei finanziamenti.
Ma allora qual è il problema alla base?
Alla base di tutto c’è il fatto che la ricerca biomedica, in Italia, ha la sua principale fonte di finanziamento nel ministero, che identifica dei destinatari “istituzionali” per i fondi. Già questa è una cosa assolutamente innaturale e sbagliata. Solo per dare un’idea: se un governo stabilisce che il tema delle staminali è di interesse strategico per il sistema sanitario nazionale, le pare ammissibile che poi identifichi un budget di 3 milioni di euro, stabilisca un periodo di intervento finanziario di 24 mesi, ma istituzionalmente escluda dall’accesso ai fondi pressoché tutti quelli che in Italia di fatto lavorano sulle staminali?
Ovvero?
Ovvero, il 100% dei ricercatori che lavorano sulle staminali embrionali lo fa in ambito universitario. Invece il ministero garantisce l’accesso ai fondi soltanto agli istituti zooprofilattici o all’Ispettorato sicurezza e prevenzione del lavoro… Tutti i destinatari istituzionali dei fondi afferiscono al ministero della Salute, mentre le università ne sono tagliate fuori.
E su tutto questo quanto incide la scarsa informazione scientifica dei media?
Penso ci sia molto bisogno di una correzione nel modo in cui vengono trattati certi argomenti. Il Corsera ha annunciato “epocali scoperte”. Ma si potrebbero citare anche altri giornali. Il fatto è, però, che una scoperta non è valida soltanto perché a riguardo è stato scritto e pubblicato un articolo su una rivista scientifica. Questo, per quanto prestigiosa possa essere la rivista. Ci vogliono anni prima di poter dire che una scoperta scientifica è valida. Deve essere riprodotta da altri ricercatori e convalidata. Un processo che richiede molto tempo.
I falsi scoop a chi sono utili?
È chiaro che muovono interessi e soldi. Tempo fa venne fuori la notizia della riprogrammazione delle cellule adulte a cellule totipotenti. Una ricerca evidentemente molto importante anche per i possibili risvolti bioetici. Se esistesse veramente un sistema per bypassare la manipolazione di cellule embrionali autentiche sarebbe più semplice. Ma dichiarare una ricerca “eticamente sostenibile” prima di avere tutte le controprove sulla sua efficacia serve solo a drenare finanziamenti. Oggi invece si tratta di fare leggi, istituire organi, stilare procedure.
A cominciare dall’introduzione di un sistema di peer review, come già si usa a livello internazionale?
Abbiamo insistito molto perché si adotti un sistema generalizzato di peer review, ma in Italia non si sa neanche che cosa significhi. Non basta un sistema di revisori esterni anonimi per fare un sistema di peer review. Banalmente: se scrivo un progetto e questo viene valutato in modo anonimo da mia sorella, non è peer review. In Italia mancano le procedure corrette. Mi pare sia ora di istituirle.
Il modello inglese ha raggiunto buoni risultati?
In Gran Bretagna per poter lavorare sulle staminali umane c’è bisogno, oltre che dei progetti di ricerca e dei finanziamenti, di una valutazione del soggetto che chiede di lavorare con embrionali umane. Che è, a sua volta, regolamentata. Parliamo di credibilità, autorevolezza scientifica, perfino dell’adeguatezza etica. Lei se lo immagina in Italia uno scenario di questo tipo? Essendo l’Italia perfino incapace di concepire un sistema di procedure per dare i soldi alla ricerca?

Left 35/08

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La legge 40 di nuovo a giudizio

Posted by Simona Maggiorelli su agosto 1, 2008

Un’ordinanza del giudice civile Isabella Mariani solleva nuovi dubbi di costituzionalità. Ora la parola torna alla Consulta Intanto Scienza e vita vorrebbe imporre alla donna il curator ventris di Simona Maggiorelli

La legge 40 torna a essere sottoposta al giudizio della Corte costituzionale grazie all’ordinanza emessa dal giudice civile di Firenze, Isabella Mariani. Un’ordinanza lunga 35 pagine e che solleva molti e consistenti dubbi di costituzionalità sulla legge 40 a partire da un punto nodale: l’equiparazione che la legge sulla fecondazione assistita stabilisce fra diritti di un astratto concepito e quelli della madre. Equiparazione che cozza in particolare con una importante sentenza del ’75 che stabiliva una gerarchia fra i diritti di chi è persona e quelli di chi persona lo diventerà solo alla nascita, come riconosce il Codice civile. E questa volta in molti, non solo le associazioni dei malati, ma anche medici, operatori, ricercatori sperano che sia davvero la volta buona. Molti i punti che il giudice toscano ha messo in discussione. Riguardano, oltreché il divieto di diagnosi preimpianto (che le linee guida varate dall’ex ministro della Salute, Livia Turco, non hanno pienamente revocato), il numero fisso di embrioni che per legge si possono produrre in vitro (al massimo tre) e l’obbligo di trasferirli tutti in utero, senza che la donna possa revocare il consenso, ma anche il divieto di crioconservazione degli embrioni. Punti talmente qualificanti che se la Consulta desse ragione alle istanze sollevate dal giudice fiorentino, la legge 40 sarebbe ripulita dalla gran parte dei suoi più odiosi e assurdi divieti, restituendo così ai medici la possibilità di scegliere di caso in caso la terapia adeguata. Ma veniamo ai punti salienti di questa storia. La coppia protagonista di questa vicenda è la stessa che, nel dicembre scorso, ricorrendo al tribunale, era riuscita a vedersi riconoscere il diritto alla diagnosi genetica preimpianto in quanto portatrice di una grave malattia genetica ad alta possibilità di trasmissione ai figli. Già allora il giudice Mariani disse che dopo quel risultato necessario nell’immediato alla coppia, si sarebbe riservata di andare più a fondo. E coraggiosamente lo ha fatto. «Ma grande è stata la sorpresa – racconta l’avvocato difensore della coppia, Gianni Baldini – quando all’udienza si è presentato un esponente di Scienza e vita» con la pretesa di costituirsi parte civile e di essere nominato curatore speciale degli embrioni. «Niente meno che il curator ventris di buona memoria del diritto romano – sottolinea Baldini -. Voleva che il giudice togliesse ai genitori la patria potestà sugli embrioni per assumerla lui come curatore speciale evidenziando il conflitto di interesse fra la madre e gli embrioni. Una cosa che non era mai accaduta prima, che ci ha lasciato tutti basiti». Il curator ventris non a caso era quella figura istituzionale nel diritto romano che interveniva quando una donna incinta era senza pater familias e senza marito, perché vedova o altro. «Per il codice dei latini la donna non era cittadina, ma praticamente una schiava e si pensava che il suo ventre necessitasse di un tutore perché non avrebbe certamente saputo gestirlo da sola», chiosa Baldini, docente di Biodiritto all’università di Firenze. Di colpo un salto indietro di più di duemila anni. Che il giudice, per fortuna, ha prontamente respinto, snocciolando ai rappresentanti di Scienza e vita tutte le ragioni strettamente giuridiche per cui non potevano in alcun modo farsi portatori di interessi specifici, né essere legittimati a estromettere i genitori dalla disponibilità sul materiale genetico che essi avevano prodotto, insomma che non potevano in nessun modo essere nominati parte civile. «Che il giudice chiamato a rispondere a Scienza e vita avesse la competenza e la sensibilità della Mariani è stato importante, temo le cose sarebbero andate diversamente se ci fosse stato qualcun altro» si lascia scappare l’avvocato che da tempo segue le cause che riguardano la legge 40 difendendo i diritti negati delle coppie sterili o portatrici di malattie genetiche che si rivolgono all’associazione Madre provetta. E se per la risposta della Corte costituzionale bisognerà aspettare con ogni probabilità fino a inizio 2009, nelle prossime settimane altri casi di coppie che sono ricorse al tribunale arriveranno a giudizio.

Left 31/08

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