di Simona Maggiorelli
“L’atto della lettura è a rischio. Leggere, voler leggere e saper leggere, sono sempre meno comportamenti garantiti. Leggere libri non è naturale e necessario come camminare, mangiare, parlare o esercitare i cinque sensi», scrive Alfonso Berardinelli in Leggere è un rischio (Nottetempo).
Leggere letteratura, filosofia, scienza, se non lo si fa per professione, è un lusso, una passione che implica cura di sé, «un vizio che la società non censura»,chiosa non senza ironia l’autore di Non incoraggiate il romanzo, Tra il libro e la vita, Cactus, critico letterario fine, iconoclasta e fra i più autorevoli oggi.
Così, rileggendo i suo ultimo pamphlet, abbiamo pensato a qualche lettura “pericolosa” da proporvi per le vacanze: libri che raccontano verità “scomode”, che mettono a soqquadro i luoghi comuni, che osano andare in profondità. In particolare dei saggi, un genere che sta diventando sempre più creativo, cangiante, aperto alla sperimentazione, all’imprevisto. Insomma ecco qualche rischio che, a nostro modesto avviso, val la pena prendersi.
Colombo non scoprì nulla. Anche perché, molto tempo prima furono i Cartaginesi ad approdare in America.Lo sostiene in un libro colto quanto suggestivo L’America dimenticata, rapporti tra le civiltà e un errore di Tolomeo (Mondadori Università) lo studioso Lucio Russo.
Lui stesso figura singolare di geografo, esperto di meccanica statistica e antropologo che, non solo ricostruisce i contatti fra popoli del Mediterraneo e americani nel II secolo a.C., ma mette radicalmente in discussione i preconcetti eurocentrici e colonialisti che, per dirla con le sue parole, «portano a negare l’originalità e l’inventiva della maggioranza delle civiltà umane».
La leggenda freudiana che il padre della psicoanalisi abbia scoperto l’inconscio e che sia riuscito a curare la malattia mentale è già stata smascherata da tempo. Tanto che lo stesso presidente della Spi Nino Ferro ha dichiarato in un’intervista a Repubblica che è necessario andare oltre Freud, «altrimenti diventa un credo religioso».Il volume Dossier Freud (Freud files) uscito in Italia alla fine 2012 per Bollati Boringhieri offre un succoso ripasso della truffa operata da Freud mentendo sui casi clinici, riscrivendo la storia in chiave di auto canonizzazione, non riconoscendo debiti e prestiti, patologizzando il dissenso ed eliminando i rivali. «La vulgata freudiana veniva ripetuta meccanicamente come le preghiere mattutine dei conventi medievali» scrivono in Dossier Freud Mikkel Borch-Jacobsen (già coautore de Il libro nero della psicoanalisi, Fazi, 2006) e Sonu Shamdasani (che ha scritto libri corrosivi su Jung). Ma perché gli uditori di Freud credettero a ciò che diceva? A partire da questa domanda Dossier Freud taccia una «storia della storia della psicoanalisi», con passaggi interessanti come quello che ricostruisce la forte ostilità al freudismo della psichiatria di lingua tedesca.
Al Salone del libro 2014 il Vaticano sarà il Paese ospite. Dunque per cominciare a incamerare anticorpi contro l’agiografia di papi e cardinali che, sospettiamo, ci verrà propinata oltre a Paradiso Ior di maurizio Turco (Castelvecchi RX) ed a Vaticano massone (Piemme) di Pinotti e Galeazzi di cui left si è già occupato, val la pena di leggere anche i Diari vaticani di John Thavis (Castelvecchi Rx) in cui l’ex giornalista del Catholic News Service ripercorre la storia degli scontri sulla beatificazione di Pio XII, i tentativi della Chiesa di mettere a tacere lo scandalo pedofilia e i crimini commessi dal fondatore dei Legionari di Cristo. Temi che si ritrovano anche in Padri nostri (Manni) di Elisa Pinna che indaga sui retroscena delle dimissioni di joseph Ratzinger.
L’ateismo cinese è uno dei fili rossi che percorre Né dio né legge (Laterza) di Renata Pisu, che dopo tanti reportage qui propone una riflessione sulla filosofia e il modo di vedere il mondo e i rapporti umani in Cina. «Solo in Occidente la religione è tutto e tutto pervade» nota Pisu. Tanto che quasi «non è concepibile un’Europa senza Cristianesimo, senza teologi, senza papato, senza guerre di religione, senza grandi eretici». Per tremila anni, invece, la cultura cinese si è sviluppata a prescindere dalla metafisica. «Presso di loro – scrive Pisu – l’umano non si contrappone al divino. I cinesi non hanno mai posseduto la maestà trascendente di esseri divini. Nella loro costruzione della società armoniosa l’umano non si contrappone al divino e i rapporti sono improntati a un’etica laica». Inoltre la Cina «non conosce la rigidità astratta di leggi coercitive. La loro idea di ordine – spiega Pisu – nasce da un senso sano del buon accordo. Le regole s’impongono in quanto forniscono dei modelli. Questa almeno la teoria generale». A cui, avverte la giornalista e sinologa, il confucianesimo autoritario di epoca imperiale e la rivoluzione maoista, su piani diversi, hanno imposto, pesanti deroghe.
«C’è bisogno di stelle e non di Dio nella vita», ha risposto con una battuta Margherita Hack a Marco Morelli, direttore del Museo di Scienze planetario di Prato che le chiedeva del suo ateismo per un libro che la scienziata fiorentina non ha fatto in tempo a vedere pubblicato. Con il titolo Siamo fatti di stelle è uscito per Einaudi e, in forma dialogica, ripercorre la storia della Hack dai tempi dell’infanzia e della mai troppo amata scuola. «Un conto è imparare le cose a pappagallo. Un altro farsi domande e cercare di capire come funzionano le cose. A me m’importava molto di capire, anche se non andavo matta per lo studio» dice con la sua irresistibile franchezza all’amico e collega che la stuzzica sul tema. Costruito giocando ironicamente con i modi del Dialogo sui massimi sistemi di Galileo questo agile volume ha il merito di restituirci l’immagine di una scienziata dalla straordinaria umanità, di una mente libera dai pregiudizi che fino alla fine non ha mai smesso di essere una “ricercatrice” della verità.
«All’antenato che mi ha venduto e all’antenato che mi ha comprato dico: io non ho padre e non voglio un simile padre, anche se vi capisco fantasma nero e fantasma bianco quando entrambi sussurrate “ la storia”. Ma se provo a perdonarvi cado nella vostra idea di storia» scrive Derek Walcott ne La voce del crepuscolo (Adelphi). Poeta, drammaturgo saggista, che in poemi come in Omeros ha cantato pescatori e Veneri dai sandali di plastica donando un epos colto, struggente, all’arcipelago caraibico oppresso da secoli di colonialismo e oggi meta di un turismo distratto. Ma Walcott non è un moralista. E’ il poeta dei colori, della luce, dal sorriso fragrante, aperto all’incontro con l’altro. Senza tuttavia camuffare l’antico dolore. Come in queste intense pagine, prose liriche, lettere, saggi (dedicati a Naipaul, al sodale Aimé Cèsaire ecc), compreso il discorso “Le Antille, frammenti di una memoria epica” che Walkott pronunciò nel 1992 quando gli fu conferito il Nobel per la letteratura, un omaggio dedicato a un arcipelago dove i più «non leggono, ma sono lì per essere letti, e se vengono letti nel modo giusto, creano la propria letteratura».
Ed è un grido di denuncia contro la carneficina compiuta da Assad, La felicità araba (Add editore) di Shady Hamadi. Un libro in cui il giovane scrittore e attivista per i diritti umani ripercorre le tappe della crescente violenza di regime in Siria, dove – essendo nato a Milano nel 1988 da madre italiana e padre dissidente siriano – è potuto andare per la prima volta solo nel 1997. In questo originale memoir Hamadi intreccia la ricostruzione della propria storia familiare con testimonianze da reporter sul campo, alternando pagine di toccante autobiografia alla riflessione politica in nome della democrazia, della libertà di parola, della laicità. Che assume la forma anche di un appassionato invito ai lettori occidentali a conoscere la tradizione araba e musulmana punteggiata di libri come Il giardino profumato di Sheik al Nafzawi o come le poesie di Abu Nuwas che inneggiano all’eros, senza alcuna condanna del desiderio femminile (demonizzato invece dalla Chiesa). Preziosi testi letterari che, scrive Hamadi, le frange fondamentaliste pretenderebbero di cancellare.
Libertà di pensiero e libertà di parola, osteggiate dalle teocrazie, ma quanto davvero praticate oggi in Occidente, benché l’illuminismo ne avesse fatto addirittura un dogma? E’ la domanda da cui prende le mosse la riflessione del filosofo inglese Nigel Warburton nel libro Libertà di parola (Raffaello Cortina) in cui indaga l’uso delle parole come armi per ferire e annullare, ma anche fenomeni insidiosi come l’autocensura (più diffusa di quanto si pensi, al di là del mito della libertà assoluta del Web). L’estremismo postmodernista che svaluta ogni forma di verità, sottolinea acutamente Warburton, rischia di diventare oggi negazionismo. Questo, come è noto, è il paradosso in qui è caduto il pensiero debole in Italia, finendo per portare acqua al mulino di quei poteri forti che cercano in ogni modo di mettere il bavaglio alla stampa. Come ricostruisce Davide Cadeddu nell’introduzione al libro di Warburton, ricordando tra l’altro che Reporters without borders colloca al 57esimo posto l’Italia in una classifica che esamina 179 paesi. Un quadro che è approfondito dal libro inchiesta di due giornalisti del Financial Times, Ferdinando Giugliano e John Lloyd Eserciti di carta (Feltrinelli) che rimproverano al giornalismo italiano di essere troppo vicino al potere politico.
dal settimanale left-Avvenimenti




Scontro di civiltà fra Occidente e Oriente? Se ne è fatto un gran parlare negli ultimi anni. A mio avviso, senza senso». Parola di ‘Ala al-Aswani, l’autore di Palazzo Yocoubian e di Chicago (entrambi editi da Feltrinelli), lo scrittore egiziano più letto in Medio Oriente, ma anche il più tradotto in Occidente.
«Al Cairo – racconta al-Aswani – il primo ad aprire un cinema fu un italiano. Si chiamava Delio Astrologo. Trovandosi sempre di fronte un pubblico che si spaventava a morte quando sullo schermo appariva un treno che sembrava correre verso di lui, adottò questa tecnica: ogni sera, accompagnati gli spettatori in sala, prima che si sedessero, spiegava loro, con tanto di prove a misura di polpastrelli, che quello che avevano davanti non era che un pezzo di stoffa».



Nel saggio Essere diverse contenuto nel libro Donna m’apparve curato da Nicla Vassallo per Codice edizioni lei scrive che la diversità della donna è una teoria elaborata dai Greci.
Lei scrive che nella società romana il parricidio era un’ossessione diffusa. E non di rado si passava all’atto.
La scoperta di due templi nell’antica città siriana. E l’uscita del libro che ripercorre 40 anni di storia di scavi. Una doppia occasione per raccontare le straordinarie avventure dello studioso Paolo Matthiae
“Durante l’ultima campagna – racconta Matthiae- abbiamo scoperto il tempo del dio Kura sull’acropoli di Ebla e un altro nella periferia della città. Sono gli unici templi del terzo millennio che si conoscano nella Siria interna”. E mentre già il professore si sta “mettendo in caccia”del palazzo reale di Ebla risalente al secondo millennio, la recente uscita del suo libro Gli archivi reali di Ebla per la nuova collana Mondadori- La Sapienza, Università di Roma ci offre lo spunto per ripercorrere la straordinaria avventura di scavi in Siria: un vero primato nel panorama internazionale dell’archeologia.
E fu questa sua approfondita conoscenza, insieme a mix di intuizione e deduzione, che nel 1964, davanti alla particolare sagoma di un sito vicino ad Aleppo, gli fece scattare l’immagine che là sotto doveva esserci qualcosa di molto importante: “Il sito anche per me che allora avevo 22 anni era assolutamente impressionante, dalla sagoma così particolare intuii che poteva trattarsi di un grande centro antico, anche se non si vedeva nulla di affiorante”. Fortuna volle che poco prima fosse stato trovato e salvato un bacino scolpito in modo magistrale. “Attrasse molto la mia attenzione – ricostruisce Matthiae -. Nessuno l’aveva ancora studiato. Lo si pensava del primo millennio,neo ittita o neosiriano. Ma qualcosa mi suggeriva che non era proprio così”.
Cercando di fare capolino oltre la cronaca più spiccia. Oltre lo stillicidio di notizie che, a singhiozzo, dopo i giorni feroci del saccheggio sono comparse sui giornali. Puntando a ricostruire passo dopo passo la storia di uno dei più importanti musei dell’area dell’antica Mesopotamia: il museo di Baghdad. Dalla nascita nel 1923 sotto l’egida degli inglesi, alla nazionalizzazione del 1974, ai saccheggi avvenuti durante la Guerra del Golfo, fino al clamoroso sfascio dei primi giorni del dopo Saddam.