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Scandalosa Edna

Posted by Simona Maggiorelli su dicembre 8, 2013

 

Edna O'Brien, Country girl

Edna O’Brien, Country girl

I suoi libri furono arsi sul sagrato delle chiese. Perché giudicati immorali. In romanzi come Ragazze di campagna  Edna O’Brien ha saputo raccontare l’universo femminile parlando di desiderio, di passione, ma non solo. Scandagliando la vitale e talora sanguinosa dialettica fra uomo e donna. Nel memoir Country girl la scrittrice irlandese ripercorre la prima avventura umana e creativa

di Simona Maggiorelli

Il suo primo romanzo, Ragazze di campagna (1961), fu bruciato sul sagrato della chiesa nel piccolo paese, Tuamgraney, dove Edna O’Brien è nata nel 1930. Il ministro dell’Economia irlandese e il vescovo si trovarono d’accordo nel giudicare quel folgorante esordio un libro immondo, che non doveva stare in nessuna casa timorata di Dio. Sembra una storia quasi ottocentesca, quella che la scrittrice racconta nella sua autobiografia, Country girl (Elliot), ma accadeva agli inizi degli anni Sessanta nell’Irlanda cattolica e bigotta, dove le ragazze venivano mandate a studiare in convento dalle suore e, a parte le solite «angoscianti preghiere», le uniche pagine che si potevano leggere erano quelle del giornale Irish messenger, impegnato «a scongiurare l’influsso delle peccaminose orchestre da ballo e a contrastare l’avanzata del comunismo».

Anche in casa O’Brien gli unici libri che circolavano erano breviari e storie agiografiche. Per il resto la madre di Edna guardava alla parola scritta con grande sospetto. Ma lei da ragazzina, per caso, scoprì un dozzinale romanzo d’amore e lo leggeva in segreto, tenendolo nascosto dietro la cassa dell’avena per i polli. «La religione era pervasiva, condizionava i pensieri e perfino i sogni», ricorda.

Ma «a me piaceva andare a scrivere nei prati. Le parole correvano insieme a me». E se quasi tutta la letteratura di Edna O’Brien ha qualcosa di autobiografico, questa autobiografia ha qualcosa della scrittura icastica e cinematografica dei suoi romanzi. Come negli amati quadri di Jack Yeats, pieni di grumi di colore azzurro, verde e rosso, le sue pagine risuonano di colori e odori di un’Irlanda profonda: il profumo delle violaciocche, i colori della torbiera, l’ardesia bluastra dei tetti. Senza dimenticare quella strada azzurra del racconto The small town lovers che tanto fece infuriare un intellettuale raffinato e cosmopolita come Ernest Gébler che Edna aveva sposato giovanissima.

Sprezzante, lui rimarcava che non esistono strade azzurre. E non le perdonò mai di avere talento. Ernest l’aveva aiutata ad aprire gli occhi, a emanciparsi da quella famiglia cattolicissima che l’aveva denunciata alla polizia, minacciando di farla rinchiudere in manicomio e che voleva costringerla ad abortire in Inghilterra per espiare il peccato di essersi unita a un uomo divorziato. Eppure lui, dopo i primi successi, le preferì una donna più giovane, «gentile, premurosa, modesta, sana di mente e senza ambizioni letterarie», come Ernest annotò in una pagina del proprio diario. Ma intanto Edna aveva fatto in tempo a conoscere la Dublino di Maud Gonne, la coraggiosa compagna del poeta William Butler Yeats e lo humour sferzante di Flann O’Brien (pseudonimo di Brian O’Nolan) che smascherava un’Irlanda «fatta di scemi e creduloni ossessionati da Dio».

E, ancor più, a Londra aveva spiccato il volo verso un mondo culturale libero e non convenzionale. Nel memoir Country girl rievoca le collaborazioni più stimolanti nel cinema e in teatro e i suoi tanti incontri in Europa e negli Stati Uniti con autorevoli compagni di strada come Harold Pinter, Philip Roth, Norman Mailer, Gore Vidal, Peter Brook e mostri sacri del Novecento come Samuel Beckett.

Edna O'Brien con il marito Ernst

Edna O’Brien con il marito Ernst

«Lo incontrai per la prima volta a Londra e poi, spesso, a Parigi», racconta O’ Brien a left. «Come uomo e, ovviamente come scrittore, era unico: molto alla mano, ma allo stesso tempo introverso. C’era qualcosa di imperscrutabile nel suo carattere e questo attraeva le persone». A legarla a Samuel Beckett e a James Joyce è stato anche il comune destino di irlandesi costretti ad andarsene per poterne scrivere liberamente. «È strano, ma l’Irlanda nutre l’immaginazione dei suoi autori e allo stesso tempo li fa scappare», commenta la scrittrice che l’8 dicembre è al Palazzo dei congressi, a Roma, per incontrare il pubblico della fiera della piccola e media editoria, Più libri più liberi ( ore 18, sala Smeraldo).

«Certamente – aggiunge – tutto questo accadeva in passato, quando l’Irlanda era un Paese religioso, claustrofobico e repressivo. Io sono cresciuta in quel clima e sono stata costretta ad emigrare per potermi esprimere liberamente. Ma devo anche ammettere di aver portato con me molto d’irlandese. Per James Joyce, nel 1904, fu ancor più necessario andarsene: l’Irlanda allora era, se possibile, ancor più rigida. Eppure permea profondamente il suo lavoro e la sua fantasia. Beckett scappò con una ferita altrettanto bruciante, ma i suoi testi, anche se in francese, hanno un ritmo e un modo molto irlandese. Insomma – sintetizza O’Brien – siamo davanti a un autentico paradosso».

Tanto più se pensiamo che fu proprio in quel clima da caccia alle streghe (in un’Irlanda che certamente non considerava la scrittura una faccenda per donne) che lei mosse i primi passi nella letteratura. «In realtà fin da bambina scrivevo e recitavo ad alta voce piccoli brani ispirati all’ambiente e alle persone che mi circondavano. L’impulso di scrivere e “la vocazione” cominciarono lì. Così come la ricerca incessante di parole che suonassero diverse. Finché, verso i 17 o i 18 anni, scoprii la poesia e la narrativa. Al villaggio non c’erano biblioteche o librerie.Il primo autore a cui mi avvicinai veramente fu Joyce, leggendo i Dubliners e un estratto da Ritratto di un artista da giovane in un’antologia curata da T.S. Eliot».

Ma non appena Edna trovò la propria voce originale, con romanzi come Ragazze di campagna (Elliot) e La ragazza dagli occhi verdi (edizioni e/o), subito si trovò a doverla difendere anche da chi le stava a fianco e, apparentemente, l’aveva incoraggiata. «Credo che per un uomo sia più duro accettare le ambizioni letterarie e progressi della propria compagna», commenta. «La gran parte degli scrittori che conosco hanno mogli che li sostengono e che non entrano in competizione. Hemingway, per esempio, sposò Martha Gellhorn ma la loro storia finì presto e poi lui espresse tutto il suo disgusto per le donne letterate e colte. Come scrittore, mio marito Ernest si irrigidì scoprendo che sapevo scrivere. Questo fece precipitare il nostro matrimonio, che era già traballante». «Un abisso si era aperto fra noi. Fatto di gelido risentimento» scrive O’Brien a questo proposito nell’autobiografia, ricordando che libri come August is a wicked month, giudicati una bomba contro l’istituzione famiglia, e addirittura additati come pornografici dalla critica benpensante, poi furono usati da Ernest nella causa di divorzio per toglierle l’affidamento dei figli.

Ma che cosa dei racconti di Edna O’Brien davvero spaventava e faceva scandalo? «La Chiesa, la mia famiglia d’origine, i vicini, i preti e i politici irlandesi, fin dal mio esordio, si scagliarono contro di me perché negli anni Sessanta i miei libri sembravano loro troppo audaci, irriverenti e addirittura scioccanti. Proprio perché scritti da una donna. Una critica che mi sono sentita ripetere per anni è che i miei romanzi erano uno sfregio e un affronto al modello femminile irlandese. A ben vedere, la stessa accusa che era stata rivolta a J. M. Synge per il suo Playboy or the western world: così quell’anatema passava da una generazione all’altra». Ma se l’establishment più conservatore non le perdonava l’indagine profonda sulla psicologia femminile, sulla passione, sul desiderio, ma anche sul senso di perdita e l’anaffettività, dall’altra parte le femministe non le hanno mai perdonato di raccontare la dialettica fra uomo e donna come vitale e ineludibile, nonostante talvolta possa essere sanguinosa. «L’uomo è diverso dalla donna. Trovo limitante e stridente l’idea avanzata da alcune femministe che l’identità di genere sia una prigione – commenta Edna O’Brien -. Non è una prigione. È un fatto evidente. Banalmente gli uomini non hanno le mestruazioni, non fanno figli. Ma su questo ci sarebbe molto altro da dire». E poi aggiunge: «L’unica cosa che riconosco alle femministe è l’aver ottenuto più libertà e più diritti per le donne nella sfera pubblica e sociale. Comunque la battaglia è ancora lunga. Come scrittrice impegnata in questo ambito da più di cinquant’anni posso dire che una donna deve faticare molto di più per essere riconosciuta per ciò che è e che vale». Una battaglia a cui né la psicoanalisi né certa antipsichiatria in voga nell’ambiente londinese anni Settanta hanno contribuito positivamente, sembra dire O’Brien. In cerca di aiuto, ad un certo punto, lei decise di rivolgersi a Roland D. Laing, che era molto presente nel mondo dello spettacolo e intellettuale che lei frequentava. In risposta lui le propose di assumere l’Lsd, presentandole poi un conto esorbitante per fantomatiche sedute. «Credo che fosse un cavallo pazzo», dice oggi Edna O’Brien. «Forse lui stesso amerebbe essere ricordato più come poeta, o per meglio dire come poeta allo stato embrionale, piuttosto che come analista e psichiatra».

 In finale la nostra conversazione torna a vertere quasi inevitabilmente sull’Irlanda. Di cui O’Brien si è occupata anche sul piano del recupero delle tradizioni pagane e popolari con libri come Elfi e draghi, racconti irlandesi (Einaudi) e, sul piano politico, con reportage sull’Irlanda del Nord e con un libro come Uno splendido isolamento (Feltrinelli), ancora una volta la storia di una donna, ma stavolta sullo sfondo del conflitto. Una ferita ancora aperta, dice Edna O’Brien, mentre l’Irlanda del sud, a poco a poco, sembra avanzare verso un cambiamento positivo anche sul piano della laicità e dei diritti. «Trovo che il premier Enda Kenny abbia mostrato grande coraggio – sottolinea – nel denunciare finalmente lo scandalo della pedofilia del clero che il Vaticano e le gerarchie irlandesi hanno nascosto per anni. Più di recente ho apprezzato come ha sfidato le ire di frange conservatrici introducendo dei miglioramenti nella legge sull’aborto. Ma ovviamente c’è ancora molta strada da fare».

 

 

dal settimanale left-avvenimenti

Ecco l’intervista Live di Marino Sinibaldi ad Edna O’Brien su Radiotre. Durante la conversazione il direttore di Radiotre ha citato questa intervista pubblicata da left. Qui il podcast per riaascoltare la  trasmissione dell’8 dicembre 2013 Fahreneit

Lunedì 9 dicembre Nicola Lagioia ha aperto la trasmissione di Radiotre  tre Paginatre leggendo e commentando questa intervista ecco il  podcast della trasmissione

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I segreti di Sua Santità

Posted by Simona Maggiorelli su giugno 3, 2012

Crimini di pedofilia, affarismo, riciclaggio di soldi, rapporti pericolosi con organizzazioni malavitose. Ecco cosa la Chiesa vorrebbe nascondere. Mentre cerca di manipolare le scelte politiche italiane sul biotestamento, sull’aborto, sulla famiglia, sulle scuole private.  Ilnuovo libro di Gianluigi Nuzzi documenta in  modo incontrovertibile  gli affari sporchi del Vaticano.

di Simona Maggiorelli

Benedetto XVI

Una lotta per il potere, senza esclusione di colpi. Così il socialista Rino Formica intervistato da La Stampa descrive quanto sta accadendo Oltretevere. «Il Papa ha finito per restare vittima dell’attuale tendenza della Curia, che oramai è diventata una cosa sola con l’eterno “partito romano”, quello che per decenni è prosperato in un intreccio di massoneria, clericalismo, affarismo. Per tanto tempo questo potere trasversale e senza principii è stato fonte di ricchezza materiale per la Chiesa, ma ha aperto la strada ora alla sua gravissima crisi», dice l’ex ministro. La cui testimonianza Gianluigi Nuzzi – con una copia della La Stampa del 29 maggio alla mano – ci legge a voce alta, sottolineandone dei passi. Alla luce della lunga carriera, da laico che ha combattuto le ingerenze vaticane, Formica sa di che parla.

Come giornalista, dopo molte e approfondite inchieste, Gianluigi Nuzzi è arrivato a una conclusione non troppo diversa. «il Vaticano è una monarchia assoluta», ribadisce, con molti lati oscuri che riguardano mancanza di trasparenza, violazioni di diritti ma anche e soprattutto le prestazioni occulte della sua banca, lo Ior, implicata in questioni di riciclaggio e intermediazioni con la mafia. E questo a dirlo non è Nuzzi ma una ordinanza di un giudice, sottolinea il giornalista di Libero e di La7.

Che dopo le 250mila copie vendute del suo Vaticano Spa uscito nel 2009 ora “rischia” di fare il bis con il nuovo Sua Santità.Le carte segrete di Benedetto XVI. uscito sempre per Chiarelettere. Onde scongiurare questa eventualità, le più alte sfere vaticane hanno accusato Nuzzi di furto e di ricettazione. Ma quello che ci sembra ancor più grave è che politici italiani come l’ex ministro (e ora senatore) Maurizio Gasparri e l’onorevole Paola Binetti abbiano chiesto il sequestro del libro perché basato su documenti riservati della Chiesa e lesivo dell’immagine del Papa.

Come se la segretezza e l’oscurantismo che vuole imporre il Vaticano «dovesse diventare per un giornalista autoscurantismo» chiosa Nuzzi. Come se il compito dei giornalisti non fosse proprio quello di scovare notizie inedite e verificate. E tenendo la schiena ben diritta rispetto al potere. Ma, più a fondo, cosa spaventa tanto il clero e certa politica riguardo al lavoro di Nuzzi?  Cosa cercando di nascondere i media concentrati sul giallo del maggiordomo e che evitano di entrare in merito al libro? “Banalmente” il fatto che accuse gravi e circostanziate rispetto alle politiche di omertà e copertura del Vaticano rispetto a crimini come la pedofilia dei preti, i traffici illeciti dello Ior compreso il riciclaggio dei soldi della mafia e i sospetti di pesanti ed eversive ingerenze nello Stato italiano abbiano trovato una inconfutabile dimostrazione in questo libro, documentatissimo, basato su lunghe ricerche e testimonianze dirompenti raccolte in giro per il mondo.

Più di quanto possa fare in articoli Nuzzi qui approfondisce, traccia nessi, riflette sul significato di scioccanti documenti pubblicati per esteso in apparato. E che «riguardano spinose questioni temporali e scandali che vanno gestiti e silenziati» come fa notare l’autore. «Ma la polvere nascosta sotto il tappeto riemerge sempre da qualche altra parte», fa notare il giornalista. Così dal suo libro si apprende che «gli abusi fisici e psicologici commessi dal fondatore dei Legionari di Cristo Marcial Maciel Degollado erano stati denunciati a Sodano e altri in Vaticano già nel 2003 ma si decise di coprire i crimini di pedofilia e di ladrocinio commessi dai Legionari».

Gianluigi Nuzzi

Intanto il papato varava una Commissione di avvicinamento per cercare di ridurre l’impatto economico delle richieste di risarcimento da parte delle vittime, «con linguaggio freddamente pragmatico, senza spendere una parola sulla gravità dei fatti e sui traumi causati sulle vittime», nota Nuzzi. Ma non solo. Da Sua Santità emergono fatti gravissimi che riguardano le istituzioni e la politica italiana: Giulio Tremonti, quando era ancora ministro della Repubblica italiana, consigliava all’allora presidente dello Ior, Gotti Tedeschi, come evitare sanzioni dell’Unione europea riguardo al mancato pagamento dell’Ici da parte della Chiesa per gli enti commerciali. E, senza soluzione di continuità il premier Mario Monti ha fatto anche peggio. «Dopo l’esposto fatto dai Radicali Italiani nel 2005 proprio riguardo alle “esenzioni Ici” l’Italia avrebbe potuto rivalersi incassando parecchie centinaia di milioni di euro, che in questo momento di crisi sarebbero stati molto utili alle casse dello Stato» ricostruisce Nuzzi. «Ma con abile operazione mediatica il Vaticano si è detto disponibile a pagare qualcosa e il premier Monti ha cambiato la normativa, così» sottolinea Nuzzi, «cambiata la legge, lo Stato italiano non potrà più ricorrere. La manovra fatta da Monti fa fuori la possibilità di potersi rivalere sull’infrazione precedente». E ancora, quanto ai tentativi delle gerarchie vaticane di imporre un’agenda politica e norme improntate a «valori non negoziabili» (perché basati sul dogma religioso) una delle pagine più “sorprendenti” di Sua Santità è la numero  297, dove è pubblicato l’originale di una nota della Santa Sede riguardo a un incontro con Giorgio Napolitano del 19 gennaio 2009. Ebbene in quella occasione il Papa, capo dello Stato Vaticano avrebbe dovuto “convincere” il presidente della Repubblica italiana a fare leggi per la tutela della famiglia e, si legge nella nota vaticana: «Si devono evitare equiparazioni legislative tra il matrimonio ed altri tipi di unione». Nel Ddl in discussione in Parlamento sul biotestamento e in altre «norme eticamente sensibili»  deve essere inserita «una chiara riaffermazione del diritto alla vita, che è diritto fondamentale di ogni persona umana, indisponibile ed inalienabile. Conseguentemente si deve escludere qualsiasi forma d’eutanasia e ogni assolutizzazione del consenso». Ma in questo documento c’è anche un capitolo sulle scuole private. La nota vaticana lascia trasparire una certa preoccupazione: «Il problema attende sempre una soluzione, pena la scomparsa di molte scuole paritarie. Occorre trovare un accordo sulle modalità dell’intervento finanziario anche al fine di superare recenti interventi giurisprudenziali che mettono in dubbio la legittimità dell’attuale situazione». Intanto il Vaticano continua senza scrupoli a incassare dalle tasse dei cittadini italiani circa sei miliardi di euro l’anno, sebbene l’articolo 33 della nostra Costituzione reciti: «Lo Stato non deve sopportare alcun onere per le scuole private».

da left Avvenimenti

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Memorie di un ateo impenitente

Posted by Simona Maggiorelli su giugno 3, 2012

A un anno dalla sua scomparsa esce anche in Italia il memoir dell’intellettuale e giornalista inglese Christopher Hitchens. Protagonista di appassionate battaglie in nome della libertà di pensiero e contro l’oscurantismo religioso

di Simona Maggiorelli

Christopher Hitchens

Passione per la conoscenza e dialettica continua, con il gusto di stare con gli altri, anche se capita di scontrarsi. Amore smisurato per la letteratura, interesse per la scienza e  rifiuto radicale della religione. E’ il piglio brillante, pieno di humour tagliente (mai cinico) di Christopher Hitchens che si torna ad assaporare nelle pagine di Hitch 22 che Einaudi pubblica a più di un anno dalla  sua scomparsa. Un memoir di un intellettuale che ha  vissuto intensamente, più che un’autobiografia. In cui sono ripercorsi 60 anni di storia personale e collettiva.

Quasi seicento pagine con  poche rivelazioni e nessun pensamento riguardo a quella che è stata per Hitch (così lo chiamavano gli amici Amis, Rushdie e McEwan) la battaglia di una vita, come giornalista e intellettuale, ma anche come uomo: la lotta contro l’oscurantismo e «il veleno» della fede. Tema al centro del suo best-seller come Dio non è grande (Einaudi) in cui raccontava perché, fin da quando portava i calzoni corti, aveva  preferito pensare piuttosto che credere. Ma fra i suoi molti saggi ha fatto scalpore anche un suo corrosivo libro inchiesta, La posizione della missionaria (Minimum Fax), che denunciava il business di Madre Teresa e il suo non dare farmaci ai bambini malati perché potessero guadagnarsi il paradiso soffrendo.

Ma Hitch è stato anche in prima fila nel denunciare lo scandalo della pedofilia nella Chiesa fino a tentare, con lo scienziato Richard Dawkins, di far comparire il Papa davanti alla Corte penale internazionale per violazione di diritti umani. Quando era già gravemente ammalato di tumore, Hich ha voluto fare un’ultima battaglia, questa volta per il diritto di tutti a morire con dignità, sfruttando fino all’ultimo istante per stare con le persone amate. Intanto i cristiani  negli Usa organizzavano catene di preghiera per  salvare l’anima di questo ateo impenitente. Che nell’introduzione a Hitch 22 commenta: «Per qualche inspiegabile ragione, la nostra cultura considera normale, addirittura encomiabile, che i devoti ammoniscano chi, a loro avviso, sia in procinto di morire. Un intero pacchiano edificio di fasulle conversioni sul letto di morte è sorto su questa presunzione altamente discutibile». Ringraziando per l’attenzione dei fedeli, annota poi non senza un pizzico della sua proverbiale ironia: «Invece di partecipare alle colazioni di preghiera in mio onore per quello che sul web andava sotto il nome di Pray for Hitchens day ho preferito  far da cavia  per esperimenti e protocolli clinici, soprattutto basati sul genoma e volti ad allargare il sapere umano».

Conversando con Dawkins per quella che sarebbe stata la sua ultima intervista per The New Statesman era tornato a precisare: «Non sono neutrale rispetto alla religione, le sono ostile. Penso che sia nociva, non solo una falsità. E non mi riferisco solo alla religione organizzata, ma al pensiero religioso in sé e per sé». E quando lo scienziato gli chiedeva che cosa era  per lui il totalitarismo  il liberale Hitch non esitava a rispondere: « E’ ciò che cerca di controllare ciò che hai in testa non solo il tuo comportamento. Le origini di tutto questo sono teocratiche ovviamente. Tutto comincia con l’idea che ci sia un leader a cui affidarsi, un papa infallibile, un ventriloquo del divino che ti dice cosa devi fare». Il suo impegno, ricorda oggi Dawkins «era far sì che una persona si alzasse da sola, per battersi senza paura per la verità».

da left Avvenimenti

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Se l’obiettivo coglie l’invisibile

Posted by Simona Maggiorelli su gennaio 4, 2011

Immagini politiche, incisive, che svelano significati latenti. Nel volume “Decade” Nel volume “Decade” cinquecento
immagini per fare la vera storia dell’ultimo decennio

di Simona Maggiorelli

La cultura delle immagini che va per la maggiore oggi in musei, in mostre e nelle gallerie va letta nell’ambito dell’arte o piuttosto nel contesto dei media edell’informazione?

È la domanda che nasce guardando le fotografie di fortissimo impatto emotivo che sono state selezionate da esperti internazionali per il volume Decade appena uscito, anche in edizione italiana, per i tipi della casa editrice inglese Phaidon. Frutto di una lunga selezione, queste cinquecento immagini squarciano l’ indifferenza e le cautele del politically correct.

Davanti ai nostri occhi scorrono flash, schegge incisive, capaci di andare al cuore di episodi cruciali accaduti nell’ultimo decennio. Benché scattate in situazioni e luoghi lontanissimi fra loro, hanno un tratto in comune: sono immagini fortemente partecipate. Chi ha fotografato o filmato eventi come l’uccisione di civili in Afghanistan o l’attacco alle Torri gemelle, in questo caso, non era certamente uno spettatore passivo.

E non si è limitato a documentare, registrare, riprodurre la realtà meccanicamente. Scorrendo queste potenti sequenze fotografiche colpisce che sia proprio il mezzo nato per ricalcare la realtà a farci vedere al di là del percepito e del visibile. Talora cogliendo anche l’invisibile, ovvero il vissuto profondo di esseri umani che si si sono trovati d’un tratto, loro malgrado,protagonisti di eventi che hanno segnato la storia. In un
momento in cui l’arte contemporanea è perlopiù freddamente concettuale, asettica, o insulsamente decorativa, in un curioso scambio delle parti, sembra essere la fotografia a permetterci di ricomporre, per frammenti, il puzzle intero: un universo di significati nascosti.
Cogliendo in rapida sintesi e con bruciante immediatezza, il senso più profondo delle cose. Così una vicenda criminale come quella dei preti pedofili scandalosamente coperta da Joseph Ratzinger, in “Dacade” è sintetizzata in un ritratto frontale del portavoce vaticano Padre Lombardi che, di fronte all’obiettivo puntato di un fotoreporter,alza le mani come un delinquente colto sul fatto. I curatori di questa monumentale summa del decennio che ci stiamo lasciando alle spalle forse non potevano scegliere una istantanea di chiusura più pregnante.

Ma sfogliando questo volume a ritroso, sono tante le immagini che restano nella mente; come la presenza viva e vibrante di un monaco birmano vestito di rosso che, a mani nude, affronta una fila di militari di regime. Poi, vista con gli occhi di oggi, sapendo della carneficina di civili causata in Iraq dalla strategia Usa “shock and awe” (colpisci e terrorizza), appare agghiacciante il doppio ritratto di Bush e Blair che, forse non pensando di essere immortalati, giocano a fare i duri da film di guerra. Così mentre l’arte si depoliticizza, sono la fotografia , il video e il web a farsi mezzi scomodi, politici, a denunciare il presente con bella ribellione.

Proprio con questo pensiero Germano Celant ha curato la mostra Immagini inquietanti alla Triennale di Milano.Diversamente dall’operazione culturale realizzata da Phaidon con opere di fotografi poco conosciuti o del tutto anonimi (valorizzando l’immagine in sé più che l’autorialità) nella esposizione e nel catalogo Skira che accompagnano questa mostra aperta fino al 9 gennaio, Celant ha scelto di puntare su maestri della fotografia come Alfredo Jaar. E alla fine, a ben vedere, le due iniziative accendono una stessa domanda cruciale: e se la fotografia oggi non fosse più solo riproduzione della realtà ma avesse assunto alcuni aspetti della rappresentazione artistica?

dal left -avvenimenti del 23  dicembre 2010

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Il collezionista di bambine

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 19, 2010

Passato alla storia come libro per l’infanzia, Alice nel paese delle meraviglie era in realtà l’esca con cui il reverendo Dodgson – alias Lewis Carroll – adescava le sue vittime. Lo racconta in un libro la scrittrice e avvocato siciliana che da anni si occupa della difesa di minori

di Simona Maggiorelli

Lewis Carroll Alice Liddell

«Caro Signore, mi è balenato, dopo che ci siamo separati in strada ieri sera, che forse lei è il proprietario di una certa “Ruth Mayhew” che Mrs Arnold e altri amici mi hanno detto che dovrei fotografare. Se così fosse la giornata è di una bellezza così inconsueta che mi arrischio a proporre che lei o Mrs Mayhew la portino qui. Mi capita di avere del tempo libero e sarò in casa alle 2 e un quarto o alle 3, ma più vicini al mezzodì, migliore la luce…». Così il reverendo Charles Lutwidge Dodgson – più noto con lo pseudonimo Lewis Carroll – scriveva in una lettera inviata il 29 novembre del 1878 da Christ Church (il collegio maschile di Oxford dove insegnava matematica) al padre di una bambina che avrebbe voluto come modella. In altre missive chiedeva a genitori compiacenti di poter «prendere in prestito» le loro figlie per portarle nel piccolo mondo a parte del suo laboratorio di fotografia.

Uno studio che si era fatto costruire ad hoc a latere della sua abitazione e che, agli occhi delle piccole ospiti, doveva sembrare una wunderkammer, una camera delle meraviglie zeppa com’era di giocattoli, di bambole semoventi e di bauli di costumi di scena. Qui l’autore di Alice delle meraviglie metteva in atto tutte le sue strategie per arrivare a poter fotografare le bimbe nude in pose da adulte oppure vestite da reginetta, piccola geisha, damina o in altri abiti esotici. Ogni volta promettendo, da uomo a uomo, al pater familias di non andare oltre i limiti pattuiti. Una contrattazione che il reverendo Dodgson faceva per posta con un linguaggio freddamente razionale, mettendo i nomi delle bambine fra virgolette, quasi quei segni grafici fossero asettici guanti bianchi per afferrarle. Poi lo scrittore avrebbe pensato a ricompensare le madri regalando alle figlie copie rare e autografate della sua Alice nel paese delle meraviglie, da ostentare in società.

Fin qui la parte di verità che si può ricostruire attraverso i diari di Dodgson-Carroll e i rari documenti sopravvissuti alla censura operata dal nipote dello scrittore inglese che, alla sua morte nel 1898, si premurò di cestinare le testimonianze più scabrose. Oltre la superficie della storia documentabile di recente si è avventurata, con sensibilità, la scrittrice Simonetta Agnello Hornby, dedicando all’attività di fotografo di Lewis Carroll il libro Camera oscura, pubblicato dall’editore d’arte Skira. Un romanzo breve quanto folgorante nel ricostruire l’uso e l’abuso che si faceva delle bambine nella società vittoriana, puritana e sessuofoba, dove a 13 anni si poteva essere date in sposa a uomini maturi. Ma anche un libro che si segnala per il preciso e inquietante ritratto psicologico del padre di Alice. Che dopo una giovinezza da esteta con brame di scalata sociale, alla morte del padre, tornò all’ordine seguendone le orme, nonostante fra i due ci fosse stato un rapporto difficilissimo.Così il balbuziente reverendo Dodgson, appartato e serissimo a scuola, viveva una doppia vita, frequentando recite per bambini e altri luoghi dove poter incontrare nuove «amichette». Le disillusioni della vita, le amarezze, le incomprensioni che lo avevano spinto a isolarsi quasi completamente diventavano «delizie» quando Carroll poteva puntare il suo obiettivo su un’Alice in carne e ossa, fissando sulla carta fotografica quelli che lui definiva «indicibili momenti trascorsi in amabile intimità». Già il fotografo e studioso d’arte, Brassaï, in un saggio del 1970 aveva raccontato che il reverendo Dodgson era capace di «infiniti maneggi per impadronirsi di una ragazzina. Le spiava nelle strade, nei giardini pubblici, in treno, nelle gare di tiro con l’arco, nelle feste massoniche e, soprattutto, nei teatri londinesi per bambini». «Ligio al suo clan – aggiungeva Brassaï – le sceglieva di preferenza tra le figlie dei suoi “colleghi” a Oxford… quel timido professore di matematica osava le più incredibili audacie per conquistare una nuova ninfetta, sollecitava gli amici per farsi introdurre nella sua famiglia, era capace di ogni sorta di stratagemmi». La sua esca più riuscita, come si accennava, era proprio quel romanzo che nella storia della letteratura non solo inglese è entrato come libro per l’infanzia. E mentre in Inghilterra in contemporanea con l’Alice cinematografica di Tim Burton è uscita la biografia apologetica In the Shadow of the dreamchild di Karoline Leach (tradotta in italiano da Castelvecchi) in cui si sostiene che «Carroll era una persona normale con normalissimi gusti sessuali, socievole e interessato al teatro», sulla strada aperta da Gianna Sarra con il romanzo Il collezionista e la farfalla (Nutrimenti, 2006), Simonetta Agnello Hornby ha il coraggio di affrontare, attraverso il registro della finzione narrativa, la terribile violenza psicologica che Carroll esercitava sulle bambine che finivano nella sua trappola coperta da fini artistici.

Così, in questo ficcante libricino fornito di apparato fotografico e di un’importante sezione di documenti, la scrittrice siciliana che da trent’anni lavora a Londra come avvocato difendendo minori fa precipitare il lettore nella mente malata del reverendo Dodgson, mostrandone, pagina dopo pagina, la fredda lucidità nell’adescare sempre nuove «bambine-amiche», incurante della distruzione che provocava in loro. Usando magistralmente gli strumenti della narrazione per essere il più fedele possibile alla psicologia del suo personaggio, colta per intuizione. Poi rientrando nei panni usuali della donna di legge nell’appendice biografica del libro Agnello Hornby si chiede: Chi era il vero Charles Dodgson? «Come il padre ecclesiastico – ricostruisce la scrittrice a margine del romanzo – Dodgson junior perdeva il senso dell’umorismo dinanzi a innocue allusioni sulla Bibbia». L’inventore di Alice nel paese delle meraviglie era un bigotto, che faceva molta elemosina agli orfanotrofi (sic!), un uomo – aggiunge – che benché dichiarasse al figlioccio di essere un uomo appagato e felice, nei diari rivela un animo mangiato dai sensi di colpa e un corpo esaurito dalle notti insonni, in cui non riusciva a frenare pensieri ossessivi. Insomma – conclude Agnello Hornby- Charles Dodgson – Lewis Carroll era quello che si dice un vero dr Jekyll e mr Hyde».

Intervista a Agnello Hornby: «pedofilia, un crimine inaccettabile»

Da trent’anni come avvocato, la scrittrice siciliana Agnello Hornby è un questi giorni in Italia per partecipare al Festival del diritto di Piacenza e per presentare il suo nuovo romanzo La monaca (in uscita il 29 settembre per Feltrinelli), «un libro – racconta a left – in cui avrei voluto tracciare due storie parallele: su una ragazza islamica costretta al matrimonio e su una ragazza  europea, in particolare siciliana, costretta allo stesso passo. Poi però questa seconda vicenda mi ha preso la mano. La Monaca, potremmo dire, è un libro nato… da un mio errore.
E La camera oscura, come è nato?
Da un lunghissimo lavoro di studio e di ricerca su documenti originali. Benché sia un romanzo breve, mi ha richiesto molto impegno. Tutte le parole che Dodgson-Carroll pronuncia nel libro sono sue, ovvero, sono tratte dai suoi scritti.
Come si spiega la compiacenza dei genitori che in una società vittoriana e puritana, gli affidavano le figlie?
Purtroppo c’era una connivenza, cosciente o meno. Ed ha molte risonanze nel presente. Pensiamo a come è stato coperto lo scandalo pedofilia nella Chiesa. Ma anche al fatto che in un Paese come l’Inghilterra quasi ogni scuola privata registra casi di pedofilia. Da avvocato ho potuto constatare quale distruzione provochi questo crimine su un bambino. Perdipiù l’adulto violenta approfittando di una posizione di potere e di fiducia. E i pedofili vanno proprio a cercare di infilarsi in quelle istituzioni dove sanno che troveranno dei minori. è davvero perverso.

da left-avvenimenti del 4 settembre 2010

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Cerchi Vaticano esce pedofilo

Posted by Simona Maggiorelli su luglio 12, 2010

In questo pomeriggio affocato di luglio se cerchi Vaticano esce il sito pedofilo.com che rimanda direttamente al Vaticano. Il sito ufficiale della Santa sede appare solo come seconda occorrenza. Ecco un bel colpo compiuto da sconosciuti pirati del web dalla vena evidentemente laica e democratica. E che sia un bel colpo di hackeraggio lo dimostra il fatto che pedofilo.com è irraggiungibile, ovvero non esistente come sito nel mare magnum del web

Dentro Google, riporta Repubblica on line del 17 luglio, “hanno comunque ritenuto opportuno esaminare tempestivamente la questione: Stiamo valutando le cause, non si è trattato necessariamente di un hackeraggio”, dichiara l’azienda”. Sta di fatto  che la faccenda non riguarda soltanto la versione italiana del motore di ricerca, ma Pedofilo.com, dominio intestato a un messicano che gestisce la società informatica Guionbajo nel Nuevo Leon, risulta al momento completamente inaccessibile.
“Il trucco utilizzato per far salire il sito pirata al primo posto- spiega ancora La Repubblica online – potrebbe essere quello del Googlebombing, uno stratagemma che sfrutta l’algoritmo di Google in base al quale viene attribuita importanza a una pagina in rapporto a quanti link verso di essa si trovano all’interno di altri siti web. L’azienda aveva dichiarato di aver eliminato la possibilità di attacchi di questo tipo, ma forse ci si trova di fronte a una tecnica nuova per ottenere lo stesso risultato”. (17 luglio 2010)

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La mia musa si chiama Rio

Posted by Simona Maggiorelli su marzo 28, 2010

Tra musica, letteratura e il nuovo Brasile di Lula. Chico Buarque de Hollanda presenta a Libri Come il suo ultimo romanzo, Latte versato edito in Italia da Feltrinelli

di Simona Maggiorelli

Chico Buarque de hollanda

“Non so perché lei non voglia alleviarmi il dolore. Ogni giorno apre le persiane con violenza facendo in modo che il sole colpisca il mio volto. Non so cosa ci trova di bello nelle mie smorfie, ogni volta che respiro è una fitta…” così il centenario Eulálio d’Assumpção, da un letto di ospedale a Rio, racconta la sua vita all’infermiera e alcuni indefiniti personaggi in corsia. In un ininterrotto stream of consciousness cheattraversa duecento anni di storia del Brasile risalendo la corrente del tempo sul filo della vicenda della propriasaga familiare, di generazione in generazione. Un racconto il suo, nella prosa musicale di Chico Buarque de Hollanda, che mescola ricordi coscienti a memorie profonde. Protestando contro la morfina che cancella le ferite ancora aperte. “Quando persi mia moglie, fu atroce. E qualsiasi cosa io ora ricordi, fa male, la memoria è una vasta ferita – confessa il protagonista del romanzo Latte versato-. Ma lei non mi dà le medicine, sembra quasi disumana. Credo che lei non faccia neanche parte del personale, non ho mai visto il suo viso qui intorno…”. E poi in un lampo: Ma è chiaro, sei mia figlia, eri in controluce, dammi un bacio”.

Tra rabbia e malinconia ma anche inaspettati guizzi di autoironia, Eulálio – in questo nuovo libro che Chico Buarque ha presentato a Roma nell’ambito della rassegna Libri Come- si fa cantastorie di un epos che va al di là di confini della propria, pur lunga, esistenza biografica. Anche lui, come il musicista e autore di Latte versato è testimone e cantore di un pezzo importante della storia del Brasile. “Sono figlio di uno storico (Sergio Buarque de Hollanda ndr)” racconta Chico di se stesso, con un sorriso schivo e gentile, mentre le fans reclamano la sua attenzione. “Ho sempre letto molto, ma non ho mai cercato di scrivere da storico. E non ho la pretesa di farlo ora. Ma è vero che tracciando lo sfondo del romanzo mi sono messo a studiare e forse, per la prima volta, ho capito il gusto che provava mio padre nella ricerca documentaria”. Seduto a un tavolino all’aperto del bar dell’Auditorium di Roma, Chico Buarque parla di letteratura, di musica di arte, ma il suo sguardo azzurro si accende in modo particolare quando il discorso piega sulla svolta democratica di Lula e su temi che toccano il cuore della democrazia.

Con Caetano Veloso e Gilberto Gil è stato l’iniziatore della svolta tropicalista, di un modo di fare musica che univa alla ricerca l’impegno civile. Dopo aver combattuto la dittatura e aver trascorso negli anni Settanta diciotto mesi di esilio volontario in Italia, Chico Buarque de Hollanda è diventato in anni più recenti uno dei maîtres à penser del nuovo Brasile di Lula. Per quanto in posizione più defilata rispetto a Gill che ha accettato incarichi da ministro della Cultura.

Chico si sarebbe mai immaginato che gli artisti avrebbero davvero potuto dare un contributo così interno alla svolta politica e culturale del Brasile?

Non avrei mai immaginato un’apertura e una possibilità di cambiamento di questa portata. E noto che la stampa straniera ancora non ci crede. Spesso il sottotesto degli articoli dice: ma non può essere vero, questa è propaganda! Invece il compito dovrebbe essere verificare cosa sta cambiamento realmente, anche se era impensabile.

Le giovani generazioni brasiliane di oggi che rapporto hanno con la memoria storica dei tempi della resistenza alla dittatura?

In Brasile, come in molti paesi latinoamericani, c’è una tendenza a evitare lo scontro su quelli che sono stati i nostri anni di piombo. Si fanno film sulla tortura della dittatura, si fanno processi. Ma è anche vero che i giovani brasiliani si interessano di meno, leggono meno, sono meno informati dei loro coetanei uruguaiani o argentini. Al fondo però non saprei dire se questa loro smemoratezza, se questo saper dimenticare, sia del tutto un disvalore.

In Italia la smemoratezza ha portato a rieleggere più volte Berlusconi al governo.

La situazione italiana oggi, devo dire, mi pare davvero molto preoccupante.

La Chiesa ha avuto un ruolo di primo piano nelle vicende dittatoriali latinoamericane, come valuta l’emersione sulla stampa internazionale della pedofilia coperta dal Vaticano?

Come un fatto positivo. Papa Ratzinger non poteva non sapere. Così come sapevano tutti. Per un periodo, da giovanissimo, ho frequentato scuole cattoliche, tutti sapevamo che c’erano state storie di violenze pedofile su studenti, anche se non ne eravamo stati direttamente vittime.

Tornando al suo nuovo romanzo, in Latte versato lei fa un lavoro sulla memoria storica trasmessa dal protagonista del romanzo con la ricchezza di immagini di una storia orale. L’ispirazione viene anche da maestri come Marquez?

Probabilmente ho attinto a fonti letterarie, inconsapevolmente, ma l’ispirazione più diretta, devo dire, è stata mia madre che oggi ha quasi cento anni e che mi ha sempre raccontato di Rio, delle navi che andavano e venivano da Copacabana, bastimenti con nomi sempre diversi e un carico di lettere e di messaggi dall’Europa e che rappresentavano soprattutto per le elite brasiliane degli anni Venti un’apertura su un mondo lontano e nuovo.

Lei ha scritto un romanzo immaginario su Budapest. Ora torna a raccontare Rio. Joyce sosteneva che l’esilio gli permetteva di vedere meglio il cuore di Dublino. Ma c’è anche chi, come Pamuk, dice che non potrebbe scrivere lontano da Istanbul…

I miei tre romanzi precedenti parlavano di una Rio de Janeiro e di una Budapest, come diceva, immaginarie. Budapest per me è stata una metafora, uno specchio per parlare di aspetti nascosti di Rio. Mi ispirava una Budapest sognata. Poi amici ungheresi mi hanno detto avresti potuto scrivere di quella strada o di quell’altra. Al di là di tutto non sarei mai riuscito a scrivere con una guida della città alla mano. Tanto che quando ne scrivevo non c’ero ancora mai stato. Quanto a Rio, la città dove vivo, è senza dubbio la mia musa. E’ il mio paesaggio naturale. Ed è vero anche che quando viaggio riesco a coglierne da lontano tratti che da lì non vedo chiaramente. Ovviamente parlo di aspetti che non riguardano il mero paesaggio urbano della città.

Lei una volta ha detto di aver imparato a usare parole in senso poetico quando doveva scrivere venti canzoni perché due passassero il vaglio della censura. Quanto la musica, invece, ha aiutato il suo lavoro di scrittore?

Moltissimo. La musicalità della prosa è una ricerca continua. In certo senso mi sentirei di dire che la musica mi ha aiutato a far incontrare poesia e prosa. Temo, dando molto filo da torcere, ai traduttori.

dal quotidiano Terra  domenica 28 marzo 2010

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Chi dice donna dice malanno

Posted by Simona Maggiorelli su marzo 20, 2010

Dalla preistoria ai nostri giorni, la studiosa ripercorre il cammino di una secolare misoginia

di Simona Maggiorelli

Frammenti di fregio da una casa sull’Esquilino in III stile romano, Musei Vaticani

Quando uscì L’ambiguo malanno, condizione e immagine della donna nell’antichità greca e romana era il 1981 e, sul piano del diritto, le donne avevano fatto molte conquiste: nel ’69 era stato abrogato l’articolo 559 del codice penale che puniva l’adulterio come reato, nel ’70 era stata varata la legge sul divorzio, nel ’75 il nuovo codice di famiglia e nel ’78 si legalizzava l’aborto. E anche se si sarebbe dovuto aspettare il 1996 perché la violenza sessuale non fosse più considerato solo «un delitto contro la morale pubblica e il buon costume» il momento storico sembrava fertile per ulteriori passi avanti di emancipazione. «Fu questo il motivo che mi spinse allora a pubblicare un libro dedicato alla storia della condizione femminile non solo per gli addetti ai lavori.

Ripercorrere la storia delle discriminazioni pensavo potesse aiutare un pubblico più vasto a capire» annota Eva Cantarella a incipit della nuova edizione del libro che Feltrinelli manda in libreria il 23 marzo. Ma era difficile immaginare allora che questo libro si sarebbe rivelato ancor più attuale negli anni duemila quando le donne italiane si sono viste proibire l’accesso alle più avanzate tecniche di fecondazione assistita e sono tornate a sentirsi dare delle assassine quando decidono di abortire.

Prof. Cantarella ne L’ambiguo malanno scriveva che il cammino verso l’emancipazione «è tutt’altro che irreversibile». Oggi ne abbiamo tristemente prova?

Ciò che è accaduto alle donne in Italia negli ultimi anni fa riflettere. Perciò ho accettato volentieri di ripubblicare questo libro. Negli anni ’70 sembrava che si fosse imboccata la via, anche sul piano legislativo, per rimuovere gli ostacoli che impediscono alle donne di realizzarsi. Al di là del solito ruolo familiare (che oggi peraltro continuano ad avere). Abbiamo raggiunto la parità sul piano formale, ma non quella sostanziale. È avvilente che in un paese in cui le donne sono presenti in tanti ambiti sociali l’immagine di donna che emerge sia quella proposta dai fatti di cronaca e dalla tv.

Eva Cantarella

Che escort e massaggiatrici, insieme a mogli devote, siano l’immaginario femminile di questo governo la dice lunga?

è questo che fa paura. Dispiace vedere questa subalternità delle donne. Perché tante ancora l’ accettano? Qui torna fuori la storia. Ne L’ambiguo malanno e in Passato e presente ho cercato di mettere in luce la differenza che c’era fra la condizione delle donne greche e quella delle romane. In Grecia erano del tutto subalterne. A Roma apparentemente no, ma la loro condizione era molto più pericolosa. Qui sono le radici di molti nostri mali. Se non uscivano dal ruolo di mogli e madri, le donne romane venivano ricompensate con il rispetto personale e sociale. La matrona era celebrata.

Le romane erano cooptate in un sistema sociale maschile, perdendo la propria identità, il proprio “sentire”?

Accade quando le donne accettano di perdere la propria autonomia per entrare, con un gioco di do ut des, in situazioni di potere, per avere visibilità. Accettando di perdere la dignità che viene dal guadagnarsi le cose .

Dare “voce” alle generazioni di donne sconosciute, «annullate come individui, a causa della loro identità sessuale». Così annunciava il progetto del libro. Partendo dalla preistoria analizzava l’ipotesi di Bachofen di una fase antichissima di matriarcato. Oggi che cosa ne pensa?

Negli anni ’70 era molto di moda la teoria matriarcale sostenuta dalle femministe. L’equivoco, a dire il vero, è antico. Nella prefazione alla quarta edizione dell’Origine della famiglia, Engels interpretava un passo dell’Orestea di Eschilo come vittoria del matriarcato. Come la prova, insomma, che ci fosse stato veramente un matriarcato, poi però sopraffatto dal patriarcato. Ne ricavava in chiave progressista che la famiglia borghese non è eterna e immutabile. Era il sogno e l’utopia che qualcosa potesse cambiare con un matriarcato di ritorno. Ma il matriarcato non è mai esistito. E in ogni caso, penso, non sarebbe un sistema migliore, ma l’equivalente del patriarcato.

Quando si passò dalla caccia all’agricoltura «il rapporto uomo donna che sino ad allora aveva registrato il predominio maschile», lei scrive, cominciò a cambiare. In che modo?

L’agricoltura è stata un’invenzione delle donne. Questo sembra accertato. Per quanto si possano verificare le cose accadute nella preistoria. Mentre gli uomini andavano a caccia le donne cominciarono a coltivare piante. A poco a poco la carne non fu più l’unico alimento base. Ma, ancora una volta, questo non significa che le donne così presero potere.

affresco, Creta

Alla società minoica e a Creta lei dedica pagine densissime. L’arte ci racconta in questo caso di donne femminili, libere…

Ci sono stati nella storia momenti in cui le donne hanno avuto libertà e ruoli diversi. A Creta, ma anche nell’antico Egitto, per esempio. Oppure nel mondo etrusco. Nell’antichità ci sono state civiltà in cui le donne, per esempio, erano istruite. Non accadeva in Grecia.

Già in Omero, come lei ci ha ricordato in altre occasioni, si possono leggere le radici di una secolare misoginia.

Anche se curiosamente il mondo omerico è stato talora interpretato come un mondo dove le donne erano molto influenti. (Si è detto perfino che l’Odissea fosse stata scritta da una donna). In realtà il mondo omerico è androcentrico. Le donne non potevano uscire né parlare: quando la povera Penelope si azzarda a parlare, il figlio, che è un ragazzino, le dice: «stai zitta e torna in camera tua». In Omero le donne venivano già divise in due categorie: perbene e non. Ulisse ha una moglie che ha tutte le virtù e poi, secondo una doppia morale, incontra altre donne. Come sono queste altre? Pericolose come Circe oppure gentili e seducenti come Calipso. Ulisse, però, era convinto che stando con lei avrebbe perso se stesso. Le sirene, poi, sono il simbolo della sessualità femminile non perfettamente umana, perché non legata alla procreazione.

E arriviamo al titolo del libro che riprende il durissimo anatema dell’Ippolito euripideo contro le donne.

Ippolito è un personaggio di una tragedia, la Fedra ma le sue parole contengono uno stigma che la gente condivideva, anche se non in forma così estrema. è la forte misoginia che caratterizzò tutta la cultura greca.

Nel concedere alle donne le stesse possibilità degli uomini Platone, secondo studi femministi, fu meno misogino. è davvero così?

Per carità! Basta dire che per Platone se gli esseri umani si comportano male si reincarnano in donne o animali.

Fu anche il filosofo che aprì la strada a una lettura della parola psiche come anima?

Sì è proprio così. Prima di lui la parola psiche in greco significava qualcosa di completamente diverso da anima. La nostra traduzione è sbagliatissima. Pensi a Ulisse quando scende nell’Ade, diciamo che incontra delle anime. Ma non lo sono, sono degli uccelli che stridono, sono fumo, sono ombre.

Platone dice anche che gli omosessuali sono i veri uomini e i più adatti al governo della cosa pubblica.

Lo dice nel Simposio. è un discorso che ha ricadute pesanti sul modo di considerare la donna. Anche se sotto questo riguardo l’influenza negativa di Aristotele è stata più duratura nei secoli.

Lei riporta un dibattito greco “sul mistero della nascita”, da Ippone a Ippocrate. In questo quadro Aristotele formulò la sua feroce visione della donna?

Per lui la donna è materia. Non ha il logos. Ha ruolo nella riproduzione e, per giunta, è solo passivo…

Con il Cristianesimo l’identità e l’immagine della donna subirono un colpo mortale. Lei ricostruisce che la predicazione dei padri della Chiesa vi contribuì fortemente, fin dalla crisi dell’impero. Ce ne sono ancora tracce?

Da laica (ho fatto le scuole dalle suore e mi è bastato) mi sembra di poter dire che la concezione della donna che ha la Chiesa non sia delle più elevate. Il fatto stesso che non possano essere sacerdoti rivela un enorme pregiudizio. Il fatto poi che per dedicarsi meglio alla Chiesa i preti debbano evitare rapporti denota un’idea di superiorità del celibato rispetto allo stato matrimoniale.

La società greca era fondata sulla pederastia, lei ha scritto. Il cittadino per diventare tale doveva passare per questo “imprinting”. E nei seminari cattolici?

Quello che posso dire è che la pedofilia riguarda i bambini, mentre la pederastia greca riguarda adolescenti dai 13 anni ai 17 anni. I maschi greci, va detto, si sposavano a 14 anni le femmine a 12. Oggi si sente dire da alcuni che i bambini siano consensuali. Non è possibile: i bambini non sono in grado di consentire, non hanno la maturità sessuale. Dunque è sempre violenza.

Di fronte allo scandalo uscito sui media fonti ecclesiastiche sostengono che il fenomeno della pedofilia nella Chiesa sarebbe molto più circoscritto di quanto dicano i media perché in parte si tratterebbe di rapporti etero (con minori) in parte di efebofilia.

Ho letto un articolo di recente in cui un esponente del clero diceva: non siamo mica solo noi che lo facciamo nei seminari, lo fanno anche in altri luoghi. E con questo? Vuol dire che è meno grave? Dire efebofilia significa che se ha, mettiamo, 13 anni si può fare? Sono allibita. Non ho parole.

IL LIBRO. SULLE ORME DI CIRCE

mero potrebbe non avercela raccontata giusta su Circe e sui suoi poteri magici. La dea terribile che l’Odissea ci presenta , «la strega pronta a umiliare i viandanti e a sottrarli al mondo umano», forse non era davvero tale, nella materia orale e polisemica del mito alle sue origini. A sostenerlo sono  Maurizio Bettini e Cristina Franco  ne Il mito di Circe, immagini e racconti dalla Grecia a oggi appena uscito per Einaudi. Lo stesso Plutarco ci racconta una diversa storia della maga che incantò Ulisse e tramutò i suoi compagni in porci. è una Circe, la sua, «molto amabile e comprensiva con il rude e arrogante condottiero», annota il filologo classico dell’Università di Siena, che per la casa editrice torinese sta preparando una collana di volumi per conoscere più da vicino i miti che la Grecia antica. Miti che sono stati riletti e rielaborati da pittori e scrittori nel corso di molti secoli successivi. Il caso di Circe è, in questo senso, paradigmatico. Seguirne le avventure nell’iconografia lungo i secoli permette anche di riscontrare quanto sia lunga l’ombra di quella nera  ambivalenza che Omero le attribuì.

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Il declino dell’impero cristiano

Posted by Simona Maggiorelli su novembre 30, 2009

Propaganda sui media e pesanti ingerenze nella politica italiana. La Chiesa torna alle crociate. Ecco come fermarla

di Federico Tulli

Francis Bacon

Estendere la capacità giuridica al concepito. È questa l’ultima pensata filo-vaticana del capogruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri. Il senatore, lo stesso che definisce «banalizzazione della vita» l’eventuale decisione di abortire per via farmacologica cui avrebbero diritto le donne italiane con l’entrata in commercio della pillola Ru486, ha poi precisato: «Siamo fermamente convinti della necessità di una norma di carattere generale, in grado di tutelare il fondamentale principio di uguaglianza fin dal momento del concepimento».

Questa proposta, che trasformata in legge sarebbe una pietra tombale per la norma 194/78 sull’interruzione volontaria di gravidanza, è solo l’ultima di una lunga serie di entrate a gamba tesa delle istituzioni contro diritti civili faticosamente acquisiti. Si sommerebbe, infatti, alla legge 40/04 sulla fecondazione assistita, giudicata cinque anni dopo l’entrata in vigore parzialmente incostituzionale dall’Alta corte perché viola gli articoli 3 e 32 della Carta. Oppure ancora al ddl Calabrò sul testamento biologico, che impone il ricorso al sondino per l’alimentazione forzata, in barba al diritto all’autodeterminazione che sempre la nostra Costituzione riconosce ai malati. Interventi “duri”, che se da un lato ricalcano fedelmente le indicazioni ora della Conferenza episcopale italiana, ora di altre gerarchie dello Stato Vaticano, dall’altro dicono di una classe politica che si muove nella direzione opposta a quella della società civile che dovrebbe rappresentare. E dicono pure di un potere, quello della Chiesa cattolica, costretto a serrare le fila (e alzare il tiro sulla altrui libertà di pensiero) per bilanciare una costante quanto inesorabile perdita di incisività e appeal culturale e religioso nei confronti dei cittadini italiani. Queste considerazioni trovano adeguato sostegno nei numeri del Quinto rapporto sulla secolarizzazione in Italia a cura di Critica liberale e dell’Ufficio Nuovi diritti Cgil nazionale. Il documento viene presentato a Roma nell’ambito del convegno internazionale “La secolarizzazione in Europa”, organizzato dalla Fondazione Critica liberale in collaborazione con lo European liberal forum. Il nostro settimanale left anticipa i passaggi più significativi della relazione di Silvia Sansonetti, ricercatrice in Politiche sociali all’università Sapienza di Roma, da cui emerge la tendenza laica «del mutamento nel tempo degli atteggiamenti degli italiani, circa aspetti della loro vita potenzialmente legati ai valori di riferimento della religione cattolica».
I numeri parlano di diminuzione dei matrimoni concordatari e dei battesimi, crescita delle unioni civili, dei divorzi e del numero di figli nati al di fuori del matrimonio. Due le cause principali individuate da Sansonetti. Da un lato i cittadini italiani decidono sempre più in autonomia rispetto a ciò che è corretto per la Chiesa, dall’altro cresce il peso del multiculturalismo iniettato nella società dai milioni di immigrati che professano religioni differenti da quella cattolica.

Così abbiamo i matrimoni civili che sono passati dal 17,5 per cento del 1991 al 33,7 del 2006 sul totale dei matrimoni celebrati in Italia (civili + concordatari), e la percentuale dei bambini battezzati con età inferiore a un anno che nello stesso periodo è calata di 12 punti assestandosi al 79,2 per cento. Tale diminuzione, secondo la ricercatrice, può dipendere da due fattori: «Da un lato, l’apporto alla natalità totale del Paese degli immigrati che, in molti casi, non professano la religione cattolica, dall’altro, un nuovo atteggiamento dei genitori. Costoro non percepiscono più il battesimo come urgente e lo rimandano negli anni». Per quanto riguarda le libere unioni, nel ricordare che la loro tendenza era in costante aumento nel periodo per il quale il dato è disponibile (1993-2003), un indicatore per gli anni a seguire può essere rappresentato dal costante aumento del rapporto tra i figli naturali e i figli legittimi, vale a dire tra bambini nati da genitori non sposati e da genitori sposati. Ebbene, tra il 1991 e il 2007 lo scarto è di quasi dodici punti percentuali, raggiungendo il 20,7 per cento dei nati. Le sentenze di divorzio, infine, dopo un andamento calante tra il 1991 e il 1993 (da 23mila a 19.800), sono in continuo aumento tanto da aver raggiunto quota 49.500 due anni fa.

Fin qui i “comportamenti” sui quali è più marcata l’insistenza delle gerarchie ecclesiastiche nell’indicare la via “corretta” per i cattolici italiani. Sansonetti evidenzia poi altre due scelte per le quali «la Chiesa cattolica tende a esporsi meno pubblicamente ma che sono ugualmente legate al senso di appartenenza religiosa»: la frequenza dell’ora di religione nelle scuole pubbliche e il finanziamento dello Stato Vaticano con l’otto per mille del gettito fiscale girato alla Chiesa. La strategia di muoversi sottotraccia non sembra aver condotto a risultati utili per quanto riguarda la partecipazione all’ora di religione: dopo essersi mantenuta costantemente intorno al 93 per cento fino al 2003 negli ultimi tre anni è diminuita in misura limitata ma costante raggiungendo nel 2007 il 91 per cento. Diverso è il discorso relativo all’otto per mille. «La Chiesa non si è mai esposta con dichiarazioni esplicite, ma da molti anni, ormai, nel periodo della dichiarazione dei redditi propone una campagna pubblicitaria martellante sul proprio ruolo nella società italiana.
Questo strumento non sembra essere molto efficace visto che l’ammontare devoluto al Vaticano, dal 2003 al 2006, è diminuito da 1.016 milioni a 930 milioni di euro, e che solo nel 2007 si è registrato un aumento a 991 milioni di euro». Molto peggio è andato alle gerarchie ecclesiastiche con le donazioni volontarie. «Queste tra il 1991 e il 2007 sono scese da 21,2 a 16,8 miliardi di euro. Il numero delle offerte ricevute tra il 1991 e il 2006 era passato da 185mila a 155mila e per il valore medio dell’offerta da 114,5 a 105 euro. Nel 2007 – conclude Sansonetti – pur evidenziandosi un aumento nel numero di offerte (171.500), il valore medio è sceso a 98 euro». Se il piatto piange, il Vaticano non ride.

26 novembre da left-avvenimenti

Chiesa in bancarotta per pedofilia

Nella cattolicissima Irlanda sono circa 800, tra religiosi, sacerdoti e suore, le persone sotto processo per oltre 30mila casi di violenza sessuale. In totale, se condannati, il Vaticano dovrà pagare 1,1 miliardi di euro alle loro vittime. Il caso irlandese ricalca fedelmente quanto avvenuto nell’ultimo decennio negli Stati Uniti. Qui, fino a oggi, sono 4.392 i sacerdoti denunciati per pedofilia. Mentre i risarcimenti già versati in seguito a condanne definitive ammontano a 2,6 miliardi di dollari. Una somma che ha portato sull’orlo della bancarotta la Chiesa dello Stato che adotta come motto nazionale: “In God we trust”. In Italia, il fenomeno sembra essere ancora sommerso. Sono 73 i casi di violenza su minori e oltre 235 le vittime di sacerdoti e religiosi.

L’impero economico del Vaticano

Tra contributi diretti, finanziamenti e agevolazioni, ogni anno l’Italia dà 4,5 miliardi di euro alla Chiesa. La somma, secondo stime molto prudenti, si articola in vari filoni tra cui: un miliardo di euro dell’otto per mille, 950 milioni per gli stipendi di 22mila insegnanti di religione e 700 milioni di euro che Stato ed enti locali versano in base a convenzioni su scuola e sanità. Poi ci sono i tanti vantaggi fiscali di cui la Chiesa gode. Come lo sconto del 50 per cento su Ires e Irap, l’esenzione sull’Ici (da 400 a 700 milioni di euro. Fonte Anci) e le agevolazioni per il turismo cattolico. Per quanto riguarda le rendite immobiliari, secondo l’inchiesta di Curzio Maltese pubblicata ne La questua (Feltrinelli) il Vaticano possiede circa il 20 per cento del patrimonio immobiliare complessivo italiano.

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Quel silenzio di Marcinkus

Posted by Simona Maggiorelli su agosto 8, 2008

Il deputato Maurizio Turco: La Chiesa cattolica costa all’Italia un miliardo di euro l’anno. Un prezzo insostenibile. Dopo La Questua scoppia lo scandalo “carità” di Simona Maggiorelli

Anche solo a dare un rapido sguardo alle uscite degli ultimi mesi, colpisce il numero di libri che indagano sulla Chiesa e sulle religioni. Si va dalle inchieste sul sistema di spionaggio del Vaticano a saggi su crimini come la pedofilia, fino a testi che, alla luce della scienza, fanno saltare i precetti del credo. Sul piano della truffa che via otto per mille e con molti altri mezzi la Chiesa cattolica commette ai danni dello Stato italiano, il libro più ficcante e esaustivo è certamente La Questua (Feltrinelli) che Curzio Maltese ha scritto con la collaborazione del parlamentare radicale Maurizio Turco, eletto nelle liste del Pd, il quale da anni con Anticlericale.net svolge un lavoro di indagine capillare su questi temi.
Onorevole, oggi quali capitoli aggiungerebbe a La Questua?
Rispetto all’Italia abbiamo detto più o meno tutto. Tutto quello che sappiamo e che si può sapere. Perché ai magistrati è impedito di andare oltre. Anche di fronte ad affermazioni del più credibile dei pentiti che, in un’aula di tribunale, ha detto che i soldi della mafia venivano riciclati attraverso lo Ior, il povero magistrato ha potuto fare solo una cosa: ignorare questa dichiarazione. Questo è un muro oggi invalicabile.
Che reazioni ci sono state al libro dai media vicini alla Chiesa?
L’Avvenire e il Giornale ne hanno criticato l’impostazione. L’Avvenire addirittura capitolo per capitolo. Tranne uno, quello sullo Ior, l’ha ignorato completamente. A conferma che quella è la frontiera che dobbiamo varcare.
Con quali strumenti?
Non con questo Parlamento che non consentirà nulla in termini di rispetto della laicità e della giusta separazione tra la sfera pubblica e privata. Quindi fra sfera politica e sfera religiosa. E non passando dalla magistratura perché la Corte di cassazione, avendo respinto il referendum radicale sul Concordato, ha avallato il fatto che questo fosse un trattato internazionale che andava sottratto ai cittadini e al Parlamento. Il concordato, cioè, può essere rivisto solo di comune accordo. A differenza di tutti gli altri trattati internazionali tra due Stati “normali”, dove uno dei due può denunciare l’altro per mancato rispetto, tutti i concordati della Chiesa, con qualsiasi Stato, prevedono una clausola finale che in caso di contrasto dovrà essere superato di comune accordo. Quindi non sarà mai possibile denunciare quel Concordato. A meno che non ci sia una forte iniziativa politica che riesca, attraverso un moto di rivolta popolare, a far emergere come il costo della Chiesa per l’Italia, ovvero un miliardo di euro l’anno, sia del tutto insostenibile. Specie ora.
Il fatto che Calvi abbia rivolto la sua ultima lettera di richiesta di aiuto al papa e non alle autorità italiane conferma sospetti sullo Ior anche se non abbiamo prove, “pezze di appoggio”?
C’è una pezza d’appoggio, riportata nel libro di Maltese. Quando Marcinkus doveva andare a difendersi, il Vaticano chiese di considerare lo Ior come un ente centrale della Chiesa e quindi, ai sensi dell’articolo 11 del trattato, esente da qualsiasi ingerenza. In quel modo Marcinkus non fu nemmeno ascoltato. Ho trovato strano che quando settimane fa si è tornati sul rapimento Orlandi ed è stato tirato in ballo Marcinkus, il Vaticano si sia inalberato dicendo: “Marcinkus è morto e non può parlare”. Quando era vivo, però non ha voluto parlare, ha avuto l’occasione di difendere il buon nome, l’immagine dello Ior. E’ chiaro: è il loro buco nero ma anche il loro punto di forza. Sarebbe interessante vedere chi sono gli italiani che hanno un conto allo Ior. Che dà interessi del 12 per cento. Lo abbiamo appurato trovando su internet il bilancio dell’associazione cattolica dei medici giapponesi. Un dato mai smentito dallo Ior.
Adesso qual è il suo fronte di inchiesta?
Quello della carità. Voglio vedere chi la paga e quanto costa. C’è un programma europeo che si occupa della redistribuzione dei prodotti alimentari, vorrei capire se vanno ai poveri o rientrano nel loro circuito degli alberghetti, delle scuole, degli asili.
La cosa più pericolosa per la Chiesa cattolica?
L’aver legittimato, dopo l’Opus dei, Comunione e liberazione. Adesso sta facendo una guerra feroce per il controllo delle parrocchie. Cl potrebbe essere la prima impresa del Paese. Non ce ne rendiamo conto perché è composta da un sistema di tante microcooperative e quant’altro che poi fanno sempre riferimento alla casa madre. Quando un giorno Cl diventerà oggetto di indagine capiremo cosa è accaduto in questi anni nel nostro Paese. È un’organizzazione abbastanza trasversale, la Compagnia delle opere ha riferimenti politici sia a destra che a sinistra.
Ne La Questua non si parla di pedofilia ma su questo tema lei ha lavorato molto
Sì, a partire dal Crimen sollicitationis, con cui si è costruito un sistema di omertà. Sebbene se ne parli solo in piccole notizie di agenzia, i casi sono molti. A Napoli poche settimane fa c’è stato un risarcimento di 40mila euro a un bimbo violentato. È stata la prima volta che un giudice ha accettato il documento del Crimen. In sede penale il prete era stato riconosciuto semi-infermo. L’infermità durava il tempo della violenza, poi lui ridiventava normale! In sede civile però è stato condannato ed è molto importante.
Questo potrà creare un utile precedente?
Dipende dai giudici dei gradi successivi. Ma intanto questi casi cominciano a circolare sui media locali. Sono sempre di più, prima o poi qualcuno dovrà agire seriamente. Ovviamente la responsabilità penale della violenza è personale. Ma la mia tesi è ancora oggi quella che, dietro la responsabilità individuale, ci sia un sistema organizzato che ha sottratto alla conoscenza del pubblico e della giustizia questi casi. A Como, un paio di mesi fa, il vescovo è stato implicato perché aveva avvisato il sacerdote che stavano indagando su di lui. Il problema è il Crimen sollicitationis che la Chiesa non ha mai ritrattato. Per gli altri i peccati diventano reati. Per loro i reati diventano peccati.

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