di Simona Maggiorelli
Quando mesi fa alla Biennale di Venezia, con una flotta di spettatori e appassionati d’arte, ci siamo ritrovati a naso in su per rimirare la lunga teoria di piccioni impagliati che Maurizio Cattelan ha schierato sui cornicioni, c’è venuto più di un dubbio che l’artista padovano volesse farsi beffe del nostro piccionesco ammirare un’opera di fatto inesistente. Il messaggio, a quanto pare, non era passato così forte e chiaro alla Biennale del 1997 dove per la prima volta Cattelan aveva tirato fuori dal cilindro i suoi assorti e attoniti piccioni. E memore di quel “perseverare… diabolicum” che rimbombava nella sua infanzia cattolica, ora ci riprova, reiterando la trovata alla personale che dal 4 novembre 2011 gli dedica il Guggenheim Museum di New York.
Mettendo ancora una volta a dura prova il malcapitato critico: gesto di rottura contro il mummificato sistema dell’arte internazionale? Barzelletta artistica? Opportunismo di mercato? Trovata pubblicitaria? Quando si parla di Maurizio Cattelan, l’artista italiano più pagato e gettonato del momento, saltano le categorie e sale l’imbarazzo nel leggere e interpretare opere e azioni artistiche che sembrano esaurirsi in un simpatico gesto provocatorio.
Come quella volta che, per vendicarsi delle esuberanti confidenze sessuali di un gallerista, Cattelan lo convinse a comparire in un Tableau vivant travestito da coniglio rosa. «Avevo obbligato il gallerista a indossare la sua ossessione» dice Cattelan al critico e sodale Francesco Bonami. «Così, sotto forma di arte, si poteva vedere la mania di una persona. La galleria era una trappola per fare fesse le ragazze – racconta Cattelan in Autobiografia non autorizzata (Mondadori) -. Ma ora le ragazze che arrivavano, anziché essere affascinate dal giovane, ne ridevano a crepapelle».
Altrove avrebbe detto poi che quella buffa mascherata poteva essere anche un autoritratto. Come quando, nel 2001, Cattelan si è ”incarnato” in un pupazzo che spunta dal pavimento del museo di Rotterdam rappresentando così il suo essere «un abusivo dell’arte» (lo confessa a Catherine Grenier nel nuovo libro intervista Un salto nel vuoto, Rizzoli).
O come quando ha raccontato sé stesso come un orsetto che pericolosamente va in triciclo su un filo sospeso a mezz’aria mentre il pubblico lo spia dal buco della serratura.
Ma sarebbe anche ingiusto dire che Cattelan sia solo questo. Come ricorda la curatrice della mostra newyorkese Nancy Spector nel catalogo Maurizio Cattelan All (Guggenheim Skira), l’artista padovano è stato anche capace di ideare immagini dirompenti come papa Wojtyla colpito da un meteorite ne La nona ora (1999) e ha osato denunciare la criminale pazzia di Hitler rappresentandolo mentre prega in ginocchio (Him , 2001).
La Spector ha appeso quella statua a fili invisibili lasciandola sinistramente a dondolare nel vuoto, insieme ad altre immaginifiche “creature” dell’universo Cattelan, dall’asinello con la tv in groppa, al cavallo con la scritta INRI, senza dimenticare il Pinocchio riverso nella fontana di Franck Llloyd Wright, ideato nel 2008 proprio per il Guggenheim.
da left-avvenimenti