Dal 14 al 18 maggio va in scena a Torino la XXII edizione della Fiera internazionale del libro. L’Egitto Paese ospite al Lingotto, in ricordo di un maestro come il Nobel Mahfuz. Sono tantissimi anche gli appuntamenti per l’editoria di casa nostra. Dopo il successo di Palazzo Yocoubian e Chicago, ‘Ala al-Aswani si riconferma voce coraggiosa e anti regime con un nuovo romanzo: Se non fossi egiziano. Mentre nuovi giovani talenti crescono
di Simona Maggiorelli
Scontro di civiltà fra Occidente e Oriente? Se ne è fatto un gran parlare negli ultimi anni. A mio avviso, senza senso». Parola di ‘Ala al-Aswani, l’autore di Palazzo Yocoubian e di Chicago (entrambi editi da Feltrinelli), lo scrittore egiziano più letto in Medio Oriente, ma anche il più tradotto in Occidente.
«Ho sempre pensato che la civiltà sia uno dei risultati più alti della creatività umana» accenna lo scrittore al telefono, poco prima della sua partenza per Torino. «Lo scontro, quando avviene – precisa al-Aswani – semmai è causato dal fondamentalismo religioso. Nella storia le religioni sono sempre state usate per sostenere guerre e per uccidere. E in questo le confessioni religiose sono tutte uguali, a qualsiasi libro sacro appartengano. Io sono musulmano perché sono nato in un Paese che professa questa fede, ma se fossi nato in un Paese cattolico, probabilmente sarei stato cattolico…». Sottile e tenace critico della situazione sociale e politico dell’Egitto di oggi, coraggioso nella sfida ai maggiori tabù della tradizione, ‘Ala al-Aswani è uno degli ospiti più attesi della Fiera del libro 2009, in programma al Lingotto dal 14 al 18 maggio. al-Aswani incontrerà il pubblico il 16, in occasione dell’uscita del suo nuovo libro Se non fossi egiziano (Feltrinelli, in libreria dall’9 maggio), in cui lo scrittore egiziano, sullo sfondo delle vie del Cairo, tratteggia una galleria di personaggi di oggi mandando in frantumi ogni oleografia. Così, fra un ricercatore in medicina che non trova come finanziare i suoi progetti, le meschinità di un bottegaio e il moralismo di una studentessa osservante quanto ipocrita, s’incontrano personaggi che nulla hanno di prevedibile e scontato. E proprio questa schiettezza, la sottile ironia, ma anche la calda umanità che “trasuda” dalla scrittura di al-Aswani, ne fanno una voce originalissima nel panorama della letteratura egiziana. Ma anche una delle più criticate dalla fronda più moralistica e religiosa dei lettori. E delle più bersagliate dalla censura.
Realtà e immaginazione
«Al Cairo – racconta al-Aswani – il primo ad aprire un cinema fu un italiano. Si chiamava Delio Astrologo. Trovandosi sempre di fronte un pubblico che si spaventava a morte quando sullo schermo appariva un treno che sembrava correre verso di lui, adottò questa tecnica: ogni sera, accompagnati gli spettatori in sala, prima che si sedessero, spiegava loro, con tanto di prove a misura di polpastrelli, che quello che avevano davanti non era che un pezzo di stoffa».
Un secolo dopo lo scrittore egiziano confessa di trovarsi in una situazione curiosamente simile. «Tra i lettori di narrativa – chiosa al-Aswani – purtroppo, c’è ancora chi fa la stessa identica confusione tra realtà e immaginazione. Dopo l’uscita del romanzo Chicago ho ricevuto dosi settimanali di insulti da lettori fanatici secondo i quali, rappresentando un personaggio di una ragazza velata che rinuncia ai suoi principi, offendevo tutte le musulmane velate e dunque l’islam stesso». Ma questo, certamente, non è bastato a fermare la fantasia dello scrittore e il gusto di uno scrivere senza censure.
«Terminati gli studi di medicina negli Stati Uniti, alla fine degli anni Ottanta sono tornato a vivere in Egitto – scrive ‘Ala Al -Aswani nel libro – e avrei voluto dedicarmi solo alla scrittura. Ma dovevo fare il dentista per guadagnarmi da vivere. Così ho scisso la mia vita in due: una vita regolare, seria, da persona rispettabile, come medico, e un’altra da scrittore, libera, esente da ogni restrizione sociale e pregiudizio. Tutti i giorni, dopo il lavoro, mi precipitavo alla scoperta della vita nelle sue forme più originali ed eccitanti. Andavo a zonzo nei luoghi più bizzarri, incontravo persone poco convenzionali, spinto da una curiosità impellente e una reale necessità di comprendere la gente e di imparare quel che aveva da insegnarmi».
Una passione per l’umano, in tutti i suoi aspetti, che rende viva e irresistibile la prosa di questo scrittore che qualche critico definisce “il Nagib Mahfuz contemporaneo”. Di fatto il Nobel scomparso nel 2006 è “il nume tutelare” e la personalità forte che aleggia su tutti gli appuntamenti di questa Fiera del libro 2009, che ha scelto l’Egitto come Paese ospite. Ma il 16 maggio la casa editrice Newton Compton gli dedicherà un appuntamento speciale, un reading di pagine scelte dai suoi capolavori, da Rhadopis a Il romanzo dell’Antico Egitto, da La cortigiana del faraone a Il giorno in cui fu ucciso il leader, fino a Karnak cafè. Con una sorpresa per il pubblico italiano: l’uscita, sempre per i tipi di Newton Compton, di Autunno egiziano, un affascinante racconto-affresco del Cairo, a oggi ancora inedito in Italia.
Zigzagando tra gli appuntamenti
Ma zigzagando fra i moltissimi appuntamenti della sezione dedicata all’Egitto – fra i quali segnaliamo in particolare “L’Egitto al femminile” con Radwa Ashur, Salwa Bakr, Ahdaf Soueif e Mira Al Tahawi e la lectio magistralis dell’archeologo Zahi Hawass, autore dell’affascinate Le montagne dei faraoni (Einaudi) – da non perdere di vista, l’incontro con lo scrittore emergente Ahmad al-Aidy, caso letterario in Egitto e in Inghilterra del 2008 proprio per la penetrazione psicologica con cui questo giovane autore egiziano (classe 1974) racconta una generazione «che non ha nulla da perdere». Linguaggio ironico, scheggiato, scrittura sincopata che procede per flash, diversamente dalla prosa più distesa e classica di al-Aswani, quella di al-Aidy nel romanzo Essere Abbas al-Abd (il Saggiatore, dal 7 maggio in libreria) procede per improvvisi scatti, impreviste accelerazioni nel raccontare una porzione di gioventù intrappolata in un mondo di rapporti malati, senza un filo e al tempo stesso scapicollati fra sms, mondi virtuali e McDonald’s. Con un registro completamente diverso, anche qui troviamo il coraggio di uno sguardo “crudele” che va fino in fondo. La voglia di guardare in faccia la realtà senza infingimenti. Con un linguaggio letterario nuovo, creativo, che non si ferma alla cronaca.
«Il successo internazionale di uno scrittore artisticamente maturo come al-Aswani, ma anche l’emergere di voci dichiaratamente controcorrente come al-Aidy sono la riprova di quanto la scena culturale sia cambiata in Egitto, di quanto sia diventata finalmente più libera» commenta Fabio El Ariny, lo scrittore italo egiziano che ha fatto molto parlare di sé con il romanzo d’esordio, Il legame (Besa) nel quale si immagina un nesso fra l’incidente aereo che accadde a Malpensa e l’attentato alle Torri gemelle. Al centro del racconto c’è un giovane immigrato ingiustamente accusato di terrorismo. El Ariny, che come al-Aswani ha una “doppia vita” fra lavoro e scrittura, sarà a Torino il 15 maggio per parlare di letteratura egiziana. In queste settimane è anche al lavoro su un nuovo romanzo «che – ci anticipa – sarà completamente diverso dal precedente, che era stato definito un thriller».
Un Paese democratico?
Nato in Italia, El Ariny è cresciuto e ha studiato in Egitto. «Là vivono i miei genitori e da quando nel 1992 mi sono trasferito in Italia ho continuato a frequentare molto il Paese – racconta – così ho potuto vedere passo dopo passo il cambiamento che l’Egitto ha fatto dalla fine degli anni Ottanta. Allora era impossibile criticare il governo. Non c’erano giornali, se non quelli di regime e in pubblico bisognava stare molto attenti a quel che uno diceva. Oggi, giustamente, c’è chi dice che l’Egitto non sia un Paese democratico ma bisogna ammettere anche che la censura si è un po’ allentata: quando ero piccolo, per esempio, certi libri di Mahfuz si potevano acquistare solo in Libano, che sotto questo riguardo è sempre stato un Paese più libero dell’Egitto. Negli ultimi anni sono nati giornali di opposizione, possono emergere voci libere di scrittori, anche apertamente critiche. Molti di loro saranno ospiti a Torino. E proprio per questo sarebbe assurdo boicottare la Fiera».
«La scena editoriale egiziana è molto cresciuta e si è molto movimentata negli ultimi anni. Accanto alle case editrici più grandi e ufficiali sono nate imprese più piccole e indipendenti, che qualche anno fa sarebbero state impensabili» conferma Barbara Ferri, che per le Edizioni e/o segue il progetto Sharq/Gharb: una costola della casa editrice romana che traduce e pubblica in arabo letteratura italiana contemporanea ma al contempo promuove coedizioni arabe di opere di autori mediorientali. «La Fiera del libro del Cairo è un buon termometro della situazione. E l’ultima edizione è stata quanto mai frequentata e ricca di proposte. Anche dal punto di vista dell’editoria – sottolinea Ferri -. Ovviamente non si può parlare dei Paesi arabi in generale, perché ciascuno ha la sua storia. Ma se, per esempio, in Siria non siamo ancora riusciti a creare rapporti di collaborazione con l’editoria locale, a causa di una forte presenza della censura, in Libano non abbiamo mai avuto problemi. La novità ora riguarda proprio l’Egitto dove per la prima volta sta nascendo un’attenzione viva anche per quel si pubblica nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo».
IL PUNTO Quelle star del boicotaggio
di Tahar Lamri *
Il direttore della Fiera del libro di Torino, Ernesto Ferrero, ha dichiarato a Libero: «Ci saranno tante star e ne siamo contenti, perché servono a creare movimento e ottengono spazio sui mezzi di informazione». L’evocazione di queste parole (star, movimento e ottenere spazio), in ambito letterario, è già di per sé motivo sufficiente per boicottare una manifestazione. Non per motivi ideologici, ma perché, in un mondo letterario perfetto, il libro è invito alla lentezza e a combattere le forme dello star system e dello sgomitare per avere un posto sui media.
L’appello a boicottare la Fiera, sottoscritto anche da Gianni Vattimo, crea proprio quel movimento che assicura spazio sui mezzi di informazione e fa di Vattimo una star e siccome questo movimento tende a fagocitare il suo nucleo, cioè in questo caso la difesa dei diritti umani, e focalizzare tutta l’attenzione sulla periferia, cioè la polemica-spazzatura che si nutre di vecchie e nuove polemiche, alcuni giornalisti fanno i conti con chi davvero difende i diritti umani e spostano l’asse della discussione su tutto ciò che è marginale: Israele è più democratico dell’Egitto, Tariq Ramadan non dovrebbe essere invitato perché l’anno scorso… ecc.
Sheherazade ci insegna che la letteratura salva la vita, ma è da molto tempo che la letteratura si è dimessa da questa funzione. Dai tempi di Camus, Franz Fanon, Aimée Cesaire, molti scrittori sudamericani torturati, segregati, confinati, proprio per difendere i diritti umani e il diritto alla parola. Poeti Cheyenne che vivono a stenti nelle democrazie consolidate. Boicottare o non boicottare una Fiera del libro è soltanto un esercizio ozioso per creare, appunto, star, movimento e ottenere spazio.
*Scrittore e studioso di intercul 10 maggio 2009
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