Da Ingres a Picasso. La mostra “Pompei e l’Europa, (1748-1943)” al Museo archeologico di Napoli ricostruisce come il mito pompeiano entrò nell’immaginario Dagli scavi del 1748 al drammatico bombardamento del 24 agosto 1943, quando Pompei finì sotto il fuoco “amico”, americano. La mostra Pompei e l’Europa, aperta fino al 2 novembre 2015 nel Museo archeologico nazionale e nell’anfiteatro a Napoli, ripercorre la storia della scoperta e della continua lotta per salvaguardare Pompei, ingaggiata da straordinarie figure di archeologi e soprintendenti come Championnet, Fiorelli, Spinazzola e Maiuri.
Il fondatore della scuola archeologica di Pompei, Giuseppe Fiorelli (1823- 1896), in particolare, trovò il modo di realizzare dei calchi delle drammatiche impronte lasciate dalle persone uccise dalla lava.Venti calchi restaurati per questa occasione ricordano il suo lavoro di studio e di ricerca.
Ma soprattutto questa esposizione organizzata da Electa (che pubblica il catalogo) racconta il fascino che questa antichissima città, riemersa dopo secoli di oblio, esercitò sugli artisti. Per esempio influenzando e rivitalizzando con i colori dei suoi affreschi e la sensualità delle figure femminili che vi erano raffigurate il classicismo di pittori accademici come Jean-Auguste- Dominique Ingres.
I paesaggi di rovine pompeiane portarono un vento romantico nelle scene ordinate di vedutisti francesi, inglesi e tedeschi. Riuscendo poi a interessare e coinvolgere persino indomiti protagonisti dell’avanguardia novecentesca come Picasso, che visitò Pompei con Jean Cocteau, durante il periodo in cui soggiornavano a Roma per lavorare alle scenografie di uno spettacolo di Diaghilev con i Ballet Russes che debuttò nel 1917.
Il pittore spagnolo stava attraversando un periodo di crisi, d’ispirazione e personale, e da Pompei trasse soprattutto una nota classica e monumentale come si evince dalla gouache su compensato esposta in mostra in cui sono raffigurate due donne che corrono lungo la spiaggia e intitola La corsa.
Curata da Maria Teresa Caracciolo, da Luigi Gallo e dal soprintendente Massimo Osanna, la mostra è pensata come un vero e proprio viaggio in cui l’antico dialoga con il moderno, intercalando reperti e opere otto e novecentesche. In tutto duecento opere provenienti dai più grandi musei italiani e stranieri e riunite nel salone della meridiana del museo archeologico.
A colpire non è solo la forte presa che l’immagine di Pompei ebbe sui pittori, ma anche il fascino che esercitò su architetti come Le Corbusier e su artisti che fecero dell’architettura un ambito di ricerca privilegiato come de Chirico. Interessante, infine, anche la selezione di scatti e immagini che documentano il progresso degli scavi tra Ottocento e Novecento. Mentre la raccolta di testimonianze permette di ricostruire tappe fondamentali per lo sviluppo di un’idea scientifica di archeologia. Vi troviamo per esempio quella di un collezionista e intellettuale come Scipione Maffei, che nel Settecento tematizzò l’importanza del rigore metodologico dello scavo: «… desiderabile soprattutto è, che si risolvano a lavorare per di sopra, levando e trasportando quel monte di cenere… in questo modo la spenta città si farà rinascere, e dopo mille e settecent’anni rivedere il sole: con grandissimo beneficio del paese correrà a Napoli tutta l’Europa erudita…” (Simona Maggiorelli, Left)
Pompei è il volto dell’Italia di iggi. Intervista a Francesco Erbani
«L’area archeologica è un grande laboratorio di ricerca, con secoli di storia pre romana e sannita da approfondire», dice Francesco Erbani, autore di Pompei Italia. Ma è messa a rischio da degrado e malaffare. E persino da politiche emergenziali
di Simona Maggiorelli
La meraviglia di una città antica riemersa quasi intatta nelle sue strutture urbanistiche, dopo lunghissimi secoli, toccò profondamente la fantasia di viaggiatori, pittori e intellettuali nel XVIII secolo, continuando poi fino ad oggi ad ispirare artisti e scrittori, come racconta la mostra Pompei e l’Europa 1748-1943 in corso al Museo archeologico di Napoli. Ma al contempo, in anni recenti, Pompei è diventata sinonimo di crolli, di vandalismi e abbandono, occupando più le pagine di cronaca nera che quelle di cultura. Evocando in maniera paradigmatica ciò che tristemente sta accadendo al patrimonio del Belpaese. «Pompei racconta molto dell’Italia oggi», nota Francesco Erbani che le ha dedicato un libro Pompei Italia pubblicato da Feltrinelli: «Basta pensare al modo emergenziale con cui anche di recente si è cercato di fermare il degrado dei resti della città, dei suoi mosaici e affreschi all’aria aperta: non si è fatta più manutenzione ordinaria, non c’è stato più quel monitoraggio che ha funzionato per decine di anni nel prevenire disastri. Ma si affrontano i problemi all’ultimo momento, senza una visione a lungo termine».
Per il premier Matteo Renzi le soprintendenze sono sinonimo di burocrazia. Ma a produrre danni non è stato piuttosto il progressivo indebolimento di questi preziosi enti di tutela ?
La colpa non è delle strutture territoriali. Ne abbiamo una riprova concreta. La seconda metà degli anni Novanta fu un periodo d’oro, grazie a una precisa programmazione degli interventi. Quando era ministro Veltroni furono rafforzate le strutture territoriali e fu data autonomia amministrativa a Pompei permettendole di trattenere gli incassi. Allora si provò a mettere in sicurezza tutto il sito, (non limitandosi ad interventi su singole domus come si fa oggi), considerando la dimensione urbana di Pompei che la caratterizza rispetto da altre aree archeologiche. Quando lo Stato mette a disposizione le proprie strutture consentendo autonomia le cose funzionano. Poi però quel processo fu interrotto, le persone che lo avevano avviato furono sostituite con altre non altrettanto competenti e quell’esperienza fu lasciata morire dal ministero stesso. Ecco il vero paradosso.
Il ddl Madia approvato l’estate scorsa prevede che le soprintendenze finiscano sotto le prefetture. Ma le passate esperienze di commissariamenti sono state disastrose. In particolare quella di Marcello Fiori. Che ne pensa?
Non so che schema vorrà seguire il governo, ma ho idea che questo sistema delle soprintendenze sotto-ordinate alle prefetture vada contro la stessa riforma Franceschini. È una soluzione improvvida, scombinata, inapplicabile. I risultati a Pompei sotto i commissari sono stati un disastro dopo l’altro, resi evidenti dal crollo della Schola Armaturarum e dai processi a cui ora è sottoposto Fiori. Per esemplificare l’eccesso di vincoli che ci sarebbe in Italia il premier Renzi cita sempre le soprintendenze, lasciando intendere di voler cancellare questo tipo di attività di tutela. Questa sua insofferenza, manifestata più volte, trova espressione nel meccanismo di silenzio assenso che taglia le unghie alle soprintendenze, mortificandone le competenze, dopo che sono state sguarnite di personale e umiliate oltre misura.
I disservizi e gli scarsi introiti di Pompei vengono paragonati ai risultati della mostra su Pompei del British museum che in pochi mesi nel 2013 fece mezzo milione di visitatori e 10 milioni di sterline. E c’è chi dice: basta tutela puntiamo sulla valorizzazione…
Anche in questo caso Pompei è paradigmatica. Non si può valorizzare senza tutelare. I beni artistici vanno conservati perché trasmettono sapere, conoscenza, identità culturale condivisa. A Pompei arrivano ogni anno 2 milioni e mezzo di visitatori, il sito archeologico non è un limone da spremere, ma bisognerebbe pensare a come fare in modo che il turismo porti benefici a questa cittadina di 600mila abitanti, stretta fra mafia e disoccupazione.
Fra i venti nuovi direttori di musei c’è anche un giovane archeologo tedesco, Gabriel Zuchtriegel, che andrà a dirigere l’area di Paestum, non avendo mai diretto un museo, mentre l’ archeologico di Napoli dove sono conservati molti reperti pompeiani sarà diretto da un etruscologo, Paolo Giulierini.
Per quel posto a Paestum aveva fatto domanda anche Maria Paola Guidobaldi, che ad Ercolano come direttrice dell’area arechologica ha fatto un lavoro esemplare, di tutela e valorizzazione, fra pubblico e privato, (tanto evocato oggi). Dal 2001 ad Ercolano è in corso il fruttuoso esperimento della fondazione Packard. Lei ne è stata artefice e protagonista. Chi meglio di lei avrebbe potuto estendere a Pompei ciò che è avvenuto ad Ercolano? Non c’entra la “partita” Germania-Italia ma è un fatto di competenze acquisite. A Maria Pia Guidobaldi è stato preferito questo giovanissimo archeologo, Zuchtriegel, che non ha esperienza di gestione e che si occupava da consulente esterno del grande progetto Pompei solo da marzo scorso.
Se si investisse in ricerca e su chi ha competenza Pompei, come lei accenna nel suo libro, potrebbe rivelare ancora molte sorprese?
Pompei è uno straordinario laboratorio di ricerca. Sono 44 gli ettari scavati su 66 della intera area archeologica. Più che continuare a scavare negli anni 90 si capì che occorreva studiarne la storia. Importante è l’approfondimento stratigrafico dei molti secoli che precedono il 79 d.C. anno dell’eruzione. Pompei fu città romana solo nell’ultima fase, dal VI sec a. C. in poi, fu una città sannita. quello è uno straordinario campo di indagine che ha dato e sta continuando a dare molti frutti. Quanto alle continue nuove scoperte nel libro cito il caso di un giovane ricercatore che nel 2003 ha trovato un’iscrizione nel tempio di Apollo, un omaggio al console Mummio. Mi auguro che il lavoro di restauro del grande progetto Pompei non solo garantisca una messa in sicurezza ma anche indagine e studio, spero che questa grande occasione che non va persa. ( agosto, 2015)
Pompei, riaprono sei domus, il 24 dicembre 2015
Sei domus pompeiane riaprono il 24 dicembre, dopo lunghi lavori di restauro realizzati nell’ambito del progetto Grande Pompei. Tornerà visitabile così la fullonica di Stephanus, una tintoria con vasche per il trattamento delle stoffe, dove venivano colorati i tessuti e che alle pareti presenta ancora parte degli affascinanti affreschi in rosso.
Si trova sulla centralissima via dell’Abbondanza. Altre case riaprono in via Regio I, nel vicolo di Menandro e in alri punti del sito pompeiano. Si tratta della casa del Criptoportico che nel 79 d.C., il giorno dell’eruzione, era in corso di ristrutturazione. E poi quelle di Paquio Proculo, che rivestiva una carica pubblica simile a quella di un sindaco e quella del Sacerdos Amandus, di Fabius o di Amandius e dell’Efebo, così chiamata per il portalampada in bronzo oggi conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli.
Dopo anni di crolli e di interventi emergenziali che, operando in deroga alle leggi, invece di sanare, hanno spesso provocato nuovi problemi, il soprintendente Massimo Osanna insieme al generale dei carabinieri Giovanni Nistri mettono a segnano un passo importante nell’ambito del progetto Grande Pompei. Il 24 dicembre il ministro Dario Franceschini, presentando i restauri a Pompei, traccerà il bilancio dell’intervento finanziato da Unione europea e governo con 105 milioni di euro.
Un film di Pappi Corsicato
Si intitola Pompei, eternal emotion il cortometraggio di Pappi Corsicato, prodotto dalla Scabec- Società campana beni culturali che sarà proiettato il 24 dicembre alle 11 all’Auditorium di Pompei. Nato come promo, della durata di dieci minuti il film assomiglia più a un’opera di videoarte che a un documentario promozionale. Per l’impatto emorivo delle immagini, che ricreano memorie antiche, per la luce e il taglio poetico. Dopo molti film di successo, ed aver girato docufilm su artisti come il maestro dell’arte povera Mario Merz, Corsicato con questo corto ha scelto di raccontare una giornata pompeiana, dalle prime luci dell’alba sino al tramonto. Luoghi, persone, case, affreschi, calchi, tutto appare in sequenza in una dimensione quasi onirica. Il regista de I vesuviani e di Chimera, ha coinvolto nel film alcuni turisti. «L’idea di mettere in scena dei calchi viventi – spiega il regista – è nata dal voler evocare lo struggente e contraddittorio sentimento della vita e della morte che convive quando si è a Pompei . Da una parte la vitalità che procede in una direzione e da un’altra la fissità più assoluta».
Pompei nella mostra Mito e natura a Milano.
Lo splendido tuffo di un uomo che non ha paura del mare ci colpisce forse più di ogni altra opera scelta per la mostra Mito e natura, dalla Grecia a Pompei aperta fino al 10 gennaio 2016 in Palazzo Reale a Milano. Il nuotatore è sicuro di sé, non ha esitazioni di fronte all’acqua cristallina della Magna Grecia. Ma questa immagine che ci giunge dal lontano passato, ritrovata sulla lastra di una tomba del 480 a.C., potrebbe voler dire altro da quello che noi immaginiamo parlando di acque limpide e profonde. In quella parte di Sud d’Italia, infatti, si sviluppò la scuola pitagorica. E questo tipo di figura simboleggava il passaggio dalla vita al regno dei morti, spiegano Gemma Chiesa e Angela Pontrandolfo nel catalogo Electa che accompagna la mostra.
Al contempo la celebre immagine della tomba del tuffatore ci racconta che il rapporto con la natura era molto cambiato dai tempi più antichi e dell’epos omerico, quando ancora era avvertita come una forza pericolosa, sovrastante e indomabile. Il percorso espositivo organizzato dalle due curatrici secondo un percorso tematico e cronologico (dal VIII sec. a. C. al II sec. d. C.) racconta bene il passaggio che avvenne nel V secolo a. C., quando si strutturò il Logos e la polis divenne ordinata, con una netta divisione degli spazi urbani: quelli pubblici riservati a una elite di uomini aristocratici e liberi e quelli privati in cui erano rinchiuse le donne e gli schiavi. Questa visione della società trovò un preciso riflesso nel modo di rappresentare l’ambiente. Lo si evince perlopiù dallo studio di vasi dipinti, non potendo contare su esempi di pittura greca antica che – diversamente dalla statuaria e dal vaselleme – perlopiù non è arrivata fino a noi.
Nell’epoca classica della filosofia greca si passò dunque da una visione panteistica, dalla rappresentazione di tempeste e venti “incarnate” da figure di dei, a una visione della natura addomesticata, contenuta in forma chiare e definite. Un mutamento che appare ancora più evidente guardando i reperti romani esposti a Milano e provenienti dai maggiori musei italiani e internazionali. Ma soprattutto lo si nota osservando i preziosi lacerti di affreschi pompeiani. Negli interni delle ville patrizie comparivano spesso giardini dipinti che arrivavano ad avere il nitore e l’effetto illusionistico di un trompe-l’œil, in cui ogni dettaglio botanico appare riprodotto in maniera analitica. Non un alito di vento scompiglia questi giardini delle delizie, immobili e decorativi. Poi il Settecento illuminista riprenderà questa moda declinandola in giardini geometrici.
Parte il restauro della Schola armaturarum. 8 gennaio 2016
A Pompei, nel luogo del crollo che cinque anni fa scatenò l’indignazione internazionale e l’atto di accusa del presidente Giorgio Napolitano (“una vergogna per l’Italia” disse, chiedendo “spiegazioni immediate e senza ipocrisie”) è iniziata l’operazione recupero. Termine dei lavori febbraio 2016. Sarà installata una copertura temporanea per la protezione delle strutture originarie della Schola, alte un metro e mezzo e rivestite da affreschi. Un sistema di giunti e tubi darà vita a un edificio provvisionale costituito da tre ali, larghe 3 metri, che seguono e inglobano il perimetro dell’edificio antico. Gli appoggi saranno disposti sia all’interno che all’esterno dell’area, senza in ogni caso intaccare il pavimento.”. Il progetto, coordinato dal funzionario archeologo Alberta Martellone, e redatto dagli architetti Paolo Righetto e Mariano Nuzzo e dall’archeologo Mario Grimaldi, è stato elaborato dopo un accurato rilievo laser scanner realizzato dall’architetto Raffaele Martinelli. L’architetto Marina Cesira D’Innocenzo è invece il responsabile unico del procedimento. Dopo il crollo del novembre 2010 che portò alla decisione del governo Berlusconi (ministri Galan e Fitto) – sollecitati dal commissario europeo Johannes Hahn – poi perfezionata dal governo Monti (ministri Barce e Ornaghi) – di avviare un progetto straordinario di messa in sicurezza e di manutenzione degli scavi, l’area venne sottoposta a sequestro dalla procura di Torre Annunziata. Il Grande progetto Pompei da 105 milioni di euro fu inviato all’Ue a dicembre 2011 e approvato a febbraio 2012, i primi bandi pubblicati ad aprile. Ma per lunghi mesi la Schola è rimasta così, recintata e inaccessibile, coperta da teli bianchi. ( fonte: Repubblica Napoli)