nuovi sguardi dalla Biennale di Malindi
Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 6, 2009
La Biennale del Kenya, fino al 27 febbraio 2009, sovverte molte pretese di eurocentrismo
di Simona Maggiorelli
Fuori dalle rotte turistiche di un Kenya “scatta e fuggi”, da tour fotografico. Nel cuore più autentico di Malindi Enrico Mascelloni, storico dell’arte e studioso di culture “non ufficiali”, ha organizzato una rassegna che indaga l’arte africana di oggi, con un occhio particolarmente attento al versante occidentale del continente, ma anche ai nuovi rapporti fra Africa e mondo asiatico. Così, dopo la prima Biennale di Malindi nata due anni fa per iniziativa di Eric Girard-Miclet (direttore dell’Alliance francaise di Dar Es Salaam in Tanzania) e che segnò una prima rottura nel panorama internazionale delle biennali d’arte fino ad allora molto eurocentrico, il discorso si approfondisce in questa seconda edizione della rassegna che, fino al 27 febbraio, esplora culture globalizzate ma non disposte a veder cancellata la propria identità in un calderone di proposte omologate.
Per rendersene conto basta dare uno sguardo alle opere raccolte nel catalogo di questa Biennale 2008-2009 di Malindi edito in Italia da Adriano Parise. Tra le decine di proposte di arte dalla schietta cifra africana, che fanno capo alle colorate statuette totemiche di George Lilanga (di cui left si è occupato più volte in passato), ai graffiti di Bush Mikidiadi, l’artista della Tanzania che ha vinto la prima edizione della Biennale del Kenya, ecco comparire inedite opere a metà strada fra fotografia, performance e scultura come quelle del senegalese Ousmane Ndiaye, con statuarie veneri nere intinte di colore che ribaltano in chiave fisica e terrena le sperimentazioni astratte di Yves Klein.
Più in là, impreviste epifanie di immagini femminili, dal solo volto coperto, che la giovane artista Almagul fa comparire in mezzo a paesaggi solitari e sterminati del suo Kazakhistan. Immagini poetiche che ci parlano di culture lontane, suggestive. Accanto allo scatto ironico del kazako Said Atabekov che ritrae un bambino nudo che gioca a fare l’uomo di Leonardo in un poverissimo cerchio vitruviano fatto di corda. Immagine che improvvisamente accorcia tutte le distanze geografiche e culturali togliendo dal piedistallo ogni nostro retroterra classico: «Asia e Europa si toccano, si guardano e si spingono da millenni – annota il curatore della mostra -. Tanto che nessuno che abbia viaggiato attraverso le loro cento frontiere/cicatrici sa dove cominci l’una e finisca l’altra». Chi si è documentato con qualche classico sull’argomento sa almeno che la questione è sempre aperta a nuove interpretazioni. Ma giustamente mette a tacere ogni discorso alla Massimo Cacciari o alla Marcello Pera: «Chi vi balbetta qualche coglionata postmoderna, evocando le radici giudeo-cristiane dell’Europa et similia, non ha probabilmente viaggiato altrimenti che in aereo».
di Simona Maggiorelli
da left avvenimenti , 6 febbraio 2009
Rispondi