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Babilonia, la prima metropoli cosmopolita

Posted by Simona Maggiorelli su marzo 18, 2012

di Simona Maggiorelli

Babylon, gate of Ishtar

Culla della civiltà e straordinario melting pot di culture diverse, la Mesopotamia nella storia è stata duramente attaccata dall’Occidente. Tanto che per secoli cronache e dipinti l’hanno raccontata come il Male, come terra di peccato e di perdizione. Negando il valore della civiltà babilonese e le sue straordinarie realizzazioni in campo architettonico e culturale. Ma anche quell’intelligente lavoro di riassorbimento del passato sumerico e di reinvenzione delle altre tradizioni che, invece, aveva permesso a Babilonia di crescere rapidamente, diventando fra il II e  il I millennio a C., la capitale di Hammurabi e faro di tutto il Medio Oriente.

Così, mentre i testi cuneiformi la raccontano come città del bene, della convivenza pacifica fra i popoli, ma anche come luogo delle meraviglie, fucina delle arti, della letteratura, della poesia, della astronomia e della medicina, la tradizione biblica  ne ha  tramandato un’immagine deformata, frutto di una perversa rivisitazione ideologica.

E negli affreschi medievali, ma anche in opere di maestri come Bruegel o Rembrandt, gli svettanti ziqqurrat della capitale pagana appaiono tramutati in diroccate torri di Babele su cui si scaglia la maledizione divina, i ricchi palazzi diventano oscuri harem dove si consuma ogni tipo di violenza, i luminosi giardini pensili appaiono inquietanti e labirintici. E questo è accaduto per un arco di tempo lunghissimo, che va dai Salmi fino a Borges con la sua metafisica Biblioteca di Babele. E ancora oltre.

Ishtar/Inanna

Ishtar/Inanna

Come ricostruisce l’archeologo Paolo Brusasco nel libro Babilonia. All’origine del mito (Raffaello Cortina). Un affascinante lavoro multidisciplinare in cui il docente di storia dell’arte del Vicino Oriente dell’Università di Genova ricostruisce la verità storica di Babilonia, mostrando come il mito che l’Occidente ha costruito sia servito «ad esorcizzare le proprie paure» e continui a gettare ombra sul presente. Non a caso uno dei primi capitoli del libro è dedicato a una «autopsia del disastro in Iraq», dopo un ventennio di guerre e l’invasione anglo-americana.

La missione “civilizzatrice e democratica” targata Usa, come è noto, si è tradotta anche nell’occupazione militare del sito di Babilonia, distruggendo ogni possibilità di leggere filologicamente la stratigrafia. Un po’ come se i talebani fossero sbarcati a Pompei, suggerisce il professore. E senza che da parte degli organismi internazionali ci sia stata adeguata attenzione. E oggi, dopo che le truppe anglo-americane hanno lasciato il Paese, cosa sta realmente accadendo? «La situazione è ancora molto inquietante – denuncia Brusasco – Anche perché è impossibile stimare la reale entità dei danni che migliaia di siti archeologici stanno tuttora subendo. Una mia analisi del commercio telematico di antichità mesopotamiche dimostra la presenza di numerosissimi reperti sumerici e assiro-babilonesi verosimilmente finiti sul web in modo illegale. Anche le contrapposizioni etnico-confessionali (tra curdi, sciiti e sunniti etc.) hanno un peso nella mancata tutela del patrimonio culturale: sia la ricognizione dei Carabinieri del nucleo per la tutela che quelle del British Museum sotto l’egida dell’Unesco hanno messo in luce il perdurante saccheggio dei siti sumerici e babilonesi dell’alluvio meridionale (il biblico Eden) da parte di tribù sciite impoverite da anni di embargo e guerre. Per tacere dell’ennesima riapertura “propagandistica” dell’Iraq Museum, cinque mesi fa, in occasione di una mostra sulla scrittura cuneiforme, senza una preventiva messa in sicurezza delle strutture espositi

Tavoletta di argilla babiloneseNel libro Cultural cleansing in Iraq un gruppo di intellettuali scrive che l’invasione anglo-americana è stata un deliberato attacco all’identità storica dell’Iraq. E ha comportato «l’annientamento del patrimonio iracheno e della sua classe». Ma quale minaccia può mai rappresentare Babilonia oggi?

«Questo ed altri importanti siti antichi del Paese- spiega Brusasco-«sarebbero una minaccia in quanto simboli della grandezza del regime sunnita dell’ex dittatore Saddam Hussein che ne aveva fatto delle icone della sua propaganda politica :la cosiddetta mesopotamizzazione dell’Iraq. Distruggere questi simboli, con una vera e propria operazione di pulizia culturale, permetterebbe una riformulazione del concetto di nazione irachena più in linea con gli interessi Usa, per il petrolio e il controllo geopolitico del Medio Oriente. Una nazione che, privata della fierezza della propria memoria storica, diverrebbe uno stato vassallo, asservito agli interessi anglo-americani; i quali del resto non possono vantare un passato altrettanto straordinario.

Nella storia occidentale affiora l’immagine di un Oriente seducente e misterioso. Più spesso però il pregiudizio è stato violento. Il mito della torre di Babele lo testimonia?

I Greci lo vedevano come esotico, non senza una forte seduzione. Le invettive dei profeti contro Babilonia, «la madre delle prostitute», sono state amplificate a partire dalla cattività babilonese dal 597 al 538 a.C. E Babilonia è stata investita dal mito della confusione delle lingue dei popoli costruttori della torre di Babele, nella realtà la ziqqurrat Etemenanki, la “Casa delle fondamenta del cielo e della terra”. Fu un ribaltamento effettivo della realtà storica: la torre era il simbolo della prima città cosmopolita della storia alla cui costruzione cooperarono le migliori maestranze dell’impero, che, al contrario, si comprendevano grazie alla lingua franca dell’epoca, l’aramaico. Ma per gli esuli ebrei la torre era un idolo pagano dedicato al dio Marduk e un affronto al dio unico Jahvè.

Babilonia era la grande meretrice. E Semiramide era la lussuria. L’Occidente era scandalizzato dall’immagine e dall’identità che la donna aveva nella cultura babilonese, dove la stessa dea Ishtar rappresentava una sessualità femminile più libera e “attiva”?

babilonia secondo Brueguel

La «figlia di Babilonia» dei profeti si materializza in una donna in carne e ossa, «la grande prostituta». Vedere Babilonia come di genere femminile, e come corrotta e peccatrice, è una equazione rivelatrice della mentalità che echeggia nella Bibbia. L’esistenza di donne di grande potere in Mesopotamia doveva avere colpito anche i Greci che costruirono il mito della licenziosa Semiramide, la femme fatale costruttrice di Babilonia. L’eroina è un personaggio leggendario, un concentrato di valenze storiche, ispirato alle regine assire (Shammuramat e Nakija) e mitiche, dietro la quale si cela l’energia sessuale e guerriera della dea Ishtar, assai cara alla tradizione popolare babilonese. I profeti ebrei e i sapienti greci, tra cui anche Erodoto, rimasero scandalizzati anche dal costume babilonese della prostituzione sacra: in realtà si trattava di una unione sessuale (la ierogamia) di carattere apotropaico celebrata a Capodanno per rigenerare le forze stagionali della natura. E sottendeva al potere erotico del femminile come elemento culturale primario, lontano da una semplice valenza istintuale: le prostitute erano considerate le principali educatrici degli uomini non civilizzati, e i miti mostrano una sostanziale simmetria tra i sessi, entrambi emersi dalla terra o da un corpo” androgino” (amilu, “essere umano”).

Che differenziava l’ Afrodite greca, Ishtar/ Inanna sumerico accadica e Astarte fenicia?

Originano tutte da una primigenia divinità madre preistorica, la cui valenza sessuale attiva e procreatrice si unisce ad aspetti distruttivi e ctonii, legati all’oltretomba, man mano che si sviluppano civiltà sempre più complesse. L’Inanna/Ishtar babilonese è l’archetipo da cui si generano tradizioni fenicie, greche, romane ed etrusche indipendenti. L’Astarte fenicia è la trasposizione tout court della Ishtar babilonese, l’Afrodite greca ha una valenza legata alla spuma del mare primigenio, mentre Ishtar è anche la stella del pianeta Venere e ha quindi forti connotazione astrale.

Paolo Brusasco

Nel libro lei si occupa del poema d’Agushaya e della danza sfrenata che le era associato. Alcuni aspetti della cultura babilonese possono aver influenzato, direttamente o indirettamente, regioni del nostro Meridione?

«Il leone di Ishtar si è calmato, il suo cuore si è placato». Così chiude il poema dedicato alla Ishtar guerriera, ovvero Agushaya, dal sovrano babilonese Hammurabi (1792-1750 a.C.), dopo avere conquistato il mondo allora conosciuto. Il rito aveva lo scopo di placare il furore bellico del sovrano, come pure appianare le tensioni sociali esistenti all’interno della comunità, dal momento che prevedeva una danza catartica collettiva del popolo in festa. Non possiamo postulare un collegamento diretto con rituali del nostro meridione quali, per esempio, il tarantolismo pugliese, anche se la forma cristianizzata del tarantolismo richiama l’antichissimo sottofondo pagano della Magna Grecia, probabilmente debitore di influssi orientali. Negli ultimi anni risulta sempre più chiaramente la profonda ricchezza di contatti nel mondo antico. Per non fare che un esempio: la recentissima scoperta nel santuario fenicio di Astarte a Tas-Silg (Malta) di un amuleto babilonese di agata, recante un’iscrizione cuneiforme del 1300 a.C., testimonia di incredibili contatti tra Oriente e Occidente la cui natura e dimensione restano in via di definizione. Certo non si può disconoscere il ruolo giocato dai marinai e mercanti fenici nell’esportazione verso il Mediterraneo occidentale di culti orientali quali quello di Astarte/Ishtar, con tutte le implicazioni culturali che ne derivano.

da left-Avvenimenti

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Ishtar, la dea degli opposti

Posted by Simona Maggiorelli su dicembre 6, 2009

In Mesopotamia quattro millenni fa fiorì una civiltà senza “religione”. Una cultura che nell’epos e nel suo pantheon offriva una complessa rappresentazione del femminile. La racconta in un nuovo libro dall’assirologo Pietro Mander

di Simona Maggiorelli

Ishtar

La decifrazione della scrittura cuneiforme fin dall Ottocento ha permesso l’accumulo di una grande quantità di informazioni sulle culture dell’antica Mesopotamia. Ma l’analisi filologica dei dati non ha coinciso sempre con la comprensione del loro significato più profondo. «Per questo ho sentito l’esigenza di prendere un po’ di distanze dalla mia stessa disciplina per tentare un’interpretazione più complessiva del pensiero mesopotamico» racconta l’assirologo Pietro Mander, docente all’Orientale di Napoli ed ex collaboratore di Pettinato nelle ricerche sui testi sumerici arcaici e eblaiti. C

Così, dopo un importante lavoro dedicato ai Canti sumerici di amore e morte (Paideia) e Sumeri pubblicato da Carocci, per l’editore romano Mander ha scritto una densa ricognizione della cultura mesopotamica nelle sue principali varianti sumera, babilonese e assira, dal titolo La religione dell’antica Mesopotamia. Un libro in cui propone innovative scelte terminologiche e di metodo. «Per cominciare – spiega il professore -il concetto di Mesopotamia non appartiene al mondo dei suoi antichi abitanti. Nasce dai Greci e da loro è giunto fino a noi» Ed è noto che i macedoni che entrarono a Babilonia da conquistatori con Alessandro Magno nel 31 a.C. erano militari.E non erano uomini di cultura nemmeno i generali che si divisero le province dell’impero macedone dopo la morte di Alessandro nel 323 a.C.

Immaginando di mettersi dalla parte di Berosso, un adepto del dio Marduk che intorno al 280 a.C. scrisse un’opera in più volumi per mostrare agli ignoranti greci (che stigmatizzavano gli stranieri come barbari) la ricchezza dell’antica cultura mesopotamica, Mander invita il lettore a uscire da quegli schemi occidentali che non permettono di capire la civiltà che fra il Tigri e l’Eufrate fiorì più di quattro millenni fa come culla della scrittura e delle prime città stato. La prima categoria fuorviante, avverte Mander, è proprio quella che campeggia nel titolo del suo nuovo libro: «Nelle lingue antiche del Vicino Oriente- spiega- non esiste un termine che possa rendere il senso di religione». Così come la nostra parola magia non richiama l’articolazione di significati che connotava l’astrologia, le divinazioni e gli esorcismi (già nei primi testi narrativi nel XXVI secolo a.C. di Farah). Né ci aiuta a comprendere l’immaginifica epica dei re di Uruk (di cui ci sono rimasti cinque poemi in lingua sumerica) o l’epica di Gilgamesh in lingua accadica, «una tradizione- sottolinea Mander- di forte intensità poetica e coesione narrativa».

Il punto è, al fondo, che il politeismo mesopotamico non conosceva separazione fra realtà trascendente e mondo sensibile. «Questa dicotomia – spiega l’assirologo – è necessaria nella religione che l’Occidente ha mutuato dal mondo giudaico: il monoteismo, che è fondato proprio sulla negazione dell’alterità e sulla netta separazione del trascendente dall’immanente». La più antica affermazione del monoteismo nel Vicino Oriente, come è noto, risale al XVI secolo a.C. e si fa risalire a Amenophis IV che in Egitto impose dall’alto il culto del disco solare Aten. «Il dio unico – approfondisce Mander – nega e annulla tutti gli altri dei. Poi i latini diranno omnes dii gentium daemonia, gli dei pagani sono demoni. Il monoteismo ha creato una visione preconcetta delle culture che ha sottomesso». E una visione alterata della “religione” mesopotamica è arrivata fino a noi, tanto che Mander (con Assmann) preferisce parlare di “cosmoteismo”: perché le divinità, perlopiù, sono raffigurate in forma antropomorfica e rappresentano «le potenze reali che ci circondano nella vita di tutti i giorni». Sono le forze che muovono l’universo, le stelle, l’acqua, i temporali ma anche le emozioni, gli affetti e le pulsioni profonde che muovono la mente umana. In altre parole, dice Mander, «gli dei erano differenziazioni del cosmo che corrispondevano alle molteplici esperienze umane».

statuetta egizia preistorica

Con questo assunto, il pantheon mesopotamico, eminentemente sumerico, era già compiuto nella prima metà del III millennio a.C. e rimase pressoché immutato per i duemila anni successivi. Di fatto. un pantheon assai affollato di dei ma al tempo stesso curiosamente antropocentrico. «Ogni persona si pensava generata dai propri genitori e al contempo da un suo “dio” o “dea” – ci spiega Mander – e la presenza nell’essere umano di un elemento divino costituisce il motivo della centralità cosmica dell’uomo che è stato incaricato dagli dei di gestire il mondo secondo i principi celesti da essi stabiliti». I sumeri non si interessavano all’origine dell’universo né di questioni escatologiche. Ma volevano conoscere il funzionamento delle cose del mondo. Come dimostra il grande sviluppo che ebbero le “scienze” in Mesopotamia fin dall’antichità. Inoltre, come scriveva l’archeologo Paolo Brusasco ne La mesopotamia prima dell’Islam (Bruno Mondadori, vedi left n.7/2009), il loro era un universo pagano che non reprimeva la donna. Diversamente dai tre monoteismi. Ne è spia anche il fatto che nel loro pantheon, così come nell’epos, un posto di rilievo era riservato alle dee e a Ishtar (Inanna in lingua sumerica) in modo particolare, la dea che ha in sé Venere e Marte. E, per dirla con l’assirologo Bottéro, « la dea che ha creato il desiderio per la buona riuscita dell’amore». «Ishtar – commenta Mander – è il pianeta Venere che appare prima del sole e dopo il tramonto. Mantiene la luce nelle tenebre e anticipa l’alba. In questo senso unisce gli opposti. Per questo i sacerdoti della dea erano vestiti da donna e portavano strumenti femminili. Non perché fossero dei pervertiti ma per indicare l’unione dei due opposti». Al contempo per rappresentare il fatto che la dea aveva in sé anche un’immagine maschile, guerriera, in alcuni contesti veniva rappresentata con la barba. «Ishtar – aggiunge Mander – era la dea dell’ebbrezza alcolica e del furore guerriero come stati di conoscenza alterata. Ma il suo nome indica anche la fusione dell’elemento divino con quello corporeo, dove per elemento divino si intende quella forza vitale, intima, quel talento, quella tendenza che, per esempio, spinge un Mozart verso la musica». Dunque non pensava in termini di scissione fra fisico e psichico? «L’essere umano per gli abitanti della Mesopotamia aveva una componente divina: è l’unico che crea una società diversa dal branco. Non c’èra un conflitto fra razionalità o irrazionalità. O almeno noi non ne abbiamo traccia».

dal left- Avvenimenti 20 novembre 2009

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Le maghe di Babilonia

Posted by Simona Maggiorelli su dicembre 6, 2009

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Ishtar

Alla scoperta dell’antica Mesopotamia dove la donna aveva una libertà che poi Cristianesimo e Islam le avrebbero negato. Una mostra al British Museum e nuove campagne di recupero delle rovine per ricostruire l’antico splendore della città di Hammurabi. «In Iraq c’è ancora la guerra civile. E’ impossibile per gli archeologi occidentali andare a visitare i siti» racconta l’archeologo Paolo Brusasco di Simona Maggiorelli

Babilonia “culla della civiltà” si studiava da piccolissimi. In questa area del mondo, si leggeva nei libri di scuola c’erano stati i primi grandi risultati nelle scienze umane, l’invenzione della scrittura cuneiforme, il primo codice di leggi di Hammurabi. Ma anche l’arte degli aruspici e degli interpreti di sogni. Un mondo favoloso, fino allo controriforma Moratti, sfuggito miracolosamente alle maglie della scuola gentiliana improntata sugli anatemi biblici contro la torre di Babele. Ma poi sul quel sogno infantile di civiltà antica fatto di giardini pensili su inespugnabili ziqqurrat sono piombate d’un tratto le agghiaccianti distruzioni della Guerra del Golfo. “Operazioni chirurgiche” come venivano raccontate dalla Cnn, dalla Bbc e dalla Rai nel 1991. A cui si sono sommate le missioni angloamericane contro le presunte armi atomiche del dittatore iracheno Saddam Hussein. Un’operazione pretestuosa, del tutto folle che “ha lascito sul campo più di 4mila soldati occidentali uccisi. E un numero ancora incalcolabile di morti fra i civili iracheni”, come ricorda l’archeologo e docente dell’Università di Genova Paolo Brusasco ad incipit del suo libro La Mesopotamia prima dell’Islam (Bruno Mondadori). Di pari passo, come è noto, sono stati distrutti centinaia di importanti siti archeologici, mentre dal museo di Bagdad sono andati dispersi- distrutti o trafugati -più di ventimila reperti importanti (che datano dal 7mila a. C al mille d. C) di arte dei Sumeri, degli Assiri e dei Babilonesi. an00404485_001-map-of-world-da-scontCome ricostruisce puntualmente l’archeologo Friederick Mario Fales nella recente riedizione del suo Saccheggio in Mesopotamia uscito nel 2003 per la casa editrice Forum di Udine. “Ancora oggi non abbiamo una stima esaustiva e definitiva, i danni potrebbero essere di molto superiori- rilancia Brusasco-. In Iraq è in corso una guerra civile ed è ancora impossibile per la maggior parte di noi occidentali andare a visitare i siti archeologici”. A cominciare da quello dell’antichissima città di Babilonia, la capitale del regno di Hammurabi del II millennio a. C, insieme a Uruk ,una delle città simbolo della Mesopotamia. Nonché una delle più segnate dalla presenza di soldati. “Del tutto incuranti delle raccomandazioni preventive dell’Unesco le truppe angloamericane – racconta a left Paolo Brusasco – hanno scavato trincee in siti archeologici di primaria importanza e buona parte dei danni causati, purtroppo, saranno purtroppo irrecuperabili”. Non solo è stata danneggiata la porta istoriata di Ishtar,installando una base di elicotteri a ridosso delle antiche e friabili mura in terra cruda, ma sono andate in rovina anche le ricostruzioni anni 70 che Saddam Hussein aveva fatto fare in mattoni cotti. “Certamente restauri che non avevano nulla di scientifico e confezionati a misura della propaganda di regime -sottolinea Brusasco – ma alcuni sostengono che almeno sommariamente potessero dare l’idea dello splendore antico di Babilonia”. Così dopo aver raso al suolo centinai di siti, dopo aver trafugato e rivenduto su internet reperti preziosissimi di arte sumera, assira e babilonese, oggi l’occidente sembra voler cercare di correre ai ripari. Per senso di colpa ma anche perché la ricostruzione può essere un buon business . Fatto è che da più parti. si annunciano campagne internazionali di scavo e di recupero dell’antica città della Mesopotamia. Una, dal titolo “Il futuro di Babilonia” e con la partecipazione economica di importanti organismi internazionali, secondo l’agenzia Reuters, partirà a giorni.oldest-lovers

Professore sarà davvero possibile un recupero delle rovine dell’antica Babilonia e in quanto tempo?
In realtà ancora siamo solo alle operazioni preventive di studio e di messa a punto organizzativa di possibili campagne. Il direttore del dipartimento del Vicino Oriente del British Museum, John Curtis, ha fatto già una serie di ispezioni portando alla luce alcuni danni, purtroppo irreversibili. Una base militare anglo americana è stata costruita, per esempio, proprio sulle rovine attigue al palazzo di Nabucodonosor, il sovrano della deportazione ebraica del 597 a. C. I soldati hanno coperto le rovine archeologiche di ghiaia e le hanno cosparse di spray chimico per non sollevare la polvere. S’immagini i danni che un esercito potrebbe fare se domani si installasi a Pompei. A Babilonia addirittura molti container sono stati riempiti di terra prelevando materiali da siti diversi, la stratigrafia è irreversibilmente danneggiata. Gesti che la popolazione irachena ha letto come una volontà di appropriarsi in modo neocolonialista del passato e della storia di queste aree. Se un giorno si faranno nuovi scavi in queste zone sempre bisognerà sempre tener presente che esiste uno strato dell’invasione anglo-americana. Hanno creato un disastro inimmaginabile dal punto di vista della lettura del sito.

La mostra londinese ora al British esplora il mito di Babilonia, quanto certo “orientalismo” ha oscurato il nostro sguardo occidentale? Babilonia è città delle prime leggi di Hammurabi, di questa città che poi fu governata Nabucodonosor ne hanno parlato in termini favolosi gli autori classici, ma soprattutto la Bibbia. Nell’immaginario occidentale è sempre stata una città simbolo di tirannia ma anche di meraviglia e di stupore. I racconti dei profeti ebrei che hanno scritto in cattività a Babilonia ce l’hanno sempre raffigurata in termini negativi e fino agli scavi del 1800 non si è mai conosciuta in Occidente la vera Babilonia.

Babilonia la grande meretrice, Babilonia che verrà distrutta dal castigo di dio sono le immagini anche dantesche…
Una parte della mostra ora al British Museum di Londra si occupa appunto del mito di Babilonia e punta a metterne in luce gli aspetti fasulli, quelli su cui si è basata la visione distorta dell’occidente. Basta pensare al mito della torre di Babele, alla minaccia della confusione delle lingue. Alle leggende che dipingevano la città come regno del vizio. In realtà la famigerata torre non era che lo ziqqurrat del dio Marduk a cui si rifacevano più colture diverse. Babilonia era una città dove convivano in modo pacifico diverse etnie. L’ interpretazione che ne ha dato l’Occidente non corrisponde in nulla ai reperti scavati.terracotta

Il fatto che lo sguardo deformante della tradizione biblica si sia accanito soprattutto su figure femminili ( basta pensare a Semiramide) farebbe pensare che le donne in Mesopotamia godessero di una certa libertà. E’ così?
Io l’ho scritto, ma non sono il solo. In Mesopotamia la donna non aveva la posizione sociale che poi ritroviamo nella tradizione cristiana o nell’islam. Soprattutto nel terzo millennio, nel periodo sumerico, i codici di leggi trovati ci raccontano di tantissime regine, donne che avevano realmente potere. Poi nel codice di Hammurabi troviamo che la donna può intraprendere attività commerciali come imprenditrice e avere libero rapporto con l’esterno. C’era anche una specifica categoria di cosiddette sacerdotesse imprenditrici che avevano delle grandi proprietà fondiarie e le gestivano autonomamente. Ovviamente non c’era una vera parità fra uomo e donna, però possiamo dire che in Mesopotamia, dal III al I millennio a C. non c’è prova che esistessero degli Harem. Solo intorno al 900 a. C. fra gli Assiri compaiono, in concomitanza con l’emergere della propaganda maschile legata alla guerra e che determinò una serie di leggi che per la prima volta relegavano la donna in aree specifiche della casa e del palazzo.

La libertà sessuale della donna in Mesopotamia, lei scrive, “non è affatto associata a un’istintualità primitiva o animale”.
Sì la sessualità e la figura femminile non sono viste in accezione negativa. Il desiderio femminile non è represso ma è considerato un elemento di vita, un aspetto culturale. Per esempio nel mito di Gilgamesh, l’eroe di Uruk, che si narra sia vissuto intorno al 2675 a. C aveva un nemico, Enkidu, che viveva nella foresta ed detto un incivile. Prima di scontrarsi con Gilgamesh, però, Enkidu viene “civilizzato” da una prostituta. In Mesopotamia il fatto che le prostitute fossero immerse nella vita urbana ne faceva delle detentrici di cultura e conoscenza. Anche da altri testi antichi si comprende che la sessualità era un mezzo per conoscere i rapporti umani di cui la società viveva. Non si trova mai in questo contesto una caratterizzazione in negativo della donna come si trova nella Bibbia. E il desiderio non è qualcosa di immediato da sfogare o da reprimere. La sessualità viene inserita in un ordine di idee urbano e civile non animale.

Non c’è un senso del peccato come nella tradizione giudaico cristiana?
No in Mesopotamia non c’è qualcosa di simile.

VA Bab 4431In un modellino di un letto conservato al British Museum si coglie uno scambio di sguardi fortissimo fra un uomo e una donna. Una rappresentazione ben diversa dalle fredde anatomie di Pompei.
Nelle abitazioni in Mesopotamia si trovano placche sessuali come amuleti di fecondità. Si rifacevano a miti del matrimonio sacro fra due divinità. In Mesopotamia l’accoppiamento fra esseri umani e divinità era considerata all’origine del mondo. Anche per questo la sessualità veniva vista in modo positivo. Ma sessualità era anche l’intimità fra uomo e donna è vista in senso sentimentale, romantico. Questo abbraccio, questo letto che rappresenta il simbolo della vita di coppia, soprattutto in epoca sumerica, nel periodo più antico è molto legato a situazioni sentimentali più profonde.

Nella cultura della Mesopotamia il Logos, inteso come ragione non arriva a schiacciare un mondo di immagini e di passioni come accade a un certo punto nella Grecia antica?
La ragione in Mesopotamia è secondaria rispetto a una concezione del mondo e anche della scienza sempre divinatoria. Per l’uomo della Mesopotamia il rapporto con il mondo non è logico ma è in qualche modo illogico, talvolta legato ai presagi. Grande importanza aveva l’astronomia ma anche l’astrologia. La divinazione era considerata una scienza. C’erano indovini, esorcisti, scienziati, specializzati nella lettura dei pianeti e delle stelle, maghi, interpreti di sogni. C’è un approccio completamente diverso da quello della logica greca.

Lei scrive anche che è un pregiudizio pensare che solo la lingua e la scrittura siano sistemi altamente simbolici. Anche l’arte in Mesopotamia tende ad essere rappresentazione simbolica, talvolta quasi astratta?
In Mesopotamia l’arte non è mai mimetica della realtà alla maniera greca. Parte da un altro presupposto. Non c’è l’umanesimo greco. L’arte mesopotamica è un’arte sempre simbolica, tanto che anche quanto raffigura la realtà, come nelle stele o nei rilievi assiri che pur narrando di guerre, le traspongono sempre con elementi astratti su un piano simbolico. Si parte da un fatto, da un azione singola, ma si arriva poi a trasporla su un piano universale. Sono scene che non tendono a una prospettiva precisa, ma puntano a a un’evidenza viva, alla drammaticità del racconto. All’arte mesopotamica non interessa raffigurare la realtà per ciò che è.

da Left-Avvenimenti 7/2009 del 20 febbraio

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