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#Aborto. A rischio i diritti delle donne, bersaglio dei #no-choice

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 1, 2014

spagna_nIl primo febbraio una grande manifestazione internazionale contro il dietro front del governo spagnolo sui diritti delle donne riguardo all’aborto. Alle 15 sit-in davanti all’Ambasciata spagnola a Roma.

E in Italia cosa sta accadendo? La riscossa dei No-choice riparte da Firenze. Confidando nel sindaco. Mentre  non si sono ancora spente le polemiche per il voto dei sei europarlamentari Pd che nel dicembre scorso hanno affossato la risoluzione Estrela che chiedeva aborto sicuro in tutti Paesi dell’Unione Europea. E il movimento religioso l’embrione è “uno di noi” raccoglie 1.700.000 firme per cancellare in Europa  la ricerca scientifica che utilizza embrioni.

di Simona Maggiorelli

«No all’aborto», «Fermiamo la soppressione legalizzata dei concepiti». Con questi slogan il 4 gennaio si sono presentati davanti all’ospedale di Careggi alcuni attivisti di gruppi cattolici, che in tutta Italia organizzano maratone di preghiera per sostenere una proposta di legge di tutela degli embrioni.

Era un numero sparuto di pro life quello che ha manifestato a Firenze per chiedere l’abrogazione della legge 194, ma non è la prima volta che nella città governata da Renzi gli anti abortisti scendono in piazza: qualche mese fa lo hanno fatto anche tentando di intralciare il lavoro dei consultori. E dopo che la giunta del sindaco ha deliberato a favore di un cimitero per i feti, è partita anche una raccolta firme per una proposta di legge che chiede «tutele per le famiglie dei bambini mai nati».

Promossa dall’associazione Pensiero Celeste e sostenuta dal Mir (Moderati in rivoluzione) e dal progetto politico Innamorati dell’Italia, a dicembre è stata presentata in Palazzo Vecchio da Walter Ferrazza (ex sottosegretario Affari regionali) e dal consigliere di Forza Italia Jacopo Cellai. Segnali che anche una città dalla tradizione di sinistra come Firenze si sta allineando alla Roma papalina, dove solo farsi prescrivere la pillola del giorno dopo è un percorso a ostacoli? Certo è che l’offensiva contro la 194 da parte degli oltranzisti cattolici trova un solido appoggio in Papa Francesco, che nei giorni scorsi è tornato a parlare dell’«orrore dei bimbi vittime dell’aborto», dopo interviste come quella apparsa su Civiltà cattolica in cui il pontefice diceva che l’aborto pesa enormemente nella vita delle donne e che per questo dovrebbero pentirsi. Per la Chiesa la donna che decide di interrompere una gravidanza è, da sempre, un’assassina. E ora dal pulpito si cerca di irretirla nelle scelte, brandendo il fantasma del senso di colpa e della «sindrome post aborto», che i fondamentalisti cristiani chiamano anche «sindrome del boia» (vedi left del 15 luglio 2013). Una “patologia” che la moderna psichiatria stigmatizza come invenzione ideologica, perché senza alcun fondamento scientifico. Mentre la neonatologia ha ampiamente dimostrato che l’aborto non è un assassinio e che il feto non ha nessuna possibilità di vita autonoma fuori dall’utero prima delle ventiquattro settimane.

«La donna che ha deciso di abortire non uccide una vita umana come si vuol far credere – ha detto la neonatologa e psicoterapeuta Maria Gabriella Gatti -. Il feto ha una realtà puramente biologica e quindi anche sul piano etico e giuridico l’aborto non può essere equiparato a un omicidio. Il cervello del neonato – approfondisce la docente di neurologia neonatale dell’Università di Siena – è completamente diverso da quello del feto che è funzionale ai processi di accrescimento e non a una attività di pensiero che ha inizio con la nascita». Ma nonostante queste acquisizioni scientifiche compaiano anche in sentenze importanti come quella della Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo), che invita l’Italia a rivedere il testo della Legge 40 sulla fecondazione assistita perché confonde il feto con il bambino, la politica italiana – specie quella più ligia ai diktat vaticani – continua a non perdere occasione per attaccare il diritto di poter ricorrere all’aborto. Basta ricordare che alla fine del 2013 sei eurodeputati Pd (renziani e non) hanno affossato la risoluzione Estrela che semplicemente invitava gli Stati membri a garantire, per le donne di tutti i Paesi della Unione Europea, gli stessi diritti in tema di sessualità e salute riproduttiva e l’aborto legale e sicuro, senza i vincoli dell’obiezione di coscienza.

«Anche a causa della capillare azione dei No-choice, il testo è stato bocciato e sostituito con una proposta di esponenti del Ppe che afferma la non competenza del Parlamento europeo su queste tematiche, rimandando alle scelte dei singoli Paesi», commentano attiviste del movimento Se non ora quando. Per poi aggiungere: «L’astensione di parlamentari del Pd, che ha consentito che questo avvenisse, ci sorprende e ci preoccupa, anche perché il testo non era vincolante ed era già stato modificato al ribasso».

La bocciatura al Parlamento europeo della “risoluzione Estrela” «è l’ultimo di una lunga serie di attacchi ai diritti delle donne» ribadisce la ginecologa Anna Pompili della Laiga, tornando a denunciare l’uso strumentale dell’obiezione di coscienza, che rende praticamente impossibile effettuare aborti in molti ospedali italiani e che rischia di riaprire la piaga dell’aborto clandestino (che la 194 ha drasticamente ridotto). «Il rapporto Estrela impegnava i governi degli Stati membri, anche le cattolicissime Irlanda e Italia, a promuovere la salvaguardia della salute riproduttiva attraverso l’accesso alla informazione sessuale, alla contraccezione oltreché all’aborto sicuro – sottolinea la ginecologa -. Troppo aggressivo, secondo l’europarlamentare Pd David Sassoli, che con Silvia Costa, Patrizia Toia e gli altri del gruppo Pd a Strasburgo difende le diverse sensibilità di ciascun Paese su temi “eticamente sensibili”». Per rispondere in maniera positiva, dando voce alle donne, la Laiga rilancia una manifestazione internazionale che si svolgerà con ogni probabilità l’8 marzo e organizzata dalla rete Womenareurope. « La sinistra in Italia – dice Anna Pompili – deve ricominciare a pensare che i diritti umani (e la salute riproduttiva lo è a pieno titolo) non sono temi secondari rispetto alla drammaticità della crisi economica, temi per i tempi di “vacche grasse”, restituendo dignità a quella sua vocazione originaria da troppo tempo dimenticata. Insomma – conclude la rappresentante della Laiga – il Pd deve chiarire la sua posizione in tema di aborto, contraccezione, fecondazione assistita, laicità dello Stato. Lo deve a quelle cittadine che vedono i loro diritti calpestati in nome di un’etica superiore, e che spesso sono costrette ad una dolorosa migrazione in altri Paesi per esercitarli. Anche se la legge italiana è una delle più avanzate d’Europa».

dal settimanale left avvenimenti

La campagna l’embrione è uno di noi raggiunge 1.700.000 firme. A rischio la ricerca scientifica che utilizza embrioni

BRUXELLES 28 febbraio 2014- I venti di destra che soffiano sull’Europa dei diritti civili e delle donne in particolare trovano un’altra preoccupante conferma: nella Ue l’iniziativa religiosa l’embrione è “uno di noi” ha raccolto 1,7 mln firme tagliare i finanziamenti alle ricerche scientifiche che implicano la distruzione di embrioni . La Commissione Ue, s ilegge in un comunicato Ansa, ha reso noto che l’iniziativa ha superato la soglia minima di un milione di firme (raccolte in almeno 7 Paesi membri) necessaria per obbligare le istituzioni Ue a valutare l’opportunità di legiferare. ‘Uno di noi’ mira ”a proteggere la vita umana sin dal concepimento.Sulla base della definizione di embrione come ”l’inizio dello sviluppo dell’essere umano’. Entro i prossimi tre mesi la Ue dovrà decidere

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Defanti: l’eugenetica non c’entra nulla con la diagnosi preimpianto

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 21, 2012

L’eminente neurologo Carlo Alberto Defanti denuncia l’infondatezza delle tesi di chi, acominciare dal ministro della Salute Renato Balduzzi,  vuole proibire la normale diagnosi preimpianto

di Simona Maggiorelli

Carlo Alberto Defanti

Fra i massimi esperti di bioetica e già primario di Neurologia al Niguarda di Milano, Carlo Alberto Defanti è lo specialista che ha avuto in cura Eluana Englaro. Dopo il libro  Soglie. Medicina e fine della vita (Bollati Boringhieri) ora pubblica per Codice edizioni, un saggio che ricostruisce la storia dell’eugenetica (Eugenetica, un tabù contemporaneo), indagando l’uso aberrante e strumentale che il nazismo fece delle idee di Francis Galtong, cugino di Darwin e fondatore dell’eugenetica.

Professor Defanti, come nasce l’eugenetica?

Nasce in stretta connessione con la teoria darwiniana dell’evoluzione della specie anche se non c’è un rapporto diretto di derivazione. Francis Galtong, il fondatore, la definì «la scienza che tratta di tutte le influenze che migliorano le qualità innate di una razza e di quelle che le sviluppano per il massimo vantaggio». Allora si temeva che il venir meno del meccanismo della selezione naturale nelle società umane potesse condurre a un declino della specie. Se ne vedevano esempi nella popolazione delle città industriali e nella diffusione dell’alcolismo e della criminalità. Nei Paesi in cui le idee di Galtong si tramutarono in legge, come gli Stati Uniti, i Paesi scandinavi e soprattutto la Germania hitleriana, esse portarono a provvedimenti inaccettabili di sterilizzazione delle persone con ritardo mentale. E ciò ha fatto crescere un discredito del movimento eugenetico, tanto che oggi chi  si oppone a qualsiasi intervento sul processo procreativo, anche se per prevenire la nascita di bimbi con gravi malattie, lo condanna come “deriva eugenetica”.

Il ministro della Salute Renato Balduzzi, politici cattolici  e quotidiani come l’Avvenire dicono, appunto, che la diagnosi preimpianto apre all’eugenetica, cosa ne pensa?

L’eugenetica galtoniana non c’entra proprio nulla. La diagnosi preimpianto è una pratica che la genetica umana moderna ha messo a punto da non molti anni e che viene regolarmente eseguita in molti Paesi europei. Le malefatte dell’eugenetica storica vengono usate per impedire l’accesso delle coppie consapevoli a procedure mediche collaudate e accettate.

Eugenetica

Volere un figlio sano, perché non debba patire inutilmente e morire presto per malattie genetiche devastanti e incurabili, può essere paragonato all’idea nazista di selezione della razza che, come lei scrive nel suo libro, ha dietro  un’idea di morte, di sterminio?

Sicuramente no. Anche qui entra in gioco quello che nel mio libro ho chiamato il ricorso scorretto al “tabù dell’eugenetica”.

La diagnosi prenatale e la diagnosi preimpianto dovrebbero essere considerate esami per la tutela della salute della madre e del nascituro, come accade per l’amniocentesi?

Non ho dubbi su questo, come non ne hanno le principali società scientifiche di genetica umana, che anzi lo suggeriscono nel quadro del counseling genetico delle coppie a rischio.

Ma se la diagnosi prenatale è eugenetica allora dovrebbe essere condannato come tale anche l’aborto terapeutico? 

In teoria con l’aborto terapeutico si ottiene lo stesso risultato che con la diagnosi preimpianto, ma, è ovvio, si tratta di un modo assai meno accettabile per la donna. Il paradosso italiano è che, mentre l’aborto terapeutico è consentito (dalla legge 194), non lo è la diagnosi preimpianto (dalla Legge 40).

Paventando «l’uomo bionico creato in laboratorio», il vescovo Mogavero ammoniva agli scienziati  che secondo l’alto «non dimenticare mai che esiste un solo creatore».

La posizione dei vescovi si rifà all’idea di “lasciar fare alla natura”; in altre parole, mentre la natura è “buona”, l’artificio è cattivo e pericoloso. Ma se fosse così la medicina moderna dovrebbe essere abbandonata, trattandosi di un enorme processo artificiale che, en passant, ha debellato le gravi malattie del passato ed ha contribuito all’allungamento della vita. Certo bisogna essere prudenti e sapere distinguere: ogni intervento sulla vita umana è passibile di essere usato a fin di bene ma anche per scopi non accettabili. Ma condannare in blocco ogni intervento non ha alcun senso.

da left-avvenimenti nunero 36 dell’8 settembre 2012

da La Stampa 12.9.12
L’eugenetica maledetta dal tabù nazista
La disciplina è figlia del darwinismo, ha influenzato scrittori, antropologi e politiche di welfare. Un saggio ne ripercorre la storia
di Oddone Camerana

Fin dal titolo il nuovo libro di Carlo Alberto Defanti Eugenetica: un tabù contemporaneo. Storia di un’idea controversa (Codice edizioni), evoca l’emarginazione cui è stata sottoposta l’eugenetica storica sul piano conoscitivo. Purgatorio dovuto al fatto di aver identificato riduttivamente quest’idea con la sua manifestazione più clamorosa, il razzismo nazista della prima metà del Novecento. Identificazione che le è costato il prolungato silenzio critico e storico da cui detta idea ha cominciato a uscire solo di recente.
L’aver rinchiuso l’eugenetica nel baule delle vergogne, dimenticando le manifestazioni più problematiche di quell’idea, ha rischiato di favorire chi ha cercato in seguito di seguirne le tracce sotto le mentite spoglie della genetica. Fenomeno, questo, evidente nei titoli di alcuni testi citati da Defanti: quello del sociologo americano Tony Duster Backdoor to Eugenics («La porta posteriore dell’eugenetica») 1990 e un articolo di Diane Paul Is Human Genetics Disguised Eugenetics («la genetica sugli umani è eugenetica camuffata? »). Ma al di là del pericolo descritto, rischio che riguarda l’attualità, sta di fatto che da un punto di vista più generale la lettura della cultura dell’Ottocento e del primo Novecento da cui l’idea eugenetica è stata rimossa perché indegna è una lettura purtroppo impoverita. Per sbagliata e perversa che sia stata, l’idea eugenetica ha comunque mosso una cospicua parte del pensiero otto-novecentesco uscito dal cappotto di Darwin. Lo sconvolgimento prodotto dal naturalista inglese è stato, per ciò che riguarda la perduta centralità dell’uomo rispetto alla natura, pari allo shock prodotto da Copernico per ciò che ha riguardato a suo tempo la perduta centralità del pianeta terra rispetto all’universo. In soccorso dell’uomo privato del suo ruolo tradizionale, smarrito a seguito del fatto di essere stato gettato nel coacervo dell’evoluzione naturale che lo riguardava insieme al resto del creato animale e vegetale, si sono espressi i più celebri nomi dell’eugenetica storica.
In questa luce i testi di scienziati, antropologi, filosofi come A. B. Morel e O. Spengler per limitarci ai pessimisti, o quelli di F. Galton, H. Spencer e G. Vacher de Lapouge e financo i romanzi di E. Zola e H. G. Wells, acquistano peso per la visione eugenetica in cui sono immersi. Il sospetto suscitato dalla teoria evoluzionistica darwiniana che la fase della selezione naturale si fosse conclusa, unito al timore che i meccanismi di protezione dei più deboli potessero sostituirsi alla selezione stessa, inceppando così il motore evolutivo, furono sufficienti ad attivare il darwinismo sociale, potente motore dell’eugenetica. Tra il ricovero in istituti come La Piccola Casa della Divina Provvidenza del Cottolengo dei disabili e il programma eugenetico delle «vite indegne di essere vissute» da eliminare, occorreva trovare una mediazione che facesse dimenticare il patto faustiano tra scienza medica e regime totalitario, la prima bisognosa di autorità e potere per affermarsi, il secondo pronto a offrirlo in cambio di legittimità scientifica.
Ciò detto per quanto riguarda il ruolo determinante dell’eugenetica storica, resta da far presente come non vadano dimenticati i campi di azione in cui quest’ultima fece sentire la sua influenza sebbene in maniera indiretta o in tono minore di quanto non avvenne per il razzismo. Senza il contributo dell’eugenetica storica, infatti, l’intervento dello Stato nell’igiene pubblica, nella sanità e nel welfare non avrebbero preso la dimensione assunta nel corso del tempo. Lo stesso dicasi per ciò che riguarda l’impulso dato alla biologia, alla scienza e alla tecnica, in genere al progresso di cui l’industria e la proletarizzazione delle masse urbanizzate non tardarono a mostrare i volti della degenerazione e della decadenza, gli incubi rappresentati dagli scrittori naturalisti come Zola e Dickens per fare due nomi tra i più noti. Di qui la nostalgia per la perduta purezza delle razze sentita da Gobineau, il senso del tramonto dell’Occidente descritto da Spengler, l’auspicata riforma della Giustizia per fronteggiare l’emersione degli atavismi criminali delineati da Lombroso, il sorgere del bisogno di separare la sessualità dalla procreazione, la voluttà e il piacere dalla riproduzione, come richiesto da Vacher de Lapouge e l’accanirsi del confronto tra natura e cultura, tra qualità innate (ereditate) e ambiente in senso lato.Se il pericolo di rimuovere l’idea eugenetica vale per il passato nei modi sopra descritti, in diversa misura vale anche per oggi sebbene in presenza di un contesto sociale, scientifico e culturale completamente mutato. Se infatti l’affermarsi dei diritti individuali, umani, soggettivi dei disabili e delle garanzie come quella del consenso medico informato da una parte e la realtà dei passi da giganti compiuti dalla biomedicina, dalla genetica dall’altra, sono insieme una rassicurazione che gli orrori razziali trascorsi prodotti dall’eugenetica sono solo un ricordo, questo non toglie che l’idea eugenetica sia del tutto sconfitta. La pratica del counseling genetico, per fare un esempio, può nascondere forme di imposizione demografiche legate alla concessione di licenze matrimoniali vantaggiose. La possibilità della manipolazione della vita resta pertanto una minaccia che il business procreativo è in grado di coprire dietro promesse di qualità della vita. La massima confuciana secondo la quale la vita non inizia prima della nascita lascia molte strade aperte alla biopolitica.

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Il ministro Balduzzi: Il mio decreto sanità è solo il calcio di inizio

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 21, 2012

Il governo avvia la riorganizzazione della Sanità. Ma Regioni e Comuni contestano i tagli. Sul ricorso contro la sentenza sulla Legge 40: chiedere chiarimenti è interesse di tutti. Parla il ministro della Salute Balduzzi 

di Simona Maggiorelli

Il ministro della Salute Balduzzi

Ambulatori aperti 24 ore su 24, che liberano i Pronto soccorso dal sovraccarico di lavoro. Centri pubblici territoriali dove ci si può sottoporre a screening di prevenzione e consultare specialisti. Poliambulatori con una équipe di medici di base che, collegati in rete, possono per esempio inviare in ospedale via web la cartella clinica del paziente che si deve ricoverare. Li chiamano “Case della salute” e in Italia ne esistono già diversi. Sono esempi avanzati, come quello nato nella Usl 11 di Empoli per iniziativa di un gruppo di medici di famiglia. Intanto altre realtà pilota stanno crescendo in Toscana e in Emilia Romagna. Il ministro della Salute Renato Balduzzi ha deciso di farne un modello di servizio medico territoriale da estendere in tutta Italia. Questo progetto è il cuore del Decreto legge che porta la sua firma e che, dopo un iter travagliato, ha avuto il via libera del Consiglio dei ministri. Ma se il tentativo di coniugare salute e sviluppo, valorizzando le competenze mediche attive sul territorio, è stato quasi unanimemente apprezzato da operatori e Regioni, più di un dubbio è stato sollevato sulla fattibilità della “Riforma Balduzzi” che secondo il governo dovrebbe essere a costo zero. Dal 2010 al 2014, in base a quanto già stabilito da più governi, il fondo della Sanità italiana sarà privato di 21 miliardi di euro. In questa congiuntura da dove potranno venire le risorse per far partire progetti che, nella fase di start up, necessitano quanto meno di infrastrutture e di reti informatiche? Lo abbiamo chiesto allo stesso ministro Balduzzi. «Per quanto riguarda l’assistenza territoriale bisogna ricordare che i principi introdotti nel decreto sono già contenuti nella convenzione nazionale con i medici di famiglia. E in quanto tali sono già finanziati. Ora è possibile darne piena attuazione. Quanto alle Unità complesse di cura primaria, è chiaro che necessitino di risorse: la ristrutturazione ospedaliera prevista dalla spending review serve a liberare risorse. Tutto il risparmio che la Regione riuscirà a realizzare in questo modo dovrebbe finanziare la rete territoriale.

E se nascessero dei problemi sulle risorse?

Ne discuteremo con le Regioni che hanno già avviato processi di sperimentazione. Tuttavia insistere ora su questo punto rischia di diventare un alibi per chi non vuole fare nulla. E di depotenziare un cammino ormai consolidato. Quanto è scritto nell’articolo 1 del decreto non è una rivoluzione. Era già nella normativa da tempo. Noi abbiamo solo fatto sì che, grazie a principi più chiari, l’istituzione della medicina territoriale potesse essere un obiettivo raggiungibile. Visto che se ne parla da oltre 15 anni nei dibattiti scientifici.

Presidenti di Regione come Errani e Rossi, hanno contestato il ricorso al decreto in materia di salute. Dopo il confronto parlamentare la discussione approderà in conferenza Stato-Regioni?

Sì e in questo caso sarà sottoposto alla Conferenza unificata perché il decreto contiene competenze che riguardano anche i Comuni. La conferenza unificata è un parere autorevole, (obbligatorio anche se non vincolante) che il Parlamento, in sede di conversione in legge del decreto, è chiamato a prendere in considerazione. Poi nel Patto per la salute ci sarà un ulteriore confronto. L’importante era dare il calcio di inizio. Ma si arriverà a definire un accordo sia con le Regioni sia con le categorie coinvolte.

Quali i tempi di attuazione?

Attraverso un accordo fra Stato e Regioni in sede di Patto per la salute, si potrà prevedere una tempistica. Auspico che accada nel minor tempo possibile perché questa è una esigenza avvertita dagli utenti, dagli operatori, da tutti.

Il Sistema sanitario nazionale è stato una grande conquista. Ma la situazione reale dei servizi è “a macchia di leopardo”. Come garantire l’universalità del diritto alla salute anche nelle Regioni in forte deficit?

Il Sistema sanitario nazionale cerca di realizzare il massimo grado di omogeneità. Certo, i livelli essenziali di assistenza devono essere uguali ovunque. Anche se poi nella realtà non sempre accade, purtroppo. Ma il nostro sistema va in quella direzione. E i piani di rientro non significano solo l’obbligo a trovare un equilibrio finanziario. Si è visto, infatti, che un equilibrio finanziario permette di dare migliori servizi. Insomma non è tanto una questione di asticella del fabbisogno ma in alcuni casi un problema di disorganizzazione e inefficienza.

Un punto di criticità del decreto riguarda l’intramoenia. C’è il rischio di cronicizzare la situazione attuale.

Nessuna norma è intoccabile ma, ne sono certo, abbiamo fatto il massimo stante la situazione attuale. E qualche risultato l’abbiamo ottenuto intervenendo anche nelle situazioni aziendali in cui, fin qui, non era stato fatto nulla. Ora quanto succede nell’attività libero professionale è tracciabile dalla Asl, e si riesce a evitare che l’intramoenia sia un modo per bypassare le liste di attesa pubbliche. Certo c’è chi dice che il problema sia l’istituzione stessa dell’intramoenia. Posizione legittima  ma non mi pare che il nostro ordinamento abbia imboccato la strada di una sua messa in discussione. A suo tempo fu deciso che un’attività libero-professionale fatta da un medico dipendente del Sistema sanitario dentro gli ospedali  a certe regole non fosse di ostacolo alla sanità pubblica.

Lei ha annunciato il ricorso del governo contro la sentenza di Strasburgo sulla Legge 40. Una coppia di portatori di fibrosi cistica, tramite l’associazione Luca Coscioni, in una lettera chiede al Presidente Napolitano di prendere posizione a favore della diagnosi preimpianto…

Io ho il massimo rispetto per le posizioni di queste persone e la massima attenzione verso chi è in sofferenza. Ma qui bisogna evitare di confondere il dibattito sulla Legge 40 e sulla diagnosi preimpianto con la vicenda specifica della Corte europea dei diritti dell’uomo. Fin dalla prima lettura della sentenza ho detto che, a mio parere, per ragioni di tipo processuale-tecnico-giuridico io avrei proposto l’appello, per promuovere un chiarimento, perché la Corte non risponde ad alcune domande decisive per il nostro ordinamento. Un ragionamento analogo al mio l’ha fatto Massimo Luciani su l’Unità. Sviluppando quello che io, a caldo, avevo tentato di dire, ovvero che ci sono dei problemi di fondo. Per esempio il diritto ad avere un figlio sano nel nostro ordinamento non esiste. La pronuncia di Strasburgo in questo senso è ambigua. Seconda questione: ma la Corte di Strasburgo ha considerato il bilanciamento che il nostro sistema ha trovato dopo che la Corte costituzionale ha rivisto e corretto la Legge 40? Perché l’argomento dell’incoerenza è double face. Anche nel merito la sentenza di Strasburgo presenta una serie di profili problematici. Non capisco perché chiedere chiarimenti susciti reazioni così forti. È utile a tutti.

Alcuni giuristi rilevano che una sentenza o la si rigetta o la si accetta, non esiste la terza via del chiarimento…

Non vogliamo usare la parola “chiarimento”? Intendiamoci però, stiamo parlando di una giurisdizione particolare. Il vincolo delle sentenze di Strasburgo è morale. Non è dello stesso tenore di quelle della Corte di giustizia dell’Unione europea.

Maria Antonietta Coscioni,

Siamo Europa non solo per le questioni economiche ma anche per una comune adesione al Consiglio d’Europa e alla Carta che tutela i diritti dell’Uomo, non crede?

Attenzione, questo è un altro equivoco. Non “siamo in Europa”. In realtà qui siamo in una prospettiva allargata che ha dentro anche la Turchia, l’Ucraina la Russia, Paesi che non stanno dentro l’Ue. È è un ordinamento diverso che ha come obiettivo la maggiore tutela e garanzia dei diritti dell’uomo. Siamo proprio sicuri che il modo in cui il nostro ordinamento tutela i diritti sia inferiore a quello della Corte di Strasburgo?

Ci sono almeno 17 sentenze di tribunali italiani che vanno nella stessa direzione di quella della Corte europea (Cedu). Scienziati di fama internazionale affermano che le Legge 40 è antiscientifica rilevando che anche la Cedu accusa la norma del 2004 di confondere feto e bambino: nella tutela dell’embrione la Legge 40 va contro la legge 194 che stabilisce invece una precisa gerarchia fra i diritti della madre e quelli del nascituro. 

Certo. Fu una sentenza della Consulta del 1975. Ora è anche possibile che la Corte costituzionale ritorni in campo. Ma dobbiamo chiederci se la soluzione di temi così delicati possa essere affidata a sentenze problematiche o se invece dobbiamo chiedere a Strasburgo  di pronunciarsi in maniera più forte e limpida.

Il Pdl preme perché il Ddl Calabrò riprenda l’iter in Aula. Dall’altra parte il senatoreFurio  Colombo del Pd presenta una sua proposta per un vero biotestamento chiamandola “legge Martini”. E il governo Monti che posizione prende?

Il governo lo ha già detto: è disponibile a concorrere a una soluzione purché questa non crei ulteriori divisioni e contrapposizioni. Il punto è trovare una soluzione che unisca.

da left avvenimenti del  15-21 settembre

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La santa ignoranza

Posted by Simona Maggiorelli su luglio 11, 2010

Un piccolo breviario. Spigolature fra gli ipse dixit vaticani. Scherzando ma non troppo

La vita. Il diritto alla vita per la vita è fra i principi non negoziabili per la Chiesa. «La vita deve essere difesa da credenti e non credenti» dice papa Ratzinger. Anche quella delle galline? chiese qualcuno opportunamente.

Sessualità. «La vita umana, dono di Dio, è da accogliere nell’intimità amorosa del matrimonio». Indi, per la Chiesa la sessualità umana come affetti, confronto di identità, dialettica fra diversi non esiste. Dovremmo solo procreare come gli animali.

Embrione. «Dio ama l’embrione, l’informe è già uomo», dice sempre il papa. Ora, la scienza dice che è un agglomerato di cellule. Ovvero un organismo solo biologico che prima di 24 o 25 settimane non ha possibilità di vita autonoma fuori dall’utero materno. Dunque, con Pannella, potremmo concludere che Dio è un bel feticista.

Aborto per la Chiesa «è assassinio». Come ha ribadito l’Evangelium vitae di Wojtyla. Con il cardinale Crescenzio Sepe che anni fa pubblicava un dossier anti aborto che parlava di «strage degli innocenti». Mentre su un sito web di Scienza e vita sedicenti psicologi farneticavano di «sindrome del boia», destino di ogni donna che abortisce. Dunque la legge 194 in Italia e tutte quelle che nell’Occidente moderno tanto caro a Ratzinger hanno legalizzato l’aborto?

Ru486. «Kill pill», «pesticida umano», secondo la sottosegretaria Roccella convertita sulla via di Damasco. «Le controversie sulla pillola hanno influito in modo immorale sul suo uso in Italia – dice l’accademico delle scienze Etienne Baulieu, padre della Ru486 – milioni di donne se ne servono e l’esperienza è positiva ovunque». E poi aggiunge opponendo alla morale cattolica la deontologia scientifica: «I medici sono tenuti a far soffrire i pazienti il meno possibile e non è morale che si impedisca l’uso dei farmaci che migliorano la salute della donna».

Pillola del giorno dopo. Il capo di Stato vaticano, come sempre fa, interviene a gamba tesa nelle questioni dello Stato italiano e raccomanda ai farmacisti l’obiezione di coscienza. Berlusconi arma la Roccella che antiscientificamente ne parla come di un farmaco abortivo. Ma se il governo davvero vuole evitare gli aborti, perché non ne fa un farmaco da banco?

Ricerca. «La scienza non minacci l’umanità», dice Ratzinger. La medicina sarebbe artificio e dunque “male”, la natura, di per sé “bene”. Ma anche i tumori esistono in natura. Lui, nel caso, non si curerebbe?

Eugenetica. Selezionare embrioni prima dell’impianto per avere figli liberi da malattie incurabili, per Benedetto XVI sarebbe eugenetica. Qualcuno gli spieghi che è per avere figli sani e non per il miglioramento della razza tanto agognato dai nazisti che frequentava in gioventù.

Deliri di reconquista. Facendo sempre meno presa sull’opinione pubblica, alle soglie del nuovo millennio la Chiesa decide di lanciarsi nella «reconquista». E in un progetto di «ricristianizzazione dell’Europa». Partendo dall’Italia. Come si legge nel pamphlet Contro Ratzinger (Isbn), il Vaticano convocò «un gruppo di intellettuali italiani terrorizzati dai tempi e convinti, heideggerianamente, che soltanto un dio potesse salvarli. L’idea era semplice. Per sottrarre l’Europa alla decadenza occorreva stabilire per via democratica il suo fondamento divino». Ma cascano male. E per lanciare il suo «progetto culturale» il cardinal Ruini deve affidarsi a Marcello Pera. Così le radici cristiane dell’Europa sono andate, opportunamente, a farsi benedire.

To be continued… su creazionismo, disegno intelligente, rinnovati roghi di Bruno e retroattivi per Darwin, fine vita, alienazione religiosa…
s.m.

da left-avvenimenti del 9 luglio 2010

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Serve vera prevenzione

Posted by Simona Maggiorelli su luglio 8, 2010

Depressione post partum. Occorre più informazione. E possibilità di colloqui con terapeuti in strutture non ideologizzate. Il parere della  psichiatra Annelore Homberg

Dopo recenti fatti di cronaca, il presidente della Sigo Giorgio Vittori propone, con lo psichiatra cattolico Antonio Picano, un Tso per le donne a rischio di depressione post partum. Dott.sa Homberg, da psichiatra, cosa ne pensa?
In psichiatria non esiste un Tso perché la persona “potrebbe” ammalarsi. Si può essere ricoverati contro la propria volontà solo quando si sta già molto male. Lo psichiatra deve valutare la situazione psichica e se è compromessa, allora, secondo i termini di legge, può e deve proporre il Tso. Poi la persona dev’essere ricoverata in un Spdc. Non vedo la necessità di un’altra forma di Tso; certo, vedo la necessità che le strutture per il Tso siano civilissime e che garantiscano l’assenza di stress ambientale per la donna incinta. Il problema da affrontare è poi il post ricovero: che la donna venga seguita bene, ma questo non c’entra  col Tso extraospedaliero.
E il Tso dopo il parto?
Se una donna è depressa-suicida o se delira floridamente mi sembra più intelligente allontanarla da casa e dal bambino (aiutando i familiari a occuparsene) finché non sta meglio. Un bebé con una madre fuori di sé non si diverte certo e anche la madre si riempie di sensi di colpa. Più in generale, su questo progetto mi sorgono alcune domande. Se si vuole raggiungere il numero più alto di donne incinte, non sarebbe più sensato rivolgersi in primis ai ginecologi e ai consultori, e fare finalmente una corretta informazione in tv? Questo rivolgersi alle «donne in gravidanza ricoverate» siamo certi che poi non vada a ricadere sulle donne che chiedono di abortire, affliggendole con diagnosi di depressione e magari anche di altro? Sarò diffidente ma non riesco proprio a fidarmi di nulla che abbia l’appoggio del sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella.
La donna di Passo Corese  che ha gettato la figlia dalla finestra era in terapia farmacologica. Quel giorno avrebbe dovuto recarsi a un controllo. Si è parlato di depressione. C’era di più?
Non conosco direttamente la signora ma le modalità – uccisione del bambino in modo cosiddetto incongruo e il fatto che la donna, se ho ben capito, dopo non ha tentato di togliersi la vita – in effetti fanno pensare ad altre diagnosi, di tipo delirante o prettamente schizofrenico.
Imporre test alle donne in gravidanza serve? In termini scientifici e di rapporto con le potenziali pazienti non è quanto meno improduttivo?
Non può e non deve esserci mai un obbligo a fare dei test, anche se larvato. Non esiste che un medico rincorra i pazienti perché non hanno compilato i test! Diventa un controllo assurdo. Se si vuol fare prevenzione – sempre sperando che il questionario sia valido e non una trappola – non sarebbe più pulito dare alle donne e ai familiari il questionario e i mezzi per valutare le risposte in luoghi appropriati? Poi potranno decidere se contattare chi può dar loro una mano, ovvero una struttura pubblica o comunque non ideologizzata. A parte il fatto che i questionari non contengono nulla che non potrebbe venire fuori da un colloquio (anche se ammetto che per la ricerca sono utili), vorrei ricordare che un questionario in gravidanza è una cosa e la reazione della donna e del padre quando nasce un bambino è un’altra. Tutto questo parlare di campanelli d’allarme ed elementi prognostici già durante la gravidanza ha i suoi motivi ma non deve distogliere l’attenzione dal fatto che a provocare le eventuali reazioni psichiche non è la gravidanza quanto la nascita di un nuovo essere umano. Con la situazione nuova e complessa che i neogenitori si trovano ad affrontare. A quel momento deve andare tutta la nostra attenzione. E se un intervento psichiatrico viene richiesto o è necessario, non sono certo i farmaci a risolvere ma la capacità dei terapeuti di comprendere e curare nel rapporto. Infine, una cosa banale ma importante. Se si vuole fare una prevenzione seria, non dimentichiamo il presupposto di tutto: una corretta e ampia informazione sugli anticoncezionali e la difesa della legge 194. Non si può cercare di imporre gravidanze non volute e, insieme, spacciarsi per amici che lottano contro la depressione delle donne.

da left-Avvenimenti, 9 luglio 2010

DOCUMENTI

ROMA, 20 gen 2006 – Uno scambio di battute dai toni particolarmente accesi ha animato oggi la conferenza stampa del Comitato Nazionale di Bioetica (CNB). Nodo del confronto-scontro che ha visto protagonisti il presidente del CNB, Francesco D’Agostino, e il ginecologo bolognese Carlo Flamigni, il documento, diffuso nei giorni scorsi dal CNB dal titolo ‘Aiuto alle donne in gravidanza e depressione post-partum’. Flamigni lamenta la decisione di trattare nel documento non solo la depressione post-partum ma anche la questione relativa ai consultori, una scelta di cui, precisa, ”non sono stato mai informato prima dell’inizio delle riunioni plenarie”.”Molta gente mi vorrebbe bruciare vivo – ha detto Flamigni, che denuncia una scarsissima considerazione delle opinioni della minoranza da parte del CNB, relegate a postille nei documenti approvati. ”Non scrivero’ piu’ postille – ha aggiunto Flamigni – perche’ sono solo un modo per cancellare le posizioni di minoranza”. D’Agostino ribatte: ”la discussione su questo tema va avanti dal 2002, ci sono state 15 sedute di gruppo a partire da quella data, Flamigni e’ sempre stato tenuto aggiornato sull’ordine del giorno. Trovo che un’ora e mezza di discussione,oggi, su questo problema sia veramente esagerata. Cosa dovremo fare in alternativa alle postille? Forse registrare solo i voti contrari?”. Non si fa attendere la replica di Flamigni: ”c’e’ una scelta peggiore – sbotta – quella del rogo per le minoranze”. ”Nessuno ha ipotizzato il rogo”, risponde D’Agostino. ”Non ad alta voce”, ribatte Flamigni. Non e’ la prima volta che le spaccature nel CNB vedono protagonisti i due membri, ma questa volta la polemica acquista toni piu’ accesi del solito, non a caso attorno al tema della 194. ”Non voglio arrivare a dire che la depressione post-partum sia diventato un pretesto per esprimersi sui consultori, gettando ombre sulla classe medica – dice Flamigni – ma di fatto e’ diventato un documento di critica da cui emerge anche una considerazione del mondo femminile come superficiale, disattento, amorale, che ha bisogno di essere preso per mano, portato a salvamento: un atteggiamento paternalistico, ma anche un ‘revival’ di antichi contrasti tra abortisti e ‘nascisti’. Ma i risultati parlano chiaro: gli aborti con la 194 sono diminuiti”. Inaccettabile, per Flamigni, ”che la prevenzione diventi un modo per fare avere bambini alle donne gravide che possono essere convinte a non abortire”, conclude il ginecologo che sottolinea infine come ”proprio questo tipo di intervento puo’ essere una grande origine di depressione post-partum”.

(ANSA).

20-GEN-06 17:42

ABORTO: SCONTRO FLAMIGNI-D’AGOSTINO (CNB) SU DOCUMENTO

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Il declino dell’impero cristiano

Posted by Simona Maggiorelli su novembre 30, 2009

Propaganda sui media e pesanti ingerenze nella politica italiana. La Chiesa torna alle crociate. Ecco come fermarla

di Federico Tulli

Francis Bacon

Estendere la capacità giuridica al concepito. È questa l’ultima pensata filo-vaticana del capogruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri. Il senatore, lo stesso che definisce «banalizzazione della vita» l’eventuale decisione di abortire per via farmacologica cui avrebbero diritto le donne italiane con l’entrata in commercio della pillola Ru486, ha poi precisato: «Siamo fermamente convinti della necessità di una norma di carattere generale, in grado di tutelare il fondamentale principio di uguaglianza fin dal momento del concepimento».

Questa proposta, che trasformata in legge sarebbe una pietra tombale per la norma 194/78 sull’interruzione volontaria di gravidanza, è solo l’ultima di una lunga serie di entrate a gamba tesa delle istituzioni contro diritti civili faticosamente acquisiti. Si sommerebbe, infatti, alla legge 40/04 sulla fecondazione assistita, giudicata cinque anni dopo l’entrata in vigore parzialmente incostituzionale dall’Alta corte perché viola gli articoli 3 e 32 della Carta. Oppure ancora al ddl Calabrò sul testamento biologico, che impone il ricorso al sondino per l’alimentazione forzata, in barba al diritto all’autodeterminazione che sempre la nostra Costituzione riconosce ai malati. Interventi “duri”, che se da un lato ricalcano fedelmente le indicazioni ora della Conferenza episcopale italiana, ora di altre gerarchie dello Stato Vaticano, dall’altro dicono di una classe politica che si muove nella direzione opposta a quella della società civile che dovrebbe rappresentare. E dicono pure di un potere, quello della Chiesa cattolica, costretto a serrare le fila (e alzare il tiro sulla altrui libertà di pensiero) per bilanciare una costante quanto inesorabile perdita di incisività e appeal culturale e religioso nei confronti dei cittadini italiani. Queste considerazioni trovano adeguato sostegno nei numeri del Quinto rapporto sulla secolarizzazione in Italia a cura di Critica liberale e dell’Ufficio Nuovi diritti Cgil nazionale. Il documento viene presentato a Roma nell’ambito del convegno internazionale “La secolarizzazione in Europa”, organizzato dalla Fondazione Critica liberale in collaborazione con lo European liberal forum. Il nostro settimanale left anticipa i passaggi più significativi della relazione di Silvia Sansonetti, ricercatrice in Politiche sociali all’università Sapienza di Roma, da cui emerge la tendenza laica «del mutamento nel tempo degli atteggiamenti degli italiani, circa aspetti della loro vita potenzialmente legati ai valori di riferimento della religione cattolica».
I numeri parlano di diminuzione dei matrimoni concordatari e dei battesimi, crescita delle unioni civili, dei divorzi e del numero di figli nati al di fuori del matrimonio. Due le cause principali individuate da Sansonetti. Da un lato i cittadini italiani decidono sempre più in autonomia rispetto a ciò che è corretto per la Chiesa, dall’altro cresce il peso del multiculturalismo iniettato nella società dai milioni di immigrati che professano religioni differenti da quella cattolica.

Così abbiamo i matrimoni civili che sono passati dal 17,5 per cento del 1991 al 33,7 del 2006 sul totale dei matrimoni celebrati in Italia (civili + concordatari), e la percentuale dei bambini battezzati con età inferiore a un anno che nello stesso periodo è calata di 12 punti assestandosi al 79,2 per cento. Tale diminuzione, secondo la ricercatrice, può dipendere da due fattori: «Da un lato, l’apporto alla natalità totale del Paese degli immigrati che, in molti casi, non professano la religione cattolica, dall’altro, un nuovo atteggiamento dei genitori. Costoro non percepiscono più il battesimo come urgente e lo rimandano negli anni». Per quanto riguarda le libere unioni, nel ricordare che la loro tendenza era in costante aumento nel periodo per il quale il dato è disponibile (1993-2003), un indicatore per gli anni a seguire può essere rappresentato dal costante aumento del rapporto tra i figli naturali e i figli legittimi, vale a dire tra bambini nati da genitori non sposati e da genitori sposati. Ebbene, tra il 1991 e il 2007 lo scarto è di quasi dodici punti percentuali, raggiungendo il 20,7 per cento dei nati. Le sentenze di divorzio, infine, dopo un andamento calante tra il 1991 e il 1993 (da 23mila a 19.800), sono in continuo aumento tanto da aver raggiunto quota 49.500 due anni fa.

Fin qui i “comportamenti” sui quali è più marcata l’insistenza delle gerarchie ecclesiastiche nell’indicare la via “corretta” per i cattolici italiani. Sansonetti evidenzia poi altre due scelte per le quali «la Chiesa cattolica tende a esporsi meno pubblicamente ma che sono ugualmente legate al senso di appartenenza religiosa»: la frequenza dell’ora di religione nelle scuole pubbliche e il finanziamento dello Stato Vaticano con l’otto per mille del gettito fiscale girato alla Chiesa. La strategia di muoversi sottotraccia non sembra aver condotto a risultati utili per quanto riguarda la partecipazione all’ora di religione: dopo essersi mantenuta costantemente intorno al 93 per cento fino al 2003 negli ultimi tre anni è diminuita in misura limitata ma costante raggiungendo nel 2007 il 91 per cento. Diverso è il discorso relativo all’otto per mille. «La Chiesa non si è mai esposta con dichiarazioni esplicite, ma da molti anni, ormai, nel periodo della dichiarazione dei redditi propone una campagna pubblicitaria martellante sul proprio ruolo nella società italiana.
Questo strumento non sembra essere molto efficace visto che l’ammontare devoluto al Vaticano, dal 2003 al 2006, è diminuito da 1.016 milioni a 930 milioni di euro, e che solo nel 2007 si è registrato un aumento a 991 milioni di euro». Molto peggio è andato alle gerarchie ecclesiastiche con le donazioni volontarie. «Queste tra il 1991 e il 2007 sono scese da 21,2 a 16,8 miliardi di euro. Il numero delle offerte ricevute tra il 1991 e il 2006 era passato da 185mila a 155mila e per il valore medio dell’offerta da 114,5 a 105 euro. Nel 2007 – conclude Sansonetti – pur evidenziandosi un aumento nel numero di offerte (171.500), il valore medio è sceso a 98 euro». Se il piatto piange, il Vaticano non ride.

26 novembre da left-avvenimenti

Chiesa in bancarotta per pedofilia

Nella cattolicissima Irlanda sono circa 800, tra religiosi, sacerdoti e suore, le persone sotto processo per oltre 30mila casi di violenza sessuale. In totale, se condannati, il Vaticano dovrà pagare 1,1 miliardi di euro alle loro vittime. Il caso irlandese ricalca fedelmente quanto avvenuto nell’ultimo decennio negli Stati Uniti. Qui, fino a oggi, sono 4.392 i sacerdoti denunciati per pedofilia. Mentre i risarcimenti già versati in seguito a condanne definitive ammontano a 2,6 miliardi di dollari. Una somma che ha portato sull’orlo della bancarotta la Chiesa dello Stato che adotta come motto nazionale: “In God we trust”. In Italia, il fenomeno sembra essere ancora sommerso. Sono 73 i casi di violenza su minori e oltre 235 le vittime di sacerdoti e religiosi.

L’impero economico del Vaticano

Tra contributi diretti, finanziamenti e agevolazioni, ogni anno l’Italia dà 4,5 miliardi di euro alla Chiesa. La somma, secondo stime molto prudenti, si articola in vari filoni tra cui: un miliardo di euro dell’otto per mille, 950 milioni per gli stipendi di 22mila insegnanti di religione e 700 milioni di euro che Stato ed enti locali versano in base a convenzioni su scuola e sanità. Poi ci sono i tanti vantaggi fiscali di cui la Chiesa gode. Come lo sconto del 50 per cento su Ires e Irap, l’esenzione sull’Ici (da 400 a 700 milioni di euro. Fonte Anci) e le agevolazioni per il turismo cattolico. Per quanto riguarda le rendite immobiliari, secondo l’inchiesta di Curzio Maltese pubblicata ne La questua (Feltrinelli) il Vaticano possiede circa il 20 per cento del patrimonio immobiliare complessivo italiano.

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Ignazio Marino: “Io non mi arrendo”

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 21, 2009

marino-lapresseTra fughe a destra di Rutelli e rinunce sugli emendamenti, la battaglia parlamentare sul testamento biologico per l’opposizione è durissima. Ma il senatore e medico del Pd che lotta dal 2006 per una legge laica e condivisa, non si tira indietro. “Il ddl del centrodestra attacca i diritti delle persone sanciti dalla Carta” di Simona Maggiorelli

Una standing ovation ha accolto sabato scorso al Teatro Eliseo il senatore del Pd e noto medico trapiantista Ignazio Marino durante l’assemblea convocata dai Radicali e da left su Verità e menzogna sul caso Coscioni, Welby, Englaro. Un lunghissimo applauso, non solo per la coerente battaglia di Marino dal 2006 a oggi per una giusta legge sul testamento biologico, ma anche in protesta della sua repentina e immotivata cacciata da capogruppo in commissione Sanità del Senato. Il Pd, come è noto, gli ha preferito Dorina Bianchi, già relatrice della legge 40/2004 e che già stigmatizza come “un grave errore” l’ipotesi ventilata da Marino di un referendum popolare contro la legge proposta dal centrodestra sul testamento biologico. Il 20 febbraio è la data di stop a ogni possibilità di emendamenti al testo di legge che porta in primis la firma di Calabrò. Da lunedì comincia la discussione in aula e lo stesso senatore e chirurgo Ignazio Marino promette non si tirerà indietro. Lo raggiungiamo altelefono dell’Aula, tardissimo di sera, mentre alcuni senatori andandosene gli chiedono se andrà a cena con la Binetti. Lui scherza, ribatte, ride, ma non commenta le affermazioni della senatrice teodem che minaccia di lasciare il Pd se prevarrà la linea Marino. Parliamo di cose più importanti, sembra dirci fra le righe.

Senatore Marino l’articolo 32 della Costituzione parla di diritto alla salute e di rispetto della dignità della persona umana. Colpisce la lungimiranza dell’assemblea costituente. Nel 1947 non c’era ancora il respiratore automatico né tanto meno l’alimentazione artificiale che, come lei ha notato, sarebbe stata messa a punto negli anni 70. Al di là dello stato della tecnica da parte di chi ha scritto la Carta c’era un’intuizione più profonda su ciò che è l’identità umana?

Sicuramente c’è stato un lavoro affascinante. Da chirurgo non conoscevo approfonditamente i termini del dibattito che ha portato alla stesura dell’articolo 32 della Costituzione. Li ho letti in questo periodo della mia vita in cui, accanto al lavoro medico, ho un impegno da legislatore. E, devo ammettere, sono rimasto davvero ammirato per l’altezza della discussione che a un certo punto si è conclusa su un elemento unificante: il fatto che nello scrivere un articolo che riguardasse la salute bisognava tentare di includere tutti i cittadini, non di escluderne qualcuno. In questa chiave è scritto questo articolo che afferma il principio del diritto alla salute per tutti i cittadini. E qui non si parla solo di cittadini, ma di tutti gli individui che qui si trovano a vivere in Italia. E questo mi pare molto attuale.

Un’attualità della Carta che appare chiarissima se pensiamo a quanto propone la Lega ai medici, ovvero di farsi spie e delatori dei clandestini che chiedano di essere curati.

In questo come in altri casi insisto: non servono nuovi vessatori cavilli, ma mezzi di legge che consentano di attualizzare quanto già è contenuto nella Carta e che va in senso opposto a quanto sostenuto dalla Lega.

In questi giorni abbiamo sentito sui media le cose più contraddittorie sul caso di Eluana. E’ stato detto che sorrideva, che mangiava yogurt che faceva passeggiate in giardino e, addirittura – cercando di “ingentilire” le affermazioni del premier – che avrebbe potuto provare desiderio per un uomo e decidere di avere un figlio. Da medico cosa si sentirebbe di dire per fare chiarezza?ENGLARO ELUANA 1

Evidentemente chi ha avuto espressioni così infelici come quella in cui si affermava che Eluana era in grado di passeggiare nel giardino e anche che era in grado di essere nutrita attraverso la bocca non aveva mai visto Eluana, che io ho potuto visitare. Posso dire che era in uno stato vegetativo persistente. Non aveva nessuna relazione con il mondo esterno. Non era in grado di controllare meccanismi come la deglutizione. Se le fosse stato dato del cibo le sarebbe finito nella trachea e nei polmoni, causandole una particolare polmonite tipica di questi casi, che è mortale.

L’arresto cardiocircolatorio è arrivato rapidamente per Eluana. Il fatto che la sua corteccia cerebrale fosse danneggiata da 17 anni di stato vegetativo può aver determinato una minore resistenza dell’organismo dal punto di vista dei parametri biologici?

Bisogna considerare che Eluana aveva dei danni importanti della corteccia ma anche che segni vitali come la respirazione, l’apertura degli occhi con la luce, eccetera sono funzioni legate al tronco dell’encefalo, non alla corteccia. Si parla di due strutture separate che hanno funzioni separate. Quello che possiamo dire con assoluta certezza è che Eluana era priva di ogni capacità di relazione con il mondo esterno, perché è legata proprio all’attività della corteccia.

Perché il caso di Eluana ha suscitato tante discussioni? Come è stato notato nel caso di Welby ci potevano essere maggiori margini di discussione. Detto altrimenti, quella di Eluana era solo vita biologica, non così per Welby.

Certamente il caso di Eluana è stato amplificato dai media e utilizzato dalla destra per creare una grande emotività confondendo i termini delle questioni. Specie quando si è detto che si privava Eluana del pane e dell’acqua, Eluana da 17 anni non prendeva né pane né acqua. Le venivano somministrate sostanze prodotte dalle case farmaceutiche con una infusione somministrata attraverso una sonda inserita nello stomaco. Insomma una vera terapia medica.

Quella proposta dal centrodestra è una legge inaccettabile, lei ha detto in più occasioni…

La proposta firmata da Calabrò, al contrario di quella che avevo presentato, non contiene interventi a sostegno dei disabilii e delle loro famiglie. Non ci sono misure a favore degli hospice, delle cure palliative e del dolore. In più c’è un’eccessiva burocratizzazione del testamento biologico che, cosi’ scritto, potrebbe arrivare a costringere ogni medico di famiglia ad andare dal notaio centinaia di volte l’anno, perché il documento andrebbe rinnovato ogni tre anni”. Per giunta ogni notaio doverebbe prestare servizio gratis e senza che poi le notazioni registrate risultino vincolanti.

Nel ddl del centrodestra si dice:”L’attività medica in quanto esclusivamente finalizzata alla tutela della vita” non può in nessun caso provocare la morte del paziente. Che significa?

Significa che se un paziente come Welby, cosciente e in grado di comunicare, dice che non vuole più continuare una terapia, un medico non può più sospenderla perché non può disattivare mezzi sanitari che non consentono la morte del paziente. Quindi questa legge contiene di fatto un passo indietro sostanziale rispetto ai diritti delle persone. Qui addirittura si arriva a toccare i diritti di scelta delle persone che sono in sé e si possono esprimere.

Ancora nel testo di legge del centrodestra sul testamento biologico si legge che la vita è un bene indisponibile. Si può accettare che in una legge dello Stato e nella ricerca medica che il pensiero religioso neghi l’evidenza scientifica?

Come chirurgo sono noto perché cerco sempre di utilizzare tutti i mezzi che posso per salvare una vita umana. Alcune volte sono criticato dai miei collaboratori medici e infermieri che mi dicono : “Ignazio lascialo andare”. Io non mi arrendo ma al contempo penso che le indicazioni di un paziente o di una famiglia sulle terapie da fare o da non fare debbano essere prevalenti. Non deve prevalere l’idolatria di una tecnica ma l’umanesimo e la volontà delle persone.

da left-Avvenimenti 20 febbraio 2009

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Mi manda il Vaticano

Posted by Simona Maggiorelli su gennaio 1, 2006

Avvenimenti, 10.01.06

Francesco Rutelli, l’antizapatero: una proposta di legge perché l’Italia, unica in Europa, investa solo sulle cellule staminali adulte

di Simona Maggiorelli

Non promette molto di buono la fusione di Ds e Margherita in partito unico. Di certo, non sul fronte della libertà di ricerca e dei diritti delle donne. Il primo parto del nuovo organismo politico a due teste c’è già: è la proposta di legge per il finanziamento della ricerca sulle cellule staminali adulte presentata da Francesco Rutelli e firmata da esponenti di primo piano della Margherita, (da Castagnetti a Fioroni, a Bianchi) e dei Ds, con l’aggiunta dell’Udeur. E con la benedizione del ministro Buttiglione. Che ha commentato: «Mi auguro che la proposta di Rutelli significhi anche un impegno, suo e della Margherita, a sostegno della posizione del governo Berlusconi che al Parlamento europeo si batte perché la ricerca sulle staminali embrionali non venga sostenuta». Una solitaria battaglia in cui l’Italia si è già guadagnata una non molto onorevole medaglia, quando il viceministro per la ricerca, Guido Possa, unico fra sedici colleghi europei, votò per bloccare i finanziamenti alla ricerca. Ora, Rutelli, non solo si pone in questa scia, con una proposta di legge che mette al bando la ricerca sulle embrionali (più rigidamente di quanto già fa la legge 40), ma come presidente di Dl dà mandato a una commissione di bioetica guidata dal cattolico Adriano Ossicini per futuri interventi su genoma, consenso informato e trapianti da animali. «Abbiamo chiesto alla commissione – ha detto Rutelli – che ci aiuti a preparare il terreno perché le grandi sfide della scienza del XXI secolo vengano governate in anticipo dalla politica»; specificando anche che si trattava di «onorare un impegno preso ai tempi del referendum sulla fecondazione».

Così, facendo spallucce ai pareri della comunità scientifica internazionale e infischiandosene di aver imboccato la strada politicamente opposta a quella dei governi Blair e Zapatero, Francesco Rutelli propone per la prossima legislatura una norma che mette al bando anche la ricerca sulle linee staminali embrionali importate dall’estero (cosa che la legge 40 non fa), stanziando un unico blocco di 16 milioni di euro per la ricerca sulle staminali adulte e per un’informazione ai cittadini che riguardi esclusivamente questo settore.

Nel frattempo, invece, in Inghilterra, in Belgio e in altri paesi all’avanguardia nella ricerca s’investe sempre più in ricerca sulle staminali embrionali e si apre sempre di più il campo della clonazione terapeutica. La regione autonoma dell’Andalusia si è aggiunta a questo gruppo la settimana scorsa, anticipando la discussione del governo spagnolo in programma a febbraio. È stata la stessa ministra della Sanità andalusa, Maria Jesus Montero, che Avvenimenti aveva incontrato a Bruxelles, ad annunciare lo stanziamento di fondi per la clonazione terapeutica: tecnica di trasferimento nucleare che permette di costruire in laboratorio tessuti geneticamente compatibili a quelli del malato, evitando i rischi di rigetto legati ai trapianti. E mentre il deputato diellino e i suoi alleati di centrosinistra sembrano voler fare a gara con il governo Berlusconi nel tradurre in legge i precetti della Chiesa, il primo ministro spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero si sta ponendo il problema opposto, ovvero come rendere i risultati della scienza più accessibili ai cittadini e, in particolare, alle donne. È notizia di poco prima di Natale la riforma della legge sulla procreazione assistita attuata dal suo governo. La norma promulgata già con molto anticipo nel 1988 e rivista nel 2003, era – a dire il vero – già buona, aperta, liberale. Specie se confrontata con il nodo di assurdi divieti e contraddizioni che fanno la nostra legge 40. Ma il governo Zapatero ha voluto allargare ancor più l’area dei diritti: ora in Spagna tutte le maggiorenni, a prescindere dal loro stato civile, potranno accedere a queste tecniche, se lo vorranno. Ma c’è di più. Sul modello di quanto già accade in Inghilterra, la nuova legge spagnola autorizza la diagnosi preimpianto per selezionare embrioni sani e geneticamente compatibili con eventuali fratellini o sorelline malate. Un passo importante nella lotta contro malattie genetiche ancora incurabili. E nulla a che vedere, del resto, con la clonazione riproduttiva che in Spagna, come nel resto dell’Unione europea, è proibita. La stampa cattolica impropriamente ha parlato di “bambini farmaco”, alimentando paure e, insieme – fatto che ci sembra particolarmente grave – attaccando la nascita e l’identità di questi neonati uguali a tutti gli altri, benché nati in provetta.

In Spagna come in Italia, insomma, l’attacco della conferenza episcopale è stato molto violento. Ma, diversamente che nel nostro paese, integralmente laica è stata la risposta del governo Zapatero, che preoccupandosi più della salute dei cittadini che della salvaguardia di precetti religiosi, ha già messo in conto la possibilità di aggiornare ulteriormente la legge, procedendo di pari passo con i progressi della ricerca. «In un Stato come il nostro, non ancora laico, perché concordatario – commenta il docente di Bioetica Demetrio Neri -, purtroppo, siamo ancora molto lontani da tutto questo». Docente all’Università di Messina e, spesso, voce critica all’interno del Comitato nazionale di bioetica diretto da Francesco D’Agostino, Neri è stato la settimana scorsa uno degli animatori della tavola rotonda sulla proposta di legge Rutelli organizzata via audio- video dall’associazione Luca Coscioni e dalla Rosa nel Pugno. Un’assemblea telematica di scienziati, politici, giornalisti, che è stata il primo segno pubblico forte di protesta riguardo a quelli che potrebbero diventare contenuti del programma del futuro partito democratico, in materia di ricerca. «Inutile», «antiscientifica», «strumentale», «pericolosa», sono gli aggettivi più ricorrenti durante la discussione sui punti caldi del progetto Rutelli, che puntando tutto sulle staminali adulte, propone la creazione di tre nuovi centri nazionali per la raccolta e il trattamento dei materiali biologici. «Non considerando – dice Elena Cattaneo, ordinario di farmacologia all’Università di Milano e una delle massime esperte italiane di cellule staminali – che di strutture simili in Italia ne esistono già e non c’è nessun bisogno di affrettarsi a creare ennesime banche di staminali adulte, quando questa non sembra essere la strada di ricerca più feconda di risultati». Doppioni, fondi per la creazione di inutili centri e istituzioni che fanno il vantaggio solo di chi le governa. Il pensiero corre alla cosiddetta “casa del ghiaccio”, inaugurata il 16 dicembre, dall’ex ministro della Salute, Girolamo Sirchia a Milano: una struttura dove, per un suo vecchio decreto ministeriale, i vari centri di fecondazione sparsi in Italia dovranno inviare i 400 embrioni soprannumerari congelati prima della legge 40. Spese di trasporto, stoccaggio nel nuovo centro milanese, con 25 addetti, e 38 congelatori ad azoto liquido, in un’ala dell’ospedale Maggiore di Milano. E a quale scopo dal momento che la ricerca sugli embrioni è proibita in Italia e che questi embrioni, non più richiesti, non potranno essere impiantati? «Qui non si tratta banalmente di tifare per le staminali embrionali o adulte, per Roma o Lazio, Bartali o Coppi – chiosa stizzito Giulio Cossu, direttore dell’istituto cellule staminali del San Raffaele di Milano -. Come scienziati dobbiamo poter sperimentare. La ricerca procede per gradi, per errori, non c’è altro modo di conoscere la realtà che facendo ricerca. Se un lavoro come quello del sudcoreano Hwang Woo Suk viene in parte ritrattato, questo non deve essere strumentalmente usato per chiudere un canale di ricerca». «Della proposta Rutelli – spiega Cattaneo – colpisce l’ignoranza. Il sapere scientifico è unico, le scoperte, se valide, sono universali. Non funziona per compartimenti stagni. Se in Italia escludiamo, in modo così assolutistico, come pretende Rutelli, la ricerca sulle staminali embrionali, anche quella sulle adulte ne soffrirà lo scotto. E viceversa. Le staminali embrionali totipotenti – prosegue la ricercatrice – proprio per la loro plasticità sono le più promettenti, ma non si può, come vorrebbe certa politica, scegliere un campo in maniera aprioristica e sulla base di discorsi strumentali come quello che Rutelli mette a incipit della sua proposta, parlando di cura del diabete fatta da una equipe di scienziati a Miami, utilizzando staminali adulte, quando si è trattato di un più ordinario trapianto di isole di pancreas. Il sospetto, allora, è che si voglia fare della propaganda per motivazioni etico-religiose». Difficile non pensare alle parole del Papa che nell’omelia del 28 dicembre parlava di agglomerati di poche cellule nell’utero materno come esseri che «contribuiscono, pur collocati in posto meno importante, all’edificazione della Chiesa. Poiché, sebbene inferiori per dottrina, profezia, grazia dei miracoli e completo disprezzo del mondo – dice Benedetto XVI – tuttavia poggiano sul fondamento del timore e dell’amore di Dio».

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