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L’arte al cinema. La nascita del ritratto all’Accademia Carrara

Posted by Simona Maggiorelli su gennaio 31, 2016

Chauvet caves

Chauvet caves

Opere di Botticelli, uno dei primi oli su tela di Mantegna, ritratti di un maestro del colorismo veneto come Bellini. E poi un’opera giovanile di Raffaello, dalla luce chiara e dal paesaggio dolce. Mentre quello che Lotto dipinse nella tela Nozze mistiche di Santa Caterina pare fosse talmente bello che un soldato francese lo staccò e se lo portò via. Così si racconta nel film di Davide Ferrario L’Accademia di Carrara-Il museo riscoperto (Trailer), dedicato alla riapertura di questa importante pinacoteca, dopo otto anni di lavori.

Non meno importanti in questo museo di Bergamo sono le tele dei maestri della nuova ritrattistica padana, dal Foppa al Moroni, che per la prima volta ritrassero artigiani e lavoratori di ogni classe, riuscendo a raccontarne la personalità in modo acuto e penetrante, senza preoccuparsi di trasmettere il nome del soggetto ritratto e i suoi dati anagrafici, perché più importante era trasmettere il sentire e il modo di essere di quella persona che sembra venirci incontro dal quadro.

Botticelli_Giuliano

Botticelli, Giuliano de Medici

Ciò che conta è la presenza viva e vibrante di quel mercante, di quella donna anziana, di quella ragazza che cattura la nostra attenzione con uno sguardo che pare interrogarci. E’ la nascita del ritratto moderno uno dei fili rossi che percorrono questo affascinante film che Ferrario ha realizzato raccontando questo museo bergamasco che vanta una collezione di oltre 600 dipinti, molti dei quali di maestri del Rinascimento e di secoli successivi fino ad arrivare a Pelizza da Volpedo (rappresentato dal romantico ritratto di Santina Negri, con un mano un fiore secco e una lettera) e a artisti di primo Novecento.
Chiusa nel 2008 per restauri, la Pinacoteca dell’Accademia è stata riaperta solo pochi mesi fa e questo film – prodotto da Rossofuoco e portato nelle sale da Nexo Digital – offre la possibilità di un coinvolgente viaggio nelle sale della Pinacoteca che vediamo a poco a poco tornare a piena vita, insieme ai suoi depositi ricchi d’arte, circondati da un giardino di piante antiche che il custode Cesare Marchetti, da quando nel 1973 s’innamorò della figlia del vecchio custode, continua a curare. Osservando questi quadri ogni giorno, via via con maggiore affezione, è risuscito a scoprire la firma di Evaristo Baschenis, semi nascosta nell’ombra, accanto a un drappo rosso che attraversa una magnifica natura morta da secoli senza un’attribuzione certa; una firma autografa che neanche i restauratori avevano notato quando avevano ripulito la tela.”Non ho fatto studi appropriati. Questo prima per me era un posto come un altro – racconta Marchetti nel film -, ma poi ho cominciato ad amare l’arte. Ho visto che c’era qualcosa di più e ogni giorno scoprivo in qualche quadro qualcosa di diverso. Tanto che ora che è stata cambiata la posizione delle tele, per me, è stato quasi un mezzo trauma. C’era una certa sequenza, ora mi chiedo perché e cerco di cogliere i nuovi messi”.

Lorenzo Lotto

Lorenzo Lotto

Accanto alla sua testimonianza Davide Ferrario ha raccolto quella di Maria Cristina Rodeschini, responsabile della Carrara e della  Gamec, dello storico Romano  ma anche di personaggi come Giovanni Lindo Ferretti, a fare da contro canto cattolico cal confronto laico e dialettico fra alcuni giovani storici dell’arte studiosi dell’iconografia cristiana e alcune giovani esperte di arte musulmana. Un confronto che tocca i  temi dell‘aniconismo islamico e del culto delle immagini nel cattolicesimo.  Il divieto di rappresentare Dio nell’arte islamic – raccontano le giovani storiche dell’arte nel fim – non preclude la possibilità di rappresentazione della natura, “che anzi   viene letta come lode alla perfezione del creato”.  In Europa invece si diffuse il culto immagini dopo l’iconoclastia  scoppiata a Bisanzio e lo scisma dalla Chiesa d’Oriente.  Per una molteplicità di ragioni, non escluso il  fatto che nel medioevo  le pitture assunsero un valore  pedagogico e didattico  rivolto alla popolazione allora largamente analfabeta. ” Le religioni hanno sempre cercato di mettere sotto controllo le immagini -commenta uno dei  partecipanti a questo fresco confronto -. E le immagini generano sempre un senso che è difficile tenere a bada”.

Il sarto di Moroni

Il sarto di Moroni

Accanto a questo confronto sincronico fra la tradizione d’Oriente e di Occidente, affascinante è anche la ricerca diacronica, suggerita da questo film, sullo sviluppo della tradizione del ritratto,  prima di profilo, poi di faccia  o tre quarti arrivando a una  grande espressività. Con una bella intuizione Ferrario va a indagare le radici dell’arte del ritratto nella preistorica. Lo fa andando ad intervistare (nel suo studio-castello ad Oxford)  l’antropologo Desmond Morris.  “Il primo oggetto artistico che si conosce  è una pietra con pochi segni incisi che la fanno sembrare un volto. Si tratta del Makapansgat Pebble è stato ritrovato nell’Africa meridionale e risale a tre milioni di anni fa” racconta l’autore de La scimmia artistica. L’evoluzione dell’arte nella storia dell’uomo (Rizzoli).  Poi sarebbero venute le grotte “affrescate” di Chauvet, risalenti a 36mila anni fa, di Altimira e Lascaux. “In questo caso  prevalgono ritratti di animali, in chiave piuttosto realistica, diversi da quelli stilizzati  di esseri umani che si trovano ai primordi dell’arte. Probabilmente dopo aver preso un animale durante la caccia- dice il professore – ne abbozzavano un rapido schizzo che poi realizzavano all’interno della grotta celebrando l’animale morto, dipingendone la figura come fosse in piedi.  Erano disegni molto accurati e precisi, ma anche molto evocativi”. Già queste antichissime realizzazioni e artisticamente già mature fanno pensare che  l’arte sia qualcosa che connota profondamente la specie umana, come fantasia e capacità di creare immagini fiori di sé sulla roccia come su altri supporti, immagini attraverso le quali gli artisti ci raccontano qualcosa di sé , della propria sensibilità e realtà interiore. “L’arte è qualcosa di assolutamente presente e necessario nella nostra vita, in una forma o in un’altra”, conclude Morris. Anche per questo, con Davide Ferrario. diciamo che è importate aver restituito l’Accademia Carrara ai cittadini e che tutti possano conoscerla  e apprezzarne la bellezza. Anche al cinema. @simonamaggiorel

Grande arte al cinema. Il viaggio continua. Dopo gli Uffizi in 3D e il bel film di Davide Ferrario sulla riapertura del Museo dell’Accademia Carrara a Bergamo, c’è attesa per il film di David Bickerstaff dedicato alla vita e l’arte di Francisco Goya e che racconta la mostra Goya: the Portraits della National Gallery di Londra, costruendo un ritratto del pittore attraverso opinioni di esperti internazionali, finestre sui capolavori e visite ai luoghi in cui l’artista spagnolo visse e lavorò. Ma non solo. Il 23 e il 24 Febbraio 2016 sarà nelle sale Leonardo Da Vinci-Il genio a Milano, che ripercorre la straordinaria mostra di Leonardo realizzata in occasione dell’Expo in Palazzo Reale. E ancora: Il 22 e il 23 Marzo 2016, Renoir Sconosciuto, il 3 e il 4 Maggio 2016 Istanbul e il Museo dell’Innocenza del premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk, il 24, 25 Maggio 2016, Da Monet A Matisse-L’arte di dipingere giardini.@simonamaggiorel

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Il gran rifiuto del direttore degli Uffizi

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 16, 2015

Antonio Natali

Antonio Natali

Il direttore degli Uffizi Antonio Natali non concederà in prestito un’opera fragile come L’Annunciazione, richiesta da Milano per la mostra su Leonardo a Palazzo Reale, prevista nell’ambito dell’Expo 2015. Coerente con il suo lavoro di conservazione del quadro di cui è uno dei massimi studiosi.  Anni fa,  Natali scoprì i motivi della strana torsione del braccio della Madonna mettendola in relazione allo spazio in cui era originariamente collocata la tela. 

In questa intervista rilasciata a Left lo scorso ottobre il direttore raccontava le ragioni della sua resistenza ad esposizioni che, senza produrre conoscenza,  riducono le opere d’arte a feticci decontestualizzati.  Una bella occasione per ascoltarlo dal vivo sarà  giovedì 19 ottobre quando sarà a Roma, nei Musei Vaticani, per presentare  il suo nuovo libro Michelangelo agli Uffizi, dentro e fuori  pubblicato da Maschietto editore.

In balìa della crisi economica, già diversi anni fa, la Grecia prese ad affittare i suoi templi come location. Anche per film di serie b e ricchi matrimoni stranieri. Allora gridammo allo scandalo. Mentre l’ex direttore del Musée Picasso, Jean Clair tuonava contro il Louvre che, per fare cassa, progettava di delocalizzare pezzi di collezione ad Abu Dhabi. Oggi però in Italia sembriamo quasi assuefatti all’idea del “noleggio” di antichi spazi architettonici, monumenti, ponti e palazzi pubblici, diventato pratica diffusa.«La cosa in sé non è detestabile», commenta il direttore degli Uffizi Antonio Natali, precisando :« dipende da come lo si fa». «Agli Uffizi – dice -noi non noleggiamo gli spazi del Museo. Ma abbiamo una terrazza, affacciata su Palazzo Vecchio, che ha il più bel panorama di Firenze. Che ospiti alcuni eventi, purché nei limiti del buongusto, mi pare ammissibile. Se c’è uno sponsor che si è reso benemerito facendo bene agli Uffizi, io non mi sento di negargli quello spazio. Mentre, finché ci sono, mi impegnerò con tutte le mie forze perché non avvenga negli spazi della Galleria. Gli Uffizi (con l’Accademia dove si trova il David) è il museo che mette risorse economiche a disposizione di tutti gli altri del Polo fiorentino. E le assicuro che gli altri musei ne hanno ancor più bisogno di noi perché, ahimè, non fanno gli stessi numeri. Dunque non mi sento di fare il moralista. Anche perché tutto sommato non ne vedo la ragione. Friends of Florence, per esempio, ha raccolto un milione di dollari per il restauro della Tribuna. Offrire loro la terrazza è un modo per dimostrare la gratitudine dello Stato.

Leonardo da Vinci, Annunciazione

Leonardo da Vinci, Annunciazione

Occorre un vigile controllo pubblico su queste operazioni, non crede?
Certo, ci vuole un forte controllo. Quando si parla di etica la severità non è un vizio. è una virtù. Le sale del Museo, ribadisco, non devono essere toccate. Altrimenti sarebbe un po’ come dire, poiché arrivano tanti soldi, gli permettiamo di fare colazione, pranzo o cena nel Presbiterio di Firenze. Sarebbe del tutto improprio. Anzi, deprecabile. Oggi in nome del denaro è diventato possibile tutto. Con la scusa che siamo in crisi. Questo non è accettabile. Senza contare che non c’è mai stato un periodo in cui non si parlasse di crisi. Forse solo quando ero adolescente io negli anni Sessanta e allora c’era il boom. Per il resto, a partire da Petrolini che cantava “che cos’è questa crisi,” non ho conosciuto un periodo di floridezza tale che consentisse al patrimonio italiano una attenzione o una tutela attenta, perché i soldi sono sempre mancati. Allora se arrivano degli aiuti l’importante è che dietro ci siamo delle scelte precise, buongusto, intelligenza, un po’ di sapienza e anche un po’ di cultura.
Il marketing culturale, però, tende a incoraggiare più che la conoscenza un turismo “mordi e fuggi”. Che magari si accontenta di un selfie accanto alla Gioconda. In questo modo non si rischia di svuotare di senso l’opera, riducendola a feticcio?

Botticelli, Venere

Botticelli, Venere

La Gioconda come la Venere di Botticelli conservata agli Uffizi… Ma anche qui vorrei fare chiarezza. Sono partite in questi giorni dagli Uffizi e da altri musei un’ottantina di opere per una mostra che si terrà a Tokyo. L’ho curata personalmente, con il preside della Facoltà di Lettere della capitale giapponese. “Feticci non ne partono di qui”, mi sono permesso di dirgli visto che ci conosciamo bene. Ci saranno molte tele poco note, molte dai depositi, molte di pittori di cui non si conosce il nome, ma si conosce il corpus di opere. Proprio per non alimentare la mitologia del feticcio. E’ la cosa che più mi rattrista. E poi perché si sappia che la storia dell’arte italiana non è fatta solo di Botticelli, Michelangelo e Leonardo e Caravaggio. Queste sono le vette di una catena montuosa e non punte solitarie che si alzano da una piana paludosa. Ci sono tantissime altre opere che devono essere conosciute. Io credo sia molto importante che la divulgazione ci sia, senza fare i sofisti o gli snob, ma essendo consapevoli che ogni volta che si sposta un capolavoro si rischia di alimentarne aridamente il mito. è del tutto evidente che se una mostra copre il Rinascimento bisogna prestare opere che attestino la presenza di maestri fuori dell’ordinario. In questo caso si tratta di quattro o cinque opere contornate da una settantina di tele tutte da conoscere. Perché solo così penso si faccia un’operazione di divulgazione seria con un intento didattico forte. Il punto cioè è far capire che l’arte italiana è cosa assai più complessa di quanto si fa apparire all’estero quando si porta una mostra di Botticelli o di Leonardo. Senza contare che è sempre più difficile per l’estrema delicatezza di queste opere e si è sempre più costretti a proporre mostre che nel titolo annunciano “l’ombra di…”
Cosa pensa della proposta avanzata dal ministro Franceschini che apre alla possibilità di pagare le tasse cedendo opere d’arte allo Stato?
Con ciò che ho detto, la risposta mi pare quasi scontata. Mi è piaciuta molto l’agevolazione che è stata offerta a chi contribuisce al mantenimento del patrimonio. Purché quando si parla di patrimonio e di mecenati non ci si riferisca solo agli Uffizi – e lo dico nel completo disinteresse come lei potrà capire -.ma si pensi a quei musei che non ce la fanno. Si pensi cioè a quelle chiese in cui piove e c’è il rischio che gli affreschi si rovinino. Se io offro soldi agli Uffizi e con ciò mi faccio bello, non è vero mecenatismo. Ci vuol poco a farsi belli con gli Uffizi. Serve oculatezza, attenzione, perché non ci sia il soccorso ai ricchi ma ai poveri. (Dal settimanale Left ottobre 2014)

 

Leonardo, rispetto gli uffizi

Franceschini: «Rispetto gli Uffizi, no all’Annunciazione»
Corriere della Sera, 13/02/2015

Il ministro dei Beni culturali: «Ho chiesto alla Galleria una valutazione e l’ho avuta. Il museo ha già prestato molte opere, la sala leonardesca rimarrebbe vuota»

«L’Annunciazione» di Leonardo non sarà a Milano per Expo. È stato il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, a stroncare le speranze di Palazzo Marino. In visita venerdì alla Bit, la fiera del turismo di Rho, Franceschini è stato chiaro: «Ho ricevuto una lettera dal sindaco Pisapia che mi chiedeva una riflessione. Ho chiesto al direttore degli Uffizi una relazione che mi ha fatto avere. Io sono molto rispettoso dell’autonomia dei direttori dei musei e delle loro scelte, non credo che la politica debba intervenire in un campo che è di loro competenza». Chiamato ad arbitrare la contesa — a chiamarlo in causa era stato proprio il direttore della Galleria fiorentina («Decide il ministro») — Franceschini ha spiegato i motivi del rifiuto: «Il dottor Natali mi ha mandato un elenco delle opere che gli Uffizi hanno prestato alle varie mostre per Expo e sono 28. Alla mostra su Leonardo sono prestati dei capolavori, un’opera del Botticelli che non è mai uscita dagli Uffizi, una importante del Ghirlandaio e altre ancora. Il direttore degli Uffizi ha fatto presente che il suo museo rimarrebbe privo di opere di Leonardo durante i sei mesi di Expo. Sono valutazioni corrette che io rispetterò».
Il Comune ha sperato fino all’ultimo che il capolavoro leonardesco del 1472 potesse far parte della grande mostra su Leonardo a Palazzo Reale. Giovedì sera l’assessore alla Cultura, Filippo Del Corno, accennava a spiragli di schiarita. Fiducioso che il ministro, per la sua sensibilità, avrebbe compreso l’importanza di inserire l’opera nel percorso espositivo. Impossibile — la sintesi del suo ragionamento – che dopo le dichiarazioni del premier Matteo Renzi («A Expo l’Italia ci mette la faccia, non possiamo permetterci brutte figure») il dicastero non seguisse la linea. Previsioni smentite: Franceschini ha preferito non ignorare le valutazioni dei tecnici e non sconfinare dal suo ruolo d’indirizzo politico. Nessuna eccezione o deroga speciale, dunque: l’opera «inamovibile» — più per l’integrità della collezione che per i rischi effettivi legati a un eventuale trasferimento – resterà a Firenze. Si chiude, così, una vicenda che aveva creato tensioni non solo tra Milano e il capoluogo toscano, ma anche nel fronte di Expo. Duro, giovedì, lo scambio di battute tra la presidente di Expo, Diana Bracco, e l’assessore Del Corno. Sul «caso Annunciazione» Bracco era intervenuta sostenendo che, tutto sommato, l’opera non fosse poi così indispensabile. «Non dobbiamo accentrare tutto a Milano — erano state le sue parole — . Capisco che un museo possa dire: “Se ti do un’opera, poi la sala rimane sguarnita”». Esternazioni che non erano piaciute a Del Corno: «Inopportune e sfavorevoli allo sforzo che stiamo facendo». «Quando il gioco in squadra con Expo — la stoccata dell’assessore — il mio referente è Beppe Sala. Forse, Bracco si è espressa in quel modo perché è poco informata sull’alto valore scientifico della mostra».
Expo delle polemiche
Il «caso Annunciazione» non è stato l’unico a creare frizioni durante l’organizzazione dell’evento. Contrastata anche la vicenda dei Bronzi di Riace: a premere perché le statue fossero esposte a Expo, tra gli altri, il critico d’arte Vittorio Sgarbi. Il Museo archeologico di Reggio Calabria, però, si era rifiutato, invocando la fragilità delle opere, imprescindibili per la collezione. Un altro no era arrivato da Cremona: il sindaco del Comune lombardo non aveva voluto concedere «L’Ortolano» di Arcimboldo, dipinto particolarmente in tema con la manifestazione. Accuse e maldipancia anche per l’Albero della vita, l’installazione simbolo del Padiglione Italia, progettata da Guido Balich. Prima il nodo dei costi esorbitanti, poi le rivelazioni dell’architetto inglese Wilkinson che aveva agitato il sospetto di plagio: «È uguale ai nostri Supertrees di Singapore». Una serie infinita di polemiche, nella quale «L’annunciazione» leonardesca è solo l’ultimo «pomo della discordia». Riuscirà il ministro dei Beni culturali a ricompattare i ranghi? Nel frattempo, i tessitori continuano a lavorare dietro le quinte per non tradire la linea dettata dal premier, Matteo Renzi: «Tutto il mondo ci guarda, ad Expo l’Italia ci mette la faccia».

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Daverio e i denti di Giotto

Posted by Simona Maggiorelli su gennaio 19, 2014

Giotto cappella degli Scrovegni

Giotto cappella degli Scrovegni

Tecnicamente sarebbero una serie di canovacci, semplici tracce usate dal critico Philippe Daverio per realizzare una serie di puntate del popolare programma televisivo Passepartout. Ma a leggerli pubblicati nel suo nuovo libro edito da Rizzoli ci si rende conto come questa serie di scritti d’occasione, fuori da ogni banale semplificazione, formino una collana di folgoranti ritratti di artisti – da Giotto a Botticelli, da Correggio a Caravaggio – e un originale viaggio nella storia dell’arte italiana, con uno sguardo comparativo al resto del panorama europeo.

Nelle prime pagine di questo Guardar lontano, veder vicino (che fa seguito al best seller Il museo immaginato uscito nel 2011 e al più recente Il secolo della modernità) Daverio promette un racconto non conformista di alcuni dei più noti capolavori dell’arte italiana. E fino all’ultima pagina dedicata alla drammatica Resurrezione di Lazzaro di Caravaggio, non tradisce la promessa mantenendo uno sguardo fresco e curioso su opere sulle quali si è depositata la polvere di decine e decine di manuali scolastici.

Giotto, Cappella degli Scrovegni, particolare

Giotto, Cappella degli Scrovegni, particolare

Così ecco la Cappella degli Scrovegni affrescata da Giotto raccontata dal critico lombardo-alsaziano come la scoperta di una nuova oggettualità attraverso dettagli mai prima rappresentati in un affresco sacro, come i denti e le bocche spalancate dei frati, i peli e il sesso dei dannati e la trasformazione degli angeli, che liberati dalla rigidità bizantina, non appaiono più come i «carabinieri del Signore».

E’ la scoperta dell’espressività dei volti e il primo tentativo di rappresentare gli affetti umani in pittura che Daverio aiuta a cogliere nei capolavori di Giotto a Padova e ad Assisi, con un linguaggio spigliato che avvicina il lettore meno attrezzato ma che – bisogna riconoscere – non rinuncia mai all’approfondimento. Né a nessi suggestivi come quando mette a confronto il primitivismo del medievale Cimabue con quello del cubista Picasso raccontando la complessità di una poetica che dietro alla scabra essenzialità delle forme, cela una ricerca artistica raffinatissima. In questo breve spazio possiamo solo offrire qualche suggestione di questa multiforme “Daveriologia” lasciando al lettore il gusto di scoprire molto altro.

Ma prima di chiudere vorremmo almeno spendere qualche parola per raccomandare in particolare la lettura dei capitoli sul Rinascimento in cui la proposta fiorentina di Botticelli, intrisa di astratto neoplatonismo, viene messa a confronto con la scoperta della realtà che caratterizzava invece la coeva pittura fiamminga e con la nuova luce che la pittura ad olio regalava ai quadri di Van Eyck, che i traffici commerciali e bancari fra la signoria medicea e le repubbliche anseatiche, del resto, avevano reso ben noti nella penisola.

Non solo in Toscana, ma anche in quella Messina in cui nacque e si formò Antonello e che nel Quattrocento non era affatto una città di periferia, ma uno dei porti più importanti del Mediterraneo che metteva in connessione diretta la Sicilia con Venezia e con Anversa.

daverio_guardar_fascetta-660x911Per non dire poi del capitolo dedicato a Leonardo da Vinci che Daverio tratteggia come un giovane anarchico e “alternativo”, capace di mettere a soqquadro le ferree leggi del disegno tosco-emiliano scegliendo la via di  una laica «sperienza».  Nella Firenze medicea era il neoplatonismo  di Ficino a dettare i programmi iconografici ma il giovane pittore non poteva accettare che il disegno partisse da un’idea astratta. Leonardo, come giustamente Daverio ci ricorda qui, non poteva rinunciare allo spirito di ricerca, e  si fece notimista, anatomista, osservatore del continuo fluire degli elementi naturali. Più assonante in questo con il giovane Albrecht Dürer che con il concittadino Botticelli.

E leggendo queste pagine dedicate  al genio da Vinci  e alla sua affascinante quanto evanescente Ultima Cena torna alla mente  quella sequenza di Passepartout in cui Daverio per fare percepire allo spettatore per quale punto di vista Leonardo avesse pensato l’affresco,  nella sala del refettorio di Santa Maria Maggiore a Milano puntò due telecamere una contro l’altra evidenziando così quello spazio vuoto che un tempo era occupato dal tavolo dove i frati mangiavano: piccolo particolare domestico, ma che in tv metteva in nuova luce questo straordinario quanto enigmatico capolavoro leonardiano.  Anche per sequenze come questa ci dispiace  molto che la Rai non abbia voluto rinnovare a Daverio l’incarico per una nuova serie di trasmissioni.  Le vecchie puntate, per chi se le fosse perse, si possono rivedere su Rai 5.     (Simona Maggiorelli)

Dal settimanale Left-avvenimenti

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La Cina può attendere

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 13, 2012

L’occasione mancata del Rinascimento fiorentino al National Museum di Pechino. Dall’Italia capolavori come La Scapigliata di Leonardo ma anche una imbarazzante ridda di “opere” solo pittoresche

di Simona Maggiorelli, da Pechino

 

Leonardo, La scapigliata

«Il Rinascimento italiano conquista la Cina del 2012. Lo dicono i numeri e, si sa, la matematica non mente: due ore di coda per entrare e una media di 1.600 visitatori al giorno, con entrate contingentate di massimo 150 persone alla volta» recita in tono trionfale un comunicato del 19 luglio divulgato dal ministero dei Beni culturali italiani.

La mostra di cui si parla è Il Rinascimento a Firenze. Capolavori e protagonisti, curata da Cristina Acidini, responsabile del Polo Museale Fiorentino; una rassegna che raduna nel più grande museo di Pechino 67 opere fra le quali figurano fragili e preziosi capolavori come La Scapigliata di Leonardo da Vinci (proveniente dal Museo di Parma), il David-Apollo di Michelangelo conservato al Bargello e L’Adorazione dei Magi degli Uffizi firmata Sandro Botticelli, e ancora opere di Raffaello, Gentile da Fabriano, Filippo Lippi, Andrea del Sarto e altri.

Insomma una mostra kolossal con cui, a luglio è stato inaugurato lo “Spazio Italia” all’interno del National Museum of China, in piazza Tian’anmen. Un museo di 192mila metri quadri che richiama circa 50mila visitatori al giorno. Ma chi fosse andato davvero a visitare quella mostra, avendo nelle orecchie solo gli squilli di tromba che hanno accompagnato questo ultimo atto in veste di direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale siglato dall’ex manager McDonald’s Mario Resca forse si sarebbe trovato alquanto disorientato.

Non tanto perché le file all’ingresso del museo c’erano sì, ma non per entrare alla suddetta mostra, del resto non facile da scovare ai piani alti del museo, quanto per la bizzarra scelta di opere che la curatrice Acidini ha operato intercalando, per esempio, l’inarrivabile sfumato di disegni di Leonardo con grotteschi e improbabili ritratti del genio da Vinci e poi il celebre autoritratto di Raffaello con un sedicente e alquanto bolso ritratto dell’Urbinate fatto da non meglio noto «pittore di ambito italiano del Seicento».

E ancora affreschi staccati di Botticelli e di Pontormo, raggelati da un contorno di vedute fiorentine di maniera, rigide e scolastiche, per lo più di pittori anonimi ripescate forse da qualche scantinato degli Uffizi dove meglio sarebbe stato che fossero rimaste. Fra una ridda di cestini di frutta e santi smaltati e ceramiche robbiane fra le più pesanti (tanto la ceramica piace ai cinesi?). Al di là di ogni battuta il fatto è che non si scorge nemmeno l’ombra di un pensiero scientifico dietro questa costosa mostra.

Cui prodest far correre i rischi di un così lungo viaggio fino in Cina a opere delicatissime di Botticelli, Michelangelo, Ghirlandaio, Gentile, Leonardo se poi la mostra risulta solo un imbarazzante guazzabuglio di opere d’arte e croste più o meno pittoresche?

da left avvenimenti

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L’Italia nel mito preraffaellita

Posted by Simona Maggiorelli su febbraio 25, 2011

Alla Gnam di Roma a confronto opere di pittori inglesi dell’epoca vittoriana  e i capolavori, da Giotto a Botticelli, da cui trassero linfa

di Simona Maggiorelli

Dante Gabriel Rossetti Venere Verticordia (1866)

Colori chiari, purezza della forma, bellezze muliebri morbide e sensuali. Immerse in un bagno di fiori pre-liberty. Fondendo l’immagine idealizzata della donna stilnovistica con l’immagine delle eroine shakespeariane e romantiche.Così Dante Gabriel Rossetti coltivava in pittura il mito del Belpaese, frutto di frequentazioni letterarie e non di conoscenza diretta (per quanto fosse figlio di un poeta, carbonaro e fuoriuscito abruzzese dei moti napoletani del 1820).

Ma il sole meridiano stregò anche un artista raffinato e grande sperimentatore come il pittore William Turner, uno studioso di arte come John Ruskin ( che si fece mentore dei Preraffaelliti) e tanti poeti romantici , fra i quali anche Browning e Tennyson. Tanto che nell’Inghilterra vittoriana si sviluppò un vero e proprio filone di interessi italianistici e risorgimentali che infuocò le fasce più vivaci dell’intellettualità. In questo milieu, nel 1848, Dante Gabriel Rossetti, con Burne-Jones, con Millais e altri, fondò il movimento dei Preraffaelliti (Pre-Raphaelite Brotherhood) che proponeva il superamento di ogni rigido accademismo attraverso la riscoperta  «della verità del Trecento» (per dirla con Gombrich) e di un Quattrocento inquieto e tormentato.

John W. Waterhouse, la Sirena

Nel segno di Giotto, di Gentile da Fabriano e dei coevi maestri del paesaggismo veneto. Ma anche nel segno aspro e verace di Crivelli e Carpaccio e in quello fragile e altero di Botticelli. Riportando in primo piano la pittura italiana precedente all’armonioso Rinascimento di Raffaello che tutto leviga e ricompone. Al sogno ribelle e carbonaro di questo singolare movimento artistico uscito dalle nebbie di un secondo Ottocento inglese puritano e bacchettone, la Galleria nazionale di arte moderna (Gnam) dal 24 febbraio al 12 giugno dedica la mostra Dante Gabriel Rossetti, Edward Burne-Jones e il mito dell’Italia in cui, attraverso un percorso di un centinaio di opere, sono messe a confronto diretto le opere oniriche ed estetizzanti dei Preraffaelliti e i capolavori italiani che le ispirarono. «La mostra che proponiamo – spiega una delle curatrici, Maria Teresa Benedetti nel catalogo Electa – vuole documentare, con scelte probanti, la trasposizione talora arbitraria di elementi chiave della nostra tradizione in area inglese nel corso del XIX secolo».

E se un anno fa l’antologica ravennate I Preraffaelliti e il sogno del Quattrocento italiano ha permesso di vedere per la prima volta in Italia un’ampia selezione di opere di pittura inglese del secondo Ottocento, in questa nuova occasione romana sono approfinditi alcuni rapporti specifici fra Rossetti e  Burne-Jones con Botticelli e Michelangelangelo. Ma non solo. Nella mostra romana firmata da Stefania Frezzotti, Robert Upstone  si ricostruisce la scoperta inglese degli affreschi di Beato Angelico per l’effetto di leggerezza della sua grana rada e luminosa.
E il fatto che  Hunt, Millais, Rossetti e compagn – in fuga  dalla retriva borghesia vittoriana e  dal capitalismo delle  macchine e affascinati dal socialismo umanitario di  William Morris- si lasciarono incantare anche dalle architetture medievali e dal mito delle rovine, come nella mostra alla Ganm ci ricorda attraverso opere come il trittico del 1861 di  Burne-Jones, con l´Annunciazione e Adorazione dei Magi, “una tela ad olio di grandi dimensioni destinata a una chiesa Gothic Revival a Brighton progettata da Carpenter”. L’idealizzazione della vita agreste intanto fa capolino nel ritratto della Nanna di Frederich Leighton. Ma l’attrazione per il medioevo di Dante trova espressione anche nel il ritratto di Beatrice dipinto da Rossetti , alla Ganm al centro di una serie di ritratti in cui Rossetti si divertva a trasfigurare amiche e amanti in dee e figure del mito.

da left-avvenimenti

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Ma la vera chimera è il museo

Posted by Simona Maggiorelli su gennaio 21, 2006

Simona Maggiorelli

“La Costituzione non è un ferrovecchio. e l’articolo 9 che parla di tutela non è fra i meno importanti». La denuncia di Salvatore Settis è dura e precisa. Dalle pagine di Repubblica e, dal vivo, nel ciclo di conferenze sul papiro di Artemidoro che sta facendo in giro per l’Italia (il 26 gennaio sarà a Roma), il professore punta il dito sulla deriva del sistema dei beni culturali. «Fra lotte di potere, spartizioni, favoritismi che alimentano il gigantismo burocratico del ministero» e sempre più scarsi interventi sul territorio, con le soprintendenze locali messe in ginocchio da continui tagli, «il ministero – avverte Settis – diventa un mostro con una testa sempre più grande e un corpo sempre più gracile». E spesso, come accade al Museo Egizio di Torino, il rimedio rischia di essere peggiore della male: con la trasformazione della struttura pubblica, in fondazione privata, guidata da un consiglio di amministrazione senza nemmeno un egittologo. Ma il caso del primo museo archeologico italiano, intorno al quale si è acceso, finalmente, un ampio dibattito, è solo la punta di un iceberg di crisi che tocca anche molti altri prestigiosi musei italiani, se non ancora svenduti a fondazioni, abbandonati a se stessi.

Prova ne è lo stato in cui versa l’archeologico di Firenze, per importanza il secondo museo egizio d’Italia. Con una vasta collezione darte greca, etrusca e romana mediceo-lorenese.Qui è conservata la potente Chimera del V, VI secolo avanti Cristo, scoperta nel 1553 e restaurata dal Cellini. Ma anche la statua bronzea del nobile etrusco detto l’Arringatore. E poi il grande cratere di Ergofimos dipinto da Kleitiras, l’idolino ritrovato nel ‘500 e le teste di filosofi greci ripescate dalle acque della Meloria. Mentre decine di opere e reperti di questo museo, per mancanza di spazi e di sale attrezzate, restano stipate, nei depositi. Da anni si parla del restauro delle sale in piazza Santissima Annunziata per dare respiro alla collezione conservata nella storica di via della Colonna. Ma quelle sale che ospitarono i restaurati bronzi di Riace non sono state più riaperte al pubblico. E sono trascorsi venticinque anni. «Non c’è stato nessun impegno serio di investimento da parte del ministero, questo è il punto, e le risorse della soprintendenza sono ridotte all’osso», denuncia la direttrice Carlotta Cianferoni. Che da qualche settimana è anche, ad interim, soprintendente dei beni archeologici della Toscana. Per non lasciare scoperto il ruolo lasciato da Angelo Bottini da quando è stato trasferito a Roma per prendere il posto di Adriano La Regina. Intanto nello storico museo fiorentino, fondato nell’Ottocento e sopravvissuto al disastro dell’alluvione del ’66, i disagi e i problemi si assommano. Le 50mila persone che, all’anno, visitano il museo (gli Uffizi e l’Accademia ne hanno circa un milione) sono costrette a un percorso a ostacoli. Nei giorni di festa trovano la porta chiusa. D’estate poi il clima torrido delle sale sconsiglia del tutto le visite. «Quest’anno non abbiamo potuto accendere i condizionatori – racconta costernata la direttrice -. Il motivo è banale: mancavano i soldi». E quanto a un orario più in sintonia dei musei d’Europa? «Non abbiamo abbastanza personale. Siamo sotto organico di almeno un venti per cento -racconta-. Su 39 custodi, almeno 12 sono precari. Gli altri, per lo più part time». Di nuove assunzioni, poi, neanche a parlarne: sono bloccate da anni. E in queste condizioni diventa davvero difficile fare progetti di valorizzazione del patrimonio. Ma la soprintendente non si arrende. «Abbiamo appena riaperto il laboratorio di restauro – rilancia — e fra qualche mese potremo riaprire il secondo piano, riallestendo una parte delle collezioni medicee. Insomma qualcosa si riesce a fare, anche se il museo avrebbe bisogno di interventi ben più strutturali, in vista di un rilancio. Ma – avverte Cianferoni – i problemi più grossi restano per la soprintendenza. Il nostro ruolo di controllo sul territorio è a rischio. Sono molti gli scavi, i cantieri da ispezionare, ma solo nei casi più urgenti riusciamo a mandare i nostri tecnici». E su questo il governo drammaticamente tace. Nessuna risposta dal ministro dei Beni culturali Rocco Buttiglione. Mentre curiosamente si fa sentire il ministro Alemanno, lanciando un’idea per fare cassa: trasformare i bookshop in supermercati. L’iniziativa è già partita agli Uffizi. Fra le monografie di Botticelli, di Leonardo e di Michelangelo spuntano il Brunetto, l’olio Laudemio, il vin santo, l’aceto, la grappa. E 54 etichette di vini, acquistabili anche on line. La gestione è affidata a Buonitalia, una società creata dal ministero delle politiche agricole per valorizzare i prodotti dell’agroalimentare italiano. Quando si dice che il cibo è arte.

Europa, 21 gennaio 2006

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