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La Consulta cancella il divieto di eterologa. La neonatologa Gatti: “La legge 40 è contro le donne”

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 10, 2014

La neonatologa Maria Gabriella Gatti

La neonatologa Maria Gabriella Gatti

 Il  9 aprile la Corte costituzionale ha bocciato il divieto di eterologa contenuto nella legge 40 sulla fecondazione assistita. E finalmente un altro pezzo di questa famigerata legge è stato cancellato. Il commento della neonatologa e psicoterapeuta Maria Gabriella Gatti, dell’università di Siena

Da un punto di vista medico e scientifico la legge 40 è «caratterizzata da contraddizioni logiche  e da gravi incongruenze mediche», dice la neonatologa e psicoterapeuta Maria Gabriella Gatti. «Per esempio – spiega la docente di Neurologia neonatale dell’università di Siena – quando impedisce a coppie portatrici di malattie genetiche ma fertili l’accesso alla diagnosi genetica pre-impianto dell’embrione che comporta una pratica abortiva, in caso di malformazione. In quest’ultimo caso l’aborto è una lesione senza senso, del tutto gratuita che lede l’identità ed il corpo  della donna».

Ma c’è anche un altro aspetto inaccettabile sotteso alla norma sulla fecondazione assistita, ovvero «il fraintendimento del significato delle più recenti acquisizioni scientifiche nel campo dell’embriologia», sottolinea la professoressa Gatti: «è assurdo considerare l’embrione “vita umana” quando ancora non esistono strutture anatomo-funzionali nel sistema nervoso che possano sostenere un’attività di pensiero. Per l’immaturità dei circuiti cerebrali prima della 23-24esima settimana non c’è possibilità alcuna di sopravvivenza fuori dall’utero».
Tuttavia, nonostante la legge 194 riconosca il diritto di poter interrompere una gravidanza, si cerca ancora di farle sentire delle assassine. «Nella nostra società alle donne giungono in continuazione dei falsi messaggi sulla natura del loro ruolo nella società e su presunte responsabilità morali in casi di aborto», approfondisce Gatti. «è in atto una campagna di colpevolizzazione, una vera e propria crociata dentro i reparti di ginecologia, che tende a equiparare l’aborto con l’omicidio e a far sentire la donna marchiata da un delitto inespiabile agli occhi del mondo. L’altissimo numero di ginecologi obiettori che si rifiutano di eseguire un atto medico dovuto per legge come la pratica abortiva è indicativa di quanto la mentalità colpevolista è diffusa nella società».
Con quali effetti? «Il mondo femminile corre il grande rischio di interiorizzare il senso di colpa e di diventare incapace di reagire ai falsi messaggi che provengono sia dalla religione cattolica sia da certo razionalismo il quale in tempi recenti si è spinto fino a legittimare il cosiddetto “aborto postnatale”, una vera aberrazione non solo terminologica ma concettuale e scientifica. La donna continua a essere lesa nel suo corpo e nella dignità di essere umano da un pensiero dominante a livello antropologico, filosofico e medico, che ha radici greche e cristiane. L’alleanza ideologica e storica fra religione e ragione ha condannato il genere femminile a una subalternità culturale e sociale subìta per millenni. Questo richiederebbe un’ampia riflessione. Detto in estrema sintesi il pensiero dominante oggi è ancora espressione di una cultura che continua a negare l’identità della donna. C’è sempre più l’esigenza di un mutamento radicale del rapporto fra uomo e donna che vada oltre ciò che è cosciente e razionale, basandosi sul confronto fra due soggettività uguali ma nello stesso tempo diverse». (Simona Maggiorelli)

 

dal settimanale left-avvenimenti

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Requiem per la #Legge40. Parla l’avvocato che l’ha demolita in tribunale

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 8, 2014

 

Filomena Gallo

Filomena Gallo

Il 9 aprile, la Corte Costituzionale ha bocciato il divieto di eterologa contenuto nella legge 40. Divieto razzista che lasciandava intendere che i figli sono tali solo se hanno l Dna dei genitori Parla l’avvocato Filomena Gallo che da dieci anni lotta nelle aule di tribunale contro questa norma crudele e antiscientifica

Da left avvenimenti del 5 aprile. L’intervista è stata realizzata prima del pronunciamento della Consulta sulla legge 40, preconizzando la vittoria del diritti delle persone su una norma che invece li calpesta.

Con i suoi crudeli e antiscientifici divieti la legge 40/2004 sulla fecondazione assistita colpisce l’identità della donna, nella sua realtà più intima. E lo fa con violenza. Basta pensare all’originario obbligo di contemporaneo impianto di tre embrioni, anche se malati. O al divieto di accesso alla diagnosi pre impianto per coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche. Che nel 2012 la Corte di Strasburgo ha giudicato lesivo della Carta dei diritti dell’uomo: dacché all’articolo 8 riconosce il diritto di ognuno di decidere liberamente della propria vita affettiva, se e quando avere figli ecc. Negli anni 90, proprio mentre le tecniche mediche di fecondazione stavano diventando sempre più evolute e mentre si diffondevano sul territorio italiano centri specializzati, parlamentari cattolici di destra e di sinistra si sono coalizzati per imporre leggi dogmatiche da Stato etico, come la legge 40. Che l’8 aprile, dopo dieci  anni di lotte nei tribunali da parte di associazioni di pazienti infertili e di coppie portatrici di malattie genetiche, è tornata davanti alla Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sul divieto di fecondazione eterologa (ovvero con gameti donati alla coppia). Se la Consulta giudicasse incostituzionale questo punto, uno degli ultimi crudeli divieti della norma verrebbe definitivamente cancellato. A determinare questa concreta possibilità è stato anche il lavoro di una donna avvocato, Filomena Gallo. Alla sua competenza e alla sua passione civile si devono molte delle 29 sentenze che negli ultimi anni hanno riguardato la legge 40. «Fin dal primo momento, nonostante tutto, ho creduto che questa cattiva legge potesse essere cambiata», racconta. «Poi, preso atto che questa classe politica si dimostrava sorda a ogni cambiamento ho cercato di percorrere tutte le strade possibili per vedere affermati i diritti delle persone calpestati dal legislatore».
Tutto iniziò dall’associazione Amica Cicogna?
Si tratta di un’associazione che riunisce coppie infertili. Anni fa mi chiesero di fare loro da presidente e lo sono tutt’ora. Amica Cicogna si scioglierà solo quando i divieti imposti dalla legge 40 saranno finalmente caduti. Quando si formò l’associazione nel 1998, in realtà, non c’era una norma. Si chiedeva una giusta regolamentazione. Chiedevamo l’istituzione di un registro pubblico di centri di fecondazione. Con la legge 40 almeno questo l’abbiamo ottenuto.
Ma contemporaneamente sono stati imposti pesanti limiti e divieti.
Dopo anni di dibattito nel 2004 il Parlamento ha emanato la peggiore legge possibile. Una norma che faceva finta di consentire alle coppie sterili di accedere alle tecniche medico sanitarie: il legislatore pretendeva di imporre al medico quale terapia adottare e imponeva divieti a cui corrispondevano dei reati. Di fatto significava non permettere più la fecondazione assistita in Italia. Già durante le audizioni abbiamo denunciato che la norma non aveva fondamento né giuridico né scientifico. Ma il 19 febbraio 2004 fu varato un testo che rigettava tutti gli emendamenti migliorativi presentati. Il capo dello Stato lo firmò. Pubblicata in Gazzetta il 24 febbraio, la legge entrò in vigore il 10 marzo 2004 .
In quegli anni incontrò Luca Coscioni, da cui prende il nome l’associazione per la libertà di ricerca scientifica di cui lei è segretario.
Incontrai Luca e i Radicali che subito proposero il referendum abrogativo totale della legge 40 (boicottato da una campagna a tappeto della Cei, ndr). Iniziammo la raccolta firme. A quel punto anche i Ds e i socialisti e altre forze politiche scesero in campo proponendo 4 quesiti di abrogazione parziale, sui divieti più assurdi della legge 40: il divieto di eterologa e quello di fecondazione di più di 3 ovociti e il loro contemporaneo impianto, il divieto di accesso alle tecniche per le coppie fertili portatrici di patologie genetiche. E il divieto di destinare embrioni alla ricerca.
Che cosa resta oggi?
Vorrei sottolineare un certo fenomeno. Negli anni 70, in una stagione di battaglie soprattutto delle donne, abbiamo avuto la riforma del diritto di famiglia, la legge sul divorzio e sull’aborto. Con la legge 40 è iniziata una regressione. Vi è stata una sottrazione di diritti. Ma le persone si sono ribellate, hanno detto di no. Hanno accettato di ricorrere ai tribunali rivolgendosi a me e ad altri colleghi. Io, per esempio, coordino il gruppo di legali delle associazione Coscioni, Amica Cicogna, Cercounbimbo, l’Altra cicogna. C’è un gruppo a Milano che fa capo a Massimo Clara e uno in Sicilia coordinato da Nello Papandrea, con Maria Paola Costantino e altri. Facciamo lavoro pro bono. Non ho mai preso una parcella dalle coppie che ho assistito. Il nostro obiettivo è far affermare dei diritti.
Quali persone si sono rivolte a lei?
Coppie che magari erano andate all’estero, ma volevano vedere l’affermazione dei propri diritti in Italia. La legge 40 ha determinato un federalismo sanitario riguardo ai trattamenti e un processo di emigrazione all’estero alla ricerca di trattamenti che prima del 2004 venivano eseguiti in Italia. In questi 10 anni di lotte non abbiamo mai tralasciato la via parlamentare. Facendo depositare tante proposte di legge. Ma ogni volta la risposta era: “Non bisogna parlare di questi temi”, “Non è il momento opportuno”. Noi pensiamo invece che non ci sia tempo da perdere quando si parla di diritti delle persone, di diritto alla salute, di principio di uguaglianza nell’accesso alle terapie. La Corte interamericana dei diritti umani ha sancito che il diritto per una coppia di ricorrere alle tecniche di fecondazione è un diritto umano meritevole di tutela. Da noi questo non viene riconosciuto. Adesso è il momento di agire, altrimenti ci ritroveremo senza diritti acquisiti con grandi battaglie. Rischiamo di perderli se non vengono affermati e non vengono fatti vivere.
Che cosa accadrà l’8 aprile?
La Consulta esaminerà il divieto di eterologa. Nella sua ipocrisia, la legge 40 consente alle persone sterili di accedere alla fecondazione ma vieta l’unica tecnica che potrebbe dare loro una speranza: la donazione di gameti. Fino al 2004 questa tecnica era usata in Italia senza problemi né giuridici né scientifici. Lo Stato riconosce ai figli di eterologa lo status di figlio giuridico, garantisce l’assenza di rapporto giuridico con il donatore dei gameti, in più la legge dice che non ci può essere disconoscimento di paternità e la madre non può dichiarare di non essere denominata alla nascita. Se il divieto viene cancellato quindi non si apre un vuoto giuridico.
Ed è già previsto che la Corte costituzionale torni a pronunciarsi sulla legge 40 in futuro.
Più avanti la Consulta sarà chiamata a pronunciarsi sul divieto di uso degli embrioni crioconservati per la ricerca scientifica. Mentre in tutto il mondo si studiano le staminali embrionali e quelle adulte senza preclusioni e la ricerca va avanti, noi siamo ancora qui a decidere che cosa fare di alcune migliaia di embrioni “abbandonati”. Anche di questo, del notevole progresso delle tecniche mediche e della ricerca parleremo nel terzo incontro del Congresso mondiale per la ricerca scientifica che si svolge a Roma, fino al 6 aprile, organizzato dall’associazione Coscioni.
Della legge 40 resterà solo l’amaro ricordo dei tanti paradossi?
Noi abbiamo denunciato in questi anni i paradossi e i divieti di questa norma, inaccettabili se si legge bene la Costituzione e le Carte europee. Alla fine non resterà più nulla di questa legge se non il danno creato a tante coppie in questi dieci anni, un danno non risarcibile. E resterà nella storia l’ignoranza del legislatore italiano che ha preferito mantenere accordi di convenienza piuttosto che riconoscere i diritti delle persone.

 

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Diieci anni di legge 40. La rivolta dei cittadini contro lo Stato etico

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 18, 2014

paradiso-legge40Antiscientifica e discriminatoria, la Legge 40 sulla fecondazione assistita è andata a processo 28 volte. I cittadini la contestano ricorrendo ai tribunali. Ma la politica è sorda

di Simona Maggiorelli

In dieci anni è finita alla sbarra ben 28 volte. Grazie al coraggio di cittadini che hanno deciso di ricorrere ai tribunali per far valere il proprio diritto di accesso a tecniche mediche e per difendere la propria libertà di scelta riguardo alla propria vita sessuale e affettiva. Il testo della legge italiana sulla fecondazione medicalmente assistita (Pma), così come fu firmato il 19 febbraio del 2004, contiene una serie di divieti discriminatori e si basa su assunti antiscientifici come l’equivalenza fra embrione, feto e bambino, ricorrendo a termini vaghi come «concepito». Da allora il lavoro instancabile di associazioni che riuniscono coppie infertili o portatrici di malattie genetiche, con l’aiuto di avvocati come Filomena Gallo, ha prodotto importanti risultati, riuscendo a far cancellare intere parti della norma come la crudele imposizione di trasferimento in utero di tutti e tre gli embrioni (anche se malati) prodotti con la Pma. Anno dopo anno, una lunga serie di sentenze e di pronunciamenti della Corte Costituzionale e uno in particolare della Corte europea di Strasburgo hanno definito la Legge 40 lesiva dei diritti delle donne, pericolosa per la loro salute e in contrasto con la Carta europea dei diritti dell’uomo. L’8 aprile prossimo, come è noto, la Consulta dovrà pronunciarsi di nuovo sulla norma, dopo che il tribunale di Roma ha sollevato un dubbio di legittimità costituzionale riguardo al divieto di accesso alla Pma per le coppie fertili portatrici di malattie genetiche. «Non si può prevedere come risponderà la Corte. Ma penso che ci siano buone possibilità che consideri discriminatorio il divieto di accesso alle tecniche da parte di coppie fertili che non riescono a portare a termine una gravidanza o sarebbero costrette a veder morire il proprio figlio nell’arco di pochi anni per malattie ad oggi incurabili», dice Filomena Gallo che, in qualità di segretario dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca, con il tesoriere Marco Cappato, ha scritto una lettera aperta ai giornali per avviare un pubblico dibattito su questo grande tema della Legge 40. Che, dopo la campagna di disinformazione pilotata dalla Conferenza episcopale italiana all’epoca del referendum del 2005, per lo più è caduto nel silenzio. «Si potrebbe così compensare quanto accaduto in questi anni in termini di conoscenza» scrivono Gallo e Cappato, riportando i dati del Centro di ascolto di informazione radio-televisiva. Da cui risulta, per esempio, che nel 2012 le trasmissioni tv che hanno toccato il tema della Pma sono state pari allo 0,001% del totale. Mentre nei Tg di due anni fa troviamo il tema, in media, una volta ogni 184 edizioni, per un totale di 1 ora e 25 minuti, pari allo 0,02% del totale delle notizie. E questo nonostante si tratti di una legge che ha importanti ripercussioni sulla scienza, dal momento che vieta di produrre embrioni per la ricerca, ma anche di usare a questo scopo quelli abbandonati. Ipocritamente permettendo ai ricercatori solo di lavorare su linee cellulari acquistate all’estero. Ma soprattutto parliamo di una legge antiscientifica che, come ha scritto la Corte di Strasburgo, confonde feto e bambino. Nonché basata su un pregiudizio razzista, dato che vieta l’eterologa come se la paternità o la maternità fossero solo un fatto biologico e genetico. E ancora: parliamo di una norma – non ci stancheremo mai di ripeterlo – che dà allo Stato la possibilità di intromettersi pesantemente nella vita privata delle persone, negando il loro pieno diritto di decidere se e quando avere figli. Di una norma che attacca l’identità femminile e il rapporto fra uomo e donna. E che mette a rischio la salute delle donne, vietando la diagnosi genetica preimpianto e costringendole poi a ricorrere all’aborto terapeutico se il feto è malato. «Non ci dobbiamo dimenticare in quale contesto politico fu varata la 40 del 2004 e come la difesero esponenti cattolici come Francesco Rutelli e Dorina Bianchi» commenta Filomena Gallo. E aggiunge: «Se si emanano divieti di quella portata significa che c’è un bene da tutelare. Ma nella norma non è identificato. Perché non viene chiarito cosa è il “concepito” e cosa è l’embrione. Con la Legge 40 hanno voluto introdurre dei reati che, a veder bene, corrispondono a precetti religiosi cattolici. E questo – sottolinea l’avvocato Gallo – è inammissibile in una democrazia». In Parlamento, va ricordato, il varo della Legge 40 fu possibile grazie a un accordo trasversale fra cattolici che sedevano nei banchi della destra come della sinistra. «Quando i Radicali nel 2005 proposero il quesito unico di abrogazione della norma per intero, riuscirono a coinvolgere anche la sinistra – dice il segretario dell’Associazione Coscioni -. L’allora segretario del Pd Fassino, in un primo momento, dichiarò che si poteva rivedere la Legge 40. E, dopo il disegno di legge firmato Amato, molti altri sono stati i Ddl per modificare la norma depositati in Parlamento, ma non sono mai stati calendarizzati per la discussione». Nonostante analisi puntuali come l’annuale Rapporto sulla secolarizzazione della società italiana stilato da Critica liberale con Cgil nuovi diritti documentino la costante crescita dello iato fra i comportamenti imposti dai dogmi cattolici e la vita reale degli italiani. La nuova edizione della ricerca, presentata nei giorni scorsi da Enzo Marzo, mostra chiaramente come sia cambiato anche il modo di vivere la genitorialità, affrontata come «una scelta sempre più consapevole», con un crescente ricorso alle misure anticoncezionali. La percentuale delle donne che prendono la pillola, per esempio, è passata dal 10,3% nel 1992 al 18,9% nel 2004. Attraverso centri per la difesa della vita e con attivisti nei consultori, la Chiesa «tenta di porre un freno a tutti questi cambiamenti, soprattutto riguardo alle scelte in materia di procreazione», si legge nel Rapporto. Interessanti sono anche i dati che riguardano l’aborto. E le differenze che emergono fra nord a sud. Se per esempio il tasso di abortività è del 9,5 % in Piemonte e del 9,1 in Toscana è solo il 6,5 in Sicilia. Questo perché in Sicilia il tasso di medici obiettori è dell’81 % contro il 66 % di Piemonte e Toscana. Altrettanto grandi sono le differenze nell’uso delle pillola Ru 486 per indurre l’aborto, usata nel 13 per cento degli aborti in Piemonte, nel 9 % in Toscana e solo pari al 6,5 % in Sicilia, come rileva Silvia Sansonetti ricercatrice della Fondazione Giacomo Brodolini. Per quanto riguarda le scelte etiche, infine, i matrimoni civili sono stati il 56 per cento nel 2011 in Toscana il 48,9 in Piemonte e solo il 24 % in Sicilia. Ma se la società italiana è sempre più secolarizzata e gli stessi cattolici (come risulta da una recente ricerca Univision), si dicono, per esempio, a favore della fecondazione assistita, la classe politica italiana resta perlopiù sorda.«Destra e sinistra hanno pari responsabilità nel voler mantenere questa legge – ribadisce Filomena Gallo -. Ma i cittadini , ricorrendo ai tribunali, hanno dimostrato che esistono norme che, insieme alla Costituzione, tutelano i diritti. E singoli cittadini hanno cercato di affermarli in ogni sede. Ciò che appare evidente ora – conclude Gallo – è il distacco della società civile dalla politica legata alle convenienze di potere»

 dal settimanale Left-avvenimenti

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Il Governo Monti ricorre contro la Corte europea dei diritti dell’uomo

Posted by Simona Maggiorelli su novembre 29, 2012

di Simona Maggiorelli

Mario Monti

Il governo Monti ha  presentato ricorso contro la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che il 28 agosto scorso ha giudicato la  Legge 40 sulla fecondazione assistita, una norma che lede i diritti umani.

Il  ministro della Salute Renato Balduzzi aveva preannunciato sull’Osservatore romano ( non su un giornale italiano, ma sul giornale del Vaticano) il proposito di ricorrere in appello contro la sentenza di Strasburgo sul caso di Rosetta Costa e Walter Pavan, una coppia italiana portatrice di fibrosi cistica che aveva visto riconociuto dall’Europa il diritto negato in Italia di poter accedere alla diagnosi genetica preimpiano per avere un figlio sano. Il  governo Monti  il 28 novembre ha dato seguito al proposito del ministro Balduzzi, lo ha fatto in corner, nell’ultimo giorno utile, quando le associazioni di malati speravano ormai che gli assurdi e antiscientifici divieti contenuti della norma italiana sulla fecondazione assistita sarebbero decaduti una volta per tutti.

Una decisione politica, in linea con i dettami del Vaticano e in contrasto aperto con la comunità medico scientifica. Ora il governo Monti dovrà rispondere ai cittadini italiani e in particolare a quelle, tante, coppie portatrici di malattie genetiche che sono costrette ad emigrare all’estero,  per poter accedere ( a costi altissimi)  a tecniche di diagnosi genetica preimpianto, per poter avere un figlio libero da tare genetiche e malattie invalidanti per le quali non c’è ancora una cura.

Lo scorso 28 agosto, è utile ricordare , l’Italia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo per violazione dell’articolo 8 della Carta europea dei diritti umani, che riguarda  le scelte familiari, ma anche il diritto all’autodeterminazione nelle scelte terapeutiche.  Negando alle coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche di poter accedere alla diagnosi genetica preimpianto, infatti,  la Legge 40/2004  si intromette indebitamente nel privato dei cittadini. Ma non solo.

Ad agosto, è utile ricordare, la  Corte di Strasburgo ha anche rilevato che la Legge 40 , in modo antiscientifico, confonde feto e bambino  e va contro l’equilibrata gerarchia di diritti stabilita nella legge 194/1978 che permette l’aborto  e riconosce che il diritto alla salute psicofisica della donna è prioritario  rispetto a quello dell’embrione, che non è persona. Ma queste importanti affermazioni evidentemente non sono state comprese dal Governo dei supertecnici guidato dal Premier Monti. Che con questa richiesta di ricorso in appello dimostra di essere del tutto sordo alle richieste dei malati che gli avevano rivolto numerosi inviti a non ricorrere. Ma si dimostra anche incurante delle 19 decisioni italiane ed europee  che dal 2004 a oggi hanno smantellato pezzo dopo pezzo la Legge 40,  perché giudicata  incostituzionale ed ideologica da Tribunali, Tar e Corte Costituzionale a vario titolo.

“La diagnosi pre-impianto permette due importanti risultati: evitare un aborto e mettere al mondo un figlio che non soffra. Mi chiedo perché questo governo non abbia agito mosso da questi semplici pensieri di rispetto del diritto della salute e abbia invece operato contro i cittadini italiani” commenta a caldo l’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’associazione Luca Coscioni. Che  promette di dare battaglia.  “Le associazioni di pazienti e  più dei 60 Parlamentari italiani ed europei che con l’Associazione Luca Coscioni avevano presentato un amicus curiae nel precedente procedimento dinanzi alla Corte Europea dei diritti umani  non si fermano qui: ci costituiremo davanti alla Grande Camera della  Corte Europea dei diritti dell’uomo, che dovrà pronunciarsi rispetto al ricorso italiano. Vogliamo che siano rispettati i diritti delle persone”.

La Grande Camera, infatti potrebbe anche confermare la decisione presa l’estate scorsa dalla Corte sul caso della coppia Costa -Pavan. “Quella del 28 agosto 2012 sotto il profilo giuridico è una decisione inattaccabile – commenta Filome Gallo – perché è stata presa all’unanimità. Tutti e 15 i giudici hanno espresso parare positivo motivandolo. Sono state già rigettate tutte le eccezioni avanzate dal governo italiano in prima istanza e speriamo che anche la Grande Camera possa proseguire su questa strada, noi gli offriremo tutte le informazioni necessarie per poter decidere con cognizione di causa”. Intanto l’associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica indice per il 30 novembre e il primo dicembre gli Stati generali dei diritti civili. Una due giorni  nella sala congressi del dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’università di Roma per discutere del caso Italia, unico Paese al mondo – dopo il Costa Rica – ad avere una legge sulla fecondazione assistita così zeppa di divieti.

left web – 28 nov 2012 20:09

Europeista con i forti, antieuropeo con i deboli:

le due facce del governo Monti

Mario Monti e Ratzinger

Mario Monti e Ratzinger

Il ricorso contro la sentenza Ue che accusa l’Italia di violare i diritti umani con la legge 40 sulla fecondazione assistita, mette a nudo una odiosa contraddizione

di Federico Tulli

Mentre la prossima settimana il governo del Costa Rica, dove la fecondazione assistita è proibita per legge, sarà giudicato dalla Corte interamericana dei diritti dell’uomo, il governo Monti (che si dice europeista e tecnico) presenta ricorso alla Corte europea dei diritti umani, contro la sentenza della Corte di Strasburgo che lo scorso agosto ha riconosciuto che la legge 40 viola l’articolo 8 della Carta dei diritti dell’uomo, intromettendosi nelle scelte familiari delle coppie e impedendone l’autodeterminazione quanto a scelte terapeutiche. Così, se il Costa Rica sarà costretto a rimuovere gli ostacoli ideologici che impediscono ai suoi cittadini di far ricorso alla fecondazione in vitro, l’Italia resterà l’unico Paese al mondo con divieti antiscientifici che colpiscono il diritto di accesso alle terapie di coppie portatrici di malattie genetiche. Come Rosetta Costa e Walter Pavan, genitori di una bambina affetta da fibrosi cistica, che volendo evitare di trasmettere a un’altra figlia una malattia così terribile e invalidante, avevano fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) per veder riconosciuto il proprio diritto di ricorrere alla fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto. Possibilità che la legge 40 del 2004 vieta alle coppie fertili, anche se portatrici di gravi patologie genetiche. La Corte di Strasburgo, come è noto, lo scorso 28 agosto ha emesso una sentenza che ha dato ragione alla coppia italiana, riconoscendo l’aspetto antiscientifico della norma italiana sulla fecondazione assistita che confonde feto e bambino, ma anche il fatto che la legge 40 è in contrasto con la 194 che stabilisce una chiara gerarchia di priorità fra diritto alla salute psicofisica della madre e diritti dell’embrione, che non è persona. Ma il governo Monti, sordo alle lettere di malati che chiedevano di non procedere contro la sentenza della Corte Europea, in corner, nell’ultimo giorno utile ha depositato alla Grande camera della Cedu il ricorso contro la sentenza.

Fatto “curioso”, in una nota Palazzo Chigi spiega che il rinvio alla Grande Chambre «si fonda sulla necessità di salvaguardare l’integrità e la validità del sistema giudiziario nazionale, e non riguarda il merito delle scelte normative adottate dal Parlamento né eventuali nuovi interventi legislativi». Salvaguardare l’integrità del sistema giudiziario nazionale? E le numerose sentenze emesse da tribunali italiani che dal 2004 a oggi stanno smontando pezzo dopo pezzo questa legge? Non solo, sempre nella nota si legge: «La Corte europea di Strasburgo ha deciso di non rispettare la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni, ritenendo che il sistema giudiziario italiano non offrisse sufficienti garanzie». Se così fosse allora perché non emendare subito la legge 40 e le sue linee guida accogliendo quanto ha stabilito proprio sulla stessa materia, il tribunale di Cagliari poche settimane fa quando ha riconosciuto a una coppia portatrice di talassemia il diritto di poter accedere alla diagnosi genetica preimpianto? Le tante associazioni di coppie infertili e portatrici di malattie genetiche da Amica Cicogna a Madre Provetta, dall’Associazione Luca Coscioni a Cerco un bimbo, aspettano dal Governo Monti una risposta.

da Babylonpost/Globalist

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Defanti: l’eugenetica non c’entra nulla con la diagnosi preimpianto

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 21, 2012

L’eminente neurologo Carlo Alberto Defanti denuncia l’infondatezza delle tesi di chi, acominciare dal ministro della Salute Renato Balduzzi,  vuole proibire la normale diagnosi preimpianto

di Simona Maggiorelli

Carlo Alberto Defanti

Fra i massimi esperti di bioetica e già primario di Neurologia al Niguarda di Milano, Carlo Alberto Defanti è lo specialista che ha avuto in cura Eluana Englaro. Dopo il libro  Soglie. Medicina e fine della vita (Bollati Boringhieri) ora pubblica per Codice edizioni, un saggio che ricostruisce la storia dell’eugenetica (Eugenetica, un tabù contemporaneo), indagando l’uso aberrante e strumentale che il nazismo fece delle idee di Francis Galtong, cugino di Darwin e fondatore dell’eugenetica.

Professor Defanti, come nasce l’eugenetica?

Nasce in stretta connessione con la teoria darwiniana dell’evoluzione della specie anche se non c’è un rapporto diretto di derivazione. Francis Galtong, il fondatore, la definì «la scienza che tratta di tutte le influenze che migliorano le qualità innate di una razza e di quelle che le sviluppano per il massimo vantaggio». Allora si temeva che il venir meno del meccanismo della selezione naturale nelle società umane potesse condurre a un declino della specie. Se ne vedevano esempi nella popolazione delle città industriali e nella diffusione dell’alcolismo e della criminalità. Nei Paesi in cui le idee di Galtong si tramutarono in legge, come gli Stati Uniti, i Paesi scandinavi e soprattutto la Germania hitleriana, esse portarono a provvedimenti inaccettabili di sterilizzazione delle persone con ritardo mentale. E ciò ha fatto crescere un discredito del movimento eugenetico, tanto che oggi chi  si oppone a qualsiasi intervento sul processo procreativo, anche se per prevenire la nascita di bimbi con gravi malattie, lo condanna come “deriva eugenetica”.

Il ministro della Salute Renato Balduzzi, politici cattolici  e quotidiani come l’Avvenire dicono, appunto, che la diagnosi preimpianto apre all’eugenetica, cosa ne pensa?

L’eugenetica galtoniana non c’entra proprio nulla. La diagnosi preimpianto è una pratica che la genetica umana moderna ha messo a punto da non molti anni e che viene regolarmente eseguita in molti Paesi europei. Le malefatte dell’eugenetica storica vengono usate per impedire l’accesso delle coppie consapevoli a procedure mediche collaudate e accettate.

Eugenetica

Volere un figlio sano, perché non debba patire inutilmente e morire presto per malattie genetiche devastanti e incurabili, può essere paragonato all’idea nazista di selezione della razza che, come lei scrive nel suo libro, ha dietro  un’idea di morte, di sterminio?

Sicuramente no. Anche qui entra in gioco quello che nel mio libro ho chiamato il ricorso scorretto al “tabù dell’eugenetica”.

La diagnosi prenatale e la diagnosi preimpianto dovrebbero essere considerate esami per la tutela della salute della madre e del nascituro, come accade per l’amniocentesi?

Non ho dubbi su questo, come non ne hanno le principali società scientifiche di genetica umana, che anzi lo suggeriscono nel quadro del counseling genetico delle coppie a rischio.

Ma se la diagnosi prenatale è eugenetica allora dovrebbe essere condannato come tale anche l’aborto terapeutico? 

In teoria con l’aborto terapeutico si ottiene lo stesso risultato che con la diagnosi preimpianto, ma, è ovvio, si tratta di un modo assai meno accettabile per la donna. Il paradosso italiano è che, mentre l’aborto terapeutico è consentito (dalla legge 194), non lo è la diagnosi preimpianto (dalla Legge 40).

Paventando «l’uomo bionico creato in laboratorio», il vescovo Mogavero ammoniva agli scienziati  che secondo l’alto «non dimenticare mai che esiste un solo creatore».

La posizione dei vescovi si rifà all’idea di “lasciar fare alla natura”; in altre parole, mentre la natura è “buona”, l’artificio è cattivo e pericoloso. Ma se fosse così la medicina moderna dovrebbe essere abbandonata, trattandosi di un enorme processo artificiale che, en passant, ha debellato le gravi malattie del passato ed ha contribuito all’allungamento della vita. Certo bisogna essere prudenti e sapere distinguere: ogni intervento sulla vita umana è passibile di essere usato a fin di bene ma anche per scopi non accettabili. Ma condannare in blocco ogni intervento non ha alcun senso.

da left-avvenimenti nunero 36 dell’8 settembre 2012

da La Stampa 12.9.12
L’eugenetica maledetta dal tabù nazista
La disciplina è figlia del darwinismo, ha influenzato scrittori, antropologi e politiche di welfare. Un saggio ne ripercorre la storia
di Oddone Camerana

Fin dal titolo il nuovo libro di Carlo Alberto Defanti Eugenetica: un tabù contemporaneo. Storia di un’idea controversa (Codice edizioni), evoca l’emarginazione cui è stata sottoposta l’eugenetica storica sul piano conoscitivo. Purgatorio dovuto al fatto di aver identificato riduttivamente quest’idea con la sua manifestazione più clamorosa, il razzismo nazista della prima metà del Novecento. Identificazione che le è costato il prolungato silenzio critico e storico da cui detta idea ha cominciato a uscire solo di recente.
L’aver rinchiuso l’eugenetica nel baule delle vergogne, dimenticando le manifestazioni più problematiche di quell’idea, ha rischiato di favorire chi ha cercato in seguito di seguirne le tracce sotto le mentite spoglie della genetica. Fenomeno, questo, evidente nei titoli di alcuni testi citati da Defanti: quello del sociologo americano Tony Duster Backdoor to Eugenics («La porta posteriore dell’eugenetica») 1990 e un articolo di Diane Paul Is Human Genetics Disguised Eugenetics («la genetica sugli umani è eugenetica camuffata? »). Ma al di là del pericolo descritto, rischio che riguarda l’attualità, sta di fatto che da un punto di vista più generale la lettura della cultura dell’Ottocento e del primo Novecento da cui l’idea eugenetica è stata rimossa perché indegna è una lettura purtroppo impoverita. Per sbagliata e perversa che sia stata, l’idea eugenetica ha comunque mosso una cospicua parte del pensiero otto-novecentesco uscito dal cappotto di Darwin. Lo sconvolgimento prodotto dal naturalista inglese è stato, per ciò che riguarda la perduta centralità dell’uomo rispetto alla natura, pari allo shock prodotto da Copernico per ciò che ha riguardato a suo tempo la perduta centralità del pianeta terra rispetto all’universo. In soccorso dell’uomo privato del suo ruolo tradizionale, smarrito a seguito del fatto di essere stato gettato nel coacervo dell’evoluzione naturale che lo riguardava insieme al resto del creato animale e vegetale, si sono espressi i più celebri nomi dell’eugenetica storica.
In questa luce i testi di scienziati, antropologi, filosofi come A. B. Morel e O. Spengler per limitarci ai pessimisti, o quelli di F. Galton, H. Spencer e G. Vacher de Lapouge e financo i romanzi di E. Zola e H. G. Wells, acquistano peso per la visione eugenetica in cui sono immersi. Il sospetto suscitato dalla teoria evoluzionistica darwiniana che la fase della selezione naturale si fosse conclusa, unito al timore che i meccanismi di protezione dei più deboli potessero sostituirsi alla selezione stessa, inceppando così il motore evolutivo, furono sufficienti ad attivare il darwinismo sociale, potente motore dell’eugenetica. Tra il ricovero in istituti come La Piccola Casa della Divina Provvidenza del Cottolengo dei disabili e il programma eugenetico delle «vite indegne di essere vissute» da eliminare, occorreva trovare una mediazione che facesse dimenticare il patto faustiano tra scienza medica e regime totalitario, la prima bisognosa di autorità e potere per affermarsi, il secondo pronto a offrirlo in cambio di legittimità scientifica.
Ciò detto per quanto riguarda il ruolo determinante dell’eugenetica storica, resta da far presente come non vadano dimenticati i campi di azione in cui quest’ultima fece sentire la sua influenza sebbene in maniera indiretta o in tono minore di quanto non avvenne per il razzismo. Senza il contributo dell’eugenetica storica, infatti, l’intervento dello Stato nell’igiene pubblica, nella sanità e nel welfare non avrebbero preso la dimensione assunta nel corso del tempo. Lo stesso dicasi per ciò che riguarda l’impulso dato alla biologia, alla scienza e alla tecnica, in genere al progresso di cui l’industria e la proletarizzazione delle masse urbanizzate non tardarono a mostrare i volti della degenerazione e della decadenza, gli incubi rappresentati dagli scrittori naturalisti come Zola e Dickens per fare due nomi tra i più noti. Di qui la nostalgia per la perduta purezza delle razze sentita da Gobineau, il senso del tramonto dell’Occidente descritto da Spengler, l’auspicata riforma della Giustizia per fronteggiare l’emersione degli atavismi criminali delineati da Lombroso, il sorgere del bisogno di separare la sessualità dalla procreazione, la voluttà e il piacere dalla riproduzione, come richiesto da Vacher de Lapouge e l’accanirsi del confronto tra natura e cultura, tra qualità innate (ereditate) e ambiente in senso lato.Se il pericolo di rimuovere l’idea eugenetica vale per il passato nei modi sopra descritti, in diversa misura vale anche per oggi sebbene in presenza di un contesto sociale, scientifico e culturale completamente mutato. Se infatti l’affermarsi dei diritti individuali, umani, soggettivi dei disabili e delle garanzie come quella del consenso medico informato da una parte e la realtà dei passi da giganti compiuti dalla biomedicina, dalla genetica dall’altra, sono insieme una rassicurazione che gli orrori razziali trascorsi prodotti dall’eugenetica sono solo un ricordo, questo non toglie che l’idea eugenetica sia del tutto sconfitta. La pratica del counseling genetico, per fare un esempio, può nascondere forme di imposizione demografiche legate alla concessione di licenze matrimoniali vantaggiose. La possibilità della manipolazione della vita resta pertanto una minaccia che il business procreativo è in grado di coprire dietro promesse di qualità della vita. La massima confuciana secondo la quale la vita non inizia prima della nascita lascia molte strade aperte alla biopolitica.

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Eterologa, una sentenza pilatesca

Posted by Simona Maggiorelli su Maggio 26, 2012

Corriere 23.5.12
Consulta, rimane il divieto della fecondazione eterologa
Salva la legge 40, atti ai tribunali. Roccella: caso chiuso
di Margherita De Bac

ROMA — Il fronte del sì alla fecondazione eterologa ci sperava e si diceva ottimista. Invece i giudici della Corte costituzionale che ieri si sono riuniti per discutere la legittimità del divieto previsto dalla legge italiana non si sono pronunciati nel merito.
Hanno rinviato la decisione ai tribunali ordinari di Firenze, Catania e Milano che, nel valutare i ricorsi di tre coppie, avevano avanzato richiesta di incostituzionalità di quel divieto alla Consulta. In pratica, tutto resta come prima. Le coppie infertili non potranno utilizzare nei nostri centri la tecnica che impiega gameti (ovociti e spermatozoi) appartenenti a individui estranei alla coppia.
Saranno necessari almeno dodici mesi, secondo la previsione degli avvocati coinvolti in questa battaglia legale, per sapere se potrà essere abbattuto l’ultimo pilastro della legge 40 che dal 2004 regola il sistema della procreazione medicalmente assistita in Italia. La rigidità del provvedimento è stata via via ammorbidita a colpi di sentenze. Prima è saltato il limite di fecondare tre ovociti, poi quello di fare diagnosi sull’embrione prima di trasferirlo nell’utero e di conseguenza è stato riammesso il congelamento degli ovuli fecondati e non utilizzati subito. Ma per il definitivo ed eventuale ultimo colpo di spugna bisogna aspettare. Ieri la Corte ha richiamato in gioco i giudici civili ritenendo che spetti a loro «valutare la questione alla luce della sentenza, risalente allo scorso novembre, dunque successiva ai ricorsi, pronunciata dalla Corte Europea sui diritti dell’uomo di Strasburgo». Ora i tre tribunali dovranno riformulare la richiesta di illegittimità del divieto. Gli atti esaminati ieri dalla Consulta non prendevano infatti in considerazione la sentenza della Grande Camera di Strasburgo (una specie di Corte costituzionale europea), che accogliendo un ricorso del governo austriaco appoggiato da quello italiano, aveva affermato la legittimità del divieto (parziale) di eterologa. E aveva raccomandato di rivalutare comunque la legge alla luce delle recenti evidenze scientifiche sulle tecniche. Un invito vincolante per gli Stati membri.Per i sostenitori del no all’eterologa è un successo: «Avrebbero potuto respingere le nostre obiezioni», commentano con ottimismo in una nota congiunta Filomena Gallo, vicepresidente dell’associazione Luca Coscioni, Giandomenico Caiazza e Gianni Baldini, gli avvocati che assistono le coppie dei ricorsi a Milano, Catania e Firenze. La ginecologa Mirella Parachini, vicepresidente di Fiapac (Federazione internazionale degli operatori dell’aborto e della contraccezione) è soddisfatta: «Sono stati tutelati i diritti delle coppie sterili, costrette ad emigrare per realizzare i progetti di famiglia». Secondo Livia Turco, deputata del Pd, «è evidente che il Parlamento deve assumersi la responsabilità di rivedere la legge 40. La politica non può permettere che l’equilibrio di quel testo sia trattato dai tribunali». Tutto il contrario per Eugenia Roccella, ex sottosegretario alla Salute, che sostiene la validità dell’impianto originario delle norme del 2004: «La questione è nella sostanza chiusa. Noi avevamo affiancato l’Austria presso la Corte di Strasburgo. Un nuovo ricorso non avrebbe basi. Certo resto sempre sorpresa dalla capacità dei tribunali di arrampicarsi sugli specchi con interpretazioni creative su leggi che non piacciono».

l’Unità 23.5.12
Eterologa, la Consulta salva la legge 40
La Corte Costituzionale ha rinviato il quesito ai tribunali: «Valutate la sentenza di Strasburgo», per la quale il divieto è legittimo
I legali delle coppie: «Non è un sì, ma neppure un no. La strada è ancora aperta». E intanto 5mila italiani vanno all’estero
di Mariagrazia Gerina

Le coppie che chiedono di poter accedere alla fecondazione eterologa, nonostante il divieto imposto dalla legge 40, non hanno ottenuto un sì dalla Corte Costituzionale. Ma neppure un no. «È una sentenza interlocutoria e dunque positiva», li incoraggiano gli avvocati, che li hanno assistiti in questo lungo percorso legale giunto fino alla Suprema Corte.
I giudici della Consulta, dopo due ore di udienza e una camera di consiglio meno lunga del previsto, infatti, per ora, non si sono pronunciati sulla compatibilità con la Costituzione di quell’articolo 4 comma 3 della legge 40 che recita: «È vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo». Ma con la sentenza di ieri sera si sono limitati a rinviare nuovamente il quesito sulla legittimità del divieto imposto dalla legge 40 ai magistrati che, sollecitati dalle stesse coppie, lo avevano formulato. Nella richiesta delle coppie, inoltrata dai magistrati alla Consulta nei primi mesi del 2010, infatti, ci si appellava tra l’altro a un pronunciamento della Corte europea a favore del “diritto all’eterologa”, poi però come fanno notare i Supremi giudici corretto dalla Grande Chambre. Dunque, in sostanza, i giudici della Consulta chiedono ai magistrati di riconsiderare il loro quesito alla luce di quella sentenza.
Severino Antinori parla di una decisione «pilatesca». Ma i difensori delle tre coppie una di Catania, una di Firenze, l’ultima di Milano -, che, in tempi diversi, due anni fa, al no ricevuto dai centri di procreazione assistita avevano risposto facendo ricorso ai rispettivi tribunali, sono decisamente meno tranchant. Il divieto imposto dalla legge 40 vive. Non è stato corretto dalla Corte Costituzionale. Ma la strada per le coppie che chiedono di rimuoverlo non è sbarrata. «Si tratterà solo di riformulare meglio il quesito», spiega l’avvocato Filomena Gallo, uno dei legali delle coppie. Che incassa: «La Corte non ha rigettato la nostra richiesta». Mentre la stessa sentenza della Grande Chambre, citata dai Supremi giudici spiega non pregiudica nulla.
La vicenda è complessa. L’11 marzo 2010 la Corte europea, a cui si erano rivolte due coppie austriache, aveva dato loro ragione e si era pronunciata contro il divieto all’eterologa imposto anche dalla legge austriaca (che consente però la cosiddetta eterologa «in vivo»). Ma quella sentenza a cui avevano fatto riferimento le coppie italiane era stata poi corretta il 13 novembre 2011 dalla Grande Chambre della stessa Corte europea, a cui si era appellata con l’Austria anche l’Italia, ottenendo ragione. «Vietare l’eterologa è legittimo», avevano esultato i sostenitori nostrani del no all’eterologa. «Quella sentenza ha stabilito la autonomia legislativa degli Stati membri e la plausibilità di vietare la fecondazione artificiale eterologa», ha ripetuto ieri Scienza e Vita.
E però «come abbiamo fatto notare durante l’udienza spiega l’avvocato Giandomenico Caiazza, legale di una delle coppie quella sentenza della Corte va storicizzata: il caso sollevato dalle due coppie austriache risaliva alla fine degli anni 90,oggi 39 Paesi del Consiglio europeo consentono l’eterologa, mentre il divieto assoluto resta solo per l’Italia, la Lituania e la Turchia».
Oltretutto fa notare Filomena Gallo la Grande Chambre in quella sentenza invitava anche gli Stati membri a legiferare «tenendo conto dell’evoluzione scientifica delle tecniche e delle rispettive Costituzioni nazionali». E proprio dalla Costituzione italiana spiega citando il diritto all’uguaglianza, alla famiglia e alla salute dovrà essere riscritto a suo avviso il nuovo quesito. «Si tratta di attendere ancora qualche mese», dice. Le coppie che hanno fatto ricorso sono giovani. Almeno altre 5mila nel 2011 sono andate oltrefrontiera per fare quello che in Italia non si può, ma all’estero sì.

Repubblica 23.5.12
Lo spiraglio della Corte
di Stefano Rodotà

La decisione della Corte costituzionale sulla legge in materia di procreazione assistita lascia aperta la questione della legittimità del divieto della fecondazione eterologa. Infatti, invitando i tribunali che avevano sollevato la questione a riesaminarla tenendo conto di una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell´uomo, i giudici della Consulta hanno ritenuto necessario un ulteriore approfondimento, così mostrando di considerare insufficienti gli argomenti di chi aveva chiesto una sentenza che riaffermasse senz´altro la costituzionalità di quel divieto.
Come si sa, il divieto di ricorrere alla procreazione assistita è all´origine di un consistente «turismo procreativo», che obbliga ogni anno migliaia di donne italiane a recarsi in altri paesi per ricorrere ad una tecnica ormai accettata quasi ovunque. Non volendo continuare a subire questo stato delle cose, alcune coppie si sono rivolte ai tribunali che, non ritenendo infondata la questione di illegittimità riguardante quella norma, hanno investito del problema la Corte costituzionale.
L´ulteriore approfondimento richiesto ieri è basato su una sentenza della Corte di Strasburgo che, modificando un suo precedente orientamento, in un caso riguardante l´Austria ha riconosciuto agli Stati la possibilità di vietare la fecondazione eterologa.Molte sono le ragioni che inducono a ritenere che questo rinvio non possa essere inteso come il segno di un orientamento comunque negativo della Corte costituzionale di fronte alla richiesta di rimuovere quel divieto dal nostro ordinamento. Nella sentenza europea, tecnicamente assai complessa e che si è attirata critiche ben argomentate, si trova infatti più di un elemento che consente di darle una lettura non necessariamente preclusiva della possibilità di allineare il nostro agli altri sistemi giuridici, con una decisione rispettosa dei diritti fondamentali delle persone. Interpretando quella sentenza, e chiedendosi fino a che punto possa essere ritenuta vincolante in Italia, non si può dimenticare che, «laddove una aspetto particolarmente importante dell´esistenza e dell´identità dell´individuo sia in gioco, il margine consentito ad uno Stato sarà di norma limitato».
Queste sono parole contenute in altre sentenze della Corte europea, che i giudici di Strasburgo questa volta sembrano aver dimenticato e che, tuttavia, consentono di utilizzare brani dell´ultima sentenza in modo da poter giungere alla conclusione che essa non debba essere intesa come un via libera a qualsiasi divieto che il legislatore italiano voglia imporre. Pur non potendo qui analizzare nei dettagli tecnici quella decisione, si può ricordare che proprio la Corte di Strasburgo ha riconosciuto che le scelte procreative sono espressione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, affermato dall´articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell´uomo. E che, in materie caratterizzate da forti dinamiche determinate dalle innovazioni scientifiche e tecnologiche, è indispensabile tener conto del contesto e della sue variazioni. Argomento non trascurabile in via generale, e che appare particolarmente rilevante in questo caso, visto che la legge austriaca era del 1999 e che in questi anni molte cose sono radicalmente cambiate nel mondo della procreazione assistita.
Ma vi è un altro punto, davvero essenziale, che non può essere trascurato.
Il riferimento alla sentenza di Strasburgo e il suo necessario approfondimento non cancellano il fatto che la legittimità del divieto impugnato deve essere valutata alla luce dei principi fondamentali della Costituzione italiana.
Principi che, questa volta, riguardano in particolare l´eguaglianza e il diritto fondamentale alla salute. L´eguaglianza è violata perché il divieto della fecondazione eterologa discrimina le coppie alla cui infertilità può essere posto rimedio solo con questa particolare tecnica, che offre loro la possibilità di rendere concrete le loro scelte procreative al pari di ogni altra coppia. La legge 40 sulla procreazione assistita, peraltro, è concepita come strumento per la «soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità e dalla infertilità umana», ed è dunque collocata nel quadro della tutela della salute.
Poiché l´articolo 32 della Costituzione qualifica la salute come diritto «fondamentale», il divieto di accesso a determinate tecniche viola proprio questo diritto. Si deve aggiungere che, con la sentenza n. 151 del 2010, che ha dichiarato illegittime altre norme della stessa legge 40, la Corte ha ricordato che «la giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente posto l´accento sui limiti che alla discrezionalità legislativa pongono le acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l´arte medica; sicché, in materia di pratica terapeutica la regola di fondo deve essere l´autonomia e la responsabilità del medico che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali». Le pretese del legislatore-scienziato, che vuol definire che cosa sia un trattamento terapeutico, e del legislatore-medico, che vuol stabilire se e come curare, vengono esplicitamente dichiarate illegittime.
La Corte non ha deciso di non decidere, ma di avviare una fase di ulteriore riflessione, durante la quale le questioni qui accennate potranno essere meglio approfondite. Ma un Parlamento degno di questo nome, consapevole della continua delegittimazione che gli deriva dal fatto che una sua legge obbliga le persone ad aggirarla per far valere i propri diritti, dovrebbe esso stesso porre fino a questo stato delle cose. Che mortifica le persone e fa rinascere la cittadinanza «censitaria», perché solo chi è fornito di adeguate risorse finanziarie può recarsi all´estero e rendere effettivo un proprio diritto.

Repubblica 23.5.12
Il ginecologo Flamigni: la società civile italiana è più avanti della politica
“Ma la norma è destinata a saltare non possiamo isolarci dall’Europa”
Anche qui il concetto di genitorialità è cambiato. Essere padre o madre non è soltanto una questione di gameti

ROMA – «Mi sa che vado a vivere a san Marino. Siamo un paese assurdo, siamo l´unica nazione in Europa, a parte forse Andorra, a vietare qualsiasi tipo di eterologa». Il professor Carlo Flamigni, tra i pionieri dalla fecondazione assistita e tra i primi a fare l´eterologa in Italia quando non c´era ancora la legge 40, scherza ma non troppo.
Cosa pensa della sentenza?
«Credo sia un modo di prendere tempo, vista la situazione internazionale l´Italia non può restare così al di fuori dell´Europa con una legislazione cosi profondamente diversa e lontana dalla società civile. Sono convinto che alla fine il divieto di eterologa salterà».
Società più avanti della politica?
«Non solo all´estero, anche qui è ormai cambiato il concetto di genitorialità, insomma essere padre o madre non è mica questione solo di gameti».
Ora cosa accadrà?
«Ripartiranno, a migliaia andranno all´estero con alti costi finanziari e umani, col rischio di finire in centri poco seri, come quella coppia che si è ritrovata sola in difficoltà con un figlio malato forse perché non gli hanno fatto gli esami giusti. E invece noi come Stato abbiamo l´obbligo di tutelare i nostri concittadini e non solo».
Non solo?
«Quando ci decideremo ad essere un stato veramente laico in cui i cittadini hanno diritti e libertà di scelta?»
E a chi parla di vendita di ovociti?
«All´estero in alcuni casi è vero. Da noi, prima che la legge 40 la vietasse, a Bologna per anni abbiamo fatto l´eterologa e le donazioni erano tutte gratuite, nessuna donna ha mai preso una lira. C´era il senso del dono, della solidarietà nel dare gli ovociti in sovrannumero, regalare speranza. Le venete erano le più generose».
(c.p.)

Repubblica 23.5.12
Roccella (Pdl): per chi vuole ribaltare la legge 40 la strada è in salita
“Troppa ideologia in quelle richieste ora non ci sono più appigli giuridici”
Può ancora accadere di tutto: da noi i magistrati pretendono di fare le norme invece di limitarsi ad applicarle
di Elena Dusi

ROMA – «Decisione molto ragionevole» è il commento a caldo di Eugenia Roccella, deputato del Pdl. «È la dimostrazione che i tribunali da cui il ricorso era partito hanno agito con troppa fretta. Una fretta che dimostra tutte le loro motivazioni ideologiche».
In realtà la Consulta non è entrata nel merito. Perché allora definisce la decisione ragionevole?
«Perché i tribunali avevano fatto ricorso sulla base di una sentenza della Corte Europea che nel frattempo è stata ribaltata. La prima decisione era favorevole all´eterologa, quella finale contraria. Come avrebbe potuto la Consulta accogliere il ricorso alla luce della nuova situazione? È logico che abbia restituito la palla ai giudici».
Però la Corte Costituzionale non ha chiuso definitivamente la porta all´eterologa.
«È vero, la porta non è chiusa, ma la strada per chi volesse presentare un nuovo ricorso si presenta ora molto in salita. Ribaltata la decisione della Corte Europea, non esistono più appigli giuridici per rimettere in discussione il divieto di fecondazione eterologa».
Perché si è arrivati a questo stallo?
«È evidente che i tribunali ricorrenti hanno agito su base ideologica. Altrimenti non avrebbero avuto tanta fretta e avrebbero atteso la sentenza definitiva della Corte Europea. Da noi i tribunali pretendono di fare le leggi, invece di limitarsi ad applicarle».
Forse i giudici volevano solo tutelare l´interesse di coppie per le quali il tempo è un fattore importante.
«Forse, ma non mi pare che ci siano riusciti. E comunque avrebbero dovuto agire seguendo la legge».
Cosa si aspetta ora?
«In questo paese dove i tribunali hanno tale eccesso di creatività può accadere di tutto. Ma ne sono convinta: per loro la strada ora è tutta in salita».

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Fertile laicità

Posted by Simona Maggiorelli su Maggio 26, 2012

I nuovi risultati di cura ottenuti con le staminali embrionali  impongono di ripensare l’agenda della biotica imposta dal governo Berlusconi. Il senatore Pd Ignazio Marino riapre la discussione su fecondazione assistita biotestamento e ricerca

di Simona Maggiorelli

Il senatore e chirurgo Ignazio Marino

Ospedale San Filippo Neri, uno dei centri più importanti fra quanti nel Lazio, fra pubblico e privato, praticano la fecondazione assistita. Il 27 marzo scorso un addetto alla gestione della sala di crioconservazione si è accorto che la temperatura toccava i venti gradi invece dei meno 190 previsti per i 94 embrioni, i 130 ovociti e i 5 campioni di liquido seminale lì  conservati. Un incidente, si è detto. «Questa è una vicenda che mi ha lascia sbigottito. Come presidente della Commissione d’inchista sulla sanità del Senato ho avviato un’inchiesta» racconta il senatore Pd e luminare della chirurgia Ignazio Marino. «Dalla relazione dei Nas ho appreso che il San Filippo Neri, come altre strutture analoghe del Lazio da otto anni lavoravano senza che vi sia stato un sopralluogo delle autorità amministrative. Proprio nella regione dove i conflitti su questi temi sono stati accesissimi queste strutture non hanno sentito l’esigenza di accreditarsi dal punto di vista strutturale e professionale». Ma non è tutto.

«Leggendo l’istruttoria», prosegue Marino, «mi sembrava di avere in mano un romanzo a cui mancava l’ultimo capitolo. Erano descritti tutti gli aspetti dell’incidente. Che fine avevano fatto quegli embrioni? Ebbene, con mio grande stupore, ho saputo che sono ancora lì sigillati, a marcire. E allora come  medico e ricercatore ma anche come senatore presidente di una commissione di inchiesta mi chiedo perché non hanno detto una parola tutti coloro che fino all’altro ieri hanno alzato barricate nel sostenere le loro idee sulla vita, sulla ricerca scientifica, contro l’uso di cellule staminali embrionali che oggi sappiamo possono guarire malattie finora incurabili». Una questione, questa della ricerca sulle staminali embrionali che in Italia è particolarmente scottante, visti i molti paletti legislativi e ideologici che sono imposti ai ricercatori che lavorano in questo settore. Di questo tema Ignazio Marino parla anche nel suo nuovo libro Credere e conoscere (Einaudi); inaspettatamente, visto che si tratta di un dialogo con il cardinale Carlo Maria Martini. «Il 31 dicembre 2011, chiudendo le bozze del libro, pensavo a cosa poteva accadere se fosse andato a buon fine uno degli esperimenti che stavano facendo in Inghilterra con embrioni abbandonati nelle cliniche di infertilità nel tentativo di curare persone paralizzate da un trauma della colonna vertebrale e  rese cieche da una maculopatia della retina», ricorda Marino. Poi la notizia a lungo attesa, in primis dalle persone affette da questa patologia invalidante. Sulla rivista medica The Lancet di recente è apparso uno studio in cui si riporta il caso di una donna che è tornata a vedere dopo che in California le sono state iniettate nella retina cellule derivate da staminali embrionali. «Adesso riesce a contare le dita di una mano e a percepire il contrasto dei colori» sottolinea Marino. «Quello che mesi fa era solo un’ipotesi ora e scientificamente provato. Non possiamo più continuare ad affrontare in Italia questi temi con l’idea di tifoserie opposte riottose ad affrontare l’urgenza delle persone che soffrono e che ora possono avere una cura con queste preziosissime cellule. Dove è la nostra etica se non ci scandalizziamo per il fatto che gli embrioni abbandonati non possano essere usati a a scopi terapeutici e anzi vengono lasciati a spegnersi nel freddo? Quando dei ciechi chiederanno di poter riprendere a vedere grazie all’uso delle embrionali, gli diranno che eticamente è più giusto che essi rimangano ciechi?».

Ma in Italia, si sa la legge 40/2004 anche se non vieta direttamente di fare ricerca sulle embrionali, ipocritamente, costringe i ricercatori a lavorare solo su linee cellulari derivate all’estero. Intanto il caso di una coppia che andata a Creta a sottoporsi alla fecondazione eterologa pee non trasmettere al figlio una malattia genetica ha scritto al presidente della Repubblica per raccontare l’odissea delle coppie costrette ad “emigrare” per affermare i propri diritti. Talvolta, come in questo caso, senza successo. Di fronte alla tragedia della coppia che dopo la terapia a Creta non è riuscita a evitare la trasmissione della malattia al nascituro l’Avvenire non ha trovato di meglio che parlare di «illusione eugenetica della provetta eterologa» stigmatizzando i media che hanno sollevato il caso della coppia, come fosse un tentativo di pilotare la decisione dei giudici della Consulta che il 22 maggio si  dovrà pronunciare sulla legittimità costituzionale del articolo 4 (comma 3) della legge 40 che vieta l’eterologa. Secondo i dati rilevati dall’Osservatorio del turismo procreativo riportati in Fecondazione e(s)terologa, firmato per L’Asino d’oro dai ginecologi Carlo Flamigni e Andrea Borini, risulta evidente che la legge 40 con i suoi diktat ha costretto molte coppie a scegliere di cercare fuori dall’Italia la via per una gravidanza. Da un’indagine sul 2005 risulta che nel primo anno dopo l’entrata in vigore della norma sono state ben 3610 le coppie italiane che si sono rivolte a centri specializzati esteri. Per rendersi conto di cosa ha determinato la norma basti dire che nel 2003, il ricorso alla eterologa fuori dai confini era stato scelto solo da 1318 coppie che si potevano permettere di spendere fino all’equivalente di 30mila dollari nelle cliniche Usa o britanniche. «Devo dire la verità», commenta il senatore Marino, «Io sono favorevole alla eterologa, ma mi sentirei di avanzare una proposta, ovvero che si possa evitare che i bimbi nati con questa metodologia poi da adolescenti possano andare a cercare i loro genitori biologici. Dal mio punto di vista è importante proteggere i rapporti e gli affetti con cui il ragazzo è cresciuto, quella che è realmente la sua famiglia». Quanto invece alle linee guida della legge 40 (e peggiorative della norma), varate fuori tempo massimo dall’ex sottosegretaria Eugenia Roccella, quando il governo Berlusconi era già caduto, il chirurgo e senatore Marino ha pochi dubbi: «C’erano già delle linee guida accettabili varate sotto il governo Prodi, mi auguro che il governo Monti ne faccia tesoro». Ignazio Marino collaborò alla loro stesura, come e ancor più si è impegnato negli anni a mettere a punto una buona legge sul testamento biologico. Come è noto, però, l’ex governo Berlusconi ha fatto di tutto per far passare in fretta e furia alla Camera un disegno di legge che lo stesso Marino definisce «contro il testamento biologico e contro la libertà di scelta». «Stiamo parlando di un testo che imponeva a ciascuno di noi di sottoporci a terapie come l’idratazione e l’alimentazione forzata anche contro la nostra volontà. Il governo Berlusconi era determinato ad approvarla entro il dicembre 2011. Ma con l’insediamento del governo Monti quel testo deve essere finito in qualche polveroso cassetto del Senato e ho la sensazione che non riemergerà per questa legislatura. «Questo fa maliziosamente pensare», conclude Marino,«che l’urgenza del governo Berlusconi non fosse legata ad un irrefrenabile e appassionato desiderio di dotare il Paese di una legge importante sulle terapie del fine vita ma che fosse uno strumento ideologico da usare all’interno del dibattito politico e parlamentare. Spero proprio che quel disegno di legge finisca nel dimenticatoio. Lo dico come persona che crede nella laicità dello Stato e nei diritti delle persone».

da left avvenimenti del 19 maggio 2012

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