Posts Tagged ‘Kandinsky’
Pubblicato da: Simona Maggiorelli su marzo 7, 2010

kandinsky
Da Cézanne a Matisse a Kandinsky e oltre. Dai musei Guggenheim di New York e Venezia all’Arca di Vercelli, i maestri dell’astrazione
di Simona Maggiorelli
Alle origini della rivoluzione dell’arte astratta. Indagando la fertile sperimentazione che, a partire da Cézanne e attraverso la scomposizione cubista, portò la pittura ad affrancarsi definitivamente dalla raffigurazione piatta e meccanica della realtà. In nome di un modo di dipingere più fedele al “sentire” dell’artista, alla sua capacità di cogliere il latente, di creare immagini irrazionali, del tutto nuove.
Un’appassionante avventura dell’arte che, di fatto, attraversa più di due secoli di storia occidentale. E che l’Arca di Vercelli, fino al 30 maggio, propone di ripercorrere con la mostra Le avanguardie dell’astrazione.
Un evento (accompagnato da un denso catalogo Giunti) che porta nella città piemontese una parte significativa della collezione Salomon e Peggy Guggenheim conservata nei musei di New York e Venezia.
Così, “smessi” per un attimo le vesti di direttore del Macro di Roma, Luca Massimo Barbero torna per questa occasione al suo precedente ruolo di curatore Guggenheim facendosi Cicerone di un viaggio complesso quanto affascinante che si snoda attraverso una cinquantina di opere, perlopiù di grandi maestri: da Cézanne a Matisse, ricostruendo in modo particolare il ruolo che il pittore di Aix-en Provence ebbe nel superamento delle riproduzione mimetica della natura.
Da Braque a Delaunay, raccontando come la scomposizione geometrica del reale avviata dal cubismo secondo una molteplicità e simultaneità di punti di vista avesse aperto la pittura europea a un’idea di spazialità non più solo fisica ma interiore. E ancora, per citare alcune delle sezioni più interessanti, da Marc a Kandinsky sottolineando la novità di una ricerca pittorica come quella del Cavaliere azzurro che – per quanto intrisa di elementi spiritualisti e religiosi- portava in primo piano la potenza evocativa del colore ed esplorava la risonanza emotiva suscitata nello spettatore da composizioni dinamiche di colori, forme e linee in movimento.
Per arrivare poi, attraverso il puro geometrismo di Mondrian a Reinhardt, alla fase discendente di questa ricerca sull’arte astratta. Ovvero al ripiegamento delle avanguardie storiche che rimasero incagliate nei cascami del surrealismo. E dopo il ’68, nell’antiestetica di Dubuffet che con l’Art brut azzerò ogni ricerca creativa scambiando per arte dal valore universale manufatti “spontanei”, realizzati da persone senza una formazione specifica e talora da malati di mente. Da un curatore attento come Barbero, in finale, forse ci saremmo aspettati qualche considerazione critica in più su questo fenomeno, nato sotto l’influenza di Foucault e dell’antipsichiatria, e che ancora oggi con la sua ideologia antiautoritaria e, al fondo, nihilista continua a esercitare un peso negativo su ampie aree di ricerca contemporanea.
da left-Avvenimenti 5 marzo 2010
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Pubblicato da: Simona Maggiorelli su Maggio 1, 2009
di Simona Maggiorelli

Fontana, attese
E se quel taglio netto e vitale che attraversa la tela Concetto spaziale attesa di Lucio Fontana non fosse solo un gesto di rottura, ma una ricreazione di antiche forme d’arte orientale basate sulla linea e sulla scrittura? Oppure andando ancora più a fondo un taglio su sfondo rosso che evoca un’immagine di donna?
E che dire di quel Sacco di Burri, opera scandalo negli anni Cinquanta e che oggi ci appare piuttosto come una armoniosa composizione di pezzi di juta, colore rosso puro e catrame? «Ogni epoca per trovare identità e forza ha inventato un’idea diversa di classico» suggerisce Salvatore Settis nel suo Il futuro del classico (Einaudi).Ma se con il professore possiamo certo dire che un’opera non nasce mai del tutto avulsa dalla storia, ma sempre in dialettica con capolavori del passato (come modello da reinterpretare oppure come ostacolo da abbattere) è anche vero che una buona parte dell’arte oggi sembra essere il prodotto di un annullamento totale della tradizione. Astratta o figurativa che sia. In questo senso basta pensare a certa avanguardia iper- razionalistica che trova un esempio estremo nelle cloache meccaniche del belga Wim Delvoye. Oppure nella Body art che mette in scena interventi di estetica chirurgica. Ma qui il discorso sarebbe lungo.
E sta di fatto che nel costruire la mostra Costanti del classico nell’arte del XX e del XXI secolo il curatore Bruno Corà, fin dal titolo, fa una precisa scelta di campo, lasciando fuori dalla porta questi spicchi di contemporaneità per rivolgere la sua attenzione a modi più alti di reinterpretare il passato. Nel restaurato Palazzo Valle di Catania ( fino al 29 giugno, catalogo Silvana editoriale),

Rothko, Nr.16
s’incontra una serie straordinaria di opere, in un percorso che talora riesce a suggerire rapporti inediti fra autori di diversa provenienza. Accanto ai due capolavori di Fontana e Burri a cui accennavamo, sono esposte sculture di Brancusi che riprendono la statuaria classica in forme via via sempre più suggestive e essenziali, ma anche esili figure di Giacometti che evocano stilizzate immagini primitive. E se alcuni artisti dell’Arte povera come Giulio Paolini hanno scelto la strada di citazioni esplicite dal passato o quella della sua attualizzazione (vedi la Venere degli stracci di Pistoletto), più interessanti sono le sezioni della mostra dove sono esplorati nessi meno scontati con la tradizione pittorica. Specie là dove Corà si occupa di artisti che hanno fortemente innovato l’uso del colore. Ecco allora tele di Matisse che reinventano l’uso del colore puro, insieme a già classici esempi di uso timbrico della tavolozza firmati Malevich e Kandinsky. Sul versante di un uso tonale del colore, invece, ecco un’opera chiave di Rothko come Nr.16 (1961): Chiaroscuro, profondità, movimento sono espressioni che il pittore russo americano riusciva a ottenere attraverso modulazioni di colore, rileggendo in modo originale la tradizione che comincia con lo sfumato leonardesco. Modulazioni che nella pittura di Rothko possono toccare gli effetti più vibranti ma possono anche arrivare ad annullarsi nel grigio e nero di un cupo allunaggio finale, come accadrà poco prima del suicidio dell’artista.
Qui, nell’opera scelta da Corà per la mostra, siamo ancora in una fase aperta alla ricerca, anche se con sempre maggiore insistenza negli scritti Rothko parla di morte e torna sulla centralità della tragedia classica e sulla interpretazione che ne dette Nietzsche ne La nascita della tragedia. La tela Nr.16, di fatto presenta un classico schema tripartito per rappresentare «una scala dei sentimenti umani» ci ricorda il curatore Bruno Corà. «I miei dipinti attuali – scriveva Rothko- hanno a che fare con il dramma umano, per quanto riesca a dipingerlo».
da Left- Avvenimenti 1 maggio 2009
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Pubblicato da: Simona Maggiorelli su aprile 8, 2009

Malevich
di Simona Maggiorelli
A Como una grande mostra indaga il milieu da cui nacque la ricerca del Novento in Germania e in Russia con artisti come Kandinsky e Malevich
È costruita come un viaggio immaginario attraverso le avanguardie russe del primoNovecento (ma anche come un affondo nel retroterra filosofico che le ispirò) la mostra Maestri dell’avanguardia russa aperta nella settecentesca Villa Olmo di Como fino al 26 luglio (catalogo Silvana editrice). Una mostra – curata da Evgenia Petrova e Sergio Gatti – che attraverso un’ottantina di opere provenienti dal museo di San Pietroburgo riporta in primo piano il lavoro di artisti dai percorsi diversissimi come Casimir Malevic, Marc Chagall e Vassily Kandinskij (al quale proprio in questi giorni il Centre Pompidou di Parigi dedica una importante retrospettiva) e il meno noto in Italia, Pavel Filonov. La stagione delle avanguardie storiche in Russia, come del resto gran parte della ricerca europea del primissimo Novecento, ci racconta questa mostra, traeva linfa dalla corrente filosofica antipositivistica che si era diffusa a partire dall’ultimo ventennio dell’Ottocento, durante la stagione simbolista.
Negli ambienti artistici si leggeva Nietzsche, ma l’elite più sensibile faceva spazio anche le ricerche di un filosofo creativo e antiaccademico come Greog Simmel che metteva al centro della riflessione filosofica l’Erlebnis, intesa in senso pieno come vita e esperienza vissuta. L’esplorazione di una fantasia libera dalle categorie razionali intrigò da subito un artista come Kandinskij, fondatore del gruppo Cavaliere azzurro insieme a Franz Marc. Già con i suoi primi acquerelli astratti Kandinskij aprì la strada a un’arte fatta di colori e linee, che non si proponeva più di raffigurare il reale, ma voleva realizzare un vocabolario creativo fuori da ogni cliché imitativo della realtà. Nel frattempo (e in parte influenzato dal medesimo contesto culturale) nasce il cubo-futurismo in Russia. Intorno al 1911-1912 in Germania e in Russia si moltiplicarono le interpretazioni eretiche del cubismo, come quella orfica, sensibile alla dimensione lirica del colore.

Malevich due
Fu quest’ultima tendenza, per altro di breve durata, a coinvolgere Kandinskij, come raccontano le primissime opere dell’artista esposte a Villa Olmo che presentano case e paesaggi fiabeschi fatti di solo colore. Ma poco dopo ecco le prime innovative composizioni su variazione musicale: qui i significati sono espressi solo dai colori, dalle linee e dalle forme compositive. Come una musica può evocare sentimenti e pensieri senza per questo riprodurre nessun dato realistico, così la pittura, suggerisce Kandinskij, non ha bisogno di copiare fatti oggettivi e fotografici. «L’arte deve rendere visibile ciò che non sempre lo è» annota in uno dei suoi scritti più famosi, Lo spirituale nell’arte. Intanto in Russia, raccontano i due curatori della mostra, la ricerca dell’arte astratta aveva seguito strade diverse con Casimir Malevich «che mescolava un primitivismo fiabesco tipicamente russo con le conquiste del cubismo» ma lette attraverso le composizioni razionali di Léger. Tra il 1913-1914 Malevich dipinge opere cubo-futuriste dalla composizione a-logica, affollate di lettere collages. E intanto comincia a pensare la svolta suprematista intesa, sulla carta, come supremazia della sensibilità pura. Ma già dopo la rivoluzione russa Malevic abbandonò l’arte per l’insegnamento. Dopo la condanna dell’arte astratta da parte di Stalin, poi l’approdo finale per Malevich sarà una emblematica composizione geometrica di bianco su bianco, drammatico annuncio di una caduta nel vuoto di un nihilismo assoluto.
da Left-Avvenimenti 10 aprile 2009
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Pubblicato da: Simona Maggiorelli su aprile 23, 2007

Kandinsky, The blue montain, 1908-09
La disputa fra pittura astratta e figurativa è stata delle più accese e annose in Italia. Tanto da proseguire fino al dopoguerra, quando l’intellighenzia dell’allora Pci togliattiano si schierò dalla parte di Renato Guttuso contro la poetica astratta indicata da un grande innovatore come Lucio Fontana. Con paura del nuovo, cercando la rassicurazione della mimesi. Del tutto in controtendenza con quanto accadeva all’estero. In Russia con le avanguardie costruttiviste e futuriste e in Francia con il cubismo.
Già nel 1907 con le sue geniali Demoiselles d’Avignon Picasso aveva aperto la strada a una pittura che non era piatta fotografia del reale, ma radicale messa a soqquadro della visione retinica, mutata in rappresentazione di immagini più profonde e interiori. E analoga novità aveva portato Vasilij Kandinsky, passando dai suoi primitivi paesaggi incantati, dai cavalieri volanti, che raccontavano di una Russia antica e magica, ad astratte composizioni in cui il colore appariva come un valore in sé a prescindere dall’oggetto rappresentato. Che anzi spariva del tutto come oggetto riconoscibile lasciando sulla tela improvvisazioni e composizioni risuonanti di forme e colori, in parallelo con le novità che la dodecafonia portava in musica.
Ma forse Kandinsky andò anche più in là; cercando quella speciale “risonanza interiore” delle forme astratte che nel 1912 teorizzò ne Lo spirituale nell’arte.Un testo e, soprattutto, una strepitosa serie di vive composizioni su tela, realizzate dal pittore russo soprattutto fra il 1922 e il 1933, negli anni in cui insegnò al Bauhaus, che – nonostante il clima di plumbeo marinettismo che dominava l’Italia – esercitarono una forte influenza su quei pittori che cercavano una via d’uscita dai modi ottocenteschi di attardata accademia e di regime.
Fino al 24 giugno rintraccia e ricostruisce i fili di questa onda lunga di in fluenza di Kandinsky in Italia una interessante mostra curata da Luciano Caramel in Palazzo Reale a Milano. Sotto il titolo Kandinsky e l’astrattismo in Italia 1930-1950 (catalogo Mazzotta) va in scena un confronto serrato fra opere del maestro russo (più di una cinquantina, provenienti dai maggiori musei d’Europa) con un centinaio di opere di Lucio Fontana, Alberto Magnelli, Fusto Melotti, Mario Radice, Mario Rho e molti altri, fino a Gillo Dorfles a un architetto come Cesare Cattaneo, autori tutti che trassero più di uno spunto dalla libertà creativa del fondatore del Cavaliere azzurro, dalle sue forme fluttuanti, in movimento, dalle sue composizioni che toccavano e coinvolgevano lo spettatore in modo ben diverso e emozionante delle scientiste composizioni astratte di Mondrian.
Ma, come si diceva, se l’avanguardia italiana fu subito recettiva (fece breccia soprattutto la mostra di Kandinsky organizzata dalla Galleria il Milione di Milano nel 1934) una levata di scudi contro le novità portate da Kandinsky venne invece dal riflusso futurista e non solo.
Lo stesso Carlo Carrà che, da posizioni metafisiche avrebbe potuto trovare interesse nella ricerca “spirituale” del pittore russo, la stigmatizzava come un misero «lunario bolscevico» di «irragionevoli immagini» e di «fantasie pregiottesche». Una incapacità di comprendere la portata rivoluzionaria della pittura astratta che poi – curiosamente – avrebbe nutrito anche i sospetti dei nostrani fautori del realismo socialista.

da Europa, 23 aprile 2007
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