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Eva Cantarella racconta la vita a Pompei

Posted by Simona Maggiorelli su luglio 28, 2013

Pompei, Villa dei Misteri

Pompei, Villa dei Misteri

La studiosa Eva Cantarella  ci guida in un viaggio nella vita sociale, politica e privata nella città distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.  Attraverso i monumenti, gli affreschi, l’urbanistica. Ma anche attraverso straordinari documenti come i graffiti e le poesie scritte sui muri.

  di Simona Maggiorelli

Pompei, città del sesso sfrenato. Pompei, la dissoluta, di cui è stato detto di tutto. Perfino che le lupanare, le prostitute dei bordelli più poveri, ululavano dalle finestre per richiamare i clienti. «In realtà è tutta mitologia, per motivi commerciali si sono inventate un sacco di leggende, fantasticando sulla sessualità rappresentata liberamente negli affreschi delle ville pompeiane» precisa Eva Cantarella che, con l’archeologa Luciana Jacobelli, ha  pubblicato Pompei è viva (Feltrinelli), un libro di agile e colta divulgazione, costruito come un appassionato viaggio alla scoperta della vera Pompei. La conferenza che la studiosa ha tenuto al Cortona Mix Festival ci offre l’occasione per tornare ad indagare ciò che rende unico e inestimabile il sito della cittadina romana che fu investita e distrutta dall’eruzione vulcanica avvenuta nel’79 a.C.

Cantarella Pompei è viva

Cantarella, Pompei è viva

«Diversamente da altre città archeologiche, Pompei offre la possibilità di conoscere chi l’ha abitata – spiega Cantarella -. Permette di entrare nelle vite di persone vissute duemila anni fa attraverso quello che ci hanno lasciato: non solo le strade, le case, i monumenti, ma anche tracce documentali che ci permettono di conoscere la loro vita privata, i commerci, la religione, il loro modo di vivere. E perfino i loro sentimenti, grazie alle poesie scritte sui muri». Ma noi italiani non sembriamo accorgerci di questo tesoro. Come spiegare altrimenti la discrasia fra l’incuria in cui versa il sito (motivo dell’ultimatum dell’Unesco) e il tutto esaurito al British Museum dove fino al 29 settembre prosegue la mostra Life and death in Pompei? «La ricchezza dei tesori archeologici per noi è normale, quasi non ci fa più effetto. E poi c’è tanta mala educazione, nel senso proprio di mancanza di educazione. Non si studia. A scuola non si affrontano davvero questi capitoli di storia – nota Cantarella -. E sulla stampa si trovano articoli scandalistici ma non si parla dell’importanza culturale di questo sito. Ma la vera grandezza di Pompei, ciò che la rende viva, è anche ciò che spinge le persone ad andare a Londra per vedere la mostra su Pompei al British Museum. Un esempio di questa originalità? Pensiamo ai graffiti pompeiani che ci raccontano come vivevano i suoi abitanti, come si divertivano, le locande che frequentavano. E poi agli avvisi commerciali e quelli delle compagnie teatrali che passavano…».

Eva Cantarella

Eva Cantarella

A questi straordinari documenti e alla ricostruzione della vita pubblica e privata a Pompei Eva Cantarella ha dedicato importanti volumi, fra i quali Nascere e vivere a Pompei (Electa Mondadori) e Un giorno a Pompei. Vita quotidiana, cultura, società (Electa Napoli) che, insieme al nuovo Pompei è viva, offrono un quadro approfondito della società pompeiana che, come quella romana, era fortemente incentrata sul potere del pater familias. Funzionale al suo dominio – per tornare all’inizio – era anche l’esercizio della prostituzione. «Le prostitute sono sempre servite a tenere insieme il potere patriarcale – approfondisce Cantarella-. In una società in cui la vita di un neonato dipendeva dal fatto che il padre lo sollevasse alla nascita e dove il parricidio era punito con la pena più crudele, chiudendo l’assassino in un sacco con animali inferociti, le donne perlopiù erano costrette a vivere nell’ombra. Quelle che stavano in famiglia, in particolare, dovevano osservare la castità più assoluta: la verginità prima del matrimonio e la fedeltà assoluta al marito». Il quale invece godeva di assoluta libertà. «Quello romano era un mondo fatto dagli uomini per gli uomini» sottolinea Cantarella. «I maschi volevano garantirsi la legittimità della prole e la possibilità di divertirsi anche sessualmente in tutti i modi. Mentre alle donne era proibito avere relazioni anche se erano nubili ed anche se erano vedove». A Pompei come a Roma gli uomini, come è noto, si potevano concedere anche rapporti con altri uomini, purché mantenessero sempre “una posizione virile”.

Pompei, Electa

Pompei, Electa

«La virilità era essere capace di sottomettere sessualmente.- spiega Cantarella -. Naturalmente nel caso si trattasse di sottomettere un uomo non doveva essere un romano, poteva essere uno schiavo, un nemico. In ogni caso quella che noi chiamiamo omosessualità per loro non era un problema». La sessualità, insomma. era degradata tout court a strumento di dominio? «Questo “fenomeno” si vede ancora oggi- risponde la studiosa -. Ecco perché tante donne vengono uccise. C’è un’idea della sessualità come dominio e, siccome gli uomini oggi non dominano più su niente o quasi, l’unica cosa da dominare, per loro, è la donna, la fidanzata, l’amante. E’ un fatto culturale, antichissimo». Anche nella società pompeiana, però, erano diffusi racconti che parlavano di un ben diverso rapporto fra uomo e donna. Come il mito di Amore e psiche che nel libro Pompei è viva Cantarella ora torna ad analizzare. «Era uno dei miti diffusi» conferma la studiosa. E Psiche era sempre raccontata e rappresentata come una donna non come anima, secondo l’interpretazione platonica. «Del mito ci sono molte interpretazioni, nel libro riporto anche quella in chiave femminista della studiosa americana Carol Gilligan. In ogni caso – conclude Eva Cantarella – io preferisco quelle che ci parlano di Psiche come donna a quelle cristiane che la rendono anima astratta».

Dal settimanale left-Avvenimenti

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Gli ultimi segni di Pompei

Posted by Simona Maggiorelli su novembre 6, 2011

di Simona Maggiorelli

Graffiti pompeianiAlle prime serie piogge, nuovi crolli a Pompei. Che vanno a sommarsi a quelli avvenuti l’anno scorso, in primis, alla Schola Armaturarum. Ora si parla del cedimento di mura di costruzione moderna, ma anche di danni nella Domus di Diomede. «Purtroppo era prevedibile, visto che nel frattempo non si è fatto niente di ciò che si doveva per la tutela di un sito archeologico così importante» commenta Eva Cantarella che insieme all’archeologa Luciana Jacobelli ha appena pubblicato il volume Nascere ,vivere e morire a Pompei (Electa) proseguendo così la ricerca avviata con i I volti dell’amore, con Supplizi capitali (che ora esce in nuova edizione per Feltrinelli) e altri saggi dedicati alla società, alla cultura e alla vita quotidiana a Roma e nella cittadina vesuviana sepolta dall’eruzione del 79 a.C.
Inefficienza, incompetenza, ma anche mala gestione hanno contrassegnato il commissariamento del sito archeologico pompeiano e le politiche dell’emergenza del governo Berlusconi, non di rado, hanno generato mostri. «Come il presunto recupero del teatro di Pompei- commenta la studiosa -,oggi, è inguardabile». Intanto accanto ai rischi che corrono architetture e opere d’arte, si accende l’allarme per i “graffiti”, le scritte che costellavano le antiche strade pompeiane. Esposte alle intemperie ora rischiano di scomparire.

Thermopolium, Pompei

Professoressa Cantarella quanto contano le fonti non ufficiali?
Dai graffiti si può imparare moltissimo, perché ci danno informazioni storiche che non troviamo nelle fonti principali. Un esempio: fra il I secolo a.C e il I secolo d.C ci fu un’emancipazione delle romane, che si videro riconosciuti, almeno formalmente, diritti che prima non avevano. In quel periodo le donne cominciarono ad avere maggiore libertà di movimento. Dalle fonti letterarie si potrebbe dedurre che fosse un fatto di élite. Ma a Pompei iscrizioni parietali documentano, invece, che si trattava di un fenomeno più generalizzato.
Autrici di alcune scritte erano le aselline?
Le aselline erano di modesta estrazione, lavoravano al Thermopolium, ma non erano affatto prostitute, come poi si è voluto dire. Grazie ai loro graffiti si è saputo che alle elezioni municipali le donne sostenevano questo o quel candidato. All’epoca non c’erano manifesti elettorali. Si scriveva direttamente sui muri. A Pompei sono stati trovati messaggi di propaganda elettorale firmati da donne che si interessavano alle elezioni, che sceglievano chi votare. Più in generale a Pompei, sui muri, si scriveva di tutto. Comprese le dichiarazioni d’amore. Gli uomini, curiosamente, amavano andare a scrivere questi messaggi in gruppo. Fra i graffiti pompeiani poi si sono trovate anche poesie d’amore firmate da donne. Alcune rivelano anche una certa conoscenza della letteratura e di poeti più noti. Informazioni, preziose che non abbiamo da altre fonti.
Visto il silenzio imposto alle matrone, un’estrazione più umile, a Roma e a Pompei, poteva significare maggiore libertà?
Le donne più povere uscivano di più per le strade. Ma per andare a lavorare. E allora non aveva il senso di una realizzazione sociale. Era una necessità. Diversamente dalle donne greche che vivevano recluse, le matrone uscivano, per esempio per andare a teatro, ma dovevano sempre farsi accompagnare. Nell’antichità le donne erano sotto tutela a vita, prima del padre, poi del marito.

Villa dei Misteri, Pompei

Dal suo libro emerge che Pompei non era poi quella città libera e licenziosa che si dice. C’era un forte controllo sulle donne e anche paura della loro autonomia?
A Pompei c’erano i bordelli come in tutto l’impero romano. Semplicemente lì si sono trovate delle pitture erotiche e nomi di donna scritti vicino a figure che a noi possono apparire spinte. Ma i Romani erano pagani, l’idea di peccato cristiana non aveva ancora fatto breccia. Quanto alla paura delle donne, questo risulta anche dalla grande letteratura. Anche senza andare a scomodare Giovenale che scrisse satire feroci quanto a misoginia.
Lei scrive di un largo ricorso all’aborto. A differenza dell’adulterio, non era punito?
La donna che abortiva veniva punita solo se lo faceva senza il permesso del marito. Del resto i padri potevano esporre i neonati figuriamoci se era un problema l’aborto. A Roma la donna che abortisce senza il consenso del marito viene punita perché non rispetta il suo diritto ad avere un figlio. Non c’era il problema odierno di una Chiesa che condanna l’ aborto come uccisione di una vita. Val la pena di ricordare  che i Romani dicevano che il feto “Homo non recte dicitur”, ovvero che non è corretto dire che il feto sia persona.
Lei ha sottolineato spesso che la società greca era basata pederastia. Accadeva lo stesso a Roma e a Pompei ?
Né a Roma né in Grecia c’era l’idea di omosessualità come la intendiamo noi. Se guardiamo a quella che era l’etica sessuale dei maschi, sia l’uomo greco che il romano potevano avere rapporti  siacon un uomo che con una donna a patto di avere un ruolo attivo. In Grecia era il giovane, il ragazzo, ad avere rapporti passivi con un uomo adulto. Si pensava che avesse una funzione educativa e veniva accettato. Se poi l’ex ragazzo, diventato adulto, continuava a essere passivo veniva condannato, si diceva che “si era fatto donna”. A Roma no. Il ragazzino non poteva essere il partner passivo perché il romano doveva dominare sempre. Allora il partner passivo era lo schiavo, giovane o vecchio che fosse. Uno degli schiavi, chiamato concubinus, dormiva con il padrone, fin a quando non si sposava, C’è un famoso carme di Catullo dedicato al concubinus.

Fra i Romani c’era anche una particolare solidarietà maschile che li portava a scambiarsi le mogli come oggetti...
Serviva a instaurare rapporti di parentele. Gli uomini lo facevano tranquillamente e le donne lo accettavano. Marzia, fu ceduta dal marito Catone all’amico Ortenzio. Con il permesso del padre di lei. Marzia avrà due figli con Ortenzio, poi alla sua morte Catone la riprenderà con sé. Che poi Marzia fosse così felice non abbiamo modo di saperlo. Il problema è che quando una pratica sociale è molto diffusa non la si percepisce più come offensiva.

da left-avvenimenti

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La nuova stagione della street art

Posted by Simona Maggiorelli su agosto 15, 2011

di Simona Maggiorelli

Os

Una ricercatrice sul campo, tenace e pronta a rischiare anche in prima persona pur di documentare il lavoro dei più interessanti writers che si aggirano sul suolo italiano. Questo è il ritratto di Marta Gargiulo, la giovane storica dell’arte che per Castelvecchi ha da poco pubblicato la prima storia dell’arte italiana nata per strada. Il suo Street art diary è costruito come un viaggio attraverso la penisola ed è arricchito con interviste ad artisti, che si rendono imprendibili, perché dell’esistenza del writer – si sa – fa parte anche la necessità di restare volti anonimi in modo da poter dipingere indisturbati in luoghi pubblici.

E il merito di questo lavoro, insieme a quello di fornire al lettore un’analisi delle differenti poetiche e personalità artistiche, è anche quello di spingere a considerare questo tipo di espressione sotto una luce nuova: non più come una pratica illegale e lesiva ma al contrario come un vero e proprio regalo fatto ai cittadini.

Lady Pink

Di città in città, di muro in muro, da un vagone dipinto all’altro, Gargiulo ci racconta come la street art possa trasformare spazi urbani degradati e dismessi, recuperandoli a una nuova fruibilità. Anche se, dopo l’11 settembre, nota l’autrice, molte cose sono cambiate, Oltreoceano ma anche in Italia. «I controlli si sono moltiplicati, e solo per fare un esempio – sottolinea Gargiulo – l’accesso libero ai depositi ferroviari è diventato quasi impossibile».

Nel frattempo però lo spazio per la street art è cresciuto nelle gallerie, nei musei e su muri assegnati legalmente. Insomma sono lontani ormai i tempi in cui artisti scavezzacollo come Kenny Sharf, Lady Pink oppure Ice One invadevano quasi ogni angolo della New York anni Settanta. Molta strada è stata fatta da allora, in tutti i sensi. E dalle “cifre”, dai monogrammi, dalle “firme” che si ripetevano sempre uguali e riconoscibili da un angolo all’altro della metropoli, si è passati ad un amplissimo ventaglio di tecniche e di modi di espressione. Al punto che è venuto meno anche il gusto per l’incursione notturna durante la quale lasciare il proprio segno in fretta e furia.

Os Gemeos

I disegni di quelli che una volta si chiamavano “graffitari” si sono fatti più accurati e eleganti. Qualcuno oggi predilige addirittura la tecnica degli stickers lavorando con cura l’opera prima di appiccicarla su un muro come una sua seconda pelle. Ha ripercorso questo “salto di paradigma” della scena della street art una mostra nella Palazzina dei Giardini di Modena, dove sei artisti internazionali, Futura e Mode2, Os Gêmeos, Tom Sachs, Kostas Seremetis, Boris Tellegen (aka Delta) si sono dati appuntamento per far conoscere i propri lavori. In una collettiva dal titolo Kindergarten al ritmo di un dj set di Howie B. Perché la cultura di strada dei graffiti, vecchi e nuovi, è imprescindibile dal ritmo sincopato dell’hip hop  e dalle jamm session di improvvisazione.

24 giugno 2011

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Bansky, ribelle con lo spray

Posted by Simona Maggiorelli su agosto 15, 2011

Da anni dissemina Londra di graffiti  politici. In un libro, tutta l’opera del writer “senza volto”
di Simona Maggiorelli

Banksy

In un momento in cui i maggiori musei d’Occidente osannano artisti-star e il gigantismo di “opere giocattolo” plurimilionarie (vedi il teschio di diamanti di Hirst valutato oltre 75 milioni di euro e ora celebrato in Palazzo Vecchio a Firenze) non passa inosservata l’opera di guerrilla urbana che Banksy porta avanti, con una sua coerenza, da una ventina d’anni, difendendo strenuamente la propria libertà di azione e, perciò, anche il proprio anonimato.

Negli anni Novanta a Bristol (la sua città natale), dal 2000 a Londra e poi a Gerusalemme contro il muro che ingabbia i palestinesi e in molte altre aree di tensione. Con la velocità che gli consente la tecnica antichissima dello stencil, Banksy ha disseminato immagini ironiche, sferzanti, antiautoritarie negli angoli più inaspettati del mondo. Pitture e disegni di strada ma anche sculture che, come ricostruisce Sabina de Gregori in un bel libro fotografico Banksy il terrorista dell’arte (Castelvecchi) rivelano un preciso messaggio politico. Fin dagli esordi quando, ispirandosi ai graffiti parigini di Blek le Rat, Banksy riempì Londra di fumettistici ratti di protesta, simbolo di diseredati che, a frotte, uscivano dall’ombra per dire la propria scritta a grandi lettere su bianchi cartelli.

Banksy, bambina perquisisce un soldato

Per arrivare poi a realizzare, con incursioni notturne, graffiti più elaborati per denunciare violenze militari e di regime ma anche religiose. Indimenticabili in questo senso la sagoma di un militare, faccia al muro, perquisito da una bambina oppure una celebre Madonna che “amorevolmente” allatta il bambino con il veleno.

Icone che parlano chiaro. Così come certi interventi di Banksy dentro grandi musei: quando lascia un carrello da supermarket a naufragare in un lago di ninfee alla Monet o furtivamente traccia un topo con il cartello “Tu menti” nel bel mezzo di una mostra di Damien Hirst. Come un Arsenio Lupin al contrario, nota De Gregori, «invece di sottrarre qualcosa, Banksy aggiunge alle opere degli altri nuovi significati». Non lavora per sottrazione e cancellazione ( nonostante le sue opere a Londra siano state spesso coperte da writers rivali), perciò con  la giovane critica d’arte autrice di questa appassionate monografia non possiamo non convenire sul fatto che Banksy è un terrorista dell’arte assai anomalo e originale.

da left-avvenimenti 17 dicembre 2010

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