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Posts Tagged ‘Eutanasia’

I segreti di Sua Santità

Posted by Simona Maggiorelli su giugno 3, 2012

Crimini di pedofilia, affarismo, riciclaggio di soldi, rapporti pericolosi con organizzazioni malavitose. Ecco cosa la Chiesa vorrebbe nascondere. Mentre cerca di manipolare le scelte politiche italiane sul biotestamento, sull’aborto, sulla famiglia, sulle scuole private.  Ilnuovo libro di Gianluigi Nuzzi documenta in  modo incontrovertibile  gli affari sporchi del Vaticano.

di Simona Maggiorelli

Benedetto XVI

Una lotta per il potere, senza esclusione di colpi. Così il socialista Rino Formica intervistato da La Stampa descrive quanto sta accadendo Oltretevere. «Il Papa ha finito per restare vittima dell’attuale tendenza della Curia, che oramai è diventata una cosa sola con l’eterno “partito romano”, quello che per decenni è prosperato in un intreccio di massoneria, clericalismo, affarismo. Per tanto tempo questo potere trasversale e senza principii è stato fonte di ricchezza materiale per la Chiesa, ma ha aperto la strada ora alla sua gravissima crisi», dice l’ex ministro. La cui testimonianza Gianluigi Nuzzi – con una copia della La Stampa del 29 maggio alla mano – ci legge a voce alta, sottolineandone dei passi. Alla luce della lunga carriera, da laico che ha combattuto le ingerenze vaticane, Formica sa di che parla.

Come giornalista, dopo molte e approfondite inchieste, Gianluigi Nuzzi è arrivato a una conclusione non troppo diversa. «il Vaticano è una monarchia assoluta», ribadisce, con molti lati oscuri che riguardano mancanza di trasparenza, violazioni di diritti ma anche e soprattutto le prestazioni occulte della sua banca, lo Ior, implicata in questioni di riciclaggio e intermediazioni con la mafia. E questo a dirlo non è Nuzzi ma una ordinanza di un giudice, sottolinea il giornalista di Libero e di La7.

Che dopo le 250mila copie vendute del suo Vaticano Spa uscito nel 2009 ora “rischia” di fare il bis con il nuovo Sua Santità.Le carte segrete di Benedetto XVI. uscito sempre per Chiarelettere. Onde scongiurare questa eventualità, le più alte sfere vaticane hanno accusato Nuzzi di furto e di ricettazione. Ma quello che ci sembra ancor più grave è che politici italiani come l’ex ministro (e ora senatore) Maurizio Gasparri e l’onorevole Paola Binetti abbiano chiesto il sequestro del libro perché basato su documenti riservati della Chiesa e lesivo dell’immagine del Papa.

Come se la segretezza e l’oscurantismo che vuole imporre il Vaticano «dovesse diventare per un giornalista autoscurantismo» chiosa Nuzzi. Come se il compito dei giornalisti non fosse proprio quello di scovare notizie inedite e verificate. E tenendo la schiena ben diritta rispetto al potere. Ma, più a fondo, cosa spaventa tanto il clero e certa politica riguardo al lavoro di Nuzzi?  Cosa cercando di nascondere i media concentrati sul giallo del maggiordomo e che evitano di entrare in merito al libro? “Banalmente” il fatto che accuse gravi e circostanziate rispetto alle politiche di omertà e copertura del Vaticano rispetto a crimini come la pedofilia dei preti, i traffici illeciti dello Ior compreso il riciclaggio dei soldi della mafia e i sospetti di pesanti ed eversive ingerenze nello Stato italiano abbiano trovato una inconfutabile dimostrazione in questo libro, documentatissimo, basato su lunghe ricerche e testimonianze dirompenti raccolte in giro per il mondo.

Più di quanto possa fare in articoli Nuzzi qui approfondisce, traccia nessi, riflette sul significato di scioccanti documenti pubblicati per esteso in apparato. E che «riguardano spinose questioni temporali e scandali che vanno gestiti e silenziati» come fa notare l’autore. «Ma la polvere nascosta sotto il tappeto riemerge sempre da qualche altra parte», fa notare il giornalista. Così dal suo libro si apprende che «gli abusi fisici e psicologici commessi dal fondatore dei Legionari di Cristo Marcial Maciel Degollado erano stati denunciati a Sodano e altri in Vaticano già nel 2003 ma si decise di coprire i crimini di pedofilia e di ladrocinio commessi dai Legionari».

Gianluigi Nuzzi

Intanto il papato varava una Commissione di avvicinamento per cercare di ridurre l’impatto economico delle richieste di risarcimento da parte delle vittime, «con linguaggio freddamente pragmatico, senza spendere una parola sulla gravità dei fatti e sui traumi causati sulle vittime», nota Nuzzi. Ma non solo. Da Sua Santità emergono fatti gravissimi che riguardano le istituzioni e la politica italiana: Giulio Tremonti, quando era ancora ministro della Repubblica italiana, consigliava all’allora presidente dello Ior, Gotti Tedeschi, come evitare sanzioni dell’Unione europea riguardo al mancato pagamento dell’Ici da parte della Chiesa per gli enti commerciali. E, senza soluzione di continuità il premier Mario Monti ha fatto anche peggio. «Dopo l’esposto fatto dai Radicali Italiani nel 2005 proprio riguardo alle “esenzioni Ici” l’Italia avrebbe potuto rivalersi incassando parecchie centinaia di milioni di euro, che in questo momento di crisi sarebbero stati molto utili alle casse dello Stato» ricostruisce Nuzzi. «Ma con abile operazione mediatica il Vaticano si è detto disponibile a pagare qualcosa e il premier Monti ha cambiato la normativa, così» sottolinea Nuzzi, «cambiata la legge, lo Stato italiano non potrà più ricorrere. La manovra fatta da Monti fa fuori la possibilità di potersi rivalere sull’infrazione precedente». E ancora, quanto ai tentativi delle gerarchie vaticane di imporre un’agenda politica e norme improntate a «valori non negoziabili» (perché basati sul dogma religioso) una delle pagine più “sorprendenti” di Sua Santità è la numero  297, dove è pubblicato l’originale di una nota della Santa Sede riguardo a un incontro con Giorgio Napolitano del 19 gennaio 2009. Ebbene in quella occasione il Papa, capo dello Stato Vaticano avrebbe dovuto “convincere” il presidente della Repubblica italiana a fare leggi per la tutela della famiglia e, si legge nella nota vaticana: «Si devono evitare equiparazioni legislative tra il matrimonio ed altri tipi di unione». Nel Ddl in discussione in Parlamento sul biotestamento e in altre «norme eticamente sensibili»  deve essere inserita «una chiara riaffermazione del diritto alla vita, che è diritto fondamentale di ogni persona umana, indisponibile ed inalienabile. Conseguentemente si deve escludere qualsiasi forma d’eutanasia e ogni assolutizzazione del consenso». Ma in questo documento c’è anche un capitolo sulle scuole private. La nota vaticana lascia trasparire una certa preoccupazione: «Il problema attende sempre una soluzione, pena la scomparsa di molte scuole paritarie. Occorre trovare un accordo sulle modalità dell’intervento finanziario anche al fine di superare recenti interventi giurisprudenziali che mettono in dubbio la legittimità dell’attuale situazione». Intanto il Vaticano continua senza scrupoli a incassare dalle tasse dei cittadini italiani circa sei miliardi di euro l’anno, sebbene l’articolo 33 della nostra Costituzione reciti: «Lo Stato non deve sopportare alcun onere per le scuole private».

da left Avvenimenti

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Il veleno esistenzialista

Posted by Simona Maggiorelli su dicembre 15, 2011

di Simona Maggiorelli

Franco Basaglia

«Vivere gli era diventato intollerabile» si legge in un articolo di  Simonetta Fiori che, su Repubblica,  ha raccontato della morte di un leader storico della sinistra come Lucio Magri. E poi quella diagnosi uscita dalla penna della giornalista che, per mettendosi al posto di uno psichiatra, sentenzia: Lucio Magri aveva «una depressione vera, incurabile». Un convinzione che pare essere diventata granitica negli amici di sempre, i fondatori del quotidiano Il Manifesto, che hanno sostenuto la scelta di Magri di andare in Svizzera per suicidarsi. Pur non essendo un malato terminale.

Qui, senza voler entrare nella vicenda privata di un uomo e di un politico coraggioso come Lucio Magri, forse però si può partire da come la sua storia è stata raccontata sui giornali e dall’entourage di Magri per  tornare a riflettere su certe radici di pensiero che, dagli anni Cinquanta ad oggi, hanno alimentato una cultura dell’«essere per la morte» anche nella sinistra, togliendo ogni speranza di ricerca sulla realtà psichica umana. Pensiamo in particolare a una cultura heideggeriana ed esistenzialista, analoga a quella che portò lo psichiatra svizzero Ludwig Binswanger a “spingere”al suicidio una sua  paziente, Ellen West, teorizzando che quello era il suo destino, il suo Dasein, il compimento di una libera scelta.

Questa vicenda, mesi fa, è stata ricordata su Repubblica da Pietro Citati non come un drammatico fallimento terapeutico, ma come un caso esemplare di autodeterminazione. Come se non ci fosse differenza fra una persona affetta da una malattia organica e incurabile e una persona malata di mente che gli psichiatri possono e devono provare a curare. Dietro questa ideologia, dove il pensiero nazista e cristiano di Heidegger s’incontra con il nihilismo di Sartre, c’è  con tutta evidenza la negazione della malattia mentale. Che era propria anche del pensiero di Basaglia come di molti catto-comunisti. Cultore di Binswanger, epigono di Sartre, lo psichiatra triestino, con Foucault  pensava che la pazzia fosse una “diversità” e il frutto di uno stigma sociale. E se è ben vero, come scriveva Massimo Adinolfi su L’Unità del 26 novembre, che il basaglismo (come il freudismo del resto) è in rapida estinzione, quella congerie culturale pre e post sessantottina ha esercitato una fortissima influenza su certa intellettualità di sinistra. Il Manifesto ne è stato una fucina, così come Liberazione diretta da Sansonetti. Con lenzuolate che esaltavano Foucault e la sua filosofia antistituzionale, antiscientifica, antiautoritaria e i suoi attacchi alla medicina come paradigma di potere. In nome di un’idea di libertà assoluta, senza il riconoscimento dell’identità umana più profonda, Foucault arrivava a fare l’apologia dell’omicidio-suicidio, della pedofilia e a scambiare per desiderio la triste tanatofilia del Marchese de Sade (vedi  Repubblica del 27 novembre). Quella stessa sinistra ha esaltato Freud, la sua idea di inconscio perverso, quanto inconoscibile, e si è nutrita della sua concezione tragica dell’umano. Ma si è  anche riempita la bocca delle elucubrazioni astratte e dissociate di Lacan e non ha mai voluto vedere l’abisso di violenza psichica che portò il filosofo Althusser, ad uccidere la moglie. L’irrazionale, per la sinistra basagliana e, al fondo, cristiana coincideva tout court con la pazzia. Oppure stando con Sartre si arrivava a dire che l’inconscio non esiste. Per il filosofo de L’essere e il nulla  tutto è mediato dalla coscienza e se la costruzione di sé viene smentita dai fatti, se  quegli ideali utopici che uno si è dato vengono disconfermati dalla realtà, ci si scontra con un’impotenza assoluta al cambiamento. Allora la morte, il suicidio- secondo Sartre – sarebbe pur sempre una scelta.  Un suicidio che sembra auspicato dai “cattivi maestri” che tentano di bloccare la ricerca sulla realtà umana e la cura.

da left-avvenimenti

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Il dovere di curare

Posted by Simona Maggiorelli su marzo 27, 2009

L’anestetsista Mario Riccio: «C’era qualcuno che aveva diritto a interrompere la terapia, e quando ho accettato di occuparmi di lui ho sentito forte l’obbligo etico, ma ora dico anche giuridico, di dare una risposta a questa esigenza del paziente». Piergiorgio ha fatto riflettere tutti su un diritto considerato sacrilego.

In Italia è emergenza diritti civili. La sinistra si faccia interprete della domanda che viene anche dai giovani

di Simona Maggiorelli

il medico Mario Riccio

il medico Mario Riccio

«I temi di bioetica e i diritti civili sono un’emergenza in Italia. E la stiamo tirando troppo per le lunghe. Altri Paesi li hanno affrontati, discussi, hanno fatto leggi. È importante che si parli di testamento di vita, di aborto, di fecondazione assistita. Che si parli di pacs, di unioni civili. Nel centrosinistra fin qui non c’è stato modo di affrontarli. Lo hanno fatto, invece, i conservatori, il centrodestra, con la consegna totale di queste tematiche agli ambienti ecclesiastici. Questo soggetto nuovo, il Pd, su tutto questo tace. Non so – accenna Mario Riccio – se come medico posso permettermi di dire…ma questi sono argomenti molto importanti. E nessuno finora, a eccezione dell’area laica radicale, ha preso i mano la laicità come bandiera o come tematica chiara della propria proposizione ai cittadini». A un anno e due mesi dalla vicenda di Piergiorgio Welby il medico anestesista che lo aiutò nella sua battaglia politica torna a parlare. Ripercorrendo le tappe di una storia, quella di Welby, che oggi appare sempre più paradigmatica e con quella passione civile di chi ha “militato” a lungo nella Consulta di Milano, organizzando dibattiti e convegni di bioetica laica. «Senza troppi giri di parole – continua Riccio – a me piacerebbe sapere cosa vuole fare la sinistra la legge 194? Facciamo la moratoria? La fecondazione assistita? I tribunali continuano a dire che la legge 40 è incostituzionale, ci vogliamo mettere mano? Le coppie di fatto registrate nelle liste comunali delle unioni civili sono 700mila, in Italia un figlio su tre nasce da una coppia non sposata. Sono temi di primo piano nella vita dei cittadini. Ma vedo che nessuno se ne occupa. Spero che la Sinistra arcobaleno ne faccia un suo tema, un suo campo di battaglia, perché nella mia esperienza, di incontri e di dibattiti, noto che la base di questa sinistra ne parla. E se è vero, come si legge, che proprio a sinistra si potrebbe registrare un grosso astensionismo, rappresentare politicamente le esigenze dei cittadini su questo piano potrebbe essere una carta vincente. I giovani oggi hanno certamente il problema del mutuo, però una coppia di fatto che vuole un figlio, oppure che fa fatica ad averne uno, cerca delle risposte dalla politica».

Nella sua esperienza di medico quanto è sentita l’esigenza di una legge sul testamento biologico?

Mi pare chiaro che sia una necessità. Io vivo tutti giorni nell’area critica come rianimatore, ma la stessa esperienza la si vive nel campo oncologico, dove c’è sempre da scegliere, a un certo punto, se continuare la terapia o insistere, sono problematiche che toccano la vita di molti, quotidianamente.

Quanto il legislatore o il giudice possono legittimamente entrare in queste questioni? Il gup Renato Laviola, in particolare, nel caso di Welby, parlava di “diritto alla vita”. Parole che si addicono più a un uomo di Chiesa…

Se vogliamo tornare su quella storia, per il suo valore di prototipo, va ricordato che la vicenda non ebbe mai interruzione lungo una strada di una totale estraneità a un profilo penale. Mi spiego meglio. La Procura riconobbe che non c’era nessun profilo penale. E lo riconobbe anche il civile di Roma. In tutta quella storia ci fu solo una interruzione: il mio rinvio a giudizio da parte del gup Laviola che basò questa sua scelta su un supposto diritto alla vita. Ma la Carta fondamentale promuove lo sviluppo delle persone, l’istruzione, la salute eccetera, non parla mai di diritto alla vita. Del resto anche se ci fosse scritto diritto alla vita – cosa che non è – resterebbe il fatto che si tratterebbe di un diritto non di un dovere. Si può decidere se esercitarlo oppure no. Non esiste un diritto coercibile. A posteriori, oggi, mi rendo conto, però, che se non ci fosse stata la richiesta di rinvio a giudizio per me, forse non si sarebbe più parlato della vicenda Welby, con tutto il suo significato anche politico.

È stata una vicenda paradigmatica anche per quello che fu detto sulla questione sedazione.

Ora i toni, per fortuna, si sono raffreddati e mi fa piacere. È passato del resto un anno e mezzo, ma non posso dimenticare quel che disse l’ex presidente del Cnb Francesco d’Agostino: per lui il problema era se sedare Piergiorgio prima del distacco della macchina, se sedarlo dopo, se sedarlo poco o tanto. Sembrava quasi che se l’avessimo sedato troppo sarebbe stato un problema perché prima dovevamo farlo un po’ soffrire. Quando lessi tutto questo sulle pagine dei giornali mi prese lo sconforto. Pensavo che soluzione D’Agostino sarebbe stata di alto profilo etico e giuridico e dovetti leggere che stavano spiegando a me anestesista che tipo di farmaco usare e con quale dosaggio….

L’Italia continua a essere fanalino di coda nella terapia del dolore. Quanto la Chiesa riesce a intromettersi nel rapporto medico-paziente?

Giovanni XXIII sdoganò la morfina, disse che il dolore di per sé non è un valore, agli inizi degli anni ’60. Ma questo discorso non è stato più fatto, né da Woytila né tanto meno da Ratzinger…Mi viene particolarmente difficile pensare a un dio, specie come quello che ci prospettano, un dio un po’ guardone che si introduce nelle camere da letto o che va a misurare il dolore. Io non sono un credente, sono un ateo agnostico, ma ipotizzando per un attimo un’entità soprannaturale, non lo vedrei impegnato a occuparsi della mia sessualità. Mi parrebbe un po’ offensivo.

Ma le cure palliative spesso non bastano, c’è anche il dolore psichico dei malati terminali a cui il medico di trova a dover rispondere?

E’ quello che con un termine tecnico si chiama dolore totale, è la sommatoria di dolore psichico e dolore fisico. Lo si riscontra, per esempio, nei malati oncologici terminali. Pensare di dover vivere in una situazione particolarmente umiliante è devastante, diventa un dolore incoercibile che non si riesce a gestire nemmeno con l’uso della terapia antalgica. Si parla molto di medicina palliativa, anche su questo l’Italia deve recuperare il ritardo ma esiste una quota limitata di pazienti per i quali queste armi risultano spuntate. È questo che ha spinto paesi avanzatissimi dal punto di vista sanitario come l’Olanda a permettere l’eutanasia. Va fatta una riflessione seria, pacata, su questo tema. Non ha nulla a che vedere con l’indifferenza verso chi è incurabile. Al contrario.

Dovrebbe essere una questione che pertiene al rapporto medico-paziente?

Citare le sentenze in Italia oggi, per qualcuno, è una cosa provocatoria, quasi terroristica, ma io sono orgoglioso di farlo con quella del Gup nella vicenda Welby, in cui c’era il diritto del paziente e il mio dovere. Io ho fatto semplicemente il mio dovere di medico e di questo io sono sempre stato convinto. Lo spiegai alla conferenza stampa dove tutti pensavano che il giorno prima si fosse consumato un assassinio. Ma la spiegazione che io detti credo con sufficiente serenità passò quasi come un atto di prosopopea. Qui c’era qualcuno che aveva diritto a interrompere la terapia, e quando ho accettato di occuparmi di questa persona ho sentito forte dentro di me il dovere etico, ma ora dico anche giuridico, di dare una risposta a questa esigenza del paziente. E quella che sembrava una cosa extra siderale, ovvero che un paziente in queste condizioni rifiutasse la terapia, oggi è una cosa accettata. Piergiorgio Welby ci ha fatto fare una riflessione su un diritto che allora tutti consideravano come un sacrilegio.

da left-Avvenimenti 15 febbraio 2008

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La lettera di Welby al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Caro Presidente,

scrivo a Lei, e attraverso Lei mi rivolgo anche a quei cit­tadini che avranno la possibilità di ascoltare queste mie pa­ro/e, questo mio grido, che non è di disperazione, ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese.Fino a due mesi e mezzo fa la mia vita era sì segnata da difficoltà non indifferenti, ma almeno per qualche ora del giorno potevo, con l’ausilio del mio computer; scrivere, leg­gere, fare delle ricerche, incontrare gli amici su internet. Ora sono come sprofondato in un baratro da dove non trovo uscita. La giornata inizia con l’allarme del ventilatore polmo­nare mentre viene cambiato il filtro umidificatore e il catetere, trascorre con il sottofondo delta radio, tra frequenti aspirazioni delle secrezioni tracheali, monitorag­gio dei parametri ossimetrici, pulizie personali, medicazio­ni, bevute di Pulmocare. Una volta mi alzavo al più tardi alle dieci e mi mettevo a scrivere sul pc. Ora la mia patolo­gia, la distrofia muscolare, si è talmente aggravata da non consentirmi di compiere movimenti, il mio equilibrio fisico è diventato molto precario. A mezzogiorno con l’aiuto di mia moglie e di un assistente mi alzo, ma sempre più spesso riesco a malapena a star seduto senza aprire il computer perche sento una stanchezza mortale. Mi costringo sulla sedia per assumere almeno per un’ora una posizione diffi­rente di quella supina a letto. Tornato a letto, a volte, mi as­sopisco, ma mi risveglio spaventato, sudato e più stanco di prima. Allora faccio accendere la radio ma la ascolto di­strattamente. Non riesco a concentrarmi perche penso sem­pre a come mettere fine a questa vita. Verso le sei faccio un altro sforzo a mettermi seduto, con l’aiuto di mia moglie Mina e mio nipote Simone. Ogni giorno vado peggio, sem­pre più debole e stanco. Dopo circa un’ora mi accompagna­no a letto. Guardo la tv, aspettando che arrivi l’ora della compressa del tavor per addormentarmi e non sentire più nulla e nella speranza di non svegliarmi la mattina.

Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico, Vita è anche la donna che ti lascia, una gior­nata di pioggia, l’amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita è solo un te­stardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio, è lì, squa­dernato davanti a medici, assistenti, parenti. Montanelli mi capirebbe, Se fossi svizzero, belga o olandese potrei sot­trarmi a questo oltraggio estremo ma sono italiano e qui non c’è pietà. Starà pensando, Presidente, che sto invocando per me una «morte dignitosa». No, non si tratta di questo. E non parlo solo della mia, di morte. La morte non può essere «dignitosa», dignitosa, ovvero decorosa, dovrebbe essere la vita, in special modo quando si va affievolendo a causa della vecchiaia o delle malattie incurabili e inguaribili. La morte è altro. Definire la morte per eutanasia «dignitosa» è un modo di negare la tragicità del morire. È un continuare a muoversi nel solco dell’occultamento o del travisamento della morte che, scacciata dalle case, nascosta da un paravento negli ospedali, negletta nella solitudine dei gerontocomi, appare essere ciò che non è. Cos’è la morte? La morte è una condizione indispensabile per la vita. Ha scritto Eschilo: «Ostico, lottare. Sfacelo m’assale, gonfia fiumana. Oceano cieco, pozzo nero di pena m’accerchia senza spiragli. Non esiste approdo».

L’approdo esiste, ma l’eutanasia non è «morte dignitosa», ma morte opportuna, nelle parole dell’uomo di fede Jacques Pohier: Opportuno è ciò che «spinge verso il porto»; per Plutarco, la morte dei giovani è un naufragio, quella dei vecchi un approdare al porto e Leopardi la definisce il solo «luogo» dove è possibile un riposo, non lieto, ma sicuro.

In Italia, l’eutanasia è reato, ma ciò non vuoi dire che non «esista»: vi sono richieste di eutanasia che non vengono accolte per il timore dei medici di essere sottoposti a giudizio penale e viceversa, possono venir praticati atti eutanasici senza il consenso informato di pazienti coscienti. Per esaudire la richiesta di eutanasia, alcuni Paesi europei, Olanda, Belgio, hanno introdotto delle procedure che consentono al paziente «terminale» che ne faccia richiesta di programmare con il medico il percorso di «approdo» alla morte opportuna. Una legge sull’eutanasia non è più la richiesta incomprensibile di pochi eccentrici. Anche in Italia, i disegni di legge depositati nella scorsa legislatura erano già quattro o cinque. L’associazione degli anestesisti, pur con molta cautela, ha chiesto una legge più chiara; il recente pronunciamento dello scaduto (e non ancora rinnovato} Comitato nazionale per la bioetica sulle Direttive Anticipate di Trattamento ha messo in luce l’impossibilità di escludere ogni eventualità eutanasica nel caso in cui il medico si attenga alle disposizioni anticipate redatte dai pazienti. Anche nella diga opposta dalla Chiesa si stanno aprendo alcune falle che, pur restando nell’alveo della tradizione, permettono di intervenire pesantemente con le cure palliative e di non intervenire con terapie sproporzionate che non portino benefici concreti al paziente. L’opinione pubblica è sempre più cosciente dei rischi insiti nel lasciare al medico ogni decisione sulle terapie da praticare. Molti hanno assistito un famigliare, un amico o un congiunto durante una malattia incurabile e altamente invalidante e hanno maturato la decisione di, se fosse capitato a loro, non percorrere fino in fondo la stessa strada. Altri hanno assistito alla tragedia di una persona in stato vegetativo persistente.

Quando affrontiamo le tematiche legate al termine della vita, non ci si trova in presenza di uno scontro tra chi è a favore della vita e chi è a favore della morte: tutti i malati vogliono guarire, non morire. Chi condivide, con amore, il percorso obbligato che la malattia impone alla persona amata, desidera la sua guarigione. I medici, resi impotenti da patologie finora inguaribili, sperano nel miracolo laico della ricerca scientifica. 1ra desideri e speranze, il tempo scorre inesorabile e, con il passare del tempo, le speranze si affievoliscono e il desiderio di guarigione diventa desiderio di abbreviare un percorso di disperazione, prima che arrivi a quel termine naturale che le tecniche di rianimazione e i macchinari che supportano o simulano le funzioni vitali.

Piergiorgio Welby, 22 settembre 2006

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Una sentenza storica

Posted by Simona Maggiorelli su luglio 27, 2007

Prosciolto «per avere adempiuto al proprio dovere». Finalmente è giustizia per Mario Riccio, il medico di Welby

di Maurizio Mori*

Nella vita ci sono situazioni in cui basta che uno faccia osservare qualcosa, che subito ci si accorge che ha ragione e si dice: “Ah, ah! Perché non l’ho visto prima?”. Qualcosa del genere è accaduto nel caso di Mario Riccio, l’anestesista di Cremona, socio della Consulta di Bioetica che, accogliendo le richieste di Piergiorgio Welby, lo ha assopito ed ha sospeso la terapia ventilatoria che lo teneva in vita. Molti medici hanno subito riconosciuto che Riccio aveva fatto ciò che era giusto fare. Ma poi la situazione si è ingarbugliata per le tante dichiarazioni pubbliche di esponenti vari, da una serie di prelati ai soliti custodi della morale tradizionale, che chiedevano una condanna esemplare. Si è detto che Riccio aveva aperto la strada all’eutanasia e all’abbandono dei malati, insomma tradito la professione sanitaria. Neanche il parere unanime della commissione medica dell’Ordine di Cremona ha attenuato l’opposizione. Anzi, avendo questa stabilito che, sul piano deontologico, il comportamento di Riccio è stato ineccepibile, la si è subito accusata di non avere avuto coraggio e di non aver colto la reale portata della posta in gioco: ammettere o no l’eutanasia in Italia. Avendo perso sul terreno della deontologia, gli oppositori hanno riposto la speranza sul piano giuridico. Hanno detto che bisognava attendere la perizia medico-legale, perché la situazione non era chiara (lasciando intendere che Riccio non avesse detto tutto, con trasparenza e limpidità). Sono poi arrivati i risultati della perizia e la richiesta di archiviazione della Procura di Roma. Neanche questo ha convinto i vitalisti, che sembravano presagire un capovolgimento della situazione. Come un fulmine a ciel sereno, infatti, il gip di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio di Riccio con l’imputazione gravissima di “omicidio del consenziente”, un reato che prevede fino a 12 anni di carcere. Di fronte a tale passo alcuni sono rimasti disorientati e perplessi: ma come stanno le cose, realmente? Possibile che per alcuni il caso non esiste, mentre per altri c’è materia per un’imputazione tanto pesante? Nel frattempo si sono moltiplicati gli attacchi a due importanti progetti di legge: quello sui Dico, teso a regolarizzare le coppie di fatto e omosessuali; e quello sul testamento biologico teso a porre ordine alle varie questioni di fine
vita. Entrambi sono ormai praticamente affossati. Su questo cumulo di macerie, comunque, finalmente, il gup di Roma il 23 luglio ha riacceso la luce della legalità e della ragionevolezza, chiudendo una vicenda che cominciava ad assumere i toni di un incubo kafkiano. Ha stabilito: «Non luogo a procedere per avere adempiuto al proprio dovere». Il Centro di bioetica della Cattolica ha subito protestato osservando che «esiste una questione etica e antropologica che è più estesa della questione giuridica», ma che qui non merita di essere esaminata perché ripropone la solita solfa di valori condivisi che ci sia una unica (reificata) visione dell’uomo. Inoltre ha sottolineato che «risulta difficile pensare che … gli altri rianimatori, che si sono rifiutati di attuare la procedura dell’interruzione della ventilazione artificiale, si siano macchiati della colpa di omissione di atti dovuti». Ebbene, perché dovrebbe risultare poi così difficile pensarlo? In effetti, grande risalto fu dato qualche anno fa alla ricerca da cui emergeva che nelle rianimazioni italiane veniva praticata l’eutanasia nel 4 per cento dei casi circa: questo dato è probabilmente falso e frutto di fraintendimenti. Ma ben più preoccupante era un altro, ossia che circa il 20 per cento degli anestesisti non sospende mai, ossia è vitalista fino in fondo. Ecco perché non è difficile pensare che abbiano sbagliato gli altri medici che non hanno accolto le richieste di Riccio.Giovanni Paolo II ha chiesto perdono per gli errori commessi dai cattolici nel passato. Troppo comodo riconoscere quelli attuali forse tra duecento anni. Anche perché le sofferenze sono provate ora. E giustizia vuole che ci si ponga rimedio subito. Grazie, Riccio per averlo fatto ed essere stato esempio per tutti.

* presidente della Consulta di Bioetica

da left-Avvenimenti 27 luglio 2007

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