Posted by Simona Maggiorelli su settembre 2, 2012
Recuperare la storia del popolo palestinese restaurando antichi villaggi. E trasformare costruzioni armate israeliane in spazi pubblici per tutti. Suad Amiry racconta il suo ventennale lavoro per decolonizzare la sua terra
di Simona Maggiorelli

Suad Amiry
Decolonizzare la Palestina, a partire dall’architettura. E’ il progetto a cui lavora con passione, da più di vent’anni, l’architetto e scrittrice Suad Amiry. Con un obiettivo: non aggiungere distruzione a distruzione. E nemmeno altro cemento alla già soffocata Ramallah, che boccheggia senza un alito di verde. Il punto cruciale per Amiry- conosciuta in Italia soprattutto per i suoi romanzi e la forza dei dei suoi libri inchiesta – è dare nuova vita all’architettura palestinese, agli anonimi palazzi cittadini costruiti negli anni Novanta, ma anche alle abitazioni fortificate israeliane, immaginando parchi giochi al posto di basi militari e centri di aggregazione sui tetti delle colonie in disuso.
Così, quelli che erano avamposti coloniali e torri di controllo militare sulla striscia di Gaza, nell’idea di Amiry e di un gruppo di giovani architetti che si va sempre più allargando, potrebbero diventare spazi pubblici, collettivi, aperti a palestinesi e israeliani in un orizzonte di pace, di convivenza di due popoli e due Stati.
Un sogno che ha assunto i contorni di un’utopia per chi ancora aspetta che vengano rispettati gli accordi di Oslo del 1993 «quando, dopo aver elaborato la dolorosa perdita della propria terra, i Palestinesi accettarono formalmente lo stato Israele: cosa che – sottolinea Amiry – gli israeliani non hanno mai fatto». Fu così che, preso atto del dislivello di forze («loro hanno uno degli eserciti più forti al mondo, noi solo i sassi») Suad cominciò a cercare un modo per reagire a una colonizzazione israeliana che, di fatto, non ha mai smesso di avanzare. L’idea fu non costruire nulla. Un’idea alquanto insolita per un architetto. Specie per lei, con in tasca un Ph.D dell’nversità del Michigan e un dottorato a Edimburgo: «L’architetto urbanista, mi avevano insegnato, come Deus ex machina, doveva decidere ospedali, scuole, case , fabbriche…tutto molto ordinato e razionale».
Ma puntare sul recupero non è stata soltanto una scelta dettata dalla realtà effettuale. «Ristrutturare, riorientare restaurare ha a che fare con la memoria, con l’esigenza di riappropriarci della nostra storia che l’occupazione israeliana cerca di cancellare», ribadisce la scrittrice che proprio di rapporto fra paesaggio e memoria ha parlato il 5 agosto al neonato Cortona Mix Festival. «Non a caso – nota – uno dei primi gesti che fecero i coloni israeliani fu distruggere 250 nostri villaggi».
Rileggere la storia è importante per capire il presente, non cessa di ripetere Amiry .Nata a Damasco perché la costituzione dello Stato di Israele aveva costretto la sua famiglia a lasciare Jaffa («Tra il 1947 e il 1948, 850mila palestinesi furono cacciati dalle loro case, fra cui anche la mia famiglia» ) da intellettuale militante dell’Olp di Arafat ha fatto parte della delegazione palestinese ae Nazioni Unite.
Tuttavia la sua visione politica, laica e lungimirante, si è espressa soprattutto in vent’anni di direzione del Riwaq Center for Architectural Conservation di Ramallah, un lavoro svolto in parallelo all’insegnamento all’Università di Birzeit . Ma a questo punto si apre un altro avvincente capitolo della avventura intellettuale di Suad Amiry, quello della scrittura.
«Durante estenuanti giornate di coprifuoco nel 2003 – ricorda – mi ritrovai non solo senza poter lavorare, uscire, né fare alcunché, ma anche costretta a ospitare mia suocera che altrimenti sarebbe rimasta isolata. Il risultato fu in pratica una doppia occupazione, esterna e interna. Di notte cercavo scampo scrivendo mail disperate agli amici. Luisa Morgantini, a mia insaputa, fece leggere le mail che le avevo inviato a Feltrinelli.
Fu così che d’un tratto, a 55 anni, mi ritrovai scrittrice. E- aggiunge Suad divertita- invitata in tanti paesi stranieri, non per raccontare dei miei bei progetti di architettura, ma di Sharon e mia suocera, che compaiono anel titolo del mio primo libro». Nei libri Suad ha potuto così mettere a valore lo humour che da sempre la contraddistingue nella vita.
«Per chi, come noi palestinese, vive un’occupazione militare da quarant’anni, l’ironia è un’arma necessaria per fare i conti con le difficoltà del quotidiano. Diventa uno strumento di sopravvivenza indispensabile. Quando la realtà è troppo opprimente, solo così puoi comunicare ciò che sarebbe altrimenti insopportabile». Sul filo dell’ironia si muove anche Niente sesso in città (Feltrinelli, 2007) che Amiry scrisse dopo la vittoria di Hamas raccontando le vicende tragiche e esilarante di un gruppo di signore negli “anta” per stigmatizzare i dogmi di un “partito islamizzato che ha segnato la sconfitta delle donne palestinesi”.
Su un versante più di inchiesta si muovono invece libri come Se questa è vita (2005), che racconta la vita sotto l’occupazione e il potente Murad Murad (2009), in cui l’autrice ripercorre una giornata passata con quei palestinesi ostracizzati da Gerusalemme che si fingono israeliani per poter continuare a lavorare, alzandosi alle tre del mattino e senza la certezza di tornare a casa sani e salvi.
«E’ stata un’esperienza scioccante – confessa Suad – vedere la violenza che c’è nel negare ogni possibilità a chi ti implora di farlo lavorare.
E’ inaccettabile il ricatto, l’umiliazione. Ma nonostante i divieti di Sharon che nel 2000 decise di espellere i lavoratori palestinesi, ogni giorno , nonostante i “tu sei un nulla” e i “tu non devi esistere”, queste persone tornano a riproporsi. Andare a tirar su le case dei coloni in cui non potrai entrare è durissimo.. E questo ti fa toccare con mano la capacità di resistenza dei palestinesi. Noi non abbiamo per nulla voglia di essere eterne vittime».
left 30 – 28 luglio 2012
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Posted by Simona Maggiorelli su agosto 13, 2011
di Simona Maggiorelli

Pablo Picasso
Curioso Paese l’Italia in cui scarseggiano i lettori ma abbondano gli scrittori. E che sembra aver inverato l’irriverente detto di Luciano Bianciardi “non leggete i libri, fateveli raccontare”, dacché le presentazioni di saggi e romanzi, specie durante i festival, sono frequentatissime, a fronte di librerie alquanto disertate. Ma tant’è.
E allora cogliamo l’attimo delle tante, tantissime presentazioni estive per proporre un nostro piccolo vademecum: fatto di proposte di libri per capire un po’ di più ciò che ci sta succedendo attorno. Da leggere “a mente fresca” sotto l’ombrellone, in montagna ma anche, perché no?, comodamente seduti nella poltrona di casa, se è vero come è vero che un italiano su cinque, sotto questo battente solleone di crisi, non andrà in vacanza.
Venti di rivoluzione
Instancabile conversatore nelle sere d’estate al Cairo, medico e scrittore di grande sensibilità, lo abbiamo conosciuto qualche anno fa quando con i suoi romanzi (da Se non fossi egiziano a Palazzo Yacubian ) dava voce alla dissidenza, a quella larga parte della società egiziana oppressa e umiliata sotto la cappa di un odioso regime travestito da democrazia. I suoi antieroi nel frattempo, con coraggio, sono scesi in piazza e Ali al Aswany ora li racconta nel libro La rivoluzione egiziana (Feltrinelli), felice della ritrovata fierezza degli egiziani, con la speranza che ora si possa costruire davvero un futuro più libero e giusto. Con l’arabista Paola Caridi che ne aveva raccolto la testimonianza nel libro Arabi invisibili Ali al Aswany sarà il 9 settembre al Fesivaletteratura di Mantova e poi alla Feltrinelli di Roma per parlare di letteratura ma anche dell’importante momento storico che l’Egitto sta attraversando.
E’ stato invece poche settimane fa in Italia (qualcuno lo ricorderà alla Milanesiana) lo scrittore dissidente siriano Khaled Khalifa, ma in un momento in cui l’esercito di Assad sta facendo strage dei civili ad Hama ed altrove è quasi impossibile prescindere dal suo potente e doloroso Elogio dell’odio (Bompiani) che – attraverso lo sguardo di una ragazza – ci restituisce un trentennio di storia siriana e di lotta clandestina per la democrazia. Cercando di leggere la storia del Medioriente per cavarne strumenti di comprensione del presente e per provare a intuire come potranno mutare gli equilibri geopolitici di questa importante area del mondo, Castelvecchi ha lanciato la collana RX in cui già si segnalano titoli come Mediterraneo in rivolta di Franco Rizzi che si propone come un lavoro approfondito, non come un semplice instant book. In qualità di studioso di storia del Mediterraneo, Rizzi ricostruisce anche quali sono state le responsabilità delle politiche predatorie e neocolonialiste occidentali nell’affamare i popoli del Medioriente.

Pablo Picasso, ragazza che legge
Ma responsabilità gravi e precise l’Occidente l’ha avute anche nella mancata risoluzione del conflitto israelo-palestinese. In chiave di toccante saga familiare e di resistenza ce lo racconta il romanzo della giovane Susan Abulhawa in Ogni mattina a Jenin (Feltrinelli). La scrittrice palestinese, che vive negli Usa, sarà di nuovo in Italia il 17 settembre per partecipare al festival Babel di Bellinzona. Dopo di lei a Babel , il 18 settembre, ci sarà anche la scrittrice palestinese e architetto Suad Amiry, autrice del durissimo Murad Murad (Feltrinelli) in cui racconta l’avventura di un gruppo di palestinesi alla ricerca di lavoro clandestino in terra di Israele, ma anche del provocatorio Niente sesso in città (Feltrinelli) in cui alcune donne sfidano i proiettili israeliani per ritrovarsi in un ristorante a Ramallah e parlare delle loro storie, del loro futuro e di quello del Paese.
Il naufragio del Belpaese
Non si parla di hijab e nemmeno di burka, ma anche in Italia, interiormente, le donne dovrebbero portare il velo. Almeno stando ai cattolici. Cerando di assomigliare quanto più possibile alla arida icona della vergine Maria. Quanto questo modello religioso abbia influito sulle bambine e sulle donne italiane è il tema che indaga Michela Murgia nel libro Ave Mary (Einaudi) di cui la scrittrice sarda torna a discutere in pubblico iin questi giorni a Prali in provincia di Torino. Più in generale, e sotto differenti angolazioni, si parlerà molto del “caso Italia”nelle prossime settimane. Anche nei ritrovi di montagna e al mare. Basta dare uno sguardo al calendario davvero fitto di presentazioni di libri dedicati a questo tema nei luoghi di villeggiatura dalle Alpi alla Sicilia. Alcuni autori come il giurista Michele Ainis o come il giornalista Gian Antonio Stella o il collega Gianluigi Nuzzi- solo per fare qualche esempio – affronteranno dei veri e propri tour con molte tappe lungo la Penisola, confidando nel fatto che la gente non voglia mandare anche il cervello in vacanza. Così Ainis è partito il 12 agosto dalla Fiera internazionale di Messina per far conoscere ai lettori che non amano troppo le librerie la sua lucida e insieme appassionata disamina dell’Assedio (Longanesi) a cui è sottoposta la Costituzione italiana, mentre Stella e Rizzohanno discusso di Vandali assalto alle bellezze d’Italia (Rizzoli) e della mala politica che non tutela il Patrimonio d’arte italiano il 7 agosto nel salotto all’aperto di Capalbio per risalire e ridiscendere poi lo stivale per tutto agosto. Lo stesso dicasi di Nuzzi, a Capalbio il 14 agosto, e che poi porterà il suo libro inchiesta Metastasi (Chiarelettere) scritto a quattro mani con Claudio Antonelli non solo in quel Sud dove l’ndrangheta la fa da padrona, ma anche in quel nord leghista dalle mani non sempre così pulite come dice a parole.
Della cricca e di chi ha lucra sui terremoti parla invece il giornalista di Repubblica, Antonello Caporale presentando il 21 agosto in piazza del Plebiscito ad Ancona il suo Terremoti spa (Rizzoli). Alla corruzione e al malaffare, di chi, risparmiando sul cemento, falsificando i progetti, violentando il territorio, si è reso responsabile degli effetti devastanti del terremoto de l’Aquila è dedicato anche il libro di un altro Caporale di Repubblica, Giuseppe, dal titolo Il buco nero (Garzanti). Il giornalista ne discuterà con il pubblico il 30 agosto a San Benedetto del Tronto E ancora: Perfino nella roccaforte di “Cortina incontra” comincia a soffiare un vento nuovo. Il che è tutto dire. Così il 18 agosto il salotto “buono” per antonomasia, quello di Enrico Cisnetto, si apre alla presentazione del romanzesco I 99 giorni che travolsero il Cavaliere (Fazi editore) un libro in cui Philip Godgift mescola finzione e cronaca per affrescare scenari di definitiva uscita di scena del signor B. Le cui “gesta” sono puntualmente documentate e stigmatizzate in Colti sul Fatto (Garzanti) di Marco Travaglio, graffiante raccolta di articoli che il giornalista piemontese presenterà il 28 agosto ai vacanzieri di Rimini. E si potrebbe continuare ancora a tracciare la mappa di un Belpaese che sembra essersi svegliato da un ventennale letargo e che, sotto l’ombrellone quest’anno, sembra deciso a non si portarsi un libro ma direttamente l’autore.
da left-avvenimenti
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