Ad attrarre lo sguardo, appena varcata la soglia della mostra Da Raffaello a Shiele in Palazzo Reale a Milano è un ritratto di giovane uomo. L’espressione vagamente malinconica, il sorriso appena accennato, mentre guarda lontano, fuori dal quadro. Per secoli gli studiosi hanno cercato di risolvere l’enigma della sua attribuzione.
In questa collana di 76 capolavori provenienti dal Museo di belle arti di Budapest questo ritratto che fu terminato intorno al 1510 è esposto come opera di Albrecht Dürer. All’epoca il maestro di Norimberga era già stato due volte in Italia e la sua visione nervosa, viva e inquieta aveva perso rigidità e ora appariva riscaldata da una nuova tavolozza mutuata dai maestri del colorismo veneto. Il rosso dello sfondo, il colore ambrato del volto paiono rimandare direttamente a un coté veneziano.
Ma la pelliccia e l’elaborato copricapo evocano un’ambientazione nordica, facendo ipotizzare che si tratti del fratello dell’artista. A ben vedere, però, come per i misteriosi ritratti di Giorgione, poco importa quale fosse la sua vera identità. Conta la sua presenza viva, come fosse qui e ora, con tutto il suo mondo interiore.
Ed è questo che ci ha fatto sostare a lungo, nonostante il richiamo, poco oltre, di opere raramente esposte fuori dall’Ungheria, come la celeberrima Madonna Esterhazy: capolavoro di dolcezza, in cui Raffaello pur mentendo la statica composizione prevista dal canone ecclesiastico, sulla strada aperta da Leonardo lascia intravedere la dinamica degli affetti che legano la giovane Madonna il bambino e il piccolo San Giovanni.
Un nesso esplicitato dal curatore Stefano Zuffi che le affianca un espressivo disegno di Leonardo, uno schizzo realizzato per La battaglia di Anghiari. L’affresco realizzato dal vinciano in Palazzo della Signoria e andato irrimediabilmente perduto. Il viaggio nella pittura italiana, di cui il Museo di Budapest è ricchissimo, continua poi con ritratti di Tiziano, Veronese e Tintoretto. Ma tantissime sono le opere esposte in questa mostra (accompagnata da catalogo Skira) che varrebbero un pezzo a sé. In poco spazio possiamo solo accennare alla Salomé di Cranach, interprete delle novità luterane, che la immaginò vestita come una donna della nuova, ricca, borghesia tedesca. E ci sarebbe anche molto da dire sulla parte della mostra dedicata all’800 in cui spiccano il Buffet del 1877 di Cézanne e la Donna con ventaglio (1862), ovvero la moglie di Baudelaire che Manet dipinse come una inquietante bambola di cera. Fino al 7 febbraio 2016. (Simona Maggiorelli, settimanale Left)
Il Museo di Belle Arti di Budapest, il più grande museo dell’Ungheria, nacque nel 1802 dal conte Ferenc Szechenyi e si ampliò grazie al progressivo afflusso di collezioni di nobili, prelati e studiosi. Molta importanza ebbe la collezione dei principi Esterhazy, nata nel Seicento, e nel 1870 venduta allo Stato ungherese per 1 milione di fiorini del tempo. L’attuale sede del museo fu inaugurata nel 1906, dalll’imperatore Francesco Giuseppe. Oggi è chiuso al pubblico per lavori di ristrutturazione. La mostra in Palazzo Reale, organizzata da Arthemisia Group e 24Ore Cultura con la collaborazione del Museo di Belle Arti di Budapest, offre la possibilità di vedere capolavori conservat in riva al Danubio.. La prima sala è infatti dedicata al primo Rinascimento italiano,con opere come la Madonna Esterhazy di Raffaello, lo Studio di testa per la battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci e l’ Apollo dormiente e le Muse di Lorenzo Lotto. Nella seconda sala lo splendore del Cinquecento a Venezia, con la Cena in Emmaus di Tintoretto e tre ritratti virili di Tiziano, Veronese e Moroni, messi in dialogo con El Greco, presente con la Maddalena Penitente e il San Giacomo Minore. Nella terza sala si illustra il Rinascimento in Europa e si confrontano dipinti di scuola fiamminga, italiana e soprattutto tedesca. Da Salomé di Lukas Cranach il Vecchio al Bronzino ( Adorazione dei pastori ) e oltre documentando le evoluzioni dell’arte sacra tra Riforma e Controriforma. Con la quarta sala si entra nel primo Seicento. Qui si incontrano Velazquez e Rubens, ma anche Artemisia Gentileschi. Nella quinta sala si avvicina al moderno con la Villa nella campagna romana di Claude Lorrain, i ritratti di Frans Hals e Anthony van Dyck, le tele di Murillo e il disegno di Rembrandt che tratteggia Saskia van Uylenburgh seduta accanto a una finestra. La sesta sala è aperta dal teatrale San Giacomo Maggiore di Giambattista Tiepolo con le vedute di Canaletto e Bellotto, e una sensuale Betsabea al bagno di Sebastiano Ricci e ben tre opere di Goya. Il Simbolismo internazionale è il tema della settima sala, con maestri ungheresi come Joszef Rippl-Ronai e Janos Vaszary, messi a confronto con Arnold Böcklin, Franz von Stuck, Auguste Rodin. Infine l’impressionismo di Manet, Monet, Cézanne, Van Gogh e Gauguin.