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Federico II, il re scienziato. Raccontato da Pietro Greco

Posted by Simona Maggiorelli su novembre 29, 2014

federico II  exultet, salerno Biblioteca Capitolare

federico II exultet, salerno Biblioteca Capitolare

La Sicilia medievale non fu solo la culla della poesia italiana. Ma anche del metodo sperimentale. Che il sovrano usò nei suoi studi. Lo ricostruisce Pietro Greco nel libro, La scienza e l’Europa. Dalle origini al XIII secolo, edito dall’Asino d’oro (il volume sarà presentato oggi alle 17,30 alla Feltrinelli di Latina da Federico Tulli e Felice Costanti). Eccone un estratto
di Pietro Greco
Federico interroga i filosofi naturali in maniera sistematica. E non solo quelli della sua corte. Anzi, le serie di domande più significative sono rivolte a filosofi islamici che vivono nelle terre arabe, in particolare a Ibn Sab‘ıˉn (1217-1270), e al matematico pisano Leonardo Fibonacci…

Seguiamo l’intenso scambio epistolare, tutt’altro che convenzionale, che, tra il 1237 e il 1242, intercorre tra il ‘re dei Romani’ e Ibn Sab‘ıˉn: dopo l’inusuale crociata che lo ha incoronato re di Gerusalemme, Federico cerca di interloquire in maniera sistematica con i filosofi islamici. Ha una serie di cinque domande fondamentali – passate alla storia come le “questioni siciliane” – che non riguardano solo la filosofia naturale, ma la filosofia tout court. Attengono, infatti, all’eternità dell’universo, al fine ultimo della teologia, alle categorie di Aristotele, all’immortalità dell’anima.

L’ultima domanda, la quinta, esula addirittura dalla filosofia ed è considerata una curiositas.

I quattro temi principali sono al centro di un dibattito che si va sviluppando in Europa, proprio dopo le traduzioni degli scritti di Aristotele e delle loro interpretazioni. In primis quella di Averroè.
Federico è curioso di sapere cosa ne pensino i filosofi islamici, che lui considera, non a torto, di un livello culturale non ancora raggiunto nell’Europa occidentale. Invia, dunque, le sue domande in giro per il mondo islamico, ai migliori filosofi di Egitto, Siria, Yemen, Iraq…

Come in poesia, infatti, Federico non si limita a studiare la filosofia naturale e organizzare la cultura scientifica alla sua corte. Il re non è solo un mecenate. È anche un attore in prima persona. È un filosofo naturale, il primo in Europa che fa ricerca, ottiene risultati originali e li pubblica. Il primo che ottiene nuova tecnologia dalle sue ricerche. Dopo lunghe osservazioni empiriche e studi teorici durati trent’anni, scrive infatti un libro che rappresenta una pietra miliare nella storia della scienza. Almeno nella storia della scienza europea e italiana: il De arte venandi cum avibus. Un manuale di oltre mille pagine sull’arte della caccia con il falco, che circola in molte copie illustrate per tutto il XIII e anche il XIV secolo e che può essere considerato, a giusto titolo, il primo prodotto originale di filosofia naturale in Europa. Insomma, il primo libro europeo che contiene nuove conoscenze sulla natura. Un libro, per intenderci, che nella filosofia naturale ha un ruolo analogo a quello del Liber abaci di Fibonacci in matematica.

Nell’elaborare il suo De arte venandi cum avibus Federico II non si limita neppure a descrivere le sue esperienze, ma segue un percorso complesso che prevede tutti gli stadi della ricerca che oggi definiamo scientifica.
Inizia da un’analisi attenta e completa della letteratura esistente, che è, soprattutto, letteratura greca e araba. Cerca così tutti i trattati di ornitologia e, più in generale, tutti i trattati che riguardano gli animali e, alcuni, li fa tradurre. Studia in particolare il De animalibus di Aristotele. Ma chiede: a Michele Scoto di realizzare un compendio del De animalibus di Avicenna; a Teodoro di Antiochia di tradurre in latino il Moamin, il celebre trattato di falconeria scritto dal medico arabo al-Balkhıˉ (850-932); a Giordano Ruffo (m. 1257) di scrivere un trattato di veterinaria equina, Hippiatria, il primo trattato di veterinaria realizzato in Europa. L’analisi della letteratura esistente è solo il primo passo, l’azione propedeutica, per la ricerca empirica. Non bisogna, infatti, dare per scontato che quello che hanno scritto gli antichi, anche i più grandi, sia vero. Scrive in maniera esplicita Federico: «Su molti argomenti Aristotele, come abbiamo appreso attraverso l’esperienza, sembra discostarsi dal vero soprattutto a proposito delle nature di alcuni uccelli. Non seguiamo perciò punto per punto il principe dei Filosofi in quanto verosimilmente egli praticò poco o nulla la caccia con gli uccelli che noi invece abbiamo sempre amata e praticata». Non vale, dunque, l’ipse dixit. Ed è possibile intravedere in queste parole almeno un’anticipazione di quello scetticismo sistematico che è uno dei valori fondanti della scienza.
Con questo bagaglio di conoscenze e di sano scetticismo, Federico compie poi una serie di esperimenti per chiarire questioni che la letteratura non ha ancora risolato. Per esempio verifica in Puglia che le uova di struzzo possono essere incubate al sole. Dimostra che gli avvoltoi mangiano solo animali morti…

Con il suo libro, dunque, Federico non si propone solo come il primo sovrano europeo dedito alla ricerca sperimentale, ma come uno dei primi scienziati europei, come uno dei primi studiosi che, nell’appendice più occidentale dell’Eurasia, è stato capace di produrre nuove conoscenze con il metodo sperimentale, fornendo dal Regno di Sicilia un contributo forse non ancora pienamente apprezzato nella costruzione di una identità europea….
Con lamorte di Federico II nel 1250 un’epoca si chiude e un’altra se ne apre. Con la sua scomparsa comincia la lezione della sua eredità in cui possiamo davvero ritenere chiuso il Medioevo: il primato della sperimentazione scientifica, il prevalere della logica sulla teologia. Non è esagerato attribuire a Federico un ruolo così importante. In fondo, lo abbiamo visto, alla sua corte e nato o, comunque, ha avuto un forte sviluppo il diritto moderno; e nata la letteratura italiana e si e affacciata in Europa la scienza sperimentale. Con lui il conflitto tra Chiesa e impero diviene, per la prima volta, un conflitto anche tra fede e ragione.

All’apice di uno scontro senza precedenti, Gregorio IX accusa Federico di andar dicendo che l’uomo non dovrebbe credere in qualche cosa che non possa essere provato dalla forza e dalla ragione della natura.

Certo, Federico si e lasciato largamente influenzare dal modo di operare dei sultani islamici. Ma nulla di simile si era visto mai in Europa. Certo, altri sovrani europei vanno manifestando, in questa prima parte del XIII secolo, interessi analoghi. Segno evidente che Federico non rappresenta una fluttuazione strana, ma la punta emergente del bisogno di un nuovo ordine, del bisogno sociale diffuso di nuova conoscenza, di nuovo sapere intorno alla natura, di cultura scientifica. Ma, appunto, e lui la punta emergente. Non altri. Leonardo Fibonacci in matematica e Federico II nelle scienze naturali, con la loro capacità di produrre nuova conoscenza, possono essere considerati, a giusta ragione, i primi scienziati d’Europa. I pionieri che danno inizio a un’avventura inedita nel continente, che immediatamente si consolida e che costituisce il collante di un’identità.

( estratto dal libro di Pietro Greco pubblicato come anticpazione della rivista Left)

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