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Aborto, fecondazione assistita, contraccezione.Italia sos diritti delle donne.

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 8, 2014

pancione-di-una-donna-incinta-300x225Parla di omissione di soccorso, di reato penale, l’avvocato Filomena Gallo segretario dell’associazione Luca Coscioni nel ripercorrere la vicenda di Valentina che racconta di aver abortito da sola nel bagno dell’ospedale Pertini, dopo quindici ore di travaglio. La storia della ragazza alla quale la legge 40 ha negato il diritto alla diagnosi preimpianto (perché fertile benché portatrice di una grave malattia genetica) ha conquistato le prime pagine dei giornali dopo che il Tribunale di Roma, esaminando il suo caso, ha sollevato un nuovo dubbio di costituzionalità sulla norma che riguarda la fecondazione assistita. Sulla quale la Corte costituzionale è di nuovo chiamata a pronunciarsi. Prima dell’estate, sperano le tante coppie italiane portatrici di malattie genetiche invalidanti e che offrono poche speranze di sopravvivenza al nascituro. «I pronunciamenti della Consulta – ricorda l’avvocato Gallo – hanno valore di legge e una volta che la Corte abbia giudicato incostituzionale uno o più punti di una norma essi sono immediatamente abrogati e il legislatore non può più riproporli».

Per questa via, dunque, potrebbe decadere anche il divieto di fecondazione eterologa (cioè con gameti donati alla coppia da esterni) sul quale la Consulta è stata chiamata apronunciarsi l’8 aprile. Segnando quindi il quasi completo smantellamento della legge 40 del 2004 che in dieci anni è finita ben 29 volte alla sbarra. Riguardo alla brutta storia accaduta a Valentina nel 2010, e ora raccontata dai media, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha detto che è stata aperta un’indagine. Qualunque ne sia l’esito, resta il fatto incontrovertibile che gli antiscientifici e crudeli divieti della legge 40 hanno condizionato pesantemente le scelte di vita di Valentina, insieme alla mancata applicazione della legge 194, sabotata dalle percentuali altissime di medici obiettori, che in regioni come il Lazio rendono quasi impossibile per una donna interrompere una gravidanza. Così in quell’ospedale della Capitale dove erano andati per cercare assistenza medica, Valentina e Fabrizio sostengono di aver trovato, in primis, attivisti religiosi antiabortisti armati di testi sacri. Lo ha raccontato la giovane donna, e non senza fatica, durante la conferenza stampa convocata dall’associazione Coscioni lo scorso 10 marzo. Le ferite interiori provocate da tutta quella vicenda sono ancora vive. Ma Valentina ha deciso di renderle pubbliche per veder riconosciuto in Italia il diritto ad avere un figlio sano: libero da tare genetiche che lo porterebbero presto alla morte.

Diritto riconosciuto dalla gran parte dei Paesi europei dove è possibile ricorrere alla diagnosi genetica preimpianto. Anche in Italia lo era prima dell’entrata in vigore della legge 40, che in dieci anni ha messo paletti alla ricerca, ha provocato maggiori aborti e gravidanze plurime, perlopiù problematiche per la salute della donna e dei neonati. E il caso di Valentina, con tutta evidenza, non è isolato. Si potrebbe raccontare anche la storia di Neris e Alberto, una coppia portatrice di atrofia spinale, che ha visto morire la propria bambina nell’arco di sette mesi e poi ha cercato la strada delle fecondazione assistita trovandola sbarrata dallo Stato. O quella analoga di Maria Cristina e Armando oppure tornare a ricordare l’odissea di Rosetta Costa e Walter Pavan che, con l’aiuto dell’associazione Coscioni, sono arrivati fino alla Corte di Strasburgo. Che nel 2013 ha condannato l’Italia perché la legge 40 viola i diritti umani e contraddice una legge ad orientamento costituzionale come la 194. Sulla quale lo scorso 8 marzo si è pronunciato il Consiglio d’Europa stigmatizzando l’Italia perché non garantisce alle donne il diritto di interrompere una gravidanza. A causa, come si diceva, del tasso di medici obiettori che in molte regioni italiane supera il 70 per cento, mentre le aziende ospedaliere non offrono servizi alternativi. «A breve l’Italia dovrà dimostrare di aver cambiato rotta» dice l’avvocato Marilisa D’Amico che ha lavorato fianco a fianco con l’associazione dei ginecologi non obiettori ( Laiga ) che nel 2012 ha presentato ricorso. E mentre la deputata di Sel Marisa Nicchi ha presentato un’interpellanza urgente al ministro della Salute Lorenzin, da associazioni di base arrivano richieste concrete di cambiamento. L’associazione Coscioni, che dal 4 al 6 aprile a Roma ha organizzato il terzo incontro del congresso mondiale sulla libertà di ricerca scientifica dal titolo “Colmare il divario tra scienza e politica”, per esempio, chiede l’istituzione di un albo pubblico dei medici obiettori, una legge quadro che definisca e regolamenti l’obiezione di coscienza, concorsi pubblici riservati a medici non obiettori, ma anche il ricorso a medici “gettonati” per sopperire urgentemente alle carenze dei medici non obiettori. Ma invita anche le donne a denunciare omissioni di soccorso e inefficienze offrendo loro assistenza gratuita come Soccorso civile.

Intanto un importante passo avanti riguardo all’aborto farmacologico è stato fatto dalla Toscana, dove il Consiglio sanitario regionale ha di recente aperto alla possibilità di estendere la somministrazione della pillola abortiva Ru486 a strutture territoriali come i consultori. Come già avviene da tempo in Francia, in Inghilterra e in molti altri Paesi. Ma in Italia, come è ben noto, è stata necessaria la lunga e pionieristica battaglia di un ginecologo come Silvio Viale per introdurre la Ru 486 al Sant’Anna di Torino, da cui poi hanno preso esempio altri ospedali. Nonostante l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) già da molti anni avesse definito l’aborto farmacologico come un metodo assolutamente sicuro.

«L’opposizione alla Ru486 che ha caratterizzato l’Italia ha radici ideologiche e non scientifiche. – commenta il ginecologo Giovanni Fattorini -. Come dimostra anche la casistica. Se nel 2005 sono state appena 130 le interruzioni di gravidanza con metodo farmacologico, nel 2011 erano già 7432. E sono in continua crescita, senza particolari problemi». Quanto alla possibilità di rivolgersi al consultorio,invece che all’ospedale, Fattorini che ha da poco pubblicato il libro I consultori in Italia (L’Asino d’Oro edizioni) ribadisce che non ci sono controindicazioni. «Del resto – sottolinea il medico dell’ssociazione dei ginecologi territoriali (Agite) – la possibilità era già preconizzata nell’articolo 8 della 194 che parla di strutture territoriali». Che sarebbe tempo di rilanciare, ammodernandole e dotandole, per esempio, anche di strumenti per esami ecografici e altro, laddove fossero carenti. «L’istituzione dei consultori negli anni 70 fu una importante innovazione, un fatto di “civiltà”. E oggi sono un grande presidio per diffondere la cultura della contraccezione e della regolamentazione della fertilità, per favorire l’integrazione degli immigrati e dei soggetti più deboli, dal punto di vista della salute e molto altro. Ma in maniera assolutamente miope negli ultimi anni invece di potenziare queste importanti strutture pubbliche la politica ha preferito disinvestire». (Simona Maggiorelli)

dal settimanale left-avvenimenti

 

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L’agenda bioetica che piace al Vaticano

Posted by Simona Maggiorelli su Maggio 10, 2013

Gaetano Quagliariello

Gaetano Quagliariello

Quagliariello, Lorenzin e Lupi protagonisti di crociate per impedire la libertà di scelta sul fine vita e per mantenere la legge 40. “Disumana” secondo la Corte europea di Strasburgo. Mentre Enrico Letta disertò il referendum del 2005, secondo i diktat del Cardinale Ruini e della Cei

di Simona Maggiorelli

«Eluana non è morta, è stata ammazzata» si mise a gridare il vicepresidente vicario dei senatori Pdl, Gaetano Quagliariello, quando in Aula si diffuse la notizia che Eluana Englaro aveva cessato di “vivere” quella sua esistenza artificiale, solo biologica, resa possibile dalle macchine, dopo quel terribile incidente di 17 anni prima.

Le parole del neo ministro delle Riforme allora – era l’8 febbraio 2009 – dettero la stura a un vociare «assassini!», «assassini!» «assassini!» che si levò dai banchi del centrodestra rivolto a quelli dell’opposizione. Quella scena indecente, avvenuta a palazzo Madama, si può ancora oggi vedere su youtube. Ed è stata massicciamente rilanciata in rete, a mo’ di eloquente commento alla scelta del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di nominare Quagliariello fra i suoi dieci saggi.

Di più ha fatto Enrico Letta, che incaricato da Napolitano di formare il nuovo Governo l’ha messo nella sua squadra di ministri. Da Oltretevere ringraziano. Non solo per la nomina di Quagliariello, ma anche per quella di una compatta flotta di ex Dc, margheritini, popolari europei, ciellini (se ne contano almeno tre: Lupi del Pdl, Mauro della Lista civica e Zanonato del Pd) che ora figura nella compagine di governo. Tutti cattolici praticanti e convinti, come il premier Pd Enrico Letta, che essere credente non sia un fatto privato. E che anzi la fede debba improntare le scelte politiche e legislative, specie quando si parla di bioetica e di questioni “eticamente sensibili”. Ovvero, fuori dal gergo confessionale, di diritti civili, questioni che toccano direttamente la vita dei cittadini. Temi come la fecondazione assistita, l’aborto, la contraccezione, le unioni civili, il fine vita sui quali gli italiani dimostrano di avere opinioni molto più laiche e progressiste dei loro governanti. Come si evince da vari studi. A cominciare dal rapporto 2013 sulla secolarizzazione in Italia stilato da Critica Liberale e la Cgil nuovi diritti per arrivare all’ultima indagine Eurispes da cui emerge che il 77,2% degli italiani sono per le coppie di fatto, il 79,4 % è contro la legge 40 e il 77,3% vuole il testamento biologico.

Lorenzi, Sacconi e Alfano in Chiesa

Lorenzi, Sacconi e Alfano in Chiesa

Una realtà che appare lontana anni luce dalla “Weltanschauung” del docente di storia della Luiss, ex radicale ed ex consigliere di Marcello Pera ai tempi della difesa delle radici cristiane, al quale ora è affidato il delicatissimo ministero delle riforme costituzionali. Basta ricordare qui che dopo quell’episodio indecoroso in Aula, Quagliariello, solidale con il fronte più talebano del centrodestra (Sacconi, Giovanardi, Binetti, Volonté, la sottosegretaria Roccella e il neo ministro Maurizio Lupi) strumentalizzò il caso di Eluana per cercare di far passare in fretta e furia una legge sul fine vita che, così come è tracciata nel Ddl Calabrò, cancella ogni possibilità da parte dal malato, se cade in stato di incoscienza, di rifiutare trattamenti medici come alimentazione e idratazione artificiale. A prescindere dalle scelte e dalle convinzioni espresse da quella stessa persona quando poteva ancora parlare.

Per fortuna, non produssero gli effetti desiderati dal centrodestra il pressing e le molte audizioni, organizzate, non con medici e specialisti, ma con attivisti vicini alla Chiesa e personaggi di richiamo come, ad esempio, l’associazione Risvegli e l’attore Alessandro Bergonzoni. Così il tentativo del governo berlusconiano di imporre una legge sul fine vita che recepisse i diktat del Vaticano si arenò. E il ddl Calbrò è finito in un cassetto. Fino alla scorsa legislatura, quando – con una specie di blitz – il Pdl riuscì a riportarlo in Aula. Riscuotendo il plauso dei cattolici dell’Udc, della Lega e del Pd.

Enrico Letta(Pd) con lo zio Gianni Letta (Pdl)

Enrico Letta(Pd) con lo zio Gianni Letta (Pdl)

In questo contesto da bagarre ideologica come si è mossa la deputata pidiellina Beatrice Lorenzin ora alla guida del ministero della Salute? Pur evitando i toni facinorosi dei cattolici più oltranzisti si è sempre dichiarata in linea con l’agenda della bioetica stilata da Sacconi caratterizzata da prese di posizione antiscientifiche e dogmaticache su temi come il fine vita, l’aborto, la Ru486, la legge 40. Nel 2010, per esempio, quando i cosiddetti “cattolici democratici” del Pd si dissero pronti ad accogliere l’appello di Sacconi in difesa dei “temi etici” Lorenzin ebbe a dire che «l’agenda biopolitica», fondata sul concetto antiscientifico secondo cui l’embrione è persona, segnava «un’intesa trasversale nonostante i fumi del teatrino della politica». «Su questi temi fondamentali- aggiungeva Lorenzin – c’è un evidente maggioranza pro life pronta ad esprimersi dal biotestamento alle forme di aborto farmacologico». Inutile dire che in un paese come l’Italia dove, a causa di percentuali vertiginose di medici obiettori (sfiora mediamente il 90%), la legge 194 è largamente disapplicata un ministro della Salute, che non è medico e difende posizioni pro life certo non fa ben sperare.

Riguardo alla norma sulla fecondazione assistita, in particolare, Lorenzin ha detto in più occasioni che «la legge 40 non va cambiata». In barba alle 18 sentenze dei tribunali italiani che dal 2005 a oggi hanno fatto cadere tutti i divieti più ideologici contenuti nella legge e nonostante il recente verdetto, ribadito anche in appello, della Corte Europea di Strasburgo che giudica la legge 40 lesiva di diritti umani. Una posizione sbilanciata sulle posizioni del Vaticano quella di Lorenzin che fa perfettamente il paio con quella del neo Premier Enrico Letta, ex scout, cresciuto all’oratorio, nonché nipote del pidiellino Gianni gentiluomo del papa e assiduo frequentatore delle stanze del potere Oltretevere.

All’epoca del referendum per abrogare i punti più dannosi e controversi della legge 40, va ricordato qui, Enrico Letta fece suo l’appello del cardinale Ruini che consigliava di disertare il voto e andare al mare. Scavalcando a destra i cattolici Pd Dario Franceschini (neo ministro dei rapporti con il Parlamento) e Rosy Bindi che, invece, andò a votare tre no. I sì ai quesiti abrogativi posti dal referendum, come forse i lettori ricorderanno, furono circa 10 milioni. Ma l’astensionismo propagandato massicciamente dalla Cei determinò il fallimento del referendum che non raggiunse il quorum. Con grande giubilo dell’allora esponente del Pdl Maurizio Lupi (neo ministro dei trasporti e delle infrastrutture), strenuo paladino cattolico dei «valori non negoziabili» e che in tutti questi anni non ha mai smesso di ripetere che la «la vita va tutelata fin dal concepimento». Anche quella dell’embrione, anche quella dello zigote.

Da vice presidente Pdl alla Camera, quando a fine agosto 2012 il governo Monti annunciò di voler presentare ricorso contro la sentenza della corte dei diritti dell’uomo (ricorso poi perso) disse che non solo appoggiava la decisione del ministro Renato Balduzzi ma anche «che non possono lasciar prevalere né le semplificazioni dei giudici (sic!), né le ideologie dei cultori dell’eugenetica».Tali sarebbero secondo il ministro Lupi quei genitori portatori di malattie genetiche oggi incurabili che si rivolgono alla fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto per avere un figlio che non sia condannato a soffrire e a morire in poco tempo.

 dal settimanale left-avvenimenti

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La Ue blocca la ricerca sulle staminali embrionali

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 20, 2012

Tredici premi Nobel e oltre duecento scienzati ( fra cui Elena Cattaneo e Margherita Hack) firmano l’appello della associazione Luca Coscioni perché il Parlamento europeo non blocchi la ricerca in uno degli ambiti più promettenti della ricerca biomedica

 

di Simona Maggiorelli

 

staminali embrionali

ll genetista e premio Nobel 2007 per la medicina Mario Capecchi, insieme ad altri 12 premi Nobel, e con più di 200 scienziati di fama internazionale (tra cui Elena Cattaneo e Margherita Hack) fa firmato l’appello lanciato dall’Associazione Luca Coscioni in difesa della ricerca sulle staminali embrionali. Che anche in Europa rischia di non essere più finanziata. Come di fatto già accade in Italia dove i soldi pubblici destinati alla ricerca sulle staminali premiano solo ricerche sulle staminali adulte. Come vuole il Vaticano.
In queste settimane l’Unione Europea (Ue) si prepara a varare l’ ottavo programma quadro per la ricerca, che andrà in votazione ad ottobre. Ma in questa Europa in crisi che vede il prevalere di politiche di destra lo scenario che si prospetta non è dei più rosei per un ambito di ricerca come quello delle embrionali, che gli esperti considerano il più promettente per lo sviluppo di una medicina rigenerativa che in futuro potrebbe riuscire a “ricreare” organi gravemente lesi. Ma anche il più osteggiato da partiti di ispirazione cristiana, e cattolica in particolare, che considerano sacro l’embrione. «Nel Parlamento europeo la maggioranza è politicamente conservatrice, e le forze politiche sono sempre più nazionaliste: un doppio pericolo per chi ritiene che i principi di libertà debbano far parte delle ragioni costitutive dell’Europa» denuncia Marco Cappato, ex Parlamentare europeo per i Radicali Italiani e dirigente dell’Associazione Luca Coscioni.

Marco Cappato

Un segnale molto preoccupante per la libertà di ricerca lo si è potuto già leggere nella sentenza della Corte europea (stimolata da un ricorso di Greenpeace) che vieta la brevettabilità di risultati di ricerche fatte con embrionali. Una sentenza che ha già avuto concreti e gravi riverberi anche in Italia, quando nei mesi scorsi un giudice di Spoleto l’ha usata per tentare di sollevare un dubbio di costituzionalità sulla legge 194.

La Consulta, come è noto, il 22 giugno scorso gli ha dato torto. Ma fa riflettere che forze di area Verde attacchino strenuamente la ricerca scientifica in nome di una difesa ad oltranza della “natura”, da loro punto di vista niente affatto matrigna come diceva Leopardi, ma sempre buona in quanto tale (dunque anche un tumore?) demonizzando la tecnica. «La natura umana è ormai anche antropologicamente un prodotto della storia; chi vuole separare ciò che è naturale da ciò che è artificiale compie uno sforzo immane e, soprattutto, inutile – commenta Cappato -. Sia la tecnica che la natura possono produrre effetti devastanti sulle persone e sull’ecosistima. Proprio per questo servono regole, mentre le proibizioni assolute fanno solo danni perché lasciano che si affermi in clandestinità la legge del più forte».

Giulio Cossu

Proibizioni assolute e assurde come quelle, per esempio, contenute nella legge 40 che obbliga chi fa ricerca sulle embrionali in Italia ad importare linee derivate all’estero. «E’ una storia che si ripete da circa dieci anni. Le linee con cui si può lavorare sono le prime prodotte e hanno problemi, per esempio non hanno quasi mai il giusto numero di cromosomi», approfondisce il professor Giulio Cossu dell’University college di Londra e primo firmatario dell’Appello. Da anni al lavoro nella ricerca sulle staminali, Cossu ha appena pubblicato su Science Translational Medicine uno studio sulle cellule staminali indotte alla pluripotenza che apre nuove prospettive per la cura della distrofia muscolare. «Per questa ricerca abbiamo impiegato cellule “riprogrammate” (induced Pluripotent Stem Cells) come quelle scoperte dal giapponese Yamanaka nel 2006.

Queste cellule sono simili alle embrionali ma non derivano dall’embrione bensì da una cellula stessa del paziente. Servono ancora alcuni anni di studio per essere certi della completa equivalenza di queste due tipi cellulari e poi, come speriamo, avremo la dimostrazione che la scienza è andata più veloce dell’etica», dice lo scienziato italiano. Proprio il Nobel americano Capecchi, in una conferenza a Bologna nel maggio scorso, sottolineava che le scoperte giapponesi sulle staminali pluripotenti sono state fatte, non a caso, in un Paese dove non ci sono limitazioni alla ricerca, nemmeno nell’ambito delle embrionali. «La ricerca sulle staminali embrionali rafforza anche la ricerca sulle staminali adulte. Se un domani le embrionali non saranno più necessarie, si dovrà ringraziare i Paesi che non hanno bloccato quella ricerca», chiosa Cappato.

«Non esistono staminali buone e moralmente accettabili e staminali cattive- precisa il biologo Cossu -. Esistono progetti buoni e sono quelli da finanziare, indipendentemente dal tipo cellulare che si intende utilizzare». Proprio riguardo ai finanziamenti e ai tagli alla ricerca, che in Italia si susseguono da anni e che ora la spending review aggrava (costringendo sempre più i ricercatori ad emigrare), Mario Capecchi non ha esitato a dire che «tagliare la ricerca è un gesto autolesionista per un Paese». «E’ una verità che si spiega da sola – dice Cappato -. Oltretutto in Italia ciò che si spende lo si spende spesso male, senza applicare criteri di meritocrazia, lasciando spazio a ostacoli ideologici di ogni tipo». Così mentre da noi la legge 40 obbliga i medici a una mal practise in Paesi avanzati dal punto di vista della ricerca come l’Inghilterra si fanno studi d’avanguardia sul trasferimento del nucleo della cellula e si lavora a pieno ritmo sulle embrionali. «L ’Inghilterra è la patria delle staminali embrionali. I finanziamenti pubblici sono elargiti in base alla qualità dei progetti, non all’argomento studiato- conclude Cossu -. Non voglio dire che il sistema sia perfetto ma certamente abbiamo molto da imparare in Italia».(da left-avvenimenti)
Il 19 settembre 2012

la Commissione giuridica del Parlamento europeo esprime un voto negativo sulla ricerca sulle cellule staminali embrionali

“Il voto della Commissione giuridica del Parlamento europeo contro la ricerca sulle staminali embrionali non è un voto definitivo. Dipenderà dalla commissione competente, e poi dalla Plenaria. Ma è certamente un segnale negativo che non va sottovalutato, perché rappresenta la forza della lobbying clericale presente al Parlamento europeo non solo all’interno delle forze di centrodestra, ma anche di parte dei verdi europei e dello stesso Partito democratic.oI Radicali dell’associazione Luca Coscioni rilanciano la campagna a favore della ricerca sulle staminali embrionali attraverso la petizione che si può firmare al link http://ricercalibera.it/petizione/. Ne discuteremo anche al IX Congresso dell’Associazione Luca Coscioni, che si terrà a Milano il 6-7 ottobre”. Così il tesoriere della Associazione Luca Coscioni Marco Cappato commenta la notizia del voto della Commissione giuridica dell’unica istituzione eletta della Ue che ha approvato una relazione del popolare polacco Piotr Borys a larghissima maggioranza (18 sì e 5 no, compatti a favore Popolari e Verdi, divisi Liberali, Socialisti e il gruppo degli euroscettici) in cui si affermano i rischi giuridici del finanziamento della ricerca sulle staminali embrionali. Collegandosi alla sentenza emessa il 18 ottobre scorso dalla Corte di Giustizia dell’Ue, che sancisce la non brevettibilità dell’utilizzo di embrioni e di cellule staminali se questo porta alla loro distruzione. In Italia l’Avvenire esulta:​È soltanto un primo passo, ma certamente importante. Nella lunga battaglia sul finanziamento pubblico europeo della ricerca su embrioni umani che ne comportino la distruzione, ieri il Parlamento europeo ha segnato un primo importante punto a favore della vita” scrive il giornale dei vescovi.

 

 

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La 194 all’esame della Consulta

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 19, 2012

l’avvocato Filomena Gallo

Un giudice solleva dubbi di costituzionalità sulla legge. L’avvocato Filomena Gallo: «È un attacco alle donne» 

Qualche anno fa lo si sarebbe ritenuto impossibile, tanto era forte la consapevolezza nel Paese delle conquiste di civiltà portate dalle legge 194, che ha cancellato la piaga mortale degli aborti clandestini. Ora, nel silenzio dei maggiori media, il 20 giugno la norma del ’78 va all’esame della Consulta, che deve decidere della legittimità dell’art. 4, quello che stabilisce le circostanze in cui è consentito abortire entro i primi 90 giorni. E anche se esperti come l’avvocato Filomena Gallo dell’Associazione Coscioni (che ha assistito molte coppie che hanno fatto ricorso contro la legge 40) dicono che la Consulta «non potrà che confermare la legge», resta la preoccupazione per un atto altamente simbolico in questo contesto «di attacco a diritti consolidati, dati per certi, come la 194, una legge a contenuto costituzionale vincolato». Ricordiamo, aggiunge Gallo, che la 194 «è una norma per la tutela della maternità, una tutela che diventa diritto concreto quando è a rischio la salute psicofisica della donna. In quel momento il diritto a interrompere la gravidanza passa in primo piano. Dunque una legge ben bilanciata sotto ogni riguardo». Ma come si è arrivati a metterla in discussione? Tutto è nato dall’iniziativa del giudice tutelare di Spoleto, durante un procedimento riguardante una minorenne che voleva abortire senza l’autorizzazione dei genitori. Chiamando in causa una sentenza della Corte di giustizia europea dell’ottobre del 2011, Il giudice ha ritenuto di vedere un conflitto con la 194: per incompatibilità con la definizione e la tutela dell’embrione enunciate dalla Corte europea. «Un atto sbagliato nel merito e che si basa su una interpretazione strumentale di quella sentenza di Strasburgo», commenta l’avvocato Gallo.

In primis perché quella sentenza europea (dovuta a un ricorso di Greenpeace) trattava di brevettabilità dei risultati di ricerche su staminali embrionali. Ma anche e soprattutto perché la definizione di embrione che si legge in quella sentenza europea «non ha contenuto scientifico». Basta dire, spiega Gallo, «che quella decisione qualifica come embrione anche l’ovocita attivato per partenogenesi, ovvero che si autofeconda. In natura ciò avviene solo in casi rarissimi e la scienza ancora studia questi fenomeni». Inoltre, aggiunge l’avvocato, «nell’evidenziare che quel principio entra in contrasto con un principio del nostro ordinamento il giudice di Spoleto dimentica il margine di apprezzamento previsto per  tutti gli stati membri che hanno già leggi come la 194. Una legge, ribadisco, conforme alla Carta perché tutela la vita, la vita della donna». Quanto ai movimenti pro life che cercano, in base a dogmi religiosi, di attribuire personalità giuridica all’embrione «se sono davvero contro l’aborto», chiosa Gallo, «dovrebbero fare informazione sulla contraccezione, impegnarsi per l’applicazione della 194, verificare che le Regioni vigilino». La legge sull’aborto, però, non è solo attaccata dalla Chiesa e da movimenti teocon ma è anche disapplicata a causa di livelli record di medici obiettori. «In strutture pubbliche dove tutti sono obiettori la legge prevede che si possano fare concorsi dedicati», dice Gallo. «Dunque gli strumenti per applicare la 194 e fare corretta informazione ci sono, ma in Italia l’unica volta che si è parlato di preservativi è stato in una campagna contro l’Aids, poi più niente. La legge 194, anche questo va ricordato, prevede l’aborto a tutela della salute della donna, non come contraccettivo. E con lungimiranza prevede anche l’aggiornamento dei metodi di interruzione di gravidanza, ma ancora l’uso ru486 trova mille ostacoli in Italia».

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Il pensiero che fa la differenza

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 30, 2011

 “Negli ultimi anni le conoscenze embriologiche sono progredite in modo sorprendente”, dice  Maria Gabriella Gatti, neonatologa dell’Università di Siena: “Parlare di vita umana fin dal concepimento, come fa la Chiesa, ma anche certa politica, va contro le acquisizioni della scienza

di Simona Maggiorelli

Maria Gabriella Gatti

La recente sentenza della Corte Europea che, in base a un ricorso di Greenpeace , è arrivata a decretare la non brevettabilità di farmaci ricavati da embrioni, ma ancor più le vicende di casa nostra con i cattolici, dopo il meeting di Todi, lanciati alla reconquista della politica italiana, al grido di “difesa della vita” e dei “principi non negoziabili, ci invitano a cercare di fare chiarezza, chiedendo lumi alla scienza. Proprio mentre nuovi attacchi alla le 194 si preparano da parte di questo governo di centrodestra che, dopo aver osteggiato la commercializzazione e l’uso in Italia della Ru486, stigmatizzata dal sottosegretaria Roccella come “aborto chimico”, ora cerca di ostacolare perfino la commercializzazione della cosiddetta pillola dei cinque giorni dopo, nonostante un primo via libera dell’Aifa. Un sistema di contraccezione di emergenza che l’Avvenire definisce “controverso” perché avendo effetto nelle 120 ore successive al rapporto, la pillola agirebbe “sull’ambiente uterino impedendo l’attecchimento di un embrione concepito, con un’azione abortiva”. Dietro alle parole del giornale dei cattolici, così come dietro quello della sottosegretaria alla Salute c’è, con ogni evidenza, il pensiero religioso che la vita umana cominci fin dal concepimento. A questo si lega anche l’intervento sull’Avvenire di Assuntina Morresi che il 10 ottobre deprecava la nascita di pochi bambini down in Italia. Colpa dell’amniocentesi, scrive Morresi, “test invasivo” che ” ha fatto diminuire la presenza di bambini down fra noi” inducendo le donne ” a sopprimere la persona prima che nasca”.

“L a ricerca non può ignorare la verità sulla natura umana” grida il quotidiano dei Vescovi. Proprio per questo abbiamo chiesto alla neonatologa e docente di neurologia neonatale dell’Università di Siena Maria Gabriella Gatti di spiegarci le acquisizioni scientifiche in questo ambito.

Professoressa Gatti, le norme sull’interruzione volontaria di gravidanza approvate in tutto il mondo più avanzato dicono che abortire non è uccidere una persona. Lo affermano in termini di legge. La scienza cosa dice su questo punto?

È chiaro che perché si possa parlare di vita umana si deve far riferimento a un’attività di pensiero. Ora qualunque sia la forma che questo pensiero assume, consapevole o inconsapevole, esso presuppone un substrato biologico.Il substrato biologico è l’attività cerebrale che deve corrispondere a criteri maturativi e funzionali. Sotto la 22esima settimana non c’è possibilità di vita fuori dall’utero perché non si sono ancora formate le strutture cerebrali necessarie per assicurare una capacità di reazione allo stimolo esterno. La risposta agli stimoli esterni è un punto chiave nella valutazione dell’idoneità del feto alla vita in caso di nascita prematura. Considerare il feto persona prima che abbia una possibilità di sopravvivenza fuori dall’ambiente intrauterino è contrario a quanto la scienza medica ha acquisito in termini di conoscenze di neurofisiologia fetale.

 Nella sua relazione parla di nuovi studi di misurazione dell’attività endogena del feto. Quali risultati hanno portato?

Negli ultimi 4 o 5 anni le conoscenze embriologiche sono progredite in modo sorprendente, consentendoci di rispondere con certezza a quesiti che prima rimanevano in sospeso o erano suscettibili di risposte solo ipotetiche. Le nuove tecniche di registrazione EEG (attività elettrica dell’encefalo, ndr) e la magnetoelettroencefalografia ci consentono di correlare i dati ottenuti con le caratteristiche neurobiologiche indagate attraverso le metodiche della biologia molecolare. Si è accertato che l’attività cerebrale del feto è endogena e mira solo alla costruzione della struttura anatomica e funzionale del sistema nervoso. Alla 23-24esima settimana si stabiliscono le connessioni talamo corticali con una progressione dalla periferia alla corteccia. A ciò corrisponde la comparsa di un’attività che viene denominata Sats (Slow activity transients) individuata in base a nuove metodiche di monitoraggio. La comparsa della Sats è secondaria alla presenza di una struttura chiamata “subplate” . Quest’ultima orienta le connessioni che giungono dalla periferia e si dirigono verso la corteccia. Si è scoperto recentemente che l’assenza della subplate, dovuta a malformazioni, è incompatibile con la sopravvivenza.Se il bambino viene alla luce intorno alla 23-24esima settimana, dato che le connessioni principali si sono in questa fase stabilite fra recettori periferici sia cutanei che degli organi di senso e sistema nervoso centrale, si ha la capacità di reazione allo stimolo esterno.

Alla nascita poi c’è una radicale trasformazione, specifica della specie umana, con una netta cesura fra il prima e il dopo. Che cosa avviene? E qui torniamo alla prima domanda, perché solo alla nascita si può parlare di persona?

Per tutta la gravidanza qualunque stimolo viene tradotto in attività endogena e diventa funzionale ad un processo maturativo. Per esempio i movimenti fetali, automatici e riflessi sono una ricca fonte di informazione sensoriale che influenzano le connessioni dei circuiti neuronali che vi partecipano. In questo caso la fonte del movimento è endogena, midollare, mentre lo stimolo tattile che ne consegue viene considerato esogeno. Alla nascita le caratteristiche dell’EEG si modificano anche in virtù del fatto che gli stimoli sensoriali provenienti dall’ambiente esterno evocano risposte specifiche nella corteccia cerebrale: si può dire che il neonato comincia a elaborare informazioni che provengono dal mondo che lo circonda.L’attività cerebrale del neonato è completamente diversa da quella del feto in quanto in essa si esprime una reattività e una connettività globale resa possibile da un cambiamento dei sistemi neurotrasmettitoriali. La stimolazione luminosa della retina interviene nel determinare un immediato “switch” funzionale con un effetto a cascata che interessa tutta la corteccia. La Sats viene sostituita da un regime controllato dagli stimoli sensoriali esterni.

 Spesso dai media si sente che il feto prova dolore. È possibile?

Certamente no: il feto ha movimenti riflessi indipendenti dalla natura dello stimolo. In utero le stimolazioni sensoriali sono di tipo prevalentemente tattile cioè a bassa soglia contrariamente a quelle dolorifiche che inoltre maturano soltanto dopo la 28esima settimana. Bisogna aggiungere che nella situazione intrauterina nel cervello fetale sono presenti sostanze come l’adenosina ed alcuni derivati del progesterone, neuropeptidi che innalzano notevolmente la responsività ed esercitano un’effetto protettivo su un eventuale eccesso di stimolazione. La concentrazione di tali sostanze subisce un rapido decremento alla fine del travaglio quando viene liberata una enorme quantità di catecolamine e viene stimolata una zona specifica del cervello (il locus ceruleus) che innesca la cosiddetta reazione di “arousal” ovvero l’attivazione della corteccia cerebrale.

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C’è chi dice no, all’obiezione di coscienza

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 30, 2011

di Simona Maggiorelli

obiezione di coscienza

Come è già accaduto per la legge 40, smantellata in larga parte, grazie al coraggio di coppie infertili che hanno portato il proprio caso di fronte alla Corte costituzionale, potrebbe accadere che anche l’obiezione di coscienza prevista dalla legge sull’aborto, venga messa in discussione dalla Consulta. Al convegno romano della Laiga, l’associazione dei ginecologi per l’attuazione della 194, lo ha annunciato l’ordinario di diritto costituzionale dell’Università di Milano Maria Elisa D’Amico mettendo in luce come vari articoli della Costituzione, a cominciare dal 32 sul diritto alla salute, confliggano con la scelta dei medici obiettori. E mentre si attende che il ministro della Salute risponda all’interrogazione parlamentare che la senatrice Pd Vitttoria Franco ha avanzato denunciando i numeri record dell’obiezione in Italia, ripercorriamo la storia di questo istituto con la filosofa della scienza Chiara Lalli, autrice del libro-inchiesta C’è chi dice no. Dalla leva all’aborto, appena uscito per Il Saggiatore.

Anni fa, va ricordato, chi sceglieva la via dell’obiezione non lo faceva alla leggera, essendo consapevole di dover pagare, per questo, un prezzo alla società. «Gradualmente l’obiezione è entrata nella legge, è divenuta un diritto positivo e nel caso della legge 194 non prevede alcuna conseguenza com’era invece nel caso del servizio civile sostitutivo all’obbligo di leva. L’obiezione di coscienza ha assunto così il volto del privilegio, che niente ha a che fare con la libertà di coscienza» sottolinea la docente de La Sapienza.

Ma quali sono le ragioni che spingono un numero altissimo di ginecologi in Italia a dichiararsi obiettori? «C’è chi davvero ritiene che l’aborto sia immorale e non vuole esserne complice- risponde la Lalli -. Ma ci sono anche posizioni di comodo. Eseguire aborti è una pratica ripetitiva, noiosa, talora controproducente per la carriera. Senza trascurare un meccanismo vizioso: più sono i medici che obiettano, meno quelli che eseguono le interruzioni di gravidanza , che finiscono per fare solo aborti. Oggi in Italia i medici non obiettori sono circa il trenta centro e l’applicazione della 194 grava tutta sulle loro spalle».

Mentre le nuove leve fra i ginecologici, purtroppo, non sembrano indicare un cambio di direzione. «I medici più giovani- prosegue Lalli – sembrano rendersi poco conto del pericolo di ricacciare l’aborto nella clandestinità, tra le mammane e la paura». Così, specie se allarghiamo lo sguardo all’Europa, quello che si profila è un caso d’ emergenza tutto italiano.«Tra i Paesi in cui l’aborto è legalizzato, l’Italia ha il primato assoluto di obiettori di coscienza. In un documento, redatto dal Social Health and Family Affairs Committee nell’estate del 2010 – dice Chiara Lalli -, l’Italia è segnalata come Paese che regolamenta in modo inadeguato l’obiezione di coscienza. Insieme alla Polonia e alla Slovacchia». E il quadro italiano si aggrava ulteriormente grazie a quei farmacisti che pretendono di fare obiezione di coscienza rispetto alla vendita della contraccezione di emergenza prescritta dal ginecologo. « Siamo nel nonsense assoluto – commenta Lalli-, la contraccezione d’emergenza ha effetti contraccettivi e non abortivi. Però il disegno di legge in merito, e i tanti che blaterano contro la cosiddetta pillola del giorno dopo, non si curano di leggere la letteratura. Quale sarebbe la ragione per obiettare? Obiezione di coscienza anche per preservativi e diaframma? Aspetto non secondario: i farmacisti godono di un monopolio assoluto. Una simile legge- conclude Chiara Lalli – sarebbe un capolavoro di scemenza”. Senza contare che già molti farmacisti si rifiutano di venderla e molti medici dei pronto soccorso di prescriverla. “Tutto ciò è illegale- ribadisce la filosofa e bioeticista- la contraccezione d’emergenza oggi è ancora nostro diritto». Anche se non di rado difficile da esercitare come hanno raccontato anche inchieste tv che hanno filmato quante e quali porte chiuse incontri una donna che a Roma abbia bisogno della pillola del giorno, un farmaco che in Francia come in Inghilterra è venduto senza ricetta.

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l’aborto non è assassinio

Posted by Simona Maggiorelli su giugno 26, 2010

intervento all’Università Roma III, 17 maggio 2008

di Simona Maggiorelli

Ru486

Pochi giorni fa, proprio in occasione del
trentesimo anniversario della approvazione della legge 194,Benedetto XVI è tornato a proclamare la posizione della Chiesa di Roma sull’interruzione della gravidanza. L’occasione  per questa sua ennesima ingerenza negli affari dello Stato italiano da parte del capo dello Stato vaticano è stata, il 12 maggio scorso, l’udienza accordata a esponenti del Movimento della Vita.  «Se guardiamo ai tre decenni trascorsi –  e consideriamo la situazione attuale, dobbiamo riconoscere che difendere la vita oggi è diventato più difficile perché si è creata una mentalità di svilimento progressivo del suo valore», ha detto il Pontefice, secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa.
L’aborto, per il sommo pontefice, sarebbe una piaga, un flagello da combattere nella società . In particolare quella italiana.  Tralasciando per un attimo l’ legittimità di un tale intervento a gamba tesa nella legislazione di uno stato straniero come lo è l’Italia, per lo Stato Vaticano, va detto che si tratta di un’affermazione del tutto falsa. Trent’anni fa in Italia, secondo stime dell’Organizzazione mondiale della sanità(Oms), gli aborti erano circa un milione e duecentomila, oggi gli aborti legali sono circa centomila. Un decino di trenta anni fa. Un dato che parla da solo.  E  a trent’anni della sua approvazione,  la legge 194 continua ad essere una buona legge.

Le ricerche ufficiali dell’Istituto superiore di Sanità ( pubblicate ufficialmente, di anno in anno sul suo sito) dicono che , da allora, in Italia gli aborti legali sono diminuiti del 44%. E se poi  agli aborti legali si sommano quelli clandestini il calo risulta essere del 75% . In pratica si è passati dai circa 585mila aborti del 1982 ai 150mila del 2006. Ad abortire,  negli ultimi anni, sono state soprattutto le immigrate provenienti da Paesi dove l’aborto è vietato e mancano informazioni sulla contraccezione. Ma studi recenti ci dicono anche che quelle stesse immigrate, dopo qualche tempo che vivono in Italia, ricorrono meno all’interruzione di gravidanza e  al tempo stesso e fanno meno figli.

Così, in barba ai discorsi ideologici e assai poco scientificamente fondati del nuovo governo Berlusconi che, per bocca della sottosegretaria Eugenia Roccella chiede di fare un tagliando della legge 194, ci sentiamo di poter dire – insieme con la Federazione nazionale dell’Ordine dei medici – che la 194 è una buona legge. A distanza di 30 anni ancora solida e moderna.

A partire da quell’articolo 15 che raccomanda “l’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità psicofisica della donna e meno rischiose per l’interruzione di gravidanza”. Che implica già – per esempio – la possibilitàdell’aborto farmacologico, come tecnica meno invasiva per le donne, rispetto all’aborto chirurgico. Con buona pace di chi, come Francesco Storace quando era ministro della Salute, ha cercato di imporre in Italia una anacronistica e immotivata nuova sperimentazione della Ru486, un farmaco che è in uso in Europa da dieci anni ed è indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità fra i farmaci essenziali.
Ma c’è anche un altro aspetto di modernità della legge, che val la pena di ricordare: la 194 non fissa un limite temporale per l’aborto
terapeutico. Il legislatore nel ‘78 fu assai più avveduto e aperto di quanto ci prospetti il dibattito politico attuale. Basta pensare al recente indirizzo
applicativo della legge 194 raccomandato dalla Regione Lombardia. Il presidente Roberto Formigoni non si è limitato a  invitare le donne che abortiscono a fare il funerale all’embrione di poche settimane (il che potrebbe anche far sorridere chi, non del tutto ignorante, sa bene che a quello stadio si tratta di poco più che un agglomerato di cellule) ma pretende di fissare un limite all’aborto terapeutico alla 21esima settimana. O, tutt’al più, dalla 22esima e 3 giorni.

Decisione , proprio la settimana scorsa dichiarata illegittima dal Tar della Lombardia e che già molti ginecologi avevano definito “una  vera e
propria canagliata”, proprio perché in quel torno di settimane matura la possibilità di capire con più chiarezza, con gli strumenti diagnostici attuali,
la vera entità del deficit del feto. Ma soprattutto perché, come dimostra la moderna  neonatologia  solo intorno alle 24 settimane il feto comincia ad avere possibilità di vita autonoma, fuori dell’utero. Un seme di una pianta, caduto casualmente sul terreno, –  assicurano gli scienziati-  avrebbe più
possibilità di vita  di un feto che non abbia ancora raggiunto i sei mesi nella pancia materna.
Ma Ratzinger  insiste invocando – fuori da ogni realtà di scienza –  una tutela per l’essere umano, a suo dire, “già pieno e completo
fin dal concepimento, benché informe nell’utero materno”. “Essere informe – continua il papa- “sul quale si pone già lo sguardo benevolo e amoroso degli occhi di dio”. E così Giuliano Ferrara, mettendosi in scia con il suo capitano Achab di bianco vestito, ha varato la sua lista pro life, proponendo un’odiosa moratoria contro l’aborto – odiosa perché falsa , antiscientifica – in analogia con la pena di morte, mentre il premier  Berlusconi, facendo a chi la spara più grossa, ha annunciato già da alcuni mesi di voler addirittura cambiare lo statuto dei diritti dell’uomo suggerendo all’Onu di fare propria la tutela del diritto alla vita, fin dal concepimento.

E tutto questo mentre l’Europa va in tutt’altra direzione. Non solo i singoli Paesi come l’Inghilterra, la Spagna e perfino il Belgio, ormai all’avanguardia nella ricerca scientifica sulle staminali embrionali e sulla clonazione terapeutica. Ma  L’Europa tutta dopo che, alla metà di aprile, la Commissione Pari Opportunità del Parlamento Europeo ha proposto  con successo un documento per favorire l’accesso delle donne all’interruzione di gravidanza . In pratica il documento del Parlamento europeo  sollecita gli Stati membri del Consiglio d’Europa che ancora non l’hanno fatto – Andorra, Irlanda, Malta e Polonia – a depenalizzare l’aborto, ma denuncia  anche che , nei Paesi in cui l’aborto è legale, “le condizioni non
sono sempre tali da garantire alla donna l’effettivo esercizio di questo diritto”. Tra gli ostacoli indicati dal rapporto redatto dalla europarlamentare
austriaca del partito socialista Gisela Wurm: “la mancanza di dottori che accettino di praticare l’interruzione di gravidanza, i ripetuti e obbligatori
consulti medici, il periodo di tempo concesso per la riflessione e i lunghi tempi di attesa”. In più il rapporto approvato a larga maggioranza dalla
Commissione pari opportunità sottolinea anche la necessità di rendere  la contraccezione “facilmente agibile, anche dal punto di vista economico” e “di introdurre l’educazione sessuale e alla contraccezione nelle scuole”.

Per contrasto risultano ancora più netti i contorni del violentissimo attacco alla 194 in atto in Italia. Che poi, a questo punto possiamo dirlo, è un attacco all’identità stessa della donne e alla loro libertà. Ma in Italia non è faccenda di questo ultimo anno di storia, nonostante negli ultimi mesi si siano registrati fatti indegni di un Paese civile come il blitz della polizia nel reparto di ginecologia dell’ospedale di Napoli.

Volendo fare un minimo di storia  vadetto che la genesi di quello che stiamo vivendo oggi risale almeno al 2004, ovvero all’entrata in vigore della legge 40, sulla fecondazione medicalmente assistita. Ma a essere più precisi si potrebbe tornare più indietro ancora ovvero a quel febbraio 1999 quando nell’aula di Montecitorio una maggioranza trasversale approvò un emendamento alla proposta di legge sulla fecondazione assistita che introduceva il diritto soggettivo del concepito. «Questo significa che un embrione ha gli stessi diritti un bambino appena nato» disse
subito il capogruppo della Lega, Alessandro Cè.

Comunque la si pensi,questo fu un brusco cambio di rotta rispetto alle conquiste della legge 194. Basta ricordare per questo che la legge sull’aborto fu anticipata da una famosa sentenza della Corte Costituzionale del 1975 che chiariva, senza possibilità di equivoci, che non esiste equivalenza fra i diritti dell’embrione e quelli della donna. Quella sentenza, che rese possibile poi la 194, stabiliva una gerarchia fra donna e embrione a favore della prima e in nome della tutela della sua salute e integrità psico-fisica. Al contrario, la legge 40, che all’articolo 1 equipara l’embrione a una persona, basando poi, su questo punto, tutto l’ impianto di legge, riporta la donna a un medioevo in cui lei sarebbe un semplice contenitore di un’entità sacra, intangibile, il “concepito”.

Assunto fra le figure titolari di diritti. La legge 40, di fatto, considera l’embrione persona giuridica alla stregua dei soggetti già nati. Andando contro il nostro codice civile in cui “l’acquisizione di diritti è subordinata alla nascita”. Così la maternità  tornerebbe a essere un destino, non sarebbe più una scelta, maturata nel rapporto con un uomo, rapporto creativo non solo dal punto di vista del fare figli.  Dacché con la legge 40 la donna è costretta, per legge, a farsi trasferire in utero tutti anche gli embrioni  anche se malati, le è proibita l’ eterologa che perfino alla Madonna fu concessa, (come stigmatizzava una geniale copertina del settimanale “Diario” qualche anno fa che). Non sto a ricordarvi tutti gli assurdi e crudeli divieti contenuti in questa norma, mercé anche le sue linee guida, a cui l’ex ministro Livia Turco, in corner, negli ultimi dieci giorni del suo mandato ha cambiato solo alcune virgole. Tanto che a fronte della possibilità di accesso alle tecniche di fecondazione assistita da parte di coppie portatrici di malattie infettive come l’hiv resta ancora in piedi  il divieto di accesso alla fecondazione  assistita per  chi è portatore di malattie genetiche. Una storia di provvedimenti cavillosi  che affonda le radici, appunto, in quel 2005 che nonostante la valanga di firme per andare al
referendum, partorì quattro quesiti così arzigogolati e capziosi che,  cardinal Camillo Ruini o meno la gente ne fu scoraggiata. E questo gioco a confondere è oggi all’acme. Basta dare uno sguardo a come i media nazionali raccontano le vicende di cui stiamo parlando.  Con notizie  sugli anatemi del papa contro l’aborto, date prima di quelle che riguardano i provvedimenti del nuovo governo italiano.

Il lessico antiscientifico e le immagini comparse sulle maggiori testate italiane negli ultimi anni parlano di un bombardamento al napalm alla mente dei lettori, appena un poco distratti. Sui giornali di centrodestra c’è di che sbizzarrirsi da questo punto di vista. Purtroppo però non solo su quelle pagine. Si leggono quotidianamente articoli in cui si parla genericamente di vita, senza distinguere fra la vita di una pianta, di un animale e di un essere umano. Sono entrate nella routine  giornalistica locuzioni quotidiane icome “ dolce morte” per parlare di eutanasia o , ancora più impropriamente di testamento biologico.
Si parla di “tutela del concepito”, ma non è chiaro se questo “concepito” sia una morula, una blastocisti o cosa altro. In occasione dei fatti di Genova, e ancor più gravemente nel caso di Napoli, si è letto sui giornali un inaudito linciaggio pubblico delle donne che hanno abortito. Il Giornale, sulla scorta di Ferrara, ha scritto “un bambino ucciso per un reality”, quando si trattava di un aborto fatto a cinque settimane dall’inizio della gravidanza. Il corollario di sottotesto, del resto, pare, chiaro: le donne meglio a casa a fare figli. Il Foglio poi, ha fatto una campagna per la tutela della privacy
dell’embrione che  sarebbe disturbata dagli strumenti di diagnosi prenatale (resta da capire come il feto abbia potuto far sapere a Ferrara che si sentiva importunato) e ne ha fatta un’altra per denunciare un presunto dolore del feto, quando la scienza ci dice che a quello stadio non ci può essere che una reazione per riflesso e non in relazione a un sentire, dal momento che il feto non ha nessunissima attività psichica, che si realizza solo alla nascita.
L’Avvenire con i vari inserti di Scienza e vita diffusi capillarmente nelle parrocchie si è inventato la sindrome del boia, a cui sarebbero destinate tutte
le donne che abortiscono. Mentre la Ru486 viene chiamata pregiudizialmente, in modo del tutto antiscientifico, Kill pill dalla neo  sottosegretaria al
ministero del Welfare, Eugenia Roccella. E ancora nelle pagine sul recente caso di Pisa si leggevano articoli che confondevano la Ru486 con la pillola del giorno dopo (la Norlevo) che non è affatto un abortivo e sulla quale è illegale fare obiezione.
E ancora si legge di apparentemente democratiche proposte di “adozione degli embrioni orfani”, quando la parola adozione e l’aggettivo orfano afferiscono a un bambino, non certo a un agglomerato di cellule. Per non dire della bassa propaganda  vaticana che si sente sui media italiani quando ci si addentra nei temi che aprono al futuro della scienza. Un vero can can: per cui esperimenti di clonazione terapeutica, ovvero di trasferimento del nucleo di una cellula diventano esperimenti di una (del resto impossibile) clonazione umana. Gli embrioni ibridi (da cui anche Papa Woytila, pare, trasse giovamento) diventano immaginifici embrioni chimera. E questo con la complicità dei soliti,
emeriti esperti. Così il genetista Bruno Dallapiccola, fondatore di Scienza e vita ha definito “ammucchiata in provetta” gli esperimenti di alcuni
ricercatori britannici, che utilizzando materiale genetico (gameti e mitocondri) di tre soggetti con tecniche di trasferimento del nucleo, avrebbero
creato embrioni che potrebbero in futuro essere indenni dalle 40 e oltre malattie (epilessia, distrofia muscolare ecc.) ereditabili proprio dai difetti
del mitocondrio.  E pochi giorni fa si è letto: quindicenne obbligata ad abortire,  speculando sul caso di questa ragazzina che aveva già avuto una
gravidanza  a 13 e dunque bisognosa di aiuto. I giornali hanno preferito invece scagliarsi contro  la 194 che non prevede affatto l’aborto coatto. E via di questo passo. Scusate l’insistenza. E questo non senza la connivenza dei giornali di cosiddetta sinistra a cominciare da certi  specchietti riassuntivi
di Repubblica che vanificano qualunque tentativo l’articolista abbia fatto per argomentare la questione in termini di approfondimento. Ma mi viene in mente anche una storica copertina dell’Espresso che per invitare a votare quattro sì al referendum sulla legge 40 pubblicò in cover una serie di bambini racchiusi in provetta che avanzano come un esercito di homuncoli nello spermatozoo, proprio come nelle raffigurazioni medievali. L’immagine scelta dice il contrario del messaggio che, sulla carta, si vorrebbe far passare.

E qui veniamo al punto, forse il più doloroso, nel constatare le armi spuntate dei giornali nei confronti di questa massiccia campagna di disinformazione e, insieme, di colpevolizzazione delle donne rispetto all’aborto.  Dire “siamo tutte assassine”  certamente non ci offre strumenti di via d’uscita. In filigrana si può leggere: siamo tutte matte e nessuna è matta, a negare la realtà delle cose. Allora mi dico che non basta, per affrontare  la situazione in cui siamo venute a trovarci, il vecchio discorso del diritto all’autodeterminazione.  I tempi sono maturi ormai perché ci possano essere una consapevolezza e un sapere scientifico diffuso che ci permetta, finalmente, di liberarci dal giogo  di un senso di colpa lungo centinaia di anni.

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Una lettera di Assuntina Morresi

Posted by Simona Maggiorelli su agosto 11, 2009

Gentile Direttore del quotidiano Terra,
sono Assuntina Morresi, docente di Chimica Fisica all’Università di Perugia, e le scrivo in riferimento al pezzo “Questione di civiltà”, a firma di Simona Maggiorelli. L’autrice dell’articolo, parlando di un libro che ho scritto insieme ad Eugenia Roccella, “La favola dell’aborto facile”, lo definisce ideologico e disinformato. Lascio da parte l’ideologico, su cui avrei da commentare, ma che dipende da valutazioni soggettive, e mi riferisco al informato: non amo le querele, e quindi per il momento chiedo a Simona Maggiorelli di indicare con precisione a quali parti, capitoli o paragrafi del libro si riferisce, e di spiegarne i motivi, entrando nel merito degli argomenti. Chiaramente sono disponibile per un confronto pubblico, con qualsiasi esperto da voi scelto, sugli argomenti relativi all’aborto in generale e a quello farmacologico in particolare. Certa di un cortese riscontro

Assuntina Morresi

Gentile dottoressa Morresi, la ringrazio per l’attenzione. Ben lieta di offrire maggiori elementi ai nostri lettori riguardo a quanto scrivevo il 31 luglio. Anche se, mi permetta, trovo alquanto strano il suo tono: in questo Paese si possono ancora criticare libri e argomentazioni. Veniamo al libro “La favola dell’aborto facile” che lei scrisse nel 2006 con la giornalista Eugenia Roccella, oggi sottosegretaria al Welfare e strenua avversaria della commercializzazione in Italia della pillola abortiva Ru486, già in uso, come lei sa, da più di dieci anni in tutto l’occidente. Un libro che già nella scelta del linguaggio rivela il filtro ideologico con cui sono stati letti i fatti. Basta dire che in più parti del vostro lavoro la Ru486 viene indicata come “kill pill”: la pillola che uccide. Un’espressione niente affatto neutra e oggettiva. Nel suo libro manca del tutto un’informazione di base: che l’aborto farmacologico, al pari di quello chirurgico, non uccide nessuno. Le donne che decidono di abortire non sono delle assassine. L’embrione, dal punto di vista medico scientifico è un agglomerato di cellule. E, come ho già scritto, sulla scorta di quanto afferma la moderna neonatologia, il feto è un organismo biologico in evoluzione che solo intorno alla ventiquattresima settimana ha possibilità di vita autonoma fuori dall’utero. Al dottor Silvio Viale, che al Sant’Anna di Torino avviò la sperimentazione della Ru486, le autrici dedicano svariate pagine, mettendo in luce che Viale è esponente Radicale e si è candidato nelle liste della Rosa del Pugno. Quasi a dire che la sua candidatura dovrebbe far sospettare del suo operato. Viene da chiedersi perché una giornalista come Roccella e una docente di Chimica fisica come Morresi dovrebbero essere più attendibili di faccende mediche di un ginecologo. Quanto alla tanto discussa (nel libro) sicurezza del farmaco «lo stesso comunicato dell’Aifa sulla delibera della autorizzazione alla commercializzazione del Mifepristone (Mifegyne) – ricorda Mirella Parachini, presidente della Fiapac, la Federazione internazionale dei ginecologi – in conclusione dell’iter registrativo di mutuo riconoscimento seguito dagli altri Paesi in cui è già in commercio scrive: la decisione assunta dal Cda rispecchia il compito di tutela della salute del cittadino che deve essere posto al di sopra e al di là delle convinzioni personali di ognuno». In realtà i passaggi criticabili del libro sarebbero ancora moltissimi, ma per motivi di spazio ci limitiamo a segnalarne alcune contraddizioni. A pagina 12 si dice che, come quando le interruzioni di gravidanza si facevano clandestinamente, «oggi con una operazione di candeggiatura dell’immaginario, che rimette a nuovo la consapevolezza sociale, ancora una volta solo nel segreto si saprà del sangue e della pena. Solo alle donne toccherà macerarsi, guardare l’assorbente cento volte al giorno, vomitare chiuse nel bagno e farsi domande angoscianti in solitudine». Poche righe prima era stato detto che «è difficile definire privato un metodo che richiede da tre a cinque – o anche più – appuntamenti in ospedale, ciascuno con una permanenza di alcune ore». Insomma, commenta Parachini, «se da una parte si punta il dito sulla sbandierata semplicità del metodo da parte dei suoi sostenitori, con le pazienti vittime di ginecologi ansiosi di «liberarsi dalla tristezza infinita degli aborti» (pagina 83), dall’altra si accusa la tecnica di comportare un numero eccessivo di controlli ospedalieri e di essere «il metodo veloce che dura 15 giorni» (pagina 20). Infine, prosegue la ginecologa, quanto alla faccenda della sicurezza del farmaco contestata dalle due autrici, «nel marzo 2007 il Chmp (Commitee for medicinal products for human use) dell’Agenzia europea del farmaco ha terminato un lavoro di revisione del mifepristone iniziato nel dicembre 2005. Le conclusioni del Comitato sono state queste: i dati disponibili confermano l’efficacia del mifepristone a vari dosaggi in associazione con analoghi di prostaglandina, con la raccomandazione di informare sul rischio di infezioni fatali quando 200mg di mifepristone vengono associati alla somministrazione non autorizzata per via vaginale di compresse di misoprostolo per uso orale. Questo dato successivo alla pubblicazione del libro conferma la validità del farmaco se usato correttamente ed è stato approvato in seguito anche dalla Commissione europea facendo proprio il parere positivo dell’Emea nel giugno 2007». Senza dimenticare che già nel 2005 l’Oms aveva incluso la Ru486 nella lista dei farmaci essenziali. In sintesi, con un altro eminente ginecologo, ci sentiamo di ribadire che nel libro Morresi e Roccella «interpretano la letteratura scientifica come chi non si interessa di problemi della medicina. Le cose che scrivono – dice Carlo Flamigni – sono testimonianza della loro personale posizione e mancano di quello spirito critico distaccato e laico che consente invece di poter valutare la letteratura medica con onestà e buon senso». Il punto è, sottolinea Flamigni, «che dalla letteratura non si può prendere solo quello conviene. E una persona che legge la realtà con gli occhiali di una forte ideologia fa proprio questo. Per parlarne con competenza bisogna essere persone esperte di medicina. A Roccella e Morresi andrebbe ricordato il motto latino che diceva nec sutur ne ultra crepidam, ciabattino non andare al di là delle scarpe».

Simona Maggiorelli

dal quotidiano Terra 11 agosto 2009

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La possibilità di scegliere

Posted by Simona Maggiorelli su luglio 31, 2009

editoriale del quotidiano Terra, 31 luglio 2009

di Simona Maggiorelli

ru486Una questione di civiltà.  Non sapremmo come altrimenti definire la tanto attesa commercializzazione in Italia della pillola abortiva  Ru486. Un  farmaco che l’Oms  ha inserito da tempo fra gli “essenziali”. Che in Francia e in molti altri Paesi avanzati è in uso da quasi vent’anni. Senza speciali controindicazioni. Eccetto quelle che si devono usare per l’assunzione di ogni medicina. Come utilmente ricorda il ginecologo Silvio Viale, pioniere dell’introduzione in Italia della Ru486: i pochi casi di decessi registrati dopo l’assunzione di Ru486 in realtà si sono verificati in casi clinici complessi. Illustri ginecologi come lo stesso Viale, con  Carlo Flamigni e Mirella Parachini lo vanno ripetendo da anni: la Ru486 è un farmaco sicuro.

Dalla più moderna neonatologia sono arrivate conferme definitive ormai che solo a partire dalla ventiquattresima settimana di gestazione il feto ha possibilità di vita autonoma fuori dall’utero. Prima è un organismo biologico in evoluzione. Non si può parlare di persona, perché solo alla nascita l’essere umano realizza pensiero e vita psichica.

ru486 Time Di fronte e evidenze scientifiche di questa portata che liberano le donne dal senso di colpa, permettendo a ognuna di realizzare la propria identità come desidera e sente più giusto colpiscono la sordità e la resistenza a farle prprie da parte della politica e dei media, anche dei più progressisti. Così ora che le donne anche in Italia pssono ricorrere all’aborto farmacologico si alzano barricate da esponenti di centrodestra e non solo, perché, sospettiamo, la Ru486 permetterebbe di aggirare l’obiezione di coscienza dei medici cattolici. Evidentemente per tutti costoro le donne devono per forza andare sotto i ferri per interrompere una gravidanza indesiderata. Magari anche senza anestesia come è accaduto in ospedali romani non lontani da Santa Madre Chiesa. E questo sarebbe il prendersi cura per  non lasciare le donne alla solitudine dell’aborto fai da te” che il primario  del Gemelli di Roma Antonio Lanzone proponevanei giorni scorsi su Repubblica?

Così mentre la sottosegretaria Eugenia Roccella ( che con Assuntina Morresi ha scritto un libro ideologico e disnformato come La favola dell’aborto facile. Miti e realtà della pillola Ru486) continua a lanciare i suoi anatemi contro il farmaco abortivo, giornali blasonati come il Corsera continuano a confondere la Ru486 con la pillola del giorno dopo. Un gran fuoco di fila per tentare di confondere i cittadini. Mentre nessuno, né di destra né di sinistra ( purtroppo) propone serie campagne di promozione della contraccezione

dal quotidiano Terra 31 luglio 2009

Il governo vuole imporre il ricovero coatto per le donne che prendono la Ru486, come accade nei casi più gravi di malattie psichiatriche

Il Governo di centrodestra cerca di porre paletti all’utilizzo della pillola Ru486. In particolare, oltre a diminuire a 49 giorni il limite per il suo uso (in Europa e’ du 63 giorni), vuole imporre il ricovero coatto per le donne che scelgono questo metodo abortivo. Le donne che vorranno abortire con Ru486 potrebbero quindi essere equiparate a categorie di pazienti per i quali e’ previsto il ricovero coatto, come i malati psichiatrici e i portatori di malattie infettive da quarantena.

COMMENTI

‘Prevedere il ricovero obbligatorio di almeno tre giorni per la somministrazione della pillola abortiva, come prospettato dal governo attraverso il sottosegretario Roccella, e’ un’assurda e ingiustificata forma di accanimento punitivo nei confronti della donna’. Lo afferma Paolo Ferrero, segretario del Prc.
Si tratta, aggiunge, del ‘frutto di una cultura che, in ossequio ai dettami patriarcali della chiesa e della societa’ italiana, non intende capacitarsi che la donna possa veder rispettata la propria liberta’ di scelta e alleviata la propria sofferenza grazie anche alle nuove frontiere scientifiche, continuando a imporle una condizione di oppressione o lo stigma della colpa. Non puo’ esserci niente di piu’ anticristiano’.

Si vogliono ora costruire modalita’ da Stato totalitario nella sommistrazione della Ru486, fino alla sciagurata ipotesi di test psicologici con l’obiettivo di compromettere il risultato del via libera al suo impiego: noi lo impediremo! Lo sostiene il segretario dell’Associazione ‘Luca Coscioni’, Marco Cappato per il quale, “l’unica alternativa alla liberta’ e alla responsabilita’ di scelta e’ l’imposizione dogmatica della opzione di una Autorita’ Superiore alla quale evidentemente il Vaticano si considerare candidato naturale”. Come Radicali, “abbiamo dato il contribuito piu’ importante – rimarca Cappato – alla sconfitta parziale dell’aborto, grazie alla sua legalizzazione: cercheremo di completare il compito, nonostante – conclude Cappato – il boicottaggio clericale sull’informazione sessuale e sulla contraccezione”.

”Se cosi’ fosse sarebbe incostituzionale. Queste povere donne, dopo che si sono viste impiantare per forza i tre embrioni ora saranno costrette a un regime carcerario”. Lo afferma Mario Riccio, anestesista-rianimatore, il medico che sospese le terapie a Piergiorgio Welby, nel corso di un’intervista all’Agenzia Radiofonica Econews.

Non ci sono motivi per non far valere il regime di trattamento in day hospital, gia’ testato con varie sperimentazioni regionali, per l’aborto farmacologico con la pillola Ru486. Lo sostiene il giudice Amedeo Santosuosso, della Corte di appello di Milano, precisando che il ricovero della donna in trattamento, cosi’ come ipotizzato, ‘non potrebbe in alcun caso essere obbligatorio’.
Il ricovero per le donne in trattamento con la Ru486, ha affermato il giudice, ‘non puo’ essere in alcun caso coatto.
Inoltre, dal momento che il regime in Day Hospital per l’aborto farmacologico e’ gia’ stato testato e validato in varie sperimentazioni regionali a partire dal 2005, non vedo motivi per non far valere tale modello anche ora, dopo il via libera alla commercializzazione del farmaco in Italia’.
Il ricovero coatto, ha precisato Santosuosso, ‘e’ impensabile: ogni trattamento medico viene infatti somministrato sulla base del consenso informato; dunque sta al medico informare dei rischi e delle possibilita’, ma se la donna decide di non accettare l’ospedalizzazione nel corso del trattamento con la Ru486, non la si puo’ costringere’. Ma ‘dal momento che le sperimentazioni gia’ fatte in day hospital sono state sottoposte a verifiche – ha ribadito – non vedo alcun motivo per cui ora che siamo fuori da una fase di sperimentazione si debbano prevedere modalita’ diverse’.
In ogni caso, ha aggiunto Santosuosso, ‘il ministero del Welfare non puo’ dire ai medici come si devono comportare quando si parla del rapporto medico-paziente’. Anche perche’, ha concluso, ‘non e’ stabilito da nessuna parte che la maggiore tutela della paziente si realizzi solo in ospedale e non, anche, in uno sperimentato regime di day hospital, magari con piu’ accessi in ospedale e controlli programmati; tale decisione puo’ scaturire solo dal rapporto medico-paziente’.

”Immagino che le pressioni, anche se non sono state direttamente sull’Aifa, si sono viste molto bene da parte della stampa e da parte di appelli, di manifesti e molte iniziative.” Cosi’ il farmacologo Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Mario Negri, nel corso di un’intervista all’Agenzia Radiofonica Econews, sulle eventuali pressioni subite dall’Aifa in questi anni sulla pillola abortiva. Alla domanda se la lunga durata dell’iter rappresenti un’anomalia, Garattini osserva: ”E’ certamente un’anomalia, perche’ l’azienda ha il diritto a mettere in commercio in farmaco dopo 90 giorni dalla domanda”. Sulla sicurezza della RU486, Garattini sostiene: ”Tutti i farmaci hanno degli effetti tossici e collaterali. Dire 29 morti non vuol dire niente, perche’ bisogna dire quante sono le persone trattate, e in base a quello si decide se e’ tanto o se e’ poco. Ma mi risulta che le autorita’ regolatorie hanno ritenuto che il rapporto beneficio-rischio sia un rapporto accettabile”. Alla domanda se le questioni sulla sicurezza sono state usate per coprire perplessita’ etiche, Garattini risponde: ”Certamente le difficolta’ principali sono di natura etica. C’e’ pero’ da dire che nessuno e’ obbligato a utilizzarla. In Italia abbiamo una legge sull’aborto, e quindi le donne avranno una scelta diversa. Se avranno tutte le necessarie spiegazioni potranno scegliere in base alle loro preferenze”. Sulla necessita’ del ricovero, infine, Garattini dice: ”Bisogna vedere come avvengono le cose nella realta’ dei fatti. Questo problema non e’ puramente italiano: questo farmaco viene somministrato in molti altri paesi, e finiremo per usare anche noi il buon senso e far rimanere le persone in ospedale per il tempo strettamente necessario”.

Contro la diffusione della pillola abortiva Ru486 cresca l’obiezione di coscienza dei medici italiani. A dare man forte all’offensiva lanciata dalla Chiesa contro l’introduzione dell’aborto chimico in Italia, scende in campo il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, appellandosi ai medici e denunciando ‘la crepa nella nostra civilta” aperta dalla commercializzazione della pillola abortiva.
Mentre si dice ‘amareggiato, triste e preoccupato’ per il ‘prevalere del diritto del piu’ forte’ affermatosi con l’introduzione del farmaco abortivo, il numero uno della Conferenza episcopale italiana guarda con speranza ai dati sull’obiezione di coscienza. Cifre da cui emerge un’impennata del numero degli obiettori: dal 2005 al 2007 i ginecologi che non effettuano l’interruzione volontaria di gravidanza sono infatti passati dal 58% al 70%.
‘E’ auspicabile – lancia l’appello dalle pagine di Avvenire il card. Bagnasco – che l’obiezione di coscienza nata da profondi convincimenti cresca ancora, sia come dato in se’, sia come testimonianza per l’opinione pubblica sulla persistenza di una consapevolezza profonda’. In sintonia poi con l’attacco sferzato ieri dal quotidiano dei vescovi contro quanti nel governo ‘potevano’ ma ‘non si sono impegnati a fermare’ la Ru486, anche il presidente della Cei da’ la sua stoccata al mondo politico che, afferma, ‘puo’ ragionevolmente fare di piu’, nel rispetto dei meccanismi democratici’.
Dai laici cattolici Bagnasco si aspetta che si levi ‘una voce piu’ coraggiosa, chiara, argomentata a tutti i livelli’ perche’, sottolinea, ‘sui temi decisivi della vita umana non si puo’ procedere per mediazioni: su valori fondamentali mediare significa negare’. Un avvertimento che sembra valere anche per la legge sul testamento biologico in esame alla Camera. A Bagnasco risponde il ministro per l’Attuazione del Programma di governo, Gianfranco Rotondi, secondo cui ‘i politici cattolici e laici devono impegnarsi per il nuovo obiettivo di progresso di una civilta’ senza aborto’, rafforzando ‘la prevenzione prevista nella 194 e mai attivata’. Di parere contrario, il segretario del Partito socialista Riccardo Nencini. ‘Non bisogna mettere in discussione – afferma – la legge 194 e assoluta fiducia nella capacita’ delle donne di tutelare e decidere sulla loro gravidanza’.
Intanto il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella, dopo le polemiche in merito all’ipotesi di ricovero per le donne in trattamento con la pillola abortiva, precisa che ‘nessuno vuole trattenere le donne con la forza’. ‘Certamente pero’ – aggiunge – si pone un problema di sicurezza per la loro salute se tornano a casa, e si pone anche un problema di rispetto della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza’. Al ricovero obbligatorio e’ contrario il segretario del Prc, Paolo Ferrero che lo definisce ‘anticristiano’. ‘E’ un’assurda e ingiustificata forma di accanimento punitivo nei confronti della donna’, protesta. (Fonte Aduc)

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Il dovere di curare

Posted by Simona Maggiorelli su marzo 27, 2009

L’anestetsista Mario Riccio: «C’era qualcuno che aveva diritto a interrompere la terapia, e quando ho accettato di occuparmi di lui ho sentito forte l’obbligo etico, ma ora dico anche giuridico, di dare una risposta a questa esigenza del paziente». Piergiorgio ha fatto riflettere tutti su un diritto considerato sacrilego.

In Italia è emergenza diritti civili. La sinistra si faccia interprete della domanda che viene anche dai giovani

di Simona Maggiorelli

il medico Mario Riccio

il medico Mario Riccio

«I temi di bioetica e i diritti civili sono un’emergenza in Italia. E la stiamo tirando troppo per le lunghe. Altri Paesi li hanno affrontati, discussi, hanno fatto leggi. È importante che si parli di testamento di vita, di aborto, di fecondazione assistita. Che si parli di pacs, di unioni civili. Nel centrosinistra fin qui non c’è stato modo di affrontarli. Lo hanno fatto, invece, i conservatori, il centrodestra, con la consegna totale di queste tematiche agli ambienti ecclesiastici. Questo soggetto nuovo, il Pd, su tutto questo tace. Non so – accenna Mario Riccio – se come medico posso permettermi di dire…ma questi sono argomenti molto importanti. E nessuno finora, a eccezione dell’area laica radicale, ha preso i mano la laicità come bandiera o come tematica chiara della propria proposizione ai cittadini». A un anno e due mesi dalla vicenda di Piergiorgio Welby il medico anestesista che lo aiutò nella sua battaglia politica torna a parlare. Ripercorrendo le tappe di una storia, quella di Welby, che oggi appare sempre più paradigmatica e con quella passione civile di chi ha “militato” a lungo nella Consulta di Milano, organizzando dibattiti e convegni di bioetica laica. «Senza troppi giri di parole – continua Riccio – a me piacerebbe sapere cosa vuole fare la sinistra la legge 194? Facciamo la moratoria? La fecondazione assistita? I tribunali continuano a dire che la legge 40 è incostituzionale, ci vogliamo mettere mano? Le coppie di fatto registrate nelle liste comunali delle unioni civili sono 700mila, in Italia un figlio su tre nasce da una coppia non sposata. Sono temi di primo piano nella vita dei cittadini. Ma vedo che nessuno se ne occupa. Spero che la Sinistra arcobaleno ne faccia un suo tema, un suo campo di battaglia, perché nella mia esperienza, di incontri e di dibattiti, noto che la base di questa sinistra ne parla. E se è vero, come si legge, che proprio a sinistra si potrebbe registrare un grosso astensionismo, rappresentare politicamente le esigenze dei cittadini su questo piano potrebbe essere una carta vincente. I giovani oggi hanno certamente il problema del mutuo, però una coppia di fatto che vuole un figlio, oppure che fa fatica ad averne uno, cerca delle risposte dalla politica».

Nella sua esperienza di medico quanto è sentita l’esigenza di una legge sul testamento biologico?

Mi pare chiaro che sia una necessità. Io vivo tutti giorni nell’area critica come rianimatore, ma la stessa esperienza la si vive nel campo oncologico, dove c’è sempre da scegliere, a un certo punto, se continuare la terapia o insistere, sono problematiche che toccano la vita di molti, quotidianamente.

Quanto il legislatore o il giudice possono legittimamente entrare in queste questioni? Il gup Renato Laviola, in particolare, nel caso di Welby, parlava di “diritto alla vita”. Parole che si addicono più a un uomo di Chiesa…

Se vogliamo tornare su quella storia, per il suo valore di prototipo, va ricordato che la vicenda non ebbe mai interruzione lungo una strada di una totale estraneità a un profilo penale. Mi spiego meglio. La Procura riconobbe che non c’era nessun profilo penale. E lo riconobbe anche il civile di Roma. In tutta quella storia ci fu solo una interruzione: il mio rinvio a giudizio da parte del gup Laviola che basò questa sua scelta su un supposto diritto alla vita. Ma la Carta fondamentale promuove lo sviluppo delle persone, l’istruzione, la salute eccetera, non parla mai di diritto alla vita. Del resto anche se ci fosse scritto diritto alla vita – cosa che non è – resterebbe il fatto che si tratterebbe di un diritto non di un dovere. Si può decidere se esercitarlo oppure no. Non esiste un diritto coercibile. A posteriori, oggi, mi rendo conto, però, che se non ci fosse stata la richiesta di rinvio a giudizio per me, forse non si sarebbe più parlato della vicenda Welby, con tutto il suo significato anche politico.

È stata una vicenda paradigmatica anche per quello che fu detto sulla questione sedazione.

Ora i toni, per fortuna, si sono raffreddati e mi fa piacere. È passato del resto un anno e mezzo, ma non posso dimenticare quel che disse l’ex presidente del Cnb Francesco d’Agostino: per lui il problema era se sedare Piergiorgio prima del distacco della macchina, se sedarlo dopo, se sedarlo poco o tanto. Sembrava quasi che se l’avessimo sedato troppo sarebbe stato un problema perché prima dovevamo farlo un po’ soffrire. Quando lessi tutto questo sulle pagine dei giornali mi prese lo sconforto. Pensavo che soluzione D’Agostino sarebbe stata di alto profilo etico e giuridico e dovetti leggere che stavano spiegando a me anestesista che tipo di farmaco usare e con quale dosaggio….

L’Italia continua a essere fanalino di coda nella terapia del dolore. Quanto la Chiesa riesce a intromettersi nel rapporto medico-paziente?

Giovanni XXIII sdoganò la morfina, disse che il dolore di per sé non è un valore, agli inizi degli anni ’60. Ma questo discorso non è stato più fatto, né da Woytila né tanto meno da Ratzinger…Mi viene particolarmente difficile pensare a un dio, specie come quello che ci prospettano, un dio un po’ guardone che si introduce nelle camere da letto o che va a misurare il dolore. Io non sono un credente, sono un ateo agnostico, ma ipotizzando per un attimo un’entità soprannaturale, non lo vedrei impegnato a occuparsi della mia sessualità. Mi parrebbe un po’ offensivo.

Ma le cure palliative spesso non bastano, c’è anche il dolore psichico dei malati terminali a cui il medico di trova a dover rispondere?

E’ quello che con un termine tecnico si chiama dolore totale, è la sommatoria di dolore psichico e dolore fisico. Lo si riscontra, per esempio, nei malati oncologici terminali. Pensare di dover vivere in una situazione particolarmente umiliante è devastante, diventa un dolore incoercibile che non si riesce a gestire nemmeno con l’uso della terapia antalgica. Si parla molto di medicina palliativa, anche su questo l’Italia deve recuperare il ritardo ma esiste una quota limitata di pazienti per i quali queste armi risultano spuntate. È questo che ha spinto paesi avanzatissimi dal punto di vista sanitario come l’Olanda a permettere l’eutanasia. Va fatta una riflessione seria, pacata, su questo tema. Non ha nulla a che vedere con l’indifferenza verso chi è incurabile. Al contrario.

Dovrebbe essere una questione che pertiene al rapporto medico-paziente?

Citare le sentenze in Italia oggi, per qualcuno, è una cosa provocatoria, quasi terroristica, ma io sono orgoglioso di farlo con quella del Gup nella vicenda Welby, in cui c’era il diritto del paziente e il mio dovere. Io ho fatto semplicemente il mio dovere di medico e di questo io sono sempre stato convinto. Lo spiegai alla conferenza stampa dove tutti pensavano che il giorno prima si fosse consumato un assassinio. Ma la spiegazione che io detti credo con sufficiente serenità passò quasi come un atto di prosopopea. Qui c’era qualcuno che aveva diritto a interrompere la terapia, e quando ho accettato di occuparmi di questa persona ho sentito forte dentro di me il dovere etico, ma ora dico anche giuridico, di dare una risposta a questa esigenza del paziente. E quella che sembrava una cosa extra siderale, ovvero che un paziente in queste condizioni rifiutasse la terapia, oggi è una cosa accettata. Piergiorgio Welby ci ha fatto fare una riflessione su un diritto che allora tutti consideravano come un sacrilegio.

da left-Avvenimenti 15 febbraio 2008

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La lettera di Welby al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Caro Presidente,

scrivo a Lei, e attraverso Lei mi rivolgo anche a quei cit­tadini che avranno la possibilità di ascoltare queste mie pa­ro/e, questo mio grido, che non è di disperazione, ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese.Fino a due mesi e mezzo fa la mia vita era sì segnata da difficoltà non indifferenti, ma almeno per qualche ora del giorno potevo, con l’ausilio del mio computer; scrivere, leg­gere, fare delle ricerche, incontrare gli amici su internet. Ora sono come sprofondato in un baratro da dove non trovo uscita. La giornata inizia con l’allarme del ventilatore polmo­nare mentre viene cambiato il filtro umidificatore e il catetere, trascorre con il sottofondo delta radio, tra frequenti aspirazioni delle secrezioni tracheali, monitorag­gio dei parametri ossimetrici, pulizie personali, medicazio­ni, bevute di Pulmocare. Una volta mi alzavo al più tardi alle dieci e mi mettevo a scrivere sul pc. Ora la mia patolo­gia, la distrofia muscolare, si è talmente aggravata da non consentirmi di compiere movimenti, il mio equilibrio fisico è diventato molto precario. A mezzogiorno con l’aiuto di mia moglie e di un assistente mi alzo, ma sempre più spesso riesco a malapena a star seduto senza aprire il computer perche sento una stanchezza mortale. Mi costringo sulla sedia per assumere almeno per un’ora una posizione diffi­rente di quella supina a letto. Tornato a letto, a volte, mi as­sopisco, ma mi risveglio spaventato, sudato e più stanco di prima. Allora faccio accendere la radio ma la ascolto di­strattamente. Non riesco a concentrarmi perche penso sem­pre a come mettere fine a questa vita. Verso le sei faccio un altro sforzo a mettermi seduto, con l’aiuto di mia moglie Mina e mio nipote Simone. Ogni giorno vado peggio, sem­pre più debole e stanco. Dopo circa un’ora mi accompagna­no a letto. Guardo la tv, aspettando che arrivi l’ora della compressa del tavor per addormentarmi e non sentire più nulla e nella speranza di non svegliarmi la mattina.

Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico, Vita è anche la donna che ti lascia, una gior­nata di pioggia, l’amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita è solo un te­stardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio, è lì, squa­dernato davanti a medici, assistenti, parenti. Montanelli mi capirebbe, Se fossi svizzero, belga o olandese potrei sot­trarmi a questo oltraggio estremo ma sono italiano e qui non c’è pietà. Starà pensando, Presidente, che sto invocando per me una «morte dignitosa». No, non si tratta di questo. E non parlo solo della mia, di morte. La morte non può essere «dignitosa», dignitosa, ovvero decorosa, dovrebbe essere la vita, in special modo quando si va affievolendo a causa della vecchiaia o delle malattie incurabili e inguaribili. La morte è altro. Definire la morte per eutanasia «dignitosa» è un modo di negare la tragicità del morire. È un continuare a muoversi nel solco dell’occultamento o del travisamento della morte che, scacciata dalle case, nascosta da un paravento negli ospedali, negletta nella solitudine dei gerontocomi, appare essere ciò che non è. Cos’è la morte? La morte è una condizione indispensabile per la vita. Ha scritto Eschilo: «Ostico, lottare. Sfacelo m’assale, gonfia fiumana. Oceano cieco, pozzo nero di pena m’accerchia senza spiragli. Non esiste approdo».

L’approdo esiste, ma l’eutanasia non è «morte dignitosa», ma morte opportuna, nelle parole dell’uomo di fede Jacques Pohier: Opportuno è ciò che «spinge verso il porto»; per Plutarco, la morte dei giovani è un naufragio, quella dei vecchi un approdare al porto e Leopardi la definisce il solo «luogo» dove è possibile un riposo, non lieto, ma sicuro.

In Italia, l’eutanasia è reato, ma ciò non vuoi dire che non «esista»: vi sono richieste di eutanasia che non vengono accolte per il timore dei medici di essere sottoposti a giudizio penale e viceversa, possono venir praticati atti eutanasici senza il consenso informato di pazienti coscienti. Per esaudire la richiesta di eutanasia, alcuni Paesi europei, Olanda, Belgio, hanno introdotto delle procedure che consentono al paziente «terminale» che ne faccia richiesta di programmare con il medico il percorso di «approdo» alla morte opportuna. Una legge sull’eutanasia non è più la richiesta incomprensibile di pochi eccentrici. Anche in Italia, i disegni di legge depositati nella scorsa legislatura erano già quattro o cinque. L’associazione degli anestesisti, pur con molta cautela, ha chiesto una legge più chiara; il recente pronunciamento dello scaduto (e non ancora rinnovato} Comitato nazionale per la bioetica sulle Direttive Anticipate di Trattamento ha messo in luce l’impossibilità di escludere ogni eventualità eutanasica nel caso in cui il medico si attenga alle disposizioni anticipate redatte dai pazienti. Anche nella diga opposta dalla Chiesa si stanno aprendo alcune falle che, pur restando nell’alveo della tradizione, permettono di intervenire pesantemente con le cure palliative e di non intervenire con terapie sproporzionate che non portino benefici concreti al paziente. L’opinione pubblica è sempre più cosciente dei rischi insiti nel lasciare al medico ogni decisione sulle terapie da praticare. Molti hanno assistito un famigliare, un amico o un congiunto durante una malattia incurabile e altamente invalidante e hanno maturato la decisione di, se fosse capitato a loro, non percorrere fino in fondo la stessa strada. Altri hanno assistito alla tragedia di una persona in stato vegetativo persistente.

Quando affrontiamo le tematiche legate al termine della vita, non ci si trova in presenza di uno scontro tra chi è a favore della vita e chi è a favore della morte: tutti i malati vogliono guarire, non morire. Chi condivide, con amore, il percorso obbligato che la malattia impone alla persona amata, desidera la sua guarigione. I medici, resi impotenti da patologie finora inguaribili, sperano nel miracolo laico della ricerca scientifica. 1ra desideri e speranze, il tempo scorre inesorabile e, con il passare del tempo, le speranze si affievoliscono e il desiderio di guarigione diventa desiderio di abbreviare un percorso di disperazione, prima che arrivi a quel termine naturale che le tecniche di rianimazione e i macchinari che supportano o simulano le funzioni vitali.

Piergiorgio Welby, 22 settembre 2006

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