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La lunga marcia di Hong Kong

Posted by Simona Maggiorelli su dicembre 31, 2014

hong-kong-democracy-protestsMentre si annuncia un’invasione di poliziotti per una festa di fine anno nelle strade di Hong Kong, il passaggio al nuovo anno diventa l’occasione per fare un bilancio sulla lotta di Occupy Hk per libere elezioni.

«Nessun governo può sopprimere questa richiesta di democrazia per sempre. Una volta che il processo è attivato diventa inarrestabile». Lo scrittore Chan Ho Kei racconta a Left la “sua” rivoluzione degli ombrelli
di Simona Maggiorelli
Chiedono elezioni libere, suffragio universale, libertà e diritti. Ma anche la possibilità di studiare in scuole e università di qualità. E lo fanno con gli strumenti e il linguaggio della non violenza e con azioni di disobbedienza civile. Sono i giovani e giovanissimi di Occupy Central che, insieme a cittadini di tutte le età hanno occupato il cuore della metropoli asiatica, dando vita a una rivolta pacifica e oceanica. I media l’hanno subito battezzata Umbrella revolution, per via del fiorire in strada di ombrelli colorati usati per riparasi dai gas urticanti e presto ricoperti di scritte ironiche, poetiche, virali per diffondere i contenuti della protesta. «Che ha già raggiunto risultati importanti». In primis nella mentalità degli abitanti dell’ex colonia britannica, secondo lo scrittore Chan Ho Kei, che ha esordito nel 2008 con il noir Duplice delitto a Hong Kong, pubblicato nel 2012 in Italia da Metropoli d’Asia.

B3gSl4OCYAEYIpe«Ciò che è cambiato è l’atteggiamento delle persone che ora desiderano sempre più ardentemente la democrazia», dice lo scrittore. «Prima la gente di Hong Kong era piuttosto passiva. Solo gruppi ristretti si battevano con forza per i propri diritti. Alcuni invocavano l’intervento della Gran Bretagna contro la Cina, perché fosse rispettato l’accordo “Un Paese due sistemi”». Con la nascita del movimento molta gente ha smesso di cercare un aiuto angloamericano. «Si è capito finalmente che sta a noi farci sentire, anche se il governo di Leung Chun-ying, controllato da Pechino, fa orecchie da mercante. Si è compreso che la responsabilità è nostra e tocca a noi agire». Questa idea, sottolinea Chan Ho Kei, «è particolarmente popolare tra gli adolescenti. Tra quindici o vent’anni saranno loro a guidare il Paese, cambiandone il volto». Oggi però la strada da fare è ancora tanta per conquistare maggiore libertà e diritti democratici. «Perché – avverte lo scrittore – la Umbrella generation non deve vedersela solo con il governo di Pechino che ordina gli sgomberi alla polizia di Hong Kong», ma anche con le lobby locali, con chi ha interessi economici «e per difenderli è disposto ad accettare qualsiasi ordine da parte dell’autorità, anche i più oppressivi. Questo non fa che aumentare lo scontro e le divisioni. Anche all’interno delle famiglie e tra amici. E certo non aiuta il movimento». Ora, dopo 17 giorni di occupazione pacifica, la polizia ha sgomberato con la forza tutta la zona del Mong Kok, caricando i manifestanti inermi

foto di Marco Perduca

foto di Marco Perduca

Una escalation di violenza che fa temere un intervento da parte della Cina per sedare, una volta per tutte, la rivoluzione degli ombrelli?

Sì, a mio avviso, Pechino potrebbe ordinarlo e, temo, lo farà. Io non parlerei però di “rivoluzione”: il movimento non mira a cambiare il sistema politico, né a rovesciare le autorità. Per la Cina, in fondo, si tratta di mettere a tacere un movimento isolato, in una singola città. E con il muro di censura che hanno alzato è quasi impossibile che il tam tam della rivolta contagi 1,3 miliardi di persone. Nonostante feroci disuguaglianze economiche, oggi in Cina non ci sono carestie o disastri che possano innescare la miccia.

Il governo di Pechino dunque continuerà a reprimere Hong Kong. Non con le armi, ma con l’intimidazione, la corruzione e la propaganda. Ma tutti sappiamo che nessun governo può sopprimere questa richiesta di democrazia per sempre. Sul lungo periodo, non solo a Hong Kong, ma anche in Cina ci saranno libertà e democrazia. Come dicevo all’inizio, la mentalità della gente è cambiata e non si potrà più tornare indietro. Una volta che il processo di cambiamento si è attivato diventa inarrestabile. Non so quanti anni ci vorranno, forse 20, forse 50, forse 100.

Che cosa significa per lei questo movimento?

Sono felice di vedere i miei concittadini lottare per i diritti civili e impegnarsi per un bene più grande. È bello scoprire che la gente di Hong Kong è tosta, ma anche attenta e ragionevole. Se vai nelle zone della città dove è più viva la protesta vedi scene surreali: la gente per strada con le scritte e i cartelli e i negozi di lusso regolarmente aperti poco più in là. Non è mai stato gettato un sasso. Nessuna vetrina rotta. Per uno scrittore è un’esperienza straordinaria essere testimone di tutto questo. È una grande fonte di ispirazione. Ma al tempo stesso sono preso dagli eventi, travolto dall’emozione. Gli scrittori amano lavorare in luoghi tranquilli e lasciarsi andare al flusso di parole. È davvero difficile farlo ora.

BzwKnxZCMAAq5USOltre a poster di Marley, frasi di Lennon e Martin Luther King per strada si vedono piccole “biblioteche” improvvisate. Che cosa leggono i ragazzi di Occupy central, quali sono i riferimenti culturali dei manifestanti?

1984 di George Orwell è un libro che viene spesso citato dai manifestanti. E ricorre spesso la frase tratta da La fattoria degli animali: «Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali degli altri». Viene usata ironicamente contro la Risoluzione che prevede elezioni libere nel 2017 ma potendo scegliere solo fra tre candidati pre-selezionati da un comitato pro Pechino.

Nel suo libro, pubblicato in Italia da Metropoli d’Asia, racconta Hong Kong come una città misteriosa, impenetrabile. è solo un espediente narrativo o corrisponde alla sua visione della città?

Trattandosi di un noir ovviamente faceva gioco. Ma è vero anche che Hong Kong è una città molto complicata. Con molte luci ma anche tante ombre. Abbiamo un sacco di problemi che riguardano la politica, la scuola, il lavoro. Ciò che più mi preoccupa è il venir meno del principio di uguaglianza. Anni fa se lavoravi duramente potevi guadagnare abbastanza da sostenere una famiglia. Se ti impegnavi nello studio potevi avere un lavoro e un futuro migliore. Ora non è più così. Emergono nuove povertà. Raccontando il lato oscuro di Hong Kong in qualche modo ho voluto alludere a tutto questo. Ma nel libro racconto anche aspetti positivi della città attraverso alcuni personaggi, come, ad esempio, lo psichiatra o l’allenatore di Kung Fu. Figure che in qualche modo rappresentano il carattere aperto, premuroso e attento degli abitanti. Se proseguiamo con questo spirito – e l’Umbrella movement lo dimostra – Hong Kong sarà sempre una città magnifica.

In the mood for love ,Wong Kar Wai

In the mood for love ,Wong Kar Wai

Il cinema di Hong Kong ha una tradizione molto forte. Un regista come Wong Kar-Wai ne è in qualche modo l’ambasciatore in Occidente. Si direbbe che abbia avuto un’influenza sul suo modo di scrivere molto cinematografico.

Da bambino guardavo molti film noir e polizieschi. John Woo e Johnnie To sono molto popolari da queste parti. Sono stato influenzato dal loro stile di narrazione e ho cercato di immettere questa “abilità visiva” nel mio romanzo. Wong Kar-Wai è un grande regista. Mi diverto a mostrare la scala mobile di Hong Kong Express ai miei amici stranieri! Una battuta per dire che i suoi film sono molto europei . Ma mette qualcosa di Hong Kong ed elementi cinesi in film d’autore, di stampo occidentale. Tuttavia c’è più creatività, bellezza e poesia nei suoi lavori che in tanti film locali.

Dopo trenta anni di follie finanziarie, a un occhio esterno, Hong Kong oggi sembra più reale, più umana, ricca di cultura e arte. Ma è davvero così?

In realtà è un paradosso. Sembra più ricca di cultura e di arte oggi, ma ne è più povera. Sì, ora Hong Kong ha più musei, recupera il patrimonio storico, ma la gente avverte la repressione culturale che viene dalla Cina continentale. Inoltre qui il costo delle abitazioni è schizzato alle stelle e le persone non hanno tanti soldi da spendere per l’arte, la cultura, l’istruzione di qualità. Rispetto a 10 o 20 anni fa i giovani osano meno nell’inseguire i propri sogni. Fare l’artista è considerato una follia, calcolando i redditi bassi e gli affitti esosi. Aprire uno studio è diventato quasi impossibile. Anche se le star degli anni 90 brillano ancora.

Uno dei leader della rivolta studentesca ha detto: «Occupy Hong Kong assomiglia al comunismo. Ma non a quello cinese». Che ne pensa?

Beh, penso che assomigli più al socialismo, che al comunismo. E poi, francamente, possiamo chiamare comunismo il sistema socio-economico cinese? Non vorrei suonasse sarcastico, ma ciò che caratterizza la Cina oggi sono il capitalismo, lo sfruttamento e privilegi di classe. Nel comunismo, se non sbaglio, non ce ne dovrebbe esser traccia.

Dal settimanale Left

 

A conversation with Chan Ho Kei about the future of Umbrella movement in Hong Kong by Simona Maggiorelli

Chan Ho Kei

Chan Ho Kei

What has changed in Hong Kong after this great popular uprising?

I think what changed most is the attitude of Hong Kong people who craves democracy. Before this movement, Hong Kong people were quite passive. Only a certain groups of people, including politicians, would use aggressive way to fight for their own right. We can even heard voices in Hong Kong asking the British government to stand against China as they have an agreement in fulfilling the “One Country Two Systems”, which means the British SHOULD support the Hong Kong citizens. But after the Umbrella movement started, a lot of people changed and talk less about  asking the British or the US to help. Now we understand it is our responsibility to voice out, even the government won’t listen. This idea is especially popular among the teenagers. I think when they grow up and become the major group of the society in the next 15 to 20 years, it will cause major impact to Hong Kong.
However, there are also bad changes in the society. The disunity of Hong Kong people became more severe. Just like any part in the world, there are always people who have vested interest, being conservative, or willing to comply any unreasonable order from the authority. This causes confrontations in Hong Kong people, or even within families and between friends, which is no good for the situation.
dupliceDo you think China could still suppress the demand for freedom and democracy coming from the Umbrella revolution?
Yes, in my opinion, China can, and China will. First of all, I don’t think it’s a “revolution”, as the movement doesn’t aim in changing the political system nor overthrowing the authorities. To China it’s just a single movement occurring in a single city. Because of the Great Fire Wall of Mainland China, all the news are blocked and censored, the movement is almost impossible to spread within the 1.3 billion population. Also although there is a great economic inequality in China, now China doesn’t have any major famine nor disaster that triggers people to revolt. However, there is always one single news that the China leaders don’t want the Chinese know – the government would be willing to step back when confronting its people. In order to maintain authoritativeness, China government won’t compromise. China will continue to suppress. Not armed suppression, but using intimidation, bribe, and propaganda to stir up the society, sabotaging these demands.
But we all know that no government can suppress this demand forever. In the long run, I think not just Hong Kong, but also China would have real freedom and democracy. Just like what I said in the previous question, Hong Kong people’s attitude changed in this movement and there is no way back. Once these changes happened in China, it will be unstoppable. Of course, I don’t know how many years it needs. Maybe 20 years, maybe 50 years, maybe 100 years.
BzLNcSwCYAAZOaPWhat does the Umbrella revolution mean for you as a citizen? And as a writer?
As a citizen, I’m glad to see my fellow citizens stand up for their own right and willing to sacrifice for greater good. It’s also great to know that Hong Kong people are reasonable, considerate and tough. If you have been to the protest area, you can feel the surreality – while people are protesting, the luxury stores just one block away are still open. No stones throwing nor glass breaking at all.
It’s great for a writer to witness these events. Being in one of these events would bring me a lot of inspirations. But it’s also quite disturbing. Your emotion would be strongly affected by the news and the situation. Writers love to work in quiet places and let the words flow. It’s really hard to do it now.
 I have seen pictures of small “libraries” down the street. Which are the books oh Occupy Hong Kong? In other words, what are the cultural references of the protesters?
Yes, I know that there are libraries on the street, but I didn’t take a look. Sorry that I can’t provide you details. Talking about the cultural references, one book has been frequently mentioned in this movement. George Orwell’s 1984. Orwell’s Animal Farm is also mentioned. That famous quote “All animals are equal, but some animals are more equal than others.” is sometimes used to mock the format of 2017 Chief Executive election which the government stated. (HK people can vote, but can only choose from the three candidates pre-selected by a pro-Beijing committee. People mock that those members of the committee are “more equal” than us)
 <> on June 1, 2014 in Hong Kong, Hong Kong.In your book published by Metropoli d’Asia you mostly tell about the dark side of Hong Kong, why?
Well, it would be pretty weird if I used a bright and cheerful tone to tell a crime story about homicide, right? 🙂
Ok, just kidding. Hong Kong is a very complicated city. It has the dark side, but also some bright sides. We have a lot of problems, from politics to educations, from labors to poverty. What most bother me is that equality is fading within Hong Kong. In the old days, if you worked hard you could earn enough to support your family. You studied hard then you could get a better job and had a bright future. But now this is not always true. More cases of cycle of poverty emerges. I think, exposing the “darkness” and making the readers reviewing their daily lives, their stance, their perspective should be one of the many purposes of writing a crime story.
By the way, in my book there were actually some bright sides. They were shown in the characters. Like the psychiatrist and the Kung Fu class tutor, they are considerate, friendly, and just like a common Hong Kong people. As long as we stick to this Hong Kong spirit, just as the spirit we show in the umbrella movement, Hong Kong would still be a great city.
Pro-democracy protestor's umbrella, Hong KongDid Hong Kong movies have an influence on you ? In Europe, Hong Kong’s style is best known thanks to Wong Kar Wai. What do you think of him as a filmaker ?
Yes, of course. Crime movie (police movie) is one of the most famous genres of Hong Kong film, I have been watching these films since I was a child. Movies directed by John Woo and Johnnie To were globally acclaimed. I think I have been influenced by their story telling style and tried to put these “visual skill” in novel.
Wong Kar Wai is great. I didn’t watch every movie he made, but I do enjoy those I watched. I always take my foreign friends to the escalator in Central and tell them where the scene was took in Chungking Express (retitled as “Hong Kong Express” in Italy). It’s pretty interesting that I think Wong Kar Wai’s films are more like European films than Hong Kong ones. It’s like a European director who knows Hong Kong very well, putting Hong Kong and Chinese elements in a Western artistic film. His films might not be as fast-paced as other Hong Kong films, but always show creativity, beauty and poetry better than a lot of local movies.
umbrella-revolution-explainer-01After thirty years of financial follies, Hon Kong today looks more real , more human, rich of cultur and, art (thanks to the new museum). It ‘s so or is it just the superficial image of a journalist like me who has had the pleasure of spending a vacation in Hk?
Very interesting, I think Hong Kong looks richer in culture and art these days, while actually poorer then before. Yes, now Hong Kong got more museums, and people valued cultural icons such as old building related to local history more. But these issues were raised because the local people feeling cultural suppression from Mainland China. It is easy for the people in China to think it’s a rebellious act that Hong Kong tries to preserving the unique semi-British semi-Chinese culture. When the suppression force became greater, the reaction of Hong Kong citizens is also greater.
apre.jpgOn the other hand, the skyrocketed price of housing caused a major damage to art and cultural development. Compare to 10 or 20 years before, now the youngsters don’t dare to pursue their dreams. It’s irrational to be an artist, considering the low income and the high rent you have to pay each month. It’s almost impossible to set up a studio. It’s pretty obvious that the most famous TV and movie stars of HK nowadays are still from 90s.
At last: one of the leaders of the student revolt has said Occupy Hong Kong resembles communism. But certainly not to the Chinese one. What do you think?
Well, I think it’s more like socialism rather than communism. And, frankly, do you think that the socioeconomic system China adopting nowadays can still be called as “communism”? I don’t want to sound sarcastic, but China is full of capitalists, exploitations and over-powered social classes, which should be absence in communism.
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Ai Weiwei denuncia il governo cinese

Posted by Simona Maggiorelli su agosto 12, 2013

a me
Ai Weiwei SACRED

Ai Weiwei SACRED

Con nude barre d’acciaio recuperate dalle scuole distrutte dal terremoto di Sichuan nel 2008, nel complesso delle Zitelle, alla Giudecca, il cinese Ai Weiwei evoca la memoria degli oltre cinquemila bambini che morirono in quella catastrofe anche perché – accusa l’artista – gli edifici non erano a norma.

A Venezia Ai Weiwei ha ricreato in versione ampliata il suo toccante omaggio, dal titolo Straight, realizzato qualche anno fa in occasione di una sua importante retrospettiva a Washington.

Curata da Maurizio Bortolotti la mostra – aperta fino al 15 settembre e nata dalla collaborazione tra Zuecca Project Space e lagalleria inglese Lisson – ha un dirompente secondo atto nella chiesa di Sant’Antonin dove Ai Weiwei ha allestito S.A.C.R.E.D. (Super, Accusers, Cleansing, Ritual, Entropy, Doubt) squadernando, come fossero stazioni di una laica via crucis, gli 81 giorni di carcere, violenze e torture che l’artista subì nel 2011 in Cina per la sua attività in difesa dei diritti umani.

Dentro scatole nere, attraverso una piccola feritoia, lo spettatore si trova così a spiare scene in cui l’artista viene vessato, interrogato, piantonato a vista, anche in bagno. In chiesa, ribaltando in senso ateo e umanissimo la tradizione della sacra rappresentazione, ripercorre quell’angosciante vicenda kafkiana che, dopo essere stato incappucciato, lo portò dietro le sbarre, senza avvocati, senza chiari capi di imputazione, senza nessun contatto eccetto quello asettico con guardie addestrate a muoversi come marionette prive di emozioni. Come racconta lui stesso allo scrittore Barnaby Martin in Hanging Man (Il Saggiatore), un libro di denuncia, fortissima, ma anche prezioso per comprendere il pesante contesto storico politico in cui, per reazione, alla fine degli anni Settanta nacquero collettivi di rottura come The Stars, di cui faceva parte anche un ventenne Ai Weiwei.

Ai Weiwei omaggio ai morti del terremoto

Ai Weiwei omaggio ai morti del terremoto

«A Pechino il 29 settembre del 1979 The Stars improvvisarono una mostra dei propri lavori appendendoli alle cancellate esterne della China Art Gallery. Fu un atto assolutamente rivoluzionario», scrive Martin. Il rifiuto del realismo di regime, la spinta alla modernizzazione, la sperimentazione a tutto raggio dei linguaggi che caratterizzavano questo eterogeneo gruppo di artisti furono lette dal Partito comunista cinese. come un’azione pericolosa e gli Stars dovettero cercare riparo in esilio. Fu allora che Ai Weiwei andò a New York (dove per caso si trovò a dividere la stanza con  Chen Kaige regista di Addio mia concubina,  e con il violinista Tan Dun!).

Dopo il suo ritorno in Cina nel ‘93 l’artista, anche per sfuggire alla censura, ha sviluppato una poliedrica attività di artista visuale, architetto, blogger, poeta, compositore, mettendo a punto, in particolare, una sua suggestiva poetica di risemantaizzazione degli oggetti quotidiani- sedie, bici, ecc – che, collocati in una nuova prospettiva, gettano nuova luce sull’ordinario, sollevando interrogazioni di senso, riuscendo talora a ribaltare sedimentate e consunte ideologie. «Credo che l’arte sia il veicolo a nostra disposizione per sviluppare ogni idea nuova, per essere creativi, per ampliare l’immaginazione, per cambiare le condizioni attuali», si legge in Weiweismi (Einaudi) la raccolta di aforismi di Ai Weiwei curata da Larry Warsh. «Il mio scopo – dice l’artista cinese –  è sempre quello di ideare una struttura aperta a tutti. Non considero l’arte un codice segreto» . (Simona Maggiorelli)

dal settimanale left-avvenimenti

Ecco cosa è accaduto a fine luglio 2015

Ai Weiwei

Ai Weiwei

Dopo quattro anni l’artista cinese Ai Weiwei ha riavuto indietro il suo passaporto. Le autorità cinesi glielo avevano tolto quando, dopo essere stato accusato di attività antigovernative, fu aggredito da agenti e recluso in una località segreta per 81 giorni e poi multato per cifre iperboliche. Rilasciato, nel novembre 2013, l’artista cominciò a protestare contro il divieto di andare all’estero a cui era sottoposto. Lo fece mettendo dei fiori nel cestino di una bicicletta posteggiata fuori dal suo studio a Pechino. E annunciando su twitter che avrebbe aggiunto fiori ogni giorno fino a quando non gli fosse stato restituito il diritto di viaggiare liberamente.

Dopo seicento giorni di “flower for freedom” , con un crescente sostegno dell’opinione pubblica internazionale, Ai Weiwei ha finalmente riavuto la possibilità di uscire della Cina. Ora potrà andare a Londra per collaborare alla retrospettiva che gli dedica Royal Academy of Art e che sarà inaugurata a settembre.

E se il gesto da parte del governo cinese è soprattutto teso ad evitare contestazioni durante la prossima visita in Gran Bretagna del presidente Xi Jinping, ciò che conta è che Ai WeiWei ora potrà tornare a lavorare all’estero ed anche a collaborare con artisti, sodali e amici come Anish Kapoor, che hanno sostenuto la sua battaglia di libertà perfino ballando in Gangnam Style .

Ma a Londra potrà riprendere anche il dialogo con Hans Urlich Obrist, direttore della Serpentine Gallery, con il quale Ai WeiWei ha pubblicato un interessante libro intervista, Io Ai WeiWei (pubblicato in Italia da Il Saggiatore) in cui racconta il lavoro artistico, di contro informazione, e di resistenza civile portato avanti dal 2006 al 2009 attraverso un blog che arrivò ad avere un traffico di milioni di persone e poi fu chiuso dalle autorità cinesi.

La mostra alla Royal society sarà l’occasione per conoscere più da vicino il lavoro di Ai Weiwei diventato popolare in tutto il mondo con opere come lo stadio di Pechino, pensato come un gigantesco e immaginifico nido, un vorticoso gioco di linee luminose per eventi pubblici e collettivi e realizzato nel 2008 in collaborazione con lo studio Herzog & de Meuron.

Ai Weiwei si è sempre mosso liberamente fra disegno, pittura, installazioni, poesia. E poi, quasi “per caso”, ha scoperto di avere un talento anche come architetto, quando ha avuto l’idea di progettare un proprio studio, quasi subito pubblicato dalle maggiori riviste di architettura asiatiche e occidentali. Una forma di arte che per Ai Weiwei è nuova «scultura urbana» e una nuova frontiera di «poesia negli spazi pubblici».

aggiornamento del 30 luglio 2015: il governo britannico ha negato un visto di sei mesi all’artista cinese Ai Weiwei, perché avrebbe omesso di dire nella nella richiesta di visto che ha avuto una condanna. L’artista ha pubblicato su Istagram la motivazione contenuta nella lettera dell’ambasciata britannica a Pechino con cui respinge la richiesta e concede all’artista un visto di soli 20 giorni. Il punto è che Ai Weiwei è stato detenuto nel 2001 per 81 giorni senza essere stato condannato per un reato.

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Ai Weiwei, il nuovo Leonardo

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 20, 2012

Talento poliedrico fra arte, architettura e scrittura, l’artista cinese impegnato nella lotta per i diritti umani, si racconta in un libro intervista.  Nonostante la censura

di Simona Maggiorelli

stadio di Pechino

Lo aveva immaginato come una costruzione pubblica su cui i cittadini di Pechino potessero arrampicarsi e ballare. Come un edificio dove tutti potessero giocare e scorrazzare a piacimento.

Ma anche come una scultura urbana da godere esteticamente in quel suo elegante e vorticoso gioco di linee che si intrecciano a formare un immaginifico nido del nuovo millennio.

E ferisce che oggi quello stadio di Pechino progettato da Ai Weiwei e realizzato per le Olimpiadi del 2008 con lo studio Herzog & de Meuron sembri il fantasma di se stesso, trascurato e quasi lasciato in stato di abbandono dall’autorità cinese che prima ha celebrato Ai Weiwei come uno dei suoi maggiori talenti e poi lo ha denigrato, calunniato, quasi ucciso di botte per mano i agenti di regime, rinchiuso in una prigione segreta e multato in maniera iperbolica.

Tutto per impedirgli di sviluppare quella sua sfaccettata ricerca artistica – fra arte, architettura e scrittura – che di giorno in giorno si andava facendo sempre più politica e incisiva nel denunciare la mancanza di libertà e di diritti civili di cui soffre il Paese di Mao dove il boom economico non è andato di pari passo alle conquiste democratiche. Che ancora latitano gravemente.

Strumento essenziale di «azione culturale» e di lotta  per i diritti umani era stato anche il blog di Ai Weiwei che, nella Cina dove i social network sono controllati e censurati dal governo, nel 2006 registrava un traffico di un milione di persone. E proprio per questo è stato silenziato. Nell’appassionato libro intervista Ai Weiwei parla (Il Saggiatore) il critico e direttore della Serpentine Gallery di Londra Hans Urlich Obrist ricostruisce quella straordinaria avventura in rete  che vide un semplice blog, non solo diventare strumento di contro informazione, ma anche laboratorio di sperimentazione artistica per il modo originale con cui l’artista cinese componeva i suoi post, fra  scrittura e immagini.

Nello studio di Ai Weiwei

In un flusso continuo di messaggi, che dal 2006 al 2009, è stato un sorprendente diario online, in cui Ai Weiwei spaziava a tutto campo appuntando riflessioni che riguardavano la società («Nel blog parlo spesso delle condizioni di vita della popolazione e dei problemi sociali. Credo di essere l’unico a farlo»diceva nel 2006), ma anche la vita quotidiana nella immensa capitale cinese e le più diverse branche del sapere e dell’arte, con la pronfonda convinzione  dell’assoluta necessità di una azione culturale che sia anche un’azione politica nella società contemporanea. «Siamo la realtà, una parte di realtà che spinge a produrre altra realtà. E’ una dichiarazione di poetica che è anche politica », dice Ai Weiwei a Obrist passando da dichiarazioni di intenti, a racconti personali , a memorie più antico come quando da bambino vide suo padre costretto a bruciare tutti i libri di poesia che aveva scritto. Salvo poi essere riabilitato e celebrato come poeta nazionale dopo la fine della rivoluzione culturale.

Il tempo dice Ai Weiwei è il bene maggiore di cui possiamo disporre e che nessun regime oppressivo ci può togliere, se non glielo permettiamo. Un tempo per immaginare, per pensare, per creare, per dialogare.« La mia filosofia – dice – non è tanto quella del carpe diem, del godere l’attimo, quanto quella di creare il momento» Anche sfruttando le possibilità che oggi offrono i social network

Ai Weiwei

«Un blog è un po’ come scendere in strada e incontrare una donna all’angolo» arrivava a dire da appassionato neofita di Internet sei anni fa. «Le parli, ti rivolgi a lei direttamente. E poi magari si comincia a litigare o a fare l’amore». L’occasionalità in questo caso andava di pari passo con la profondità sviluppando una trama complessa di ricerche. Dal blog, come dalle opere di Ai Weiwei, emerge parimenti il suo talento poliedrico e un profilo, oseremmo dire, da “genio rinascimentale” del nuovo millennio. Che si muove liberamente fra disegno, pittura, installazioni, poesia. E che poi, quasi per caso, ha scoperto di avere un talento anche come architetto, quando ha avuto l’idea di progettare un proprio studio, quasi subito pubblicato dalle maggiori riviste di architettura asiatiche e occidentali. Una forma di arte che Ai Weiwei considera alla strague di nuova «scultura urbana» e nuova frontiera di «poesia negli spazi pubblici». Ma qual è il ruolo che Ai Weiwei riconosce alla poesia? «Penso che il compito della poesia sia mantenere il nostro intelletto in uno stadio che precede la razionalità. Permette un contatto puro, diretto con con le sensazioni e i sentimenti. Al tempo stesso però la poesia possiede una forma letteraria molto precisa e potente». E proprio a partire da questa doppia natura della poesia Ai Weiwei stabilisce un nesso ardito con l’architettura: «Oggi mi pare che la poesia ricompaia sotto altre forme- dice- compresa quella dell’architettura. Che per me è stata una scelta del tutto inconsapevole. Si usano i volumi, le dimensioni  e  i pesi e si tenta di esprimere la propria visione dell’arte e della condizione umana. E’ per questo che mi viene naturale».

da left-Avvenimenti

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La nuova via della seta

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 20, 2012

Nasce la prima Biennale d’arte Italia-Cina. Che dal 20 ottobre porta a Monza 60 artisti cinesi in dialogo con 60 artisti italiani intorno al tema della natura. Mettendo a confronto le tendenze più vive della ricerca contempoanea, fra Asia ed Europa

di Simona Maggiorelli

Zhengjie Feng

Sessanta artisti cinesi e altrettanti italiani, in un vivo dialogo sul tema del rapporto con la natura, non solo intesa come ambiente, ma anche come natura umana. È la prima Biennale d’arte Italia-Cina che dal 20 ottobre dilagherà nei 3mila metri quadri della Reggia di Monza per poi coinvolgere anche altri spazi a Milano e Palazzo Tè a Mantova. Organizzata da EBLand e diretta da Paolo Mozzo in collaborazione con Wang Chunchen è la prima tappa di un progetto che vedrà nascere una Biennale d’arte Cina-Italia nel Regno di mezzo: «Sono anni che lavoriamo a questa idea, nata visitando decine e decine di studi di artista in differenti luoghi di questo immenso Paese, entrando in rapporto diretto con gli artisti», racconta Mozzo. Proprio dall’approfondimento che nasce dalla conoscenza personale, e non affidandosi solo a galleristi, è emersa la selezione degli artisti cinesi presenti in questa ampia collettiva. Fra loro talenti emergenti e nomi già noti come Chang Xin, Lu Peng, Li Wei e Feng Zhengjie e altri della vivace scena artistica di Pechino (che si irradia dal colossale “fabbrica” espositiva 798.

Le loro opere insieme a quelle di molti altri artisti cinesi – che spaziano fra pittura, scultura, video, fotografia, installazioni, disegno – saranno esposte a Monza accanto a quelle di Pierluigi Pusole, Piero Gilardi,  Maraniello, di gruppi come Cracking Art e veterani della videoarte italiana come Fabrizio Plessi.

L’apertura della manifestazione, in particolare, sarà affidata alla performance di una giovane artista, Lin Jingijing che insieme a un centinaio di volontari cucirà con un filo rosso duemila rose dai petali rosa. «La rosa è nostra vita, subisce lo splendore del costante intreccio della brutalità della vita. In questa performance si cercherà ciò che ci accomuna come esseri umani, il desiderio, la paura, la serietà, l’equilibrio…», accenna la giovane artista cinese. «La poetica naturale è una filosofia spirituale che ha una lunga tradizione in Europa ma gode anche della stessa antica storia, ereditata fino a oggi, nell’orientale Cina», spiega il curatore Wang Chunchen. Che sottolinea: «L’atteggiamento nei confronti della natura riflette lo stato della civilizzazione umana, specialmente oggi». Da qui opere che ricreano in modo contemporaneo la millenaria tradizione cinese di pittura del paesaggio come rappresentazione del mondo emozionale e del movimento interiore dell’artista. Ma anche opere più politiche di denuncia della distruzione che sta avvenendo nel Regno di mezzo, sotto la spinta di una industrializzazione vertiginosa e incurante dei danni ambientali. Ma non solo.

Su Jiaxin

«Attraverso la Biennale la Cina e l’Italia possono intrattenere un nuovo dialogo visivo intercontinentale e unirsi per esaminare il significato dell’arte ai giorni nostri. La mostra accorcia le distanze geografiche e allo stesso tempo si concentra su riflessioni comuni a tutto il mondo», spiega il curatore.

E comune purtroppo, quanto al tipo di estetica praticata da molti giovani artisti nelle megalopoli d’Asia come in Occidente, sembra essere il ricorso a un linguaggio visivo mutuato dalla Pop art con le sue immagini chiassose, fumettistiche, piatte che ci parlano di un mondo globalizzato dove Monna Lisa e Mao Tzetung diventano icone intercambiabili, feticci, figurine svuotate di senso e da riusare a piacimento in opere che, come le tante statuette di Mao, i distintivi e i manifesti di propaganda di partito che affollano i mercati della città vecchia di Shanghai e di Pechino, aboliscono ogni distinzione fra autentico e “taroccato”.

E un gioco sottile fra vero e falso, reale e virtuale, omaggio e insulto, un doppio registro (che del resto aiuta anche a sviare la censura) sembra fare da trait d’union alla complessa e variegata scena dell’arte contemporanea cinese, cresciuta rapidamente negli ultimi venticinque/trent’anni sul vuoto pneumatico determinato dalla rivoluzione culturale di Mao e dagli agenti del Realismo socialista.

Li Wei

«L’opera di disconoscimento e di azzeramento di ogni tipo di libera espressione artistica diversa da quella imposta dalla propaganda comunista è stata sistematica e totale in Cina», commenta il direttore artistico della Biennale Paolo Mozzo.

Poi sul materialismo comunista si è innestato quello del capitalismo di Stato. «Comunismo e capitalismo in Cina hanno trovato questa strana e fortissima alleanza – prosegue Mozzo – che fa sì che senza nessun senso di colpa i cinesi oggi vendano tutti i propri simboli, immagini di Mao e statuette di Budda. Disposti anche a importare e a fabbricare crocifissi se serve per fare business. Un aspetto della cultura cinese rappresenta nella nostra mostra con un’immagine di sintesi folgorante».

Ma accanto al ricorso al kitsch, assicura Mozzo, da qualche anno in Cina si va segnalando anche un filone carsico di ricerca che riscopre l’antica tradizione della calligrafia in opere raffinate e poetiche. Qualche esempio sarà esposto anche a Monza. E con curiosità attendiamo di vederle dal vivo.

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Il realismo visionario di Mo Yan

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 20, 2012

di Simona Maggiorelli

Il premio Nobel Mo Yan

Chi è Mo Yan, il primo scrittore cinese ad essere insignito del Premio Nobel? Innanzitutto un autore che ha sviluppato un proprio stile potente e originale, da alcuni definito “ realismo magico” ( richiamando l’immagine dello scrittore sudamericano Gabriel Garcia Màrquez), ma che forse meglio si potrebbe definire “realismo visionario” per le molte metamorfosi e caustiche mutazioni da uomo- animale (vedi per esempio il padrone che diventa animale ne Le sei reincarnazioni di Ximen Nao) che popolano i suoi poderosi romanzi.

Un realismo visionario che si lega  a un  iperbolico e grottesco materialismo, quasi rabelaisiano. Un tratto satirico profondamente radicato in quella tradizione popolare cinese che da sempre mescola narrazione e crudo  realismo. Ritmata da scene di luculliani banchetti ma anche di feroci massacri, la prosa di Mo Yan si riallaccia agli eccessi dell’epos della tradizione epica cinese.

Sorprendendo e catturando il lettori con spiazzanti storie di animali antropomorfi dotati di parola. Mo Yan ne ha fatto gli elementi di base del proprio vacobalario letterario, riescendo così indirettamente (e senza rischiare troppo con la censura) a parlare della Cina contemporanea. Fra luci e ombre. Ma questo è un livello di interpretazione della prosa di Mo Yan che chiede più attenta esegesi…

A livello più macroscopico realismo e dedizione alla propria terra e al patrimonio culturale orientale fanno di Mo Yan, a 57 anni, uno degli autori più letti in Cina e non solo. Fin dal suo dirompente Sorgo Rosso (Einaudi) poi diventato anche capolavoro cinematografico diretto dal regista Zhang Yimou.

Gong Li in Sorgo Rosso

E se in Cina le reazioni al Nobel sono state di plauso, specie dall’establishment del Partito comunista che a novembre si avvia a uno storico e controversocongresso, Mo Yan è contestato dai suoi coetanei, e da autori cinesi dissidenti e esiliati che lo accusano di essere un uomo di regime. Ricordando, tra molto altro, come in veste di vice presidente dell’associazione nazionale scrittori Mo Yan abbia espunto dalle liste degli autori cinesi invitati alla Buchmesse di Francoforte quelli meno graditi al governo di Pechino.

“Al di là di tutto e Mo Yan resta un grande scrittore che ha scritto il grande romanzo della Cina. Ma certo è innegabile che sia è molto attento a ciò che può o non può essere scritto”,commenta  il sinologo Eric Abrahamsen. Il nome stesso che Mo Yan si è scelto, del resto, rivela questa acuta consapevolezza: alla lettera in cinese classico Mo Yan significa “non parlare”. Una raccomandazione che il Premio Nobel per la letteratura 2012 ha raccontato gli facevano spesso i suoi genitori durante la Rivoluzione culturale. Il suo vero nome di Mo Yan, come è noto, è Guan Moye, Mo Yan è nato nel 1955 in una famiglia di contadini che hanno fatto la fame durante il Grande balzo in avanti (1958-1961). Nella sua città natale nello Shandong, lo scrittore ha trascorso una infanzia segnata da privazioni e si è trovato a dover interrompere la scuola nel bel mezzo della Rivoluzione culturale. E, paradossalmente, fu l’adesione all’indottrinamento a permettergli di perseguire il suo sogno di diventare scrittore. La sua è la storia di molte famiglie di contadini analfabeti cinesi che furono più o meno salvati dall’esercito, dal fatto di essere iscritti al Partito che poi permise a Mo Yan la carriera per diventare uno scrittore.

Nella sua vicenda biografica si è inverata la storia del contadino-soldato-scrittore, in uniforme, che tuttavia è onnivoro lettore di autori occidentali, della letteratura russa, giapponese, sud americana. Sfornando storie e romanzi all’apparenza picaresti Mo Yan, a ben vedere, mette alla berlina la brama di ricchezza che sembra essersi impossessata della Cina, al motto di Deng “arricchirsi è glorioso”; stigmatizza i conflitti sino-giapponesi , allude alla tortura cinese, parlando di macellazione dei suini e lancia strali indiretti alla corruzione dei quadri comunisti ( vedi Grande seno fianchi larghi edito da Einaudi). “Uno scrittore deve esprimere critiche e indignazione per il lato oscuro della società”, ha detto una volta Mo Yan. E coerente con questo assunto, consapevole della autorevolezza e” intoccabilità” che gli conferisce il Nobel, all”indomani dell’annuncio della sua designazione , ha espresso l’auspicio che il Nobel per la pace, l’intellettuale e scrittore Liu Xiaobo, venga presto liberato. Arte del cerchiobottismo, ha commentato più di uno, ma intanto il messaggio nella bottiglia è stato lanciato.

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La Cina può attendere

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 13, 2012

L’occasione mancata del Rinascimento fiorentino al National Museum di Pechino. Dall’Italia capolavori come La Scapigliata di Leonardo ma anche una imbarazzante ridda di “opere” solo pittoresche

di Simona Maggiorelli, da Pechino

 

Leonardo, La scapigliata

«Il Rinascimento italiano conquista la Cina del 2012. Lo dicono i numeri e, si sa, la matematica non mente: due ore di coda per entrare e una media di 1.600 visitatori al giorno, con entrate contingentate di massimo 150 persone alla volta» recita in tono trionfale un comunicato del 19 luglio divulgato dal ministero dei Beni culturali italiani.

La mostra di cui si parla è Il Rinascimento a Firenze. Capolavori e protagonisti, curata da Cristina Acidini, responsabile del Polo Museale Fiorentino; una rassegna che raduna nel più grande museo di Pechino 67 opere fra le quali figurano fragili e preziosi capolavori come La Scapigliata di Leonardo da Vinci (proveniente dal Museo di Parma), il David-Apollo di Michelangelo conservato al Bargello e L’Adorazione dei Magi degli Uffizi firmata Sandro Botticelli, e ancora opere di Raffaello, Gentile da Fabriano, Filippo Lippi, Andrea del Sarto e altri.

Insomma una mostra kolossal con cui, a luglio è stato inaugurato lo “Spazio Italia” all’interno del National Museum of China, in piazza Tian’anmen. Un museo di 192mila metri quadri che richiama circa 50mila visitatori al giorno. Ma chi fosse andato davvero a visitare quella mostra, avendo nelle orecchie solo gli squilli di tromba che hanno accompagnato questo ultimo atto in veste di direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale siglato dall’ex manager McDonald’s Mario Resca forse si sarebbe trovato alquanto disorientato.

Non tanto perché le file all’ingresso del museo c’erano sì, ma non per entrare alla suddetta mostra, del resto non facile da scovare ai piani alti del museo, quanto per la bizzarra scelta di opere che la curatrice Acidini ha operato intercalando, per esempio, l’inarrivabile sfumato di disegni di Leonardo con grotteschi e improbabili ritratti del genio da Vinci e poi il celebre autoritratto di Raffaello con un sedicente e alquanto bolso ritratto dell’Urbinate fatto da non meglio noto «pittore di ambito italiano del Seicento».

E ancora affreschi staccati di Botticelli e di Pontormo, raggelati da un contorno di vedute fiorentine di maniera, rigide e scolastiche, per lo più di pittori anonimi ripescate forse da qualche scantinato degli Uffizi dove meglio sarebbe stato che fossero rimaste. Fra una ridda di cestini di frutta e santi smaltati e ceramiche robbiane fra le più pesanti (tanto la ceramica piace ai cinesi?). Al di là di ogni battuta il fatto è che non si scorge nemmeno l’ombra di un pensiero scientifico dietro questa costosa mostra.

Cui prodest far correre i rischi di un così lungo viaggio fino in Cina a opere delicatissime di Botticelli, Michelangelo, Ghirlandaio, Gentile, Leonardo se poi la mostra risulta solo un imbarazzante guazzabuglio di opere d’arte e croste più o meno pittoresche?

da left avvenimenti

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