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Piero di Cosimo, la fantasia di un “irregolare”

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 4, 2015

Piero di Cosimo 1462- 1522, pittore eccentrico fra Rinascimento e Maniera è l’ultima esposizione ideata da Antonio Natali come direttore degli Uffizi. Ed è una mostra straordinaria non solo perché riporta alla ribalta un autore rinascimentale ingiustamente trascurato dalla manualistica, ma per la cura e la rigorosa ricerca scientifica che la sostiene. Così prima di addentrarci nel percorso non possiamo non ricordare che quest’evento si collega a una lunga serie di mostre di altissima qualità che Natali ha realizzato negli anni rendendo gli Uffizi non solo un luogo di conservazione di capolavori, ma anche di ricerca, un laboratorio di idee, fruttuosamente aperto al territorio circostante. Non a caso è stato proprio Natali a ricostruire l’esatta collocazione che aveva originariamente L’Annunciazione (1472-75) di Leonardo conservata agli Uffizi: la tela fu realizzata dal genio vinciano per la Chiesa di San Bartolomeo a Monte Oliveto, (la si può vedere dalle finestre degli Uffizi). Ed era pensata per una parete che si offre a una prospettiva sghemba. Per questo, a uno sguardo frontale, il braccio della Madonna appare stranamente alterato. Perfetto, invece, se visto in tralice.

Per scoprire una cosa del genere non basta una approfondita conoscenza dell’opera di Leonardo, serve conoscere anche il contesto territoriale. Conoscenza che speriamo vorrà acquisire anche il neo direttore, Eike Schmidt, esperto di Rinascimento, che viene da Minneapolis, avendo avuto esperienza solo di musei americani. In attesa – ci auguriamo – di poter apprezzare almeno altrettanto il lavoro di Schmidt, intanto, ci tuffiamo nel mondo fantastico di Piero di Cosimo (la mostra è aperta fino al 27 settembre). Che Vasari raccontò nelle Vite come un artista bizzarro, misantropo, pieno di stranezze. Immaginifici ed eccentrici sono in effetti alcuni motivi mitologici che Piero scelse di dipingere, aprendo così la stagione manierista. Il suo mondo è popolato di centauri, di animali e di fauni che comunicano sentimenti umanissimi con l’espressione dei loro volti. Leggendo i saggi pubblicati nel catalogo Giunti scopriamo che le presenze anodine e l’inquietudine formale di opere come la Tazza Farnese, di quadri mitologici, ma anche di pale sacre, non era frutto di fantasticherie solipsistiche ( come voleva Vasari) ma corrispondeva a un preciso codice culturale, criptico e coltissimo, che Piero innamorato della filosofia antica condivideva con una raffinata committenza legata alla cerchia medicea.

(Simona Maggorelli, Left)

Il video dell’intervista ad Antonio Natali dopo il passaggio di direzione ,qui:http://youmedia.fanpage.it/video/aa/VehcmuSwRPzWS_1F

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Il gran rifiuto del direttore degli Uffizi

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 16, 2015

Antonio Natali

Antonio Natali

Il direttore degli Uffizi Antonio Natali non concederà in prestito un’opera fragile come L’Annunciazione, richiesta da Milano per la mostra su Leonardo a Palazzo Reale, prevista nell’ambito dell’Expo 2015. Coerente con il suo lavoro di conservazione del quadro di cui è uno dei massimi studiosi.  Anni fa,  Natali scoprì i motivi della strana torsione del braccio della Madonna mettendola in relazione allo spazio in cui era originariamente collocata la tela. 

In questa intervista rilasciata a Left lo scorso ottobre il direttore raccontava le ragioni della sua resistenza ad esposizioni che, senza produrre conoscenza,  riducono le opere d’arte a feticci decontestualizzati.  Una bella occasione per ascoltarlo dal vivo sarà  giovedì 19 ottobre quando sarà a Roma, nei Musei Vaticani, per presentare  il suo nuovo libro Michelangelo agli Uffizi, dentro e fuori  pubblicato da Maschietto editore.

In balìa della crisi economica, già diversi anni fa, la Grecia prese ad affittare i suoi templi come location. Anche per film di serie b e ricchi matrimoni stranieri. Allora gridammo allo scandalo. Mentre l’ex direttore del Musée Picasso, Jean Clair tuonava contro il Louvre che, per fare cassa, progettava di delocalizzare pezzi di collezione ad Abu Dhabi. Oggi però in Italia sembriamo quasi assuefatti all’idea del “noleggio” di antichi spazi architettonici, monumenti, ponti e palazzi pubblici, diventato pratica diffusa.«La cosa in sé non è detestabile», commenta il direttore degli Uffizi Antonio Natali, precisando :« dipende da come lo si fa». «Agli Uffizi – dice -noi non noleggiamo gli spazi del Museo. Ma abbiamo una terrazza, affacciata su Palazzo Vecchio, che ha il più bel panorama di Firenze. Che ospiti alcuni eventi, purché nei limiti del buongusto, mi pare ammissibile. Se c’è uno sponsor che si è reso benemerito facendo bene agli Uffizi, io non mi sento di negargli quello spazio. Mentre, finché ci sono, mi impegnerò con tutte le mie forze perché non avvenga negli spazi della Galleria. Gli Uffizi (con l’Accademia dove si trova il David) è il museo che mette risorse economiche a disposizione di tutti gli altri del Polo fiorentino. E le assicuro che gli altri musei ne hanno ancor più bisogno di noi perché, ahimè, non fanno gli stessi numeri. Dunque non mi sento di fare il moralista. Anche perché tutto sommato non ne vedo la ragione. Friends of Florence, per esempio, ha raccolto un milione di dollari per il restauro della Tribuna. Offrire loro la terrazza è un modo per dimostrare la gratitudine dello Stato.

Leonardo da Vinci, Annunciazione

Leonardo da Vinci, Annunciazione

Occorre un vigile controllo pubblico su queste operazioni, non crede?
Certo, ci vuole un forte controllo. Quando si parla di etica la severità non è un vizio. è una virtù. Le sale del Museo, ribadisco, non devono essere toccate. Altrimenti sarebbe un po’ come dire, poiché arrivano tanti soldi, gli permettiamo di fare colazione, pranzo o cena nel Presbiterio di Firenze. Sarebbe del tutto improprio. Anzi, deprecabile. Oggi in nome del denaro è diventato possibile tutto. Con la scusa che siamo in crisi. Questo non è accettabile. Senza contare che non c’è mai stato un periodo in cui non si parlasse di crisi. Forse solo quando ero adolescente io negli anni Sessanta e allora c’era il boom. Per il resto, a partire da Petrolini che cantava “che cos’è questa crisi,” non ho conosciuto un periodo di floridezza tale che consentisse al patrimonio italiano una attenzione o una tutela attenta, perché i soldi sono sempre mancati. Allora se arrivano degli aiuti l’importante è che dietro ci siamo delle scelte precise, buongusto, intelligenza, un po’ di sapienza e anche un po’ di cultura.
Il marketing culturale, però, tende a incoraggiare più che la conoscenza un turismo “mordi e fuggi”. Che magari si accontenta di un selfie accanto alla Gioconda. In questo modo non si rischia di svuotare di senso l’opera, riducendola a feticcio?

Botticelli, Venere

Botticelli, Venere

La Gioconda come la Venere di Botticelli conservata agli Uffizi… Ma anche qui vorrei fare chiarezza. Sono partite in questi giorni dagli Uffizi e da altri musei un’ottantina di opere per una mostra che si terrà a Tokyo. L’ho curata personalmente, con il preside della Facoltà di Lettere della capitale giapponese. “Feticci non ne partono di qui”, mi sono permesso di dirgli visto che ci conosciamo bene. Ci saranno molte tele poco note, molte dai depositi, molte di pittori di cui non si conosce il nome, ma si conosce il corpus di opere. Proprio per non alimentare la mitologia del feticcio. E’ la cosa che più mi rattrista. E poi perché si sappia che la storia dell’arte italiana non è fatta solo di Botticelli, Michelangelo e Leonardo e Caravaggio. Queste sono le vette di una catena montuosa e non punte solitarie che si alzano da una piana paludosa. Ci sono tantissime altre opere che devono essere conosciute. Io credo sia molto importante che la divulgazione ci sia, senza fare i sofisti o gli snob, ma essendo consapevoli che ogni volta che si sposta un capolavoro si rischia di alimentarne aridamente il mito. è del tutto evidente che se una mostra copre il Rinascimento bisogna prestare opere che attestino la presenza di maestri fuori dell’ordinario. In questo caso si tratta di quattro o cinque opere contornate da una settantina di tele tutte da conoscere. Perché solo così penso si faccia un’operazione di divulgazione seria con un intento didattico forte. Il punto cioè è far capire che l’arte italiana è cosa assai più complessa di quanto si fa apparire all’estero quando si porta una mostra di Botticelli o di Leonardo. Senza contare che è sempre più difficile per l’estrema delicatezza di queste opere e si è sempre più costretti a proporre mostre che nel titolo annunciano “l’ombra di…”
Cosa pensa della proposta avanzata dal ministro Franceschini che apre alla possibilità di pagare le tasse cedendo opere d’arte allo Stato?
Con ciò che ho detto, la risposta mi pare quasi scontata. Mi è piaciuta molto l’agevolazione che è stata offerta a chi contribuisce al mantenimento del patrimonio. Purché quando si parla di patrimonio e di mecenati non ci si riferisca solo agli Uffizi – e lo dico nel completo disinteresse come lei potrà capire -.ma si pensi a quei musei che non ce la fanno. Si pensi cioè a quelle chiese in cui piove e c’è il rischio che gli affreschi si rovinino. Se io offro soldi agli Uffizi e con ciò mi faccio bello, non è vero mecenatismo. Ci vuol poco a farsi belli con gli Uffizi. Serve oculatezza, attenzione, perché non ci sia il soccorso ai ricchi ma ai poveri. (Dal settimanale Left ottobre 2014)

 

Leonardo, rispetto gli uffizi

Franceschini: «Rispetto gli Uffizi, no all’Annunciazione»
Corriere della Sera, 13/02/2015

Il ministro dei Beni culturali: «Ho chiesto alla Galleria una valutazione e l’ho avuta. Il museo ha già prestato molte opere, la sala leonardesca rimarrebbe vuota»

«L’Annunciazione» di Leonardo non sarà a Milano per Expo. È stato il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, a stroncare le speranze di Palazzo Marino. In visita venerdì alla Bit, la fiera del turismo di Rho, Franceschini è stato chiaro: «Ho ricevuto una lettera dal sindaco Pisapia che mi chiedeva una riflessione. Ho chiesto al direttore degli Uffizi una relazione che mi ha fatto avere. Io sono molto rispettoso dell’autonomia dei direttori dei musei e delle loro scelte, non credo che la politica debba intervenire in un campo che è di loro competenza». Chiamato ad arbitrare la contesa — a chiamarlo in causa era stato proprio il direttore della Galleria fiorentina («Decide il ministro») — Franceschini ha spiegato i motivi del rifiuto: «Il dottor Natali mi ha mandato un elenco delle opere che gli Uffizi hanno prestato alle varie mostre per Expo e sono 28. Alla mostra su Leonardo sono prestati dei capolavori, un’opera del Botticelli che non è mai uscita dagli Uffizi, una importante del Ghirlandaio e altre ancora. Il direttore degli Uffizi ha fatto presente che il suo museo rimarrebbe privo di opere di Leonardo durante i sei mesi di Expo. Sono valutazioni corrette che io rispetterò».
Il Comune ha sperato fino all’ultimo che il capolavoro leonardesco del 1472 potesse far parte della grande mostra su Leonardo a Palazzo Reale. Giovedì sera l’assessore alla Cultura, Filippo Del Corno, accennava a spiragli di schiarita. Fiducioso che il ministro, per la sua sensibilità, avrebbe compreso l’importanza di inserire l’opera nel percorso espositivo. Impossibile — la sintesi del suo ragionamento – che dopo le dichiarazioni del premier Matteo Renzi («A Expo l’Italia ci mette la faccia, non possiamo permetterci brutte figure») il dicastero non seguisse la linea. Previsioni smentite: Franceschini ha preferito non ignorare le valutazioni dei tecnici e non sconfinare dal suo ruolo d’indirizzo politico. Nessuna eccezione o deroga speciale, dunque: l’opera «inamovibile» — più per l’integrità della collezione che per i rischi effettivi legati a un eventuale trasferimento – resterà a Firenze. Si chiude, così, una vicenda che aveva creato tensioni non solo tra Milano e il capoluogo toscano, ma anche nel fronte di Expo. Duro, giovedì, lo scambio di battute tra la presidente di Expo, Diana Bracco, e l’assessore Del Corno. Sul «caso Annunciazione» Bracco era intervenuta sostenendo che, tutto sommato, l’opera non fosse poi così indispensabile. «Non dobbiamo accentrare tutto a Milano — erano state le sue parole — . Capisco che un museo possa dire: “Se ti do un’opera, poi la sala rimane sguarnita”». Esternazioni che non erano piaciute a Del Corno: «Inopportune e sfavorevoli allo sforzo che stiamo facendo». «Quando il gioco in squadra con Expo — la stoccata dell’assessore — il mio referente è Beppe Sala. Forse, Bracco si è espressa in quel modo perché è poco informata sull’alto valore scientifico della mostra».
Expo delle polemiche
Il «caso Annunciazione» non è stato l’unico a creare frizioni durante l’organizzazione dell’evento. Contrastata anche la vicenda dei Bronzi di Riace: a premere perché le statue fossero esposte a Expo, tra gli altri, il critico d’arte Vittorio Sgarbi. Il Museo archeologico di Reggio Calabria, però, si era rifiutato, invocando la fragilità delle opere, imprescindibili per la collezione. Un altro no era arrivato da Cremona: il sindaco del Comune lombardo non aveva voluto concedere «L’Ortolano» di Arcimboldo, dipinto particolarmente in tema con la manifestazione. Accuse e maldipancia anche per l’Albero della vita, l’installazione simbolo del Padiglione Italia, progettata da Guido Balich. Prima il nodo dei costi esorbitanti, poi le rivelazioni dell’architetto inglese Wilkinson che aveva agitato il sospetto di plagio: «È uguale ai nostri Supertrees di Singapore». Una serie infinita di polemiche, nella quale «L’annunciazione» leonardesca è solo l’ultimo «pomo della discordia». Riuscirà il ministro dei Beni culturali a ricompattare i ranghi? Nel frattempo, i tessitori continuano a lavorare dietro le quinte per non tradire la linea dettata dal premier, Matteo Renzi: «Tutto il mondo ci guarda, ad Expo l’Italia ci mette la faccia».

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L’inquieta bellezza di Pontormo e Rosso

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 21, 2014

Diversi per tempra e per poetica, i due artisti toscani innervarono la pittura del Cinquecento di nuova

Pontormo, Due amici

Pontormo, Due amici

sensibilità. Fino al 20 luglio una mostra li mette a contronto. In Palazzo Strozzi, a Firenze

Capriccio, stravaganza ribellismo, ricerca della bizzarria a tutti i costi. Il pesante giudizio vasariano che definiva Pontormo pittore «di nuova maniera ghiribizzosa» ha pesato per secoli nella letteratura critica, aduggiando questo straordinario pittore che, insieme al coetaneo Rosso Fiorentino, fu iniziatore della maniera moderna: di un modo di fare pittura che ricreava la lezione di Leonardo, Raffaello e Michelangelo, innervandola di una nuova sensibilità e inquietudine. Rischiando l’eterodossia nel prendere di spigolo la committenza ecclesiastica e di regime.

Furono anni convulsi quelli in cui i due artisti realizzarono le loro opere più importanti; anni di lotte fra repubblica e signoria medicea, e poi, dal 1527, di razzie imperiali e papali, culminate nel drammatico assedio di Firenze del 1530. Entrambi allievi di Andrea Del Sarto, già a 17 anni erano artisti maturi, di forte personalità e diversissime fra loro. Come balza agli occhi dal confronto fra gli affreschi staccati provenienti dal chiostro della SS Annunziata con cui si apre la mostra Pontormo e Rosso. Divergenti vie della “maniera”, aperta fino al 20 luglio (catalogo Mandragora) in Palazzo Strozzi, a Firenze.
Nelle stesse sale dove nel 1956 fu allestita la storica Mostra del Pontormo e del primo manierismo fiorentino, e a quasi vent’anni da L’officina della maniera, Carlo Falciani e Antonio Natali, dopo lunghi studi, hanno realizzato questo nuovo, appassionante, confronto fra i due amici e rivali. L’uno, Jacopo Carrucci detto il Pontormo, introverso, solitario, umbratile (come testimoniano le scarne e ossessive note del suo diario, Il libro mio). L’altro, Giovan Battista di Jacopo, detto il Rosso Fiorentino, raffinato, colto, curioso di cabala ed esoterismo e amante della musica come il suo dolce e malinconico angelo degli Uffizi.
Rosso Fiorentino, angelo che suona

Rosso Fiorentino, angelo che suona

Due artisti profondamente distanti, dunque, non solo per indole e poetica, ma anche per frequentazioni e ambiti di attività, dato che Pontormo, pur riottoso verso il potere, lavorò sempre per la corte medicea, mentre Rosso- forse vicino alla vecchia oligarchia repubblicana e savonaroliana- fu costretto a cercare committenti in provincia, a Piombino, Arezzo e Volterra, prima di fare fortuna in Francia, diventando capo della scuola di Fontainebleau. (Dove morì improvvisamente a 46 anni).

Ma bisogna anche rilevare che i due furono uniti dallo studio assiduo dell’opera di Michelangelo, da una radicale insofferenza verso il classicismo, inteso come norma assoluta e razionale, nonché da una ricerca creativa che metteva l’umano al centro della pittura. Come dimostra la qualità dei ritratti che entrambi realizzarono nel corso della loro vita. Grande merito di Falciani e del direttore degli Uffizi Antonio Natali è proprio essere riusciti a ricomporre, per questa occasione, quasi la totalità del disperso catalogo rossesco, disseminato fra musei e collezioni private.
E davvero potente è il dialogo che in Palazzo Strozzi i suoi ritratti di giovani, intellettuali, soldati e anziani aristocratici ingaggiano con quelli di Pontormo, in una sfida di scavo psicologico per far emergere sulla tela presenze umane, anonime, ma quanto mai vive e vibranti
Pontormo, autoritratto

Pontormo, autoritratto

Così alla sottile malinconia e allo sguardo lievemente attonito del giovane che Rosso ritrae con in mano una lettera datata 1518, idealmente risponde lo sguardo sorpreso e bruciante del Gentiluomo con libro (1542) di Pontormo, opera appartenente a un privato e raramente esposta in pubblico.

E ancora: al fiero e quasi arcigno profilo virile (1521-22) di Rosso – di grande forza espressiva nonostante il quadro sia quasi monocromo – risponde, sul versante di un colorismo acceso e brillante, quello altrettanto altero e scavato di Cosimo il vecchio ritratto da Pontormo, nel 1518, anni dopo la scomparsa del padre di Lorenzo il Magnifico. E oltre. Passando dalla pacata fierezza del ritratto virile (1522) di Rosso conservato alla National Gallery, all’espressione fresca e sfrontata del giovanetto di Pontormo.

Un’immediatezza che ritroviamo anche negli schizzi del pittore empolese, fra sorprendenti e quasi giocosi nudi in mutande (in cui qualcuno ha voluto vedere una sorta di “selfie”) e che si perde invece in opere di tema sacro come la celebrata Visitazione di Carmignano, da poco restaurata, dove la ridda di colori acidi e il tentativo di rendere in simultanea momenti diversi dell’incontro fra Maria ed Elisabetta, rende artificiosa l’intera scena.
Analogamente, se i riflessi lunari e violacei che inondano la Pietà (1537-1540) del Louvre rendono la tela di Rosso toccante e drammatica, il gusto per un certo corrosivo grottesco finisce per appiattire e svuotare di senso la Pala dello spedalingo (1518), in un parossimo di “santi diavoli”, pieghe uncinate e figure scarnificate e spigolose. Che fanno immediatamente avvertire la mancanza della Deposizione (1521) di Volterra, spigolosa sì, ma potente e terribile per quella dimensione metafisica e astratta che riesce ad additare, evocando una dimensione di vuoto.
Varcata l’uscita della mostra non resta quindi che prosguire il percorso, approfittando di quello straordinario museo diffuso che è la Toscana.
Facendo tappa a Volterra per Rosso, ma anche alla Certosa e nella villa di Poggio a Caiano dove si trovano affreschi di Pontormo. E, prima ancora, nella vicinissima chiesa di Santa Felicita dove si trova la Deposizione (1526-1528) che Pontormo tramutò in una danza allucinata con i personaggi che sembrano chiusi in una dimensione solipsistica, avendo drammaticamente perso ogni rapporto umano.
(Simona Maggiorelli) dal settimanale left

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Il Sindaco che cercava la Battaglia di Anghiari

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 6, 2013

Matteo Renzi alla ricerca della Battaglia di Anghiari

Matteo Renzi alla ricerca della Battaglia di Anghiari

Una legislatura vissuta pericolosamente. Dalla scuola, dall’università ma anche e soprattutto dal patrimonio d’arte.

Così Tomaso Montanari racconta, con lingua viva e tagliente, ciò che è accaduto in Italia sotto l’egida del ministro dei Beni culturali Lorenzo Ornaghi «l’unico ministro incompetente di un governo tecnico», che, per giunta «ha moltiplicato intorno a sé l’incompetenza come fossero pani e pesci» scrive lo storico dell’arte dell’università di Napoli nel suo nuovo libro Le pietre e il popolo, restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città italiane (Minimum Fax).

Un volume che stigmatizza il vuoto culturale e la mancanza di strategie che ha connotato il governo Monti. Che ha finito per proseguire sulla strada dello smantellamento del bene comune perpetrata dal governo Berlusconi e dalla “finanza creativa” di Tremonti con famigerate cartolarizzazioni (per far cassa), scandalosi condoni e svendite di interi pezzi di patrimonio pubblico.

Ne Le pietre e il popolo Montanari ci mostra come questo tipo di scellerata politica che attacca l’articolo 9 della Costituzione e il Codice dei beni culturali sia stata praticata anche dal governo tecnico, in doppio petto e nascosto sotto il credito internazionale.

Un esempio per tutti. Il ministro Ornaghi nel 2012 nomina direttore della Girolamini di Napoli tal Marino Massimo De Caro, con alle spalle molteplici lavori fra cui anche l’aver gestito una libreria antiquaria a Verona e intimo amico di Marcello Dell’Utri. Nel capitolo “La danza macabra di Napoli”, Montanari tratteggia il suo incontro con l’improbabile direttore preposto alla tutela della biblioteca dove andava a studiare Vico: fra cani che si aggiravano con ossi in bocca fra rari incunaboli e bionde presenze sgattaiolate al suo arrivo.

Biblioteca Girolamini

Biblioteca Girolamini

Ma soprattutto racconta come a poco a poco il suo lavoro di storico dell’arte sia diventato quello di un giornalista d’inchiesta che riesce abilmente a mettere insieme tutti i pezzi del puzzle della clamorosa truffa che, poche settimane fa, ha portato alla condanna di De Caro a sette anni di carcere per aver sottratto duemila libri alla Girolamini.

L’appassionato lavoro di difesa del patrimonio d’arte e del suo valore civico che Montanari svolge da diversi anni parallelamente alla sua attività accademica e di studioso del Seicento si concretizza, in questo  libro, anche in ficcanti pagine di denuncia delle privatizzazioni mascherate che passano, per esempio, attraverso la creazioni di Fondazioni (vedi il caso del  museo Egizio di Torino e il rischio che corre Brera).

524788_491969040852542_1202966870_nE da questo punto di vista va detto che la vena più caustica e corrosiva di Montanari si appunta sull’amministrazione della sua Firenze. In pagine che non esiteremmo a definire esilaranti, se non fosse tragico il senso che ci trasmettono.

Alla sbarra c’è l’improvvida politica di valorizzazione dei beni culturali ridotta a mero marketing da parte del sindaco Matteo Renzi, che oltre ad aver bucherellato gli affreschi di Vasari alla ricerca di lacerti Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci e ad aver pensato di sostituirsi a Michelangelo nel completare la facciata di San Lorenzo, ha affidato il suo pensum, sui beni culturali «petrolio d’Italia» a un imbarazzante libro come il suo Stil Novo, soprattutto ha eletto a suo Ganimede il vicesindaco Dario Nardella che, come ci ricorda Montanari, «dal 2003 caldeggia la cessione degli Uffizi a una fondazione». (Simona Maggiorelli)

da left-avvenimenti

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La qualità batte la crisi. Poche e imperdibili le mostre 2013

Posted by Simona Maggiorelli su gennaio 26, 2013

Tiziano, Danae di Capodimonte

Tiziano, Danae di Capodimonte

di Simona Maggiorelli

 

Poche ma scelte e preparate con rigore appaiono le mostre d’arte che si annunciano in questi primi mesi dell’anno.

Perle nel deserto, che la crisi economica ha prodotto nella programmazione dei principali musei e gallerie italiane, punteggiano un 2013 che guarda soprattutto sui grandi classici dell’arte italiana. A cominciare da Tiziano (1482 ca -1576), maestro del colorismo veneto e cantore di bellezze femminili morbide e sensuali, che sarà protagonista alle Scuderie del Quirinale da marzo. Dopo la mostra dedicata all’inquieto Tintoretto (1519-1594), pittore dallo stile tormentato, drammatico e intriso di una religiosità fortemente teatrale, il viaggio nell’epoca d’oro della pittura veneta prosegue andando a ritroso, alla scoperta di  quel dominus assoluto dell’arte che, per più di cinquant’anni, fu Tiziano Vecellio: l’interprete della Repubblica di Venezia, ricca e fieramente laica, anche quando sulla Penisola si allungava già l’ombra sinistra della Controriforma.

La mostra curata da Giovanni C. Villa conclude un ciclo (che oltre alle monografiche dedicate a Tintoretto e a Giovanni Bellini ha visto nel 2011 anche una splendida mostra dedicata Lorenzo Lotto) e lo fa nel segno di capolavori come la Danae di Capodimonte, come il vibrante autoritratto del Prado e il Supplizio di Marsia proveniente da Kromeriz, in cui un Tiziano, già vecchio, riesce a rinnovare completamente il proprio stile, approdando ad una essenzialità e una visione sfrangiata, quasi moderna nel saper cogliere un latente, una emozione che la definizione nitida e precisa delle figure e dei soggetti rappresentati non trasmette.

Avventurandosi ancora fra le pieghe di quel Cinquecento che fu una straordinaria fucina di stili e di modi espressivi nelle sale degli Uffizi, dal 5 marzo, andrà” in scena” Norma e capriccio. Spagnoli in Italia agli esordi della maniera, una  mostra che mette in luce la fitta trama di scambi e di influenze che prese vita nel Rinascimento fra cultura iberica e fiorentina. Una vitale koiné in cui spicca la visionarietà di  Pontormo e di Rosso ma anche la bizzarria iconoclasta di un pittore come lo spagnolo Alonso Berruguete. Sempre a Firenze, ma in questo caso a Palazzo Pitti, si segnala anche una interessantissima mostra sul tema del sogno nel Rinascimento, (dal 21 maggio) realizzata in collaborazione con il Musée du Luxembourg.

Al Mar Ravenna, invece, dal 17 febbraio, si torna a indagare un mito duro a morire, quello del nesso fra arte e pazzia, con la mostra Bordeline, da Bosch all’Art brut.  Più portati a pensare che un pittore come Van Gogh, per esempio, riuscì a essere un artista straordinario, nonostante la malattia, in ogni caso l’appuntamento ravennate è da non perdere per la qualità  delle opere esposte. Grande attesa anche per la mostra dedicata a Modì e agli anni della Bohème parigina che sarà inaugurata il 21 febbraio a Palazzo Reale di Milano. Con il titolo Modigliani e gli artisti di Montparnasse,  saranno esposte122 opere della Collezione Jonas Netter.

Quanto all’arte contemporanea, il 2013 è  l’anno della Biennale di Venezia (dal primo giugno) diretta da Massimiliano Gioni che avrà al suo fianco, nella cura del Padiglione italiano, l’attuale direttore del Macro di Roma, Bartolomeo Pietromarchi. Un ex protagonista della Biennale, il videoartista Francesco Vezzoli, invece, avrà una personale al MAXXI e Isgrò alla Gnam di Roma a giugno, per iniziativa di Electa. Il Castello di Rivoli, ora diretto da Marisa Merz, infine, ospita una personale dell’artista di origini cubane Ana Mendieta, dal titolo She Got Love, in collaborazione con Skira.

Da left Avvenimenti

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La Cina può attendere

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 13, 2012

L’occasione mancata del Rinascimento fiorentino al National Museum di Pechino. Dall’Italia capolavori come La Scapigliata di Leonardo ma anche una imbarazzante ridda di “opere” solo pittoresche

di Simona Maggiorelli, da Pechino

 

Leonardo, La scapigliata

«Il Rinascimento italiano conquista la Cina del 2012. Lo dicono i numeri e, si sa, la matematica non mente: due ore di coda per entrare e una media di 1.600 visitatori al giorno, con entrate contingentate di massimo 150 persone alla volta» recita in tono trionfale un comunicato del 19 luglio divulgato dal ministero dei Beni culturali italiani.

La mostra di cui si parla è Il Rinascimento a Firenze. Capolavori e protagonisti, curata da Cristina Acidini, responsabile del Polo Museale Fiorentino; una rassegna che raduna nel più grande museo di Pechino 67 opere fra le quali figurano fragili e preziosi capolavori come La Scapigliata di Leonardo da Vinci (proveniente dal Museo di Parma), il David-Apollo di Michelangelo conservato al Bargello e L’Adorazione dei Magi degli Uffizi firmata Sandro Botticelli, e ancora opere di Raffaello, Gentile da Fabriano, Filippo Lippi, Andrea del Sarto e altri.

Insomma una mostra kolossal con cui, a luglio è stato inaugurato lo “Spazio Italia” all’interno del National Museum of China, in piazza Tian’anmen. Un museo di 192mila metri quadri che richiama circa 50mila visitatori al giorno. Ma chi fosse andato davvero a visitare quella mostra, avendo nelle orecchie solo gli squilli di tromba che hanno accompagnato questo ultimo atto in veste di direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale siglato dall’ex manager McDonald’s Mario Resca forse si sarebbe trovato alquanto disorientato.

Non tanto perché le file all’ingresso del museo c’erano sì, ma non per entrare alla suddetta mostra, del resto non facile da scovare ai piani alti del museo, quanto per la bizzarra scelta di opere che la curatrice Acidini ha operato intercalando, per esempio, l’inarrivabile sfumato di disegni di Leonardo con grotteschi e improbabili ritratti del genio da Vinci e poi il celebre autoritratto di Raffaello con un sedicente e alquanto bolso ritratto dell’Urbinate fatto da non meglio noto «pittore di ambito italiano del Seicento».

E ancora affreschi staccati di Botticelli e di Pontormo, raggelati da un contorno di vedute fiorentine di maniera, rigide e scolastiche, per lo più di pittori anonimi ripescate forse da qualche scantinato degli Uffizi dove meglio sarebbe stato che fossero rimaste. Fra una ridda di cestini di frutta e santi smaltati e ceramiche robbiane fra le più pesanti (tanto la ceramica piace ai cinesi?). Al di là di ogni battuta il fatto è che non si scorge nemmeno l’ombra di un pensiero scientifico dietro questa costosa mostra.

Cui prodest far correre i rischi di un così lungo viaggio fino in Cina a opere delicatissime di Botticelli, Michelangelo, Ghirlandaio, Gentile, Leonardo se poi la mostra risulta solo un imbarazzante guazzabuglio di opere d’arte e croste più o meno pittoresche?

da left avvenimenti

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Nella fucina dell’Umanesimo

Posted by Simona Maggiorelli su luglio 31, 2012

di Simona Maggiorelli

Paolo Uccello, La battaglia di San Romano, Uffizi

Una selva di lance spezzate e il bagliore delle armature. E poi il sangue, i soldati morti mentre i cavalli scalciano con vigore. Così rappresentava, con una prospettiva inedita e in scorci vertiginosi, la Battaglia di San Romano (1438-1440) il pittore Paolo Uccello.

La tela conservata agli Uffizi, dopo tre anni di restauro, ha recuperato ora una piena leggibilità. Brillano gli inserti d’oro e d’argento ma soprattutto emerge la raffinata pittura tonale che dà profondità alla scena, in cui anche lo spettatore è come risucchiato.

Quella che Paolo Uccello offre è una magnifica visone dello scontro fra senesi e fiorentini, una potente orchestrazione di «caos, clamore, urto, sventolio araldico e sonorità metalliche d’un estremo sogno cavalleresco», come annota la soprintendente al Polo Museale Fiorentino Cristina Acidini in un suo saggio pubblicato nel catalogo Giunti della mostra Bagliori dorati. Il gotico internazionale a Firenze

. Una rassegna aperta fino al 4 novembre nella Galleria degli Uffizi e che alla fine di un percorso di oltre cento opere culmina proprio con la Battaglia di San Romano, l’unica tavola del celebre trittico di Paolo Uccello rimasta in Italia. (Le altre  due tele , come è noto, sono alla National Gallery di Londra e al Louvre di Parigi).

Curata dal direttore degli Uffizi Antonio Natali, con Enrica Neri Lusanna e Angelo Tartuferi, questa mostra è l’ideale proseguimento di quella di un paio di anni fa intitolata L’eredità di Giotto, e che si fermava al 1375. La tesi scientifica di questa importante esposizione – che riunisce capolavori di Gentile di Fabriano come la Pala Strozzi e opere giovanili di Paolo Uccello come L’Annunciazione proveniente da Oxford o la Madonna di Antonio Veneziano conservata ad Hannover – è che il gotico internazionale, nelle sue varie declinazioni fosse già parte dell’Umanesimo, al pari del filone innovativo che va da Masaccio a Donatello e Brunelleschi.

La Battaglia di San Romano, da questo punto di vista, si presenta proprio come una sintesi potente della complessità intellettuale e creativa di quella speciale stagione dell’arte fiorentina che senza soluzione di continuità procede dal Trecento al secolo successivo e in cui, per dirla con Natali, «rigore matematico e sperticate fantasie convissero, intersecandosi talora».

Lorenzo Monaco, particolare

Tutto ciò è raccontato attraverso una scelta di opere realizzate tra 1375 e il 1440, fra cui dipinti di Angelo Gaddi, Beato Angelico, Lorenzo Monaco, ma anche di Masolino da Panicale, Antonio e Domenico Veneziano e altri artisti dai nomi meno noti al grande pubblico ma che testimoniano bene della ricchezza di stili e di sperimentazioni della Firenze protoumanista.

Dove un ruolo preminente aveva anche la scultura che doveva esprimere la magnificenza della città legittimandone il primato culturale e politico. Un aspetto indagato anche dallo storico dell’arte ungherese Miklós Boskovits scomparso un anno fa a Firenze. Fra i massimi studiosi del XIII-XV secolo, ai suoi lavori si deve la rilettura del Quattrocento fiorentino come fucina di innovazione in cui un raffinato gotico internazionale incontrava l’interesse per l’umano e lo studio della classici.

Una koinè che, come argomenta Michele Tomasi nel suo L’arte del Trecento in Europa (Einaudi), risulta incomprensibile se letta in contrapposizione con il Trecento e senza considerare il coevo contesto europeo.

da left-avvenimenti

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Bronzino, in nuova luce

Posted by Simona Maggiorelli su novembre 12, 2010

Per la prima volta a Firenze è riunito gran parte del corpus delle opere del pittore manierista. Un inedito naturalismo emerge
da alcuni suoi ritratti intimi e poco noti

di Simona Maggiorelli

Bronzino, Ritratto di donna 1530

Tornando a Firenze per l’antologica che Palazzo Strozzi dedica fino al 23 gennaio a Bronzino (1503-1572) pensavamo di andare a ritrovare l’arte raffinata e un po’ esangue di questo pittore che fu allievo e amico di quell’«omo fantastico e solitario» che era il Pontormo nella testimonianza di Vasari. Diversamente dal suo orgoglioso e introverso maestro, si sa, Agnolo di Cosimo detto Bronzino mise da parte gli ardori repubblicani per mettersi al servizio della committenza medicea, quando, finito il sogno della seconda Repubblica fiorentina, con la salita al potere di Cosimo I Medici nel 1540, se ne presentò necessità. Così con Bronzino, e più ancora con la “seconda maniera” di Daniele da Volterra, Vasari e Salviati, anche a Firenze la retorica di corte prese il posto dell’originalità inquieta e dell’irriverenza di Pontormo e di Rosso. La statica bellezza di cera di Eleonora da Toledo, ritratta da Bronzino nel 1545, sembra campeggiare al centro di Palazzo Strozzi proprio per ricordarcelo. Circondata com’è da tante scene mitologiche che, su indicazione degli intellettuali dell’Accademia di Ficino, Bronzino riempì di simboli neoplatonici e di figure scultoree, algide e smaltate, recuperate dall’antico. Grandi tele come Venere, Amore e satiro (1553) della Galleria Colonna ci appaiono qui ormai lontanissime dalla vibrante rappresentazione di Pigmalione e Galatea con cui in anni giovanili Bronzino alludeva alla liberazione di Firenze.

Ma uno dei maggiori meriti di questa bella antologica curata da Carlo Falciani e dal direttore degli Uffizi Antonio Natali è proprio questo: aver per la prima volta ricostruito a tutto raggio la parabola di Bronzino attraverso un eccezionale percorso di una sessantina di opere autografe: prestiti dei maggiori musei del mondo ma anche pezzi provenienti da collezioni private e inaccessibili. Un percorso che, con l’aggiunta di tre inediti (fra cui un’inaspettata crocifissione di recente attribuzione) permette ora di vedere chiaramente quanto ricca e poliedrica fosse la ricerca di questo pittore fiorentino del Cinquecento.

Bronzino, Lucrezia Pucci Panciatichi

Come era già accaduto nel 1996, quando con l’indimenticabile mostra L’officina della maniera Natali riaprì la discussione critica sul manierismo, con Bronzino pittore e poeta alla corte dei Medici (catalogo Mandragora) lo studioso toscano adesso sgombra ulteriormente il campo dal deja vu. Lo fa squadernando importanti inediti, come si diceva, ma anche ricontestualizzando filologicamente il lavoro di Bronzino nel dibattito cinquecentesco percorso da correnti carsiche di umanesimo esoterico ma anche da istanze riformiste (che lambirono anche la corte di Cosimo I). Una complessa koiné culturale di cui Bronzino ci ha lasciato testimonianza indiretta attraverso una serie di ritratti intimi e personali. Come quello velato di malinconia di Lucrezia Pucci finita sotto processo per eresia. O come quello che ci mostra un’anonima, ma quanto mai viva, figura di donna stagliarsi dal fondo rosso di un quadro dipinto nel 1530 e appartenente alla collezione della regina Elisabetta II.

Smessi i panni di pittore di corte, sembra di poter dire, Bronzino smetteva anche la bizzarria, il capriccio e il cifrato allegorismo, per lasciarsi andare a una ricerca sull’umanità dei soggetti rappresentati in chiave di sensibile naturalismo. Alla luce di questa nuova interpretazione (che trova sostegno in alcune pagine di Longhi) i due curatori ci invitano così a scorgere una segreta angoscia negli occhi sgranati e nello sguardo perso nel vuoto del giovane Lorenzo Lenzi, dodicenne “amato” e cantato dal Varchi. Similmente il profilo tagliente della poetessa Laura Battiferri, moglie dell’Ammannati e compagna di dispute poetiche dello stesso Bronzino, ci lascia intuire qualcosa di più di quella «anima di ferro» che le cronache del tempo  le attribuivano.

da left-avvenimenti del 5 novembre 2010

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Il sacco del patrimonio d’arte italiano

Posted by Simona Maggiorelli su gennaio 29, 2010

Gli Anni zero dei beni culturali. Dieci anni di svendite e musei al collasso

pubblicità beni culturali

di Simona Maggiorelli

Dieci anni vissuti pericolosamente, sperperando, divorando, distruggendo la competenze sulla tutela dei beni culturali italiani. Che dall’era Craxi in poi – mercè una pensata dell’allora ministro Gianni De Michelis – sono diventati «giacimenti culturali» o, a scelta, «petrolio d’Italia». Figlia di quella mentalità predatoria fu la famigerata Patrimonio spa ideata da Giulio Tremonti nel 2002 per cartolarizzare e dismettere pezzi consistenti del nostro patrimonio (su cui scrisse un acuminato libro Salvatore Settis).

Poi sarebbero venuti i condoni e i ventilati archeocondoni (sempre targati Berlusconi). Ed eccoci a questo fine 2009 in cui, puntuale come sempre, il governo del premier fa cadere la mannaia sui finanziamenti e, di soppiatto, fa sparire gioielli di famiglia. Il fondo per i beni culturali è stato tagliato del 23 per cento rispetto al 2008 mentre si prevede che il taglio per il prossimo triennio sarà di oltre un miliardo di euro. In attuazione della legge delega sul federalismo fiscale (n.42/2009), intanto, il governo si appresta a dare il via libera alla vendita di alcuni beni di «scarso rilievo nazionale». In questo modo, per esempio, beni del demanio marittimo e assoggettati a vincolo storico, artistico e ambientale potranno essere venduti se, entro trenta giorni, il ministero non riconoscerà loro una rilevanza nazionale. «Quello che il governo si appresta a varare è un colpo durissimo al nostro patrimonio» denuncia Alessandra Mottola Molfino, presidente di Italia Nostra.

Ma sotto l’albero di Natale il governo Berlusconi ha messo anche un “regalino” per i restauratori che dal 2010 dovranno essere iscritti a un albo. Peccato che a quel “club” possa iscriversi con certezza solo il cinque per cento degli operatori del settore: ovvero chi abbia in tasca un diploma dell’Opificio delle pietre dure di Firenze e di altri due prestigiosi istituti di Roma e di Ravenna. In questo fine anno, così, si comincia a delineare il funesto bilancio di una politica culturale di centrodestra che ha scambiato la valorizzazione del patrimonio per un fatto di marketing e che tratta l’archeologia come un cataclisma, ovvero una questione emergenziale da Protezione civile. La mortificazione delle competenze nelle soprintendenze negli ultimi anni ha subito una continua escalation (come se l’Italia non potesse vantare una delle più alte tradizioni di studi nella campo della tutela).

spot Mibac

Ma procedere a colpi di commissariamenti come ha fatto il governo Berlusconi, con tutta evidenza, non paga. Prova ne è il calo di visitatori del 12 per cento registrato nel 2009 nel polo archeologico di Pompei (vedi il Rapporto 2009 di Federculture). Né maggior profitto ha prodotto l’aver messo il polo archeologico di Roma e Ostia Antica sotto il commissariamento gestito dal capo della Protezione civile Guido Bertolaso. Ma si è rivelata un diasastro – come del resto c’era da aspettarsi – anche la valorizzazione dei beni culturali che il ministro Sandro Bondi ha affidato al super manager Mario Resca: le sparate sugli hotel della cultura dell’ex quadro dirigente di McDonald’s e i suoi propositi dichiarati di voler fare dell’Italia «l’Eurodisney dell’arte» si scontrano con il fatto che, nonostante la crisi, secondo il nuovo studio di Federcultura, la domanda culturale delle famiglie italiane nel 2009 è aumentata riguardo a teatro, concerti e musei ma non ha trovato incentivi in risposta.

Così, mentre Obama nel suo pacchetto anticrisi ha inserito investimenti a favore dell’arte (nonostante negli Stati Uniti i musei siano per lo più a gestione privata), per portare più visitatori nei musei italiani (gli Uffizi è solo il 23esimo nella classifica mondiale) il nostro ministero, con Resca, non trova di meglio che aumentare i ristoranti interni «facendone dei locali dove si va indipendentemente dalla visita alla collezione». Federculture segnala anche una sensibile perdita di attrattività delle nostre città d’arte (-6,9 per cento) e il precipitare dei musei italiani nella graduatoria internazionale dei più visti. E mentre il ministro Bondi ora deve vedersela anche con la faccenda di tre milioni e duecentomila euro sborsati per un Michelangelo su cui si addensano dubbi di autenticità, Resca fa un’altra pensata delle sue e, allo scadere dei suoi primi 100 giorni, vara una campagna pubblicitaria per «portare gli Italiani a riscoprire il patrimonio artistico del nostro Paese e invertire il trend negativo dei visitatori». Sul cartellone campeggiano delle gru che smantellano il Colosseo. Sopra compare la scritta: «Se non lo visiti lo portiamo via».

da Left-Avvenimenti 23 dicembre 2009

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Nella mente di Leonardo

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 29, 2009

Dopo l’esordio a Firenze, la mostra  Nella mente di Leonardo è stata  in Giappone , in California e in Ungheria.  Dal primo maggio a giugno approda  al museo nazionale del Palazzo di Venezia a Roma. Il  direttore dell’Istituto e del museo della Scienza di Firenze, Paolo Galluzzi racconta a left come la mostra, nel frattempo, si è arricchita


di Simona Maggiorelli

“Non fare Leonardo a fette. Ma mostrarlo tutto intero. Non puntare l’obiettivo su ciò osservava, quanto cercare di capire come funzionava il suo pensiero” è l’obiettivovergine_santanna_-bambino_san-giovannino che si è dato il direttore delll’Istituto e del Museo della scienza, Paolo Galluzzi ,nel realizzare la mostra La mente di Leonardo, aperta dal primo maggio al 30 agosto in Palazzo di Venezia a Roma. «La mostra appena approdata nella Capitale – racconta a left il curatore Galluzzi – fra gli autografi di Leonardo presenta tre disegni inediti di Leonardo, appartenenti a una collezione privata e mai prima esposti. Recano testimonianza della scenografia e della macchina teatrale che Leonardo ideò nel 1508, per una messinscena milanese dell’Orfeo di Poliziano.  E per la quale Leonardo realizzò una articolata macchina scenica, che riportava in questo mondo Plutone, dio degli inferi. Ma in mostra in Palazzo di Venezia ci sono anche i dipinti che testimoniano l’impegno di Leonardo su il tema della Leda e il cigno, che si legava a un progetto più ampio sull’ibridazione fra uomo animale e sulla sessualità naturalistica. Opere solo in parte autografe, certamente vicine per ispirazione al cartone che Leonardo realizzò a Firenze e poi portò con sé a Milano. Un lavoro che non finì. Come molte altri.
Un tema mitologico pagano , quello della Leda e il cigno, che già ci introduce a un tratto originale di Leonardo, la sua insofferenza verso dio e la teologia, documentati in vari passaggi dei suoi scritti
Leonardo certamente non era vicino alle forme di riflessione tipica del pensiero religioso tradizionale. Aveva una sua religiosità intesa come ammirazione per la natura come come forza fisica esplosiva, ma anche come forza vitale, come carica.
Studiosi come Batkin, come Pedretti e, più di recente,  Martin Kemp, nel libro Leonardo. Nella mente del genio (Einaudi)hanno decostruito lo stereotipo romantico dell’artista toscano, come genio isolato. Che ritratto ne emerge dalla mostra?
L’immagine di Leonardo come anticipatore chiuso in se stesso, che come un ragno tesse una tela, senza prendere materiali da fuori, purtroppo, è ancora molto diffusa, a dispetto dell’avanzamento degli studi. Chi va a leggere i manoscritti e confronta le fonti, scopre che Leonardo ha letto molto di più di quanto non si pensasse e che è pieno di debiti nei confronti di contemporanei e predecessori. Ma così facendo si scopre anche che Leonardo legge in maniera creativa. Assorbe e trasforma. Non è mai passivo. Ha sempre una reazione personale interpretativa o polemica nei confronti della tradizione o del contesto.  Insomma, che Leonardo vada letto nel suo contesto seguendo lo sviluppo cronologico della sua produzione fa parte di paradigmi acquisiti fra studiosi. Ma se in un saggio si riesce bene a dimostrare tutto questo, la cosa difficile è farlo con una mostra dedicata a un pubblico non di soli specialisti. Non per nulla questo tipo di operazione culturale non era mai stata tentata.
Come siete riusciti a far emergere la mentalità non compartimentizzata di Leonardo e la «trasversalità» del suo sapere?
Non dedicando sezioni separate a pittura, architettura, ingegneria eccetera, ma cercando lungo il percorso espositivo di attivare una visione multipla: dietro a ogni brano di pittura di Leonardo, per esempio, c’è l’anatomia, lo studio della natura, l’ottica. Leonardo non le separa minimamente. Se disegna un cavallo Leonardo istintivamente fa in modo che il suo centro di gravità cada nel punto previsto dalle leggi di meccanica e di statica. Non lo disegna in maniera solo fantasiosa. La mostra sottolinea  queste trame sottese al suo lavoro. Di fatto l’esposizione è una provocazione rispetto al consumo popolare delle mostre di Leonardo, rispetto ai modellini che si vedono nei piccolimusei leonardeschi. E’ una sfida a questo tipo di banalizzazione,  che ha la sua logica nel turismo di massa, nella fretta con cui si consumano gli eventi. E’ il tentativo di restituire dignità a Leonardo, una dignità offesa.
In controtendenza con questo tipo di operazioni “ in stile Disneyland” nella mostra La mente di Leonardo lei è riuscito a dar conto anche degli ultimi studi sullo sfumato leonardesco. In che modo?
Un’ampia parte della mostra è dedicata al Libro della pittura. Di fatto è un libro di scienza con dimostrazioni e esperimenti.  Da qui emerge l’importanza che l’ombra ha per Leonardo. Scrive proprio che l’ombra «è di maggiore potenzia del lume». Senza la gestione dell’ombra non c’è rilievo. È l’ombra che dà l’effetto di tridimensionalità sulla tela. Ma l’ombra è figlia dell’ottica, è la conseguenza della geometria; ha a che fare con la riflessione della luce, con la ricerca scientifica. Poi se ne potrà  fare un uso artistico.
Malgrado Leonardo rivendicasse il primato dell’esperienza, il suo sguardo non appare mai “positivistico”.
Leonardo è un artista che si pone come traguardo di riuscire a rappresentare perfettamente la natura. Per questo la studia. E se non fosse diventato uno “scienziato” non avrebbe potuto fare bene il mestiere dell’artista. Viceversa i suoi studi scientifici – anche quando lo trascinano lontanissimo, affascinato dalle piste che scopre- sono sempre concepiti come strumento per la rappresentazione artistica. Questa sua ossessione di comprendere i meccanismi della natura diventò via via sempre più febbrile, tanto che lui non finiva mai i suoi lavori. Si può sempre fare meglio nell’osservazione della natura. Quindi l’opera rimane sempre imperfetta, necessariamente incompiuta.
Resta anche nel non finito una sua straordinaria capacità di rappresentare l’invisibile, i moti dell’animo, gli affetti. Basta pensare allo sguardo di Sant’Anna nel celebre cartone conservato a Londra.
L’essere umano è al centro dell’opera di  Leonardo, che si interessa anche di fisiognomica e di patognomica. In mostra si racconta il suo interesse per i moti dell’animo, parlando dell’Ultima cena affrescata in Santa Maria delle Grazie (1945- 1948 ndr). Ne è l’espressione più alta e intensa. Leonardo qui mette al centro l’invisibile, ciò che può essere letto solo dall’espressione dei volti, dalla gestualità esterna, la quale però traduce in modo indiretto ciò che muove i personaggi interiormente. Il Cenacolo è il teatro delle emozioni in senso proprio . La cura con cui Leonardo prepara questa straordinaria pittura muraria abbiamo cercato di raccontarla in mostra attraverso il linguaggio del cinema, del teatro, della multimedialità.
È curioso che nelle migliaia di fogli che Leonardo ha lasciato non ci sia un accenno al fatto che il Cenacolo aveva già cominciato a disgregarsi quando lui era in vita. Lo stesso vale per la Battaglia di Anghiari che presto svanì dalle pareti di Palazzo della Signoria, a Firenze
Leonardo era un tipo molto particolare, probabilmente rimuove questi insuccessi, ma non possiamo affermarlo, non abbiamo documenti. Certo è che il Cenacolo gli costò molto di preparazione. Lui non era un pittore intuitivo, preparava le opere con un grande scrupolo. Compresa la Battaglia di Anghiari. Ma Leonardo è un uomo di successo, viene chiamato a Milano e ha una giustificazione anche con sé stesso per abbandonare Anghiari e dedicarsi ad altre cose.
Lei scrisse anni fa nel catalogo Giunti che accompagnava la prima edizione della mostra che Leonardo come scienziato non ebbe influenza sui secoli seguenti perché i suoi manoscritti per molti secoli furono dimenticati e dispersi. Oggi è ancora di quell’avviso?
Il giudizio credo vada bilanciato. Leonardo ha avuto una serie di grandi intuizioni. Nella sua maturità intuì che per capire molte di quelle attività che oggi chiamiamo scienza occorre la matematica, la geometria; è necessario introdurre dei modelli.  Che in gran parte riprese da Archimede a Euclide. Fu un pioniere in questo. Ha poi avuto un ruolo molto importante nell’ottica e ha praticato con cura l’anatomia. Arrivando a vedere dei fenomeni che solo un secolo e mezzo più tardi si potranno capire. Ma la ragione per cui queste sue acquisizioni non furono riprese non dipese solo dalla dispersione dei manoscritti, ma anche dal modo in cui erano concepiti. Ragiona per frammenti. Leonardo morde e fugge. Tocca un argomento e subito lo abbandona per parlare di altro. Nello sforzo di comprensione delle cose, la sua mente non segue  sempre un procedimento lineare, procede per intuizioni. Nei suoi scritti non ci sono quattro pagine consecutive dedicate a uno stesso argomento e questo tipo di materiale era difficilissimo da usare per i filosofi naturali del suo tempo. Il modello usato da Leonardo era in certo modo quello dei ricettari medievali, ispirati al principio della varietà.

da left-Avvenimenti primo maggio 2009

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Roma, 16:00

LEONARDO DA VINCI: GALLUZZI, SUO PENSIERO PER INTUIZIONI

Leonardo da Vinci , Macchina volante

Leonardo da Vinci , Macchina volante

(AGI-repubblica.it) – Ragiona per frammenti. Morde e fugge. E tocca un argomento e subito lo abbandona per parlare di altro. Nello sforzo di comprensione delle cose, la sua mente non segue sempre un procedimento lineare: procede per intuizioni. Lo dice in un’intervista al settimanale ‘Left’ in edicola e curata da Simona Maggiorelli, il direttore dell’Istituto e del Museo della scienza, Paolo Galluzzi, uno degli artefici della mostra aperta ieri e fino al 30 agosto a Roma, ‘La mente di Leonardo’. Subito viene messo in chiaro l’obiettivo della mostra: “non fare Leonardo a fette. Ma mostrarlo tutto intero – spiega Galluzzi – Non puntare l’obiettivo su cio’ osservava, quanto cercare di capire come funzionava il suo pensiero”. E di Leonardo saranno presentati tre disegni inediti appartenenti ad una collezione privata e mai prima esposti che recano testimonianza della scenografia e della macchina teatrale che ideo’ nel 1508, per una messinscena milanese dell’Orfeo di Poliziano. E per la quale realizzo’ una articolata macchina scenica che riportava Plutone il dio degli inferi in questo mondo. Dipinti che testimoniano l’impegno di Leonardo su il tema della ‘Leda e il cigno’, che si legava a un progetto piu’ ampio sull’ibridazione fra uomo ed animale e sulla sessualita’ naturalistica. “Un tema mitologico pagano, quello della Leda e il cigno, che gia’ ci introduce a un tratto originale di Leonardo – osserva Galluzzi – la sua insofferenza verso dio e la teologia, documentati in vari passaggi dei suoi scritti. Leonardo certamente non era vicino alle forme di riflessione tipica del pensiero religioso tradizionale. Aveva una sua religiosita’ intesa come ammirazione per la natura come come forza fisica esplosiva, ma anche come forza vitale, come carica”. (02 maggio 2009)

http://www.repubblica.it/ultimora/24ore/LEONARDO-DA-VINCI-GALLUZZI-SUO-PENSIERO-PER-INTUIZIONI/news-dettaglio/3659159

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