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Il pensiero che fa la differenza

Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 30, 2011

 “Negli ultimi anni le conoscenze embriologiche sono progredite in modo sorprendente”, dice  Maria Gabriella Gatti, neonatologa dell’Università di Siena: “Parlare di vita umana fin dal concepimento, come fa la Chiesa, ma anche certa politica, va contro le acquisizioni della scienza

di Simona Maggiorelli

Maria Gabriella Gatti

La recente sentenza della Corte Europea che, in base a un ricorso di Greenpeace , è arrivata a decretare la non brevettabilità di farmaci ricavati da embrioni, ma ancor più le vicende di casa nostra con i cattolici, dopo il meeting di Todi, lanciati alla reconquista della politica italiana, al grido di “difesa della vita” e dei “principi non negoziabili, ci invitano a cercare di fare chiarezza, chiedendo lumi alla scienza. Proprio mentre nuovi attacchi alla le 194 si preparano da parte di questo governo di centrodestra che, dopo aver osteggiato la commercializzazione e l’uso in Italia della Ru486, stigmatizzata dal sottosegretaria Roccella come “aborto chimico”, ora cerca di ostacolare perfino la commercializzazione della cosiddetta pillola dei cinque giorni dopo, nonostante un primo via libera dell’Aifa. Un sistema di contraccezione di emergenza che l’Avvenire definisce “controverso” perché avendo effetto nelle 120 ore successive al rapporto, la pillola agirebbe “sull’ambiente uterino impedendo l’attecchimento di un embrione concepito, con un’azione abortiva”. Dietro alle parole del giornale dei cattolici, così come dietro quello della sottosegretaria alla Salute c’è, con ogni evidenza, il pensiero religioso che la vita umana cominci fin dal concepimento. A questo si lega anche l’intervento sull’Avvenire di Assuntina Morresi che il 10 ottobre deprecava la nascita di pochi bambini down in Italia. Colpa dell’amniocentesi, scrive Morresi, “test invasivo” che ” ha fatto diminuire la presenza di bambini down fra noi” inducendo le donne ” a sopprimere la persona prima che nasca”.

“L a ricerca non può ignorare la verità sulla natura umana” grida il quotidiano dei Vescovi. Proprio per questo abbiamo chiesto alla neonatologa e docente di neurologia neonatale dell’Università di Siena Maria Gabriella Gatti di spiegarci le acquisizioni scientifiche in questo ambito.

Professoressa Gatti, le norme sull’interruzione volontaria di gravidanza approvate in tutto il mondo più avanzato dicono che abortire non è uccidere una persona. Lo affermano in termini di legge. La scienza cosa dice su questo punto?

È chiaro che perché si possa parlare di vita umana si deve far riferimento a un’attività di pensiero. Ora qualunque sia la forma che questo pensiero assume, consapevole o inconsapevole, esso presuppone un substrato biologico.Il substrato biologico è l’attività cerebrale che deve corrispondere a criteri maturativi e funzionali. Sotto la 22esima settimana non c’è possibilità di vita fuori dall’utero perché non si sono ancora formate le strutture cerebrali necessarie per assicurare una capacità di reazione allo stimolo esterno. La risposta agli stimoli esterni è un punto chiave nella valutazione dell’idoneità del feto alla vita in caso di nascita prematura. Considerare il feto persona prima che abbia una possibilità di sopravvivenza fuori dall’ambiente intrauterino è contrario a quanto la scienza medica ha acquisito in termini di conoscenze di neurofisiologia fetale.

 Nella sua relazione parla di nuovi studi di misurazione dell’attività endogena del feto. Quali risultati hanno portato?

Negli ultimi 4 o 5 anni le conoscenze embriologiche sono progredite in modo sorprendente, consentendoci di rispondere con certezza a quesiti che prima rimanevano in sospeso o erano suscettibili di risposte solo ipotetiche. Le nuove tecniche di registrazione EEG (attività elettrica dell’encefalo, ndr) e la magnetoelettroencefalografia ci consentono di correlare i dati ottenuti con le caratteristiche neurobiologiche indagate attraverso le metodiche della biologia molecolare. Si è accertato che l’attività cerebrale del feto è endogena e mira solo alla costruzione della struttura anatomica e funzionale del sistema nervoso. Alla 23-24esima settimana si stabiliscono le connessioni talamo corticali con una progressione dalla periferia alla corteccia. A ciò corrisponde la comparsa di un’attività che viene denominata Sats (Slow activity transients) individuata in base a nuove metodiche di monitoraggio. La comparsa della Sats è secondaria alla presenza di una struttura chiamata “subplate” . Quest’ultima orienta le connessioni che giungono dalla periferia e si dirigono verso la corteccia. Si è scoperto recentemente che l’assenza della subplate, dovuta a malformazioni, è incompatibile con la sopravvivenza.Se il bambino viene alla luce intorno alla 23-24esima settimana, dato che le connessioni principali si sono in questa fase stabilite fra recettori periferici sia cutanei che degli organi di senso e sistema nervoso centrale, si ha la capacità di reazione allo stimolo esterno.

Alla nascita poi c’è una radicale trasformazione, specifica della specie umana, con una netta cesura fra il prima e il dopo. Che cosa avviene? E qui torniamo alla prima domanda, perché solo alla nascita si può parlare di persona?

Per tutta la gravidanza qualunque stimolo viene tradotto in attività endogena e diventa funzionale ad un processo maturativo. Per esempio i movimenti fetali, automatici e riflessi sono una ricca fonte di informazione sensoriale che influenzano le connessioni dei circuiti neuronali che vi partecipano. In questo caso la fonte del movimento è endogena, midollare, mentre lo stimolo tattile che ne consegue viene considerato esogeno. Alla nascita le caratteristiche dell’EEG si modificano anche in virtù del fatto che gli stimoli sensoriali provenienti dall’ambiente esterno evocano risposte specifiche nella corteccia cerebrale: si può dire che il neonato comincia a elaborare informazioni che provengono dal mondo che lo circonda.L’attività cerebrale del neonato è completamente diversa da quella del feto in quanto in essa si esprime una reattività e una connettività globale resa possibile da un cambiamento dei sistemi neurotrasmettitoriali. La stimolazione luminosa della retina interviene nel determinare un immediato “switch” funzionale con un effetto a cascata che interessa tutta la corteccia. La Sats viene sostituita da un regime controllato dagli stimoli sensoriali esterni.

 Spesso dai media si sente che il feto prova dolore. È possibile?

Certamente no: il feto ha movimenti riflessi indipendenti dalla natura dello stimolo. In utero le stimolazioni sensoriali sono di tipo prevalentemente tattile cioè a bassa soglia contrariamente a quelle dolorifiche che inoltre maturano soltanto dopo la 28esima settimana. Bisogna aggiungere che nella situazione intrauterina nel cervello fetale sono presenti sostanze come l’adenosina ed alcuni derivati del progesterone, neuropeptidi che innalzano notevolmente la responsività ed esercitano un’effetto protettivo su un eventuale eccesso di stimolazione. La concentrazione di tali sostanze subisce un rapido decremento alla fine del travaglio quando viene liberata una enorme quantità di catecolamine e viene stimolata una zona specifica del cervello (il locus ceruleus) che innesca la cosiddetta reazione di “arousal” ovvero l’attivazione della corteccia cerebrale.

da left -avvenimenti

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l’aborto non è assassinio

Posted by Simona Maggiorelli su giugno 26, 2010

intervento all’Università Roma III, 17 maggio 2008

di Simona Maggiorelli

Ru486

Pochi giorni fa, proprio in occasione del
trentesimo anniversario della approvazione della legge 194,Benedetto XVI è tornato a proclamare la posizione della Chiesa di Roma sull’interruzione della gravidanza. L’occasione  per questa sua ennesima ingerenza negli affari dello Stato italiano da parte del capo dello Stato vaticano è stata, il 12 maggio scorso, l’udienza accordata a esponenti del Movimento della Vita.  «Se guardiamo ai tre decenni trascorsi –  e consideriamo la situazione attuale, dobbiamo riconoscere che difendere la vita oggi è diventato più difficile perché si è creata una mentalità di svilimento progressivo del suo valore», ha detto il Pontefice, secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa.
L’aborto, per il sommo pontefice, sarebbe una piaga, un flagello da combattere nella società . In particolare quella italiana.  Tralasciando per un attimo l’ legittimità di un tale intervento a gamba tesa nella legislazione di uno stato straniero come lo è l’Italia, per lo Stato Vaticano, va detto che si tratta di un’affermazione del tutto falsa. Trent’anni fa in Italia, secondo stime dell’Organizzazione mondiale della sanità(Oms), gli aborti erano circa un milione e duecentomila, oggi gli aborti legali sono circa centomila. Un decino di trenta anni fa. Un dato che parla da solo.  E  a trent’anni della sua approvazione,  la legge 194 continua ad essere una buona legge.

Le ricerche ufficiali dell’Istituto superiore di Sanità ( pubblicate ufficialmente, di anno in anno sul suo sito) dicono che , da allora, in Italia gli aborti legali sono diminuiti del 44%. E se poi  agli aborti legali si sommano quelli clandestini il calo risulta essere del 75% . In pratica si è passati dai circa 585mila aborti del 1982 ai 150mila del 2006. Ad abortire,  negli ultimi anni, sono state soprattutto le immigrate provenienti da Paesi dove l’aborto è vietato e mancano informazioni sulla contraccezione. Ma studi recenti ci dicono anche che quelle stesse immigrate, dopo qualche tempo che vivono in Italia, ricorrono meno all’interruzione di gravidanza e  al tempo stesso e fanno meno figli.

Così, in barba ai discorsi ideologici e assai poco scientificamente fondati del nuovo governo Berlusconi che, per bocca della sottosegretaria Eugenia Roccella chiede di fare un tagliando della legge 194, ci sentiamo di poter dire – insieme con la Federazione nazionale dell’Ordine dei medici – che la 194 è una buona legge. A distanza di 30 anni ancora solida e moderna.

A partire da quell’articolo 15 che raccomanda “l’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità psicofisica della donna e meno rischiose per l’interruzione di gravidanza”. Che implica già – per esempio – la possibilitàdell’aborto farmacologico, come tecnica meno invasiva per le donne, rispetto all’aborto chirurgico. Con buona pace di chi, come Francesco Storace quando era ministro della Salute, ha cercato di imporre in Italia una anacronistica e immotivata nuova sperimentazione della Ru486, un farmaco che è in uso in Europa da dieci anni ed è indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità fra i farmaci essenziali.
Ma c’è anche un altro aspetto di modernità della legge, che val la pena di ricordare: la 194 non fissa un limite temporale per l’aborto
terapeutico. Il legislatore nel ‘78 fu assai più avveduto e aperto di quanto ci prospetti il dibattito politico attuale. Basta pensare al recente indirizzo
applicativo della legge 194 raccomandato dalla Regione Lombardia. Il presidente Roberto Formigoni non si è limitato a  invitare le donne che abortiscono a fare il funerale all’embrione di poche settimane (il che potrebbe anche far sorridere chi, non del tutto ignorante, sa bene che a quello stadio si tratta di poco più che un agglomerato di cellule) ma pretende di fissare un limite all’aborto terapeutico alla 21esima settimana. O, tutt’al più, dalla 22esima e 3 giorni.

Decisione , proprio la settimana scorsa dichiarata illegittima dal Tar della Lombardia e che già molti ginecologi avevano definito “una  vera e
propria canagliata”, proprio perché in quel torno di settimane matura la possibilità di capire con più chiarezza, con gli strumenti diagnostici attuali,
la vera entità del deficit del feto. Ma soprattutto perché, come dimostra la moderna  neonatologia  solo intorno alle 24 settimane il feto comincia ad avere possibilità di vita autonoma, fuori dell’utero. Un seme di una pianta, caduto casualmente sul terreno, –  assicurano gli scienziati-  avrebbe più
possibilità di vita  di un feto che non abbia ancora raggiunto i sei mesi nella pancia materna.
Ma Ratzinger  insiste invocando – fuori da ogni realtà di scienza –  una tutela per l’essere umano, a suo dire, “già pieno e completo
fin dal concepimento, benché informe nell’utero materno”. “Essere informe – continua il papa- “sul quale si pone già lo sguardo benevolo e amoroso degli occhi di dio”. E così Giuliano Ferrara, mettendosi in scia con il suo capitano Achab di bianco vestito, ha varato la sua lista pro life, proponendo un’odiosa moratoria contro l’aborto – odiosa perché falsa , antiscientifica – in analogia con la pena di morte, mentre il premier  Berlusconi, facendo a chi la spara più grossa, ha annunciato già da alcuni mesi di voler addirittura cambiare lo statuto dei diritti dell’uomo suggerendo all’Onu di fare propria la tutela del diritto alla vita, fin dal concepimento.

E tutto questo mentre l’Europa va in tutt’altra direzione. Non solo i singoli Paesi come l’Inghilterra, la Spagna e perfino il Belgio, ormai all’avanguardia nella ricerca scientifica sulle staminali embrionali e sulla clonazione terapeutica. Ma  L’Europa tutta dopo che, alla metà di aprile, la Commissione Pari Opportunità del Parlamento Europeo ha proposto  con successo un documento per favorire l’accesso delle donne all’interruzione di gravidanza . In pratica il documento del Parlamento europeo  sollecita gli Stati membri del Consiglio d’Europa che ancora non l’hanno fatto – Andorra, Irlanda, Malta e Polonia – a depenalizzare l’aborto, ma denuncia  anche che , nei Paesi in cui l’aborto è legale, “le condizioni non
sono sempre tali da garantire alla donna l’effettivo esercizio di questo diritto”. Tra gli ostacoli indicati dal rapporto redatto dalla europarlamentare
austriaca del partito socialista Gisela Wurm: “la mancanza di dottori che accettino di praticare l’interruzione di gravidanza, i ripetuti e obbligatori
consulti medici, il periodo di tempo concesso per la riflessione e i lunghi tempi di attesa”. In più il rapporto approvato a larga maggioranza dalla
Commissione pari opportunità sottolinea anche la necessità di rendere  la contraccezione “facilmente agibile, anche dal punto di vista economico” e “di introdurre l’educazione sessuale e alla contraccezione nelle scuole”.

Per contrasto risultano ancora più netti i contorni del violentissimo attacco alla 194 in atto in Italia. Che poi, a questo punto possiamo dirlo, è un attacco all’identità stessa della donne e alla loro libertà. Ma in Italia non è faccenda di questo ultimo anno di storia, nonostante negli ultimi mesi si siano registrati fatti indegni di un Paese civile come il blitz della polizia nel reparto di ginecologia dell’ospedale di Napoli.

Volendo fare un minimo di storia  vadetto che la genesi di quello che stiamo vivendo oggi risale almeno al 2004, ovvero all’entrata in vigore della legge 40, sulla fecondazione medicalmente assistita. Ma a essere più precisi si potrebbe tornare più indietro ancora ovvero a quel febbraio 1999 quando nell’aula di Montecitorio una maggioranza trasversale approvò un emendamento alla proposta di legge sulla fecondazione assistita che introduceva il diritto soggettivo del concepito. «Questo significa che un embrione ha gli stessi diritti un bambino appena nato» disse
subito il capogruppo della Lega, Alessandro Cè.

Comunque la si pensi,questo fu un brusco cambio di rotta rispetto alle conquiste della legge 194. Basta ricordare per questo che la legge sull’aborto fu anticipata da una famosa sentenza della Corte Costituzionale del 1975 che chiariva, senza possibilità di equivoci, che non esiste equivalenza fra i diritti dell’embrione e quelli della donna. Quella sentenza, che rese possibile poi la 194, stabiliva una gerarchia fra donna e embrione a favore della prima e in nome della tutela della sua salute e integrità psico-fisica. Al contrario, la legge 40, che all’articolo 1 equipara l’embrione a una persona, basando poi, su questo punto, tutto l’ impianto di legge, riporta la donna a un medioevo in cui lei sarebbe un semplice contenitore di un’entità sacra, intangibile, il “concepito”.

Assunto fra le figure titolari di diritti. La legge 40, di fatto, considera l’embrione persona giuridica alla stregua dei soggetti già nati. Andando contro il nostro codice civile in cui “l’acquisizione di diritti è subordinata alla nascita”. Così la maternità  tornerebbe a essere un destino, non sarebbe più una scelta, maturata nel rapporto con un uomo, rapporto creativo non solo dal punto di vista del fare figli.  Dacché con la legge 40 la donna è costretta, per legge, a farsi trasferire in utero tutti anche gli embrioni  anche se malati, le è proibita l’ eterologa che perfino alla Madonna fu concessa, (come stigmatizzava una geniale copertina del settimanale “Diario” qualche anno fa che). Non sto a ricordarvi tutti gli assurdi e crudeli divieti contenuti in questa norma, mercé anche le sue linee guida, a cui l’ex ministro Livia Turco, in corner, negli ultimi dieci giorni del suo mandato ha cambiato solo alcune virgole. Tanto che a fronte della possibilità di accesso alle tecniche di fecondazione assistita da parte di coppie portatrici di malattie infettive come l’hiv resta ancora in piedi  il divieto di accesso alla fecondazione  assistita per  chi è portatore di malattie genetiche. Una storia di provvedimenti cavillosi  che affonda le radici, appunto, in quel 2005 che nonostante la valanga di firme per andare al
referendum, partorì quattro quesiti così arzigogolati e capziosi che,  cardinal Camillo Ruini o meno la gente ne fu scoraggiata. E questo gioco a confondere è oggi all’acme. Basta dare uno sguardo a come i media nazionali raccontano le vicende di cui stiamo parlando.  Con notizie  sugli anatemi del papa contro l’aborto, date prima di quelle che riguardano i provvedimenti del nuovo governo italiano.

Il lessico antiscientifico e le immagini comparse sulle maggiori testate italiane negli ultimi anni parlano di un bombardamento al napalm alla mente dei lettori, appena un poco distratti. Sui giornali di centrodestra c’è di che sbizzarrirsi da questo punto di vista. Purtroppo però non solo su quelle pagine. Si leggono quotidianamente articoli in cui si parla genericamente di vita, senza distinguere fra la vita di una pianta, di un animale e di un essere umano. Sono entrate nella routine  giornalistica locuzioni quotidiane icome “ dolce morte” per parlare di eutanasia o , ancora più impropriamente di testamento biologico.
Si parla di “tutela del concepito”, ma non è chiaro se questo “concepito” sia una morula, una blastocisti o cosa altro. In occasione dei fatti di Genova, e ancor più gravemente nel caso di Napoli, si è letto sui giornali un inaudito linciaggio pubblico delle donne che hanno abortito. Il Giornale, sulla scorta di Ferrara, ha scritto “un bambino ucciso per un reality”, quando si trattava di un aborto fatto a cinque settimane dall’inizio della gravidanza. Il corollario di sottotesto, del resto, pare, chiaro: le donne meglio a casa a fare figli. Il Foglio poi, ha fatto una campagna per la tutela della privacy
dell’embrione che  sarebbe disturbata dagli strumenti di diagnosi prenatale (resta da capire come il feto abbia potuto far sapere a Ferrara che si sentiva importunato) e ne ha fatta un’altra per denunciare un presunto dolore del feto, quando la scienza ci dice che a quello stadio non ci può essere che una reazione per riflesso e non in relazione a un sentire, dal momento che il feto non ha nessunissima attività psichica, che si realizza solo alla nascita.
L’Avvenire con i vari inserti di Scienza e vita diffusi capillarmente nelle parrocchie si è inventato la sindrome del boia, a cui sarebbero destinate tutte
le donne che abortiscono. Mentre la Ru486 viene chiamata pregiudizialmente, in modo del tutto antiscientifico, Kill pill dalla neo  sottosegretaria al
ministero del Welfare, Eugenia Roccella. E ancora nelle pagine sul recente caso di Pisa si leggevano articoli che confondevano la Ru486 con la pillola del giorno dopo (la Norlevo) che non è affatto un abortivo e sulla quale è illegale fare obiezione.
E ancora si legge di apparentemente democratiche proposte di “adozione degli embrioni orfani”, quando la parola adozione e l’aggettivo orfano afferiscono a un bambino, non certo a un agglomerato di cellule. Per non dire della bassa propaganda  vaticana che si sente sui media italiani quando ci si addentra nei temi che aprono al futuro della scienza. Un vero can can: per cui esperimenti di clonazione terapeutica, ovvero di trasferimento del nucleo di una cellula diventano esperimenti di una (del resto impossibile) clonazione umana. Gli embrioni ibridi (da cui anche Papa Woytila, pare, trasse giovamento) diventano immaginifici embrioni chimera. E questo con la complicità dei soliti,
emeriti esperti. Così il genetista Bruno Dallapiccola, fondatore di Scienza e vita ha definito “ammucchiata in provetta” gli esperimenti di alcuni
ricercatori britannici, che utilizzando materiale genetico (gameti e mitocondri) di tre soggetti con tecniche di trasferimento del nucleo, avrebbero
creato embrioni che potrebbero in futuro essere indenni dalle 40 e oltre malattie (epilessia, distrofia muscolare ecc.) ereditabili proprio dai difetti
del mitocondrio.  E pochi giorni fa si è letto: quindicenne obbligata ad abortire,  speculando sul caso di questa ragazzina che aveva già avuto una
gravidanza  a 13 e dunque bisognosa di aiuto. I giornali hanno preferito invece scagliarsi contro  la 194 che non prevede affatto l’aborto coatto. E via di questo passo. Scusate l’insistenza. E questo non senza la connivenza dei giornali di cosiddetta sinistra a cominciare da certi  specchietti riassuntivi
di Repubblica che vanificano qualunque tentativo l’articolista abbia fatto per argomentare la questione in termini di approfondimento. Ma mi viene in mente anche una storica copertina dell’Espresso che per invitare a votare quattro sì al referendum sulla legge 40 pubblicò in cover una serie di bambini racchiusi in provetta che avanzano come un esercito di homuncoli nello spermatozoo, proprio come nelle raffigurazioni medievali. L’immagine scelta dice il contrario del messaggio che, sulla carta, si vorrebbe far passare.

E qui veniamo al punto, forse il più doloroso, nel constatare le armi spuntate dei giornali nei confronti di questa massiccia campagna di disinformazione e, insieme, di colpevolizzazione delle donne rispetto all’aborto.  Dire “siamo tutte assassine”  certamente non ci offre strumenti di via d’uscita. In filigrana si può leggere: siamo tutte matte e nessuna è matta, a negare la realtà delle cose. Allora mi dico che non basta, per affrontare  la situazione in cui siamo venute a trovarci, il vecchio discorso del diritto all’autodeterminazione.  I tempi sono maturi ormai perché ci possano essere una consapevolezza e un sapere scientifico diffuso che ci permetta, finalmente, di liberarci dal giogo  di un senso di colpa lungo centinaia di anni.

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Ignazio Marino, la partita è ancora aperta

Posted by Simona Maggiorelli su settembre 25, 2009

di Luca Bonaccorsi e Simona Maggiorelli

Ignazio Marino

Ignazio Marino

Da medico ha permesso di fare chiarezza sul caso Englaro. Poi politicamente era inciampato sulla “questione morale” dello stupratore romano. Ma il chirurgo “americano”, il cattolico laicissimo, non si è scoraggiato e ha continuato a battersi. E non dà segni di voler cedere il passo.
Bersani oggi sembra avere la vittoria in tasca. La struttura del vecchio Pci sembra reggere e l’Opa sulla Margherita, l’operazione Pd, riuscire. Che segretario crede sarà?
Fossi in lui non sarei così sicuro. Il 25 ottobre, col voto alle primarie, il risultato potrebbe sorprendere. Bersani è vincente su 300mila votanti nei circoli. Non ci vuole uno scienziato per dire che i 4 milioni di persone, che mi auguro voteranno alle primarie, potrebbero esprimere un voto diverso. Comunque, se dovesse vincere speriamo faccia un partito inclusivo e non solo di una parte. Spero che pensi a un Pd laico, democratico e di sinistra. Che attragga le forze laiche che vogliono un Paese moderno.

I sondaggi la danno terzo. In tempi di “voto utile”, perché dovrebbero scegliere lei?
Perché sono l’unico che può dire dei sì e dei no. Chiari. Ed è importante perché il Pd deve avere un’identità. Pensate alla recente questione dei respingimenti in mare: il Pd rispose con tre posizioni diverse. Ma come fa un elettore a capire “cosa” vota, così? Noi siamo chiari e netti: no al nucleare, sì alle rinnovabili, no ai respingimenti, sì alle unioni civili, eccetera.
Se vince Bersani usciranno dal Pd i cattolici integralisti alla Binetti/Rutelli per formare un nuovo centro?
Non credo. Sono io quello incompatibile con personaggi come la Binetti, che ha già annunciato la sua uscita nel caso vincessi. Non ha mai detto che lascierebbe il Pd con Bersani. Comunione e liberazione ha appoggiato spesso Bersani, mai il sottoscritto. Bersani ha dalla sua gente come Letta che sul biotestamento vota con Berlusconi.
Cosa pensa del “grande centro cattolico” di Casini?
Non disturberebbe il Pd di Bersani che ha una visione anni 80, quella in cui le segreterie dei partiti fanno accordi e alleanze sulla testa degli elettori. Io immagino un Pd grande e aperto. In queste settimane ho incontrato un numero incredibile di persone che mi hanno detto: «Ero dell’Idv o socialista o repubblicano, mi sono iscritto al Pd per sostenerla». Lo fanno per la mia visione laica dello Stato. Il partito che immagino porta dentro di sé tutte queste energie e risorse. Io vorrei dentro i Socialisti, i Radicali.

Nella corsa per la segreteria c’è chi ha detto che la laicità “non basta” per dirigere un partito. La sua risposta è stata che la laicità è qualcosa di più ampio.
Conosco il sarcasmo su di me. Ma in questa campagna elettorale sono l’unico che ha sollevato con costanza temi come il diritto di cittadinanza per un bambino che nasce sul suolo italiano, il contratto unico di lavoro a tempo indeterminato con salario minimo garantito, il reddito di disoccupazione, il no al nucleare, la tutela dell’ambiente, la questione delle energie rinnovabili. Tante questioni puntuali su problemi che le persone oggi avvertono come importanti, a partire dal lavoro e dalla crisi economica. La questione della laicità non è il solo tema della nostra mozione. E poi la laicità non è solo un obiettivo, ma un metodo

In che cosa consiste un“metodo laico”?
Metodo laico significa che, quando si affronta un problema, ci si siede tutti intorno a un tavolo con l’idea che non si è portatori della verità. Vuol dire praticare il dubbio, cambiare idea. Dopo la discussione, “laico” significa impegno a sostenere con lealtà la linea che si è decisa insieme. Questo, fino a oggi, nel Pd è mancato.
Nel suo libro appena uscito per Einaudi Nelle tue mani scrive che il progresso della scienza oggi apre una sfida epocale. Ma norme come la legge 40 o il ddl Calabrò sul testamento biologico, in via di approvazione, legano le mani al medico, impedendogli di ricorrere alle terapie che ritiene più opportune.
Un medico oggi si trova ad affrontare sfide che prima non esistevano. Non solo la politica, ma tutta la società deve prepararsi a nuovi interrogativi. Ed è un bene, perché sono legati al fatto che la scienza e la tecnica stanno progredendo in modo straordinario. Rispetto al passato oggi disponiamo di tecniche che ci permettono di curare malattie che, solo quarant’anni fa, ci avrebbero fatto allargare le braccia rassegnati. C’era un solo modo per venire al mondo, si poteva fare poco per una coppia che aveva problemi di infertilità. Pochissimo si poteva fare se una persona smetteva di respirare o smetteva di nutrirsi. Oggi, per fortuna, esistono delle tecnologie che ci permettono di salvare tante vite. L’aspettativa di vita di una donna nata nel 1900 era di 45 anni, quella di una bambina del 2009 è quasi di 85 anni, una differenza straordinaria. Dovremo essere preparati a rispondere agli interrogativi di natura etica che il progresso della tecnica e della scienza ci pongono. Già oggi ci sono quelli che riguardano la ricerca sulle staminali, la possibilità di far nascere un bambino sano da una coppia che abbia delle malattie trasmissibili geneticamente. Sono le sfide intellettuali e culturali della nostra modernità.
Ma un Parlamento può dare delle risposte su questi temi a prescindere da ciò che dicono i medici?
Un Paese può decidere di non darsi una legge su una materia, ma quello che non può fare è darsi una legge che riguarda la scienza e la sanità senza tener conto dell’opinione scientifica e dell’opinione dei medici. Un’ovvietà? Non nel nostro Paese.
«Il dovere del medico – scrive nel nuovo libro – è non accanirsi. Deve sapersi fermare quando non c’è più nulla da fare anche se questo provoca sconforto». Ma lei racconta anche di una ragazza anoressica che rifiutava l’alimentazione artificiale. Un caso ovviamente del tutto diverso da quello di Welby e ancor più da quello di Eluana. Che cosa potremmo dire riguardo alla sospensione di terapie in questi tre casi?
Tre casi assolutamente differenti. Piergiorgio Welby, dopo molti anni di assistenza con un respiratore automatico, essendo arrivato a un punto in cui non poteva più nemmeno controllare la tastiera di un computer, dopo aver riflettuto e discusso tanto, dopo aver scritto una lettera al presidente della Repubblica piena di riflessioni profonde, decise di non avvalersi più di una tecnologia che riteneva “sproporzionata”. Anche senel Pd in molti, come Rosy Bindi e Paola Binetti, hanno detto che era eutanasia io penso invece che fosse un caso di libertà di scelta rispetto a una terapia. Una persona deve avere il diritto di scegliere se vuole utilizzare una terapia oppure no, l’esistenza di una tecnologia non deve costituire l’obbligo a usarla, come vorrebbe questo governo di destra con la legge sul biotestamento; una legge che rende obbligatorie idratazione e alimentazione artificiale a tutte le persone che entrano in uno stato di incoscienza. Welby era in una situazione in cui poteva e aveva il diritto di accettare o rifiutare le terapie. Una giovane donna anoressica che rischia di morire perché non si nutre è in una situazione diversa, perché ha un problema di natura psichica che dovrebbe essere affrontato con tutte le risorse possibili, aiutandola a superare la malattia. Qui bisogna usare tutto ciò che la medicina mette a disposizione per convincere la persona a curarsi. Comunque, non credo che una persona debba essere obbligata a una terapia. Per esempio non penso che una persona anoressica o un testimone di Geova che rifiuta una donazione di sangue per motivi religiosi debbano essere curati forzatamente.
Ma per certi casi è previsto il trattamento sanitario obbligatorio. E se Welby non poteva essere curato, e la morte sarebbe comunque sopravvenuta di lì a poco, diverso è il caso della ragazza anoressica che poteva essere curata con una terapia psichiatrica.
Io non sono uno specialista di malattie psichiche e nel libro scrivevo appunto della mia frustrazione di chirurgo, nel non saper aiutare qualcuno che volevo aiutare con tutto me stesso.
La Cei, il papa ed esponenti della Chiesa intervengono quotidianamente nel dibattito pubblico italiano su questioni bioetiche e sulle leggi. Ruini ha più volte ripetuto che la visione dell’uomo espressa dalla religione cattolica è un’antropologia e descrive la verità dell’uomo. Lei da medico cosa ne pensa?
Dal tempo di Galileo abbiamo appreso che tante verità sono relative.Da credente mi sento di dire che c’è una differenza fra la dottrina rivelata, le parole che può aver pronunciato Gesù e l’interpretazione che il mondo scientifico dà della natura; interpretazione che evidentemente evolve sulla base della nostra conoscenza. In altre parole io non credo che costituisca un problema il fatto di ambire a una conoscenza che si sviluppi continuamente. Un passo della prima lettera di San Paolo agli apostoli dice: «Conoscete come sarete conosciuti». Anche nella tradizione cristiana la conoscenza viene indicata per l’umanità come un bene supremo e quindi penso che conoscere di più ciò che ci circonda non debba mai costituire un problema. Semmai il problema può nascere dal modo in cui decidiamo di disporre di quella conoscenza.
Allora prendiamo l’esempio concreto del papa che in Africa scoraggia l’uso del preservativo. In un contesto in cui potrebbe salvare milioni di vite. Come commenta quelle prese di posizione che fanno inorridire i laici?
Non è mio costume commentare le affermazioni del papa. Per me non c’è contraddizione tra scienza e fede. Da medico, per me la risposta a certi quesiti è chiara. Ma capisco anche che nella Chiesa su molte questioni c’è un dibattito aperto.
Eppure gli esempi di contrasto tra scienza e religione abbondano. Prendiamo la disputa sulla natura dell’embrione, se questo sia o no persona. I medici, anche alla luce delle più recenti scoperte psichiatriche e di neonatologia, sanno ormai che solo intorno alla 24esima settimana il feto sviluppa una “possibilità” di vita autonoma, ma che solo alla nascita si attiva il cervello, nasce il pensiero, e si può parlare finalmente di persona. Lei, da medico, cosa ne pensa?
Voi tirate in ballo questioni complesse che riguardano la scienza, la filosofia, la religione e i rapporti tra queste. Direi solo che all’interno della comunità scientifica ci sono ancora posizioni diverse sul tema. Personalmente io non mi sento di immaginare una nuova vita se non c’è nuovo Dna. Per me le cose cambiano dal momento in cui avviene la fusione dei patrimoni genetici.
Ma questo accade prestissimo. Vuol dire di fatto che l’aborto è un omicidio.
Io credo che l’aborto sia sempre un dramma per una donna. E che si debba fare il possibile per evitarlo. Ciò detto, è fuori di dubbio che uno Stato laico deve avere una legge sull’aborto. Io mi sono laureato negli anni 70, prima che fosse legale. Ricordo bene le donne che arrivavano in ospedale distrutte dalle mammane. Non possiamo certo tornare a quelle aberrazioni, la salute delle donne è più importante.

da Left-Avvenimenti 25 settembre 2009

Il nostro diritto di scegliere

Qando aveva 36 anni Ignazio Marino era un chirurgo del centro trapianti di Pittsburgh e aveva 50 medici, infermieri e tecnici da coordinare per rispondere alla disponibilità improvvisa di un organo. «Nei trapianti – spiega Marino – non basta la perizia del chirurgo. Deve funzionare al meglio anche la macchina organizzativa». Ma quella notte del 1991, quando arrivò la telefonata, Marino aveva già molte ore di lavoro sulle spalle e non c’era chi potesse sostituirlo in sala operatoria. «Che fare? – si domandò – Avrei dovuto rinunciare a un organo e alla possibilità di salvare la vita di un paziente?» Così alle quattro decise di far arrivare in ospedale il paziente che, rispetto agli altri, era in condizioni complessive migliori, non sentendosi la forza e la lucidità per casi più complessi. La mattina dopo, ricorda Marino nel suo nuovo libro Nelle tue mani (Einaudi) lo tormentava il pensiero di aver scelto un malato piuttosto che un altro in base a fatti personali. Fu il direttore del Centro trapianti a dirgli: «Ma ti sei visto in faccia? Se tu avessi deciso di operare un paziente grave, in una situazione così complicata, non gli avresti salvato la vita comunque».
Scienza e rapporto con la realtà. Idee chiare e responsabilità di decidere. Queste cose fanno parte ogni giorno del lavoro medico. Nel libro che il senatore del Pd presenta a Torino spiritualità il 27 settembre (in Palazzo Carignano alle 18) di casi in cui un chirurgo si trova necessariamente solo nel decidere ne racconta molti. Interrogandosi su quale sia il confine che, in una terapia, un medico non può comunque valicare. Alla luce della sua esperienza di  chirurgo e dopo due anni di appassionata battaglia a favore di una legge sul biotestamento, oggi Marino ribadisce che «la volontà della persona circa le terapie a cui sottoporsi o meno deve essere rispettata». Salvaguardando il diritto di autoderminazione. Un diritto minacciato dal ddl Calabrò approvato dal Senato e in discussione alla Camera. Un testo di legge che, come ha più volte denunciato, va contro la letteratura scientifica considerando idratazione e alimentazione artificiale come sostegni vitali e non come terapie mediche. Ma forse, avendo a cuore una legge progressista sul biotestamento, il legislatore dovrebbe prestare orecchio anche agli psichiatri che avvertono: bisogna non sottovalutare la possibilità che il rifiuto delle terapie da parte del paziente sia legato a una patologia mentale.

dal quotidiano Terra 25 settembre 2009

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Cattivi medici. Per legge

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 4, 2005

Luca Gianaroli: «Questo governo ci costringe alla malasanità»

di Simona Maggiorelli

C’è un sinistro spot che circola in rete. Un messaggio di smaccata propaganda. S’intitola Ancora un referendum contro la vita, ed è pieno zeppo di assurdità del tipo: l’impianto di tre embrioni (sani o malati che siano) giova alla salute della donna; la diagnosi genetica preimpianto non è un esame scientifico, tutto ciò che è artificiale è contro natura e via di questo passo. Mentre in primo piano scorrono immagini da manuale di medicina medievale con un omuncolo disegnato al computer, che miniaturizza le fattezze umane, chiamato di volta in volta, indifferentemente,“embrione”, “feto”, “bambino”, come se queste parole indicassero realtà equivalenti. È uno spot che via mail è arrivato a mezzo milione di italiani. Su questo che ci appare come l’ennesimo tentativo di confondere da parte di chi antepone la propria fede alla scienza,nell’avvicinarsi del referendum del 12 e 13 giugno, abbiamo chiesto lumi al professor Luca Gianaroli, direttore della società italiana di medicina riproduttiva, che di fecondazione assistita e di ricerca si occupa da  25 anni, in Italia e all’estero.

Facciamo un po’ di chiarezza professore, che cos’è l’embrione?
«Da un punto di vista strettamente scientifico è quell’entità in via di sviluppo che si ha 24 ore dopo la fertilizzazione. E bisogna dire anche che nei primi 14 giorni l’embrione nell’utero non dà segno di sé. Il fatto mistificatorio, in primis, riguarda la parola “concepimento”: prima delle tecniche di fecondazione in vitro, si riferiva al momento in cui la donna, con il ritardo mestruale, sapeva di essere incinta. Dopo la nascita, nel 1978, di Louise Brown, la prima bambina nata con la procreazione medicalmente assistita, si è cominciato a istillare nella mente della gente l’idea che il concepimento coincidesse con il momento in cui l’uovo viene fecondato. Dimenticando che la cellula fecondata non ha un patrimonio suo, autonomo. Tanto è vero che, nei giorni successivi, l’embrione si può dividere in due dando origine a due gemelli. Ma può anche trasformarsi in carcinoma: uno dei tumori più invasivi e distruttivi della donna. Dunque, dire che la cellula uovo fecondata sia un individuo è un errore grossolano, perché quella  cellula può diventare tutto: un tumore, un aborto, può diventare nulla. Sia  nel caso di fecondazione naturale che artificiale, c’è solo un 15 per cento di possibilità che quella cellula diventi embrione e poi individuo».

C’è chi sostiene che prima di 24 settimane non si possa parlare di individuo, perché il feto non può vivere fuori dall’utero. Che ne pensa?
«Non entro nel merito perché a questo livello ci potrebbero anche essere concezioni diverse. Ma tengo a ribadire che il pensiero che la cellula uovo fecondata sia una persona è assolutamente sbagliato. Su questo assunto non vero si basa la convinzione che la cellula debba essere salvaguardata vietando la fecondazione assistita».

Ma le tecniche non si limitano a riprodurre in vitro ciò che avviene in natura?
«Veniamo al punto. Una coppia fertile ha il 20-25 per cento di possibilità di concepire ogni mese. I circa 500mila bambini che nascono in Italia con rapporti naturali sono il prodotto di 2 milioni e mezzo di embrioni, di cui 2 milioni vanno persi all’interno dell’apparato genitale. È patetico pensare che la cellula uovo fecondata che i medici trasferiscono nell’utero venga “buttata via” se non s’impianta. Si tratta di un evento naturale. Senza contare che spesso l’ovulo fecondato ha tali anomalie cromosomiche da non potersi in nessun caso sviluppare. Esattamente come succede in natura. Le persone devono capire che la cellula uovo fecondata non è sinonimo di bambino. Nei nostri laboratori la cellula segue la stessa strada che seguirebbe per vie naturali».

Quanto è importante la diagnosi genetica preimpianto?
«Questo tipo di diagnosi è nata per ridurre il più possibile la sofferenza delle coppie. Fino a un anno fa, prima che la legge 40 bloccasse tutto, eravamo fra quelli che ne avevano eseguite di più. Nei nostri laboratori al Sismer venivano pazienti che avevavo abortito 2, 4, 5 volte pur di non mettere al mondo dei bambini gravemente malati. Piccoli che nel giro di un anno erano destinati a morire. Ci sono malattie genetiche che portano alla morte nel giro di 6 mesi. Ci sono anomalie cromosomiche per cui una gravidanza naturale abortisce al quinto e sesto mese. Non è assolutamente pensabile che si possa abolire una metodica come la diagnosi preimpianto che riduce gli aborti, limitandosi solo a non trasferire quelle cellule che con molta probabilità non avrebbero nemmeno la possibilità di impiantarsi».

La legge 40 proibisce l’eterologa, negando a persone malate di poter ricevere i gameti da donatori esterni alla coppia. Con quali conseguenze?
«In tutti i paesi europei è ammessa l’eterologa. Solo in Italia è proibita. Così le coppie vanno all’estero e non si rivolgono più al medico di fiducia, nemmeno per dei consigli. Del resto la nuova legge ci proibisce anche di dare informazioni. Molti cercano su internet, trovando di tutto. Cominciamo già adesso a vederne le conseguenze con disgrazie e incidenti di percorso, che tornano ai nostri medici. E una paziente che riporta dei danni come conseguenza di trattamenti fatti in centri di paesi lontani, come può denunciare il proprio caso ed avere, almeno, un risarcimento? Mentre al sistema sanitario italiano resta solo la cura della complicanza».

Si assiste anche a una fuga all’estero dei nostri scienziati?
«Inevitabilmente. Il problema è ancora poco sentito. Ma, se le cose non cambieranno, diventerà un fatto serio. La nostra sarà sempre più una comunità scientifica che non cresce, potendo confrontarsi solo con se stessa. In nessun altro paese al mondo un medico è costretto a fare quello che questa legge ci obbliga a fare, causando perdite di tempo e denaro alle coppie. Nel frattempo chi si è impegnato a lungo nella ricerca si troverà le porte chiuse di riviste internazionali, di certo non interessate a pubblicare studi arretrati. E sappiamo bene che ciò che tiene alta la dignità del ricercatore sono le sue pubblicazioni scientifiche».

Come può un medico che opera secondo “scienza e coscienza” trasferire in una paziente tre embrioni anche se malati?
«I medici finiscono in prima pagina quando fanno errori o si suppone che li facciano. Ma oggi noi abbiamo una legge che ci costringe ogni giorno a fare della malasanità, ed è drammatico. Trovarmi a lavorare a scartamento ridotto dopo che per 25 anni, con sforzi enormi, le ricerche sono avanzate, mi sembra terribile. Come medico, poi, ho trovato particolarmente umiliante che il nostro consenso informato fosse redatto dal ministero di Grazia e Giustizia e non solo da quello della Salute. Significa che non si ha la minima fiducia nella medicina e nella ricerca».

Dall’entrata in vigore di questa legge si sono ridotte le nascite?
«I dati riferiscono un calo del 10-15 per cento, se non di più. Quando in Italia ormai eravamo arrivati al punto che in ogni classe di 30 bambini ce n’era uno concepito con la fecondazione in vitro. Oggi c’è anche un forte aumento dei costi e dei cicli di trattamento. Un enorme dispendio di energia e di denaro, se si considera che si parla di coppie nel pieno dell’età lavorativa, costrette a prendere armi e bagagli per andare all’estero. Oppure, in Italia, obbligate a ripetere più e più volte i trattamenti. Per quale scopo poi? Solo per poter dire che la cellula uovo fecondata è “uno di noi”. Con un assunto che non corrisponde al vero. È raccapricciante».

Che fine faranno gli embrioni congelati?
«La legge, o meglio le linee guida, permettono di scongelare quelli conservati prima della sua entrata in vigore. Ma si determina un effetto paradossale. Una volta le coppie che volevano un altro figlio o quelle che, non avendone avuti, volevano riprovarci, tornavano a chiederci di poter riavere i propri embrioni congelati. Contrariamente a quello che si sente dire oggi, la crioconservazione nacque nel tentativo di salvaguardare un patrimonio genetico che avrebbe potuto avere un ruolo per la coppia. Oggi chi potrebbe tornare a chiederli, non lo fa, forse per paura. Coppie con due o tre embrioni conservati, preferiscono piuttosto andare all’estero e ricominciare tutto il ciclo di trattamenti da capo».

Di recente l’Accademia dei Lincei si è pronunciata a favore della ricerca sugli embrioni già congelati e non più richiesti. Che destinazione avranno?
«Se le cose non cambieranno, come ha stabilito Girolamo Sirchia quando era ministro, dovranno essere inviati attraverso l’Istituto Superiore di Sanità a un centro di conservazione di Milano, noto nel settore trasfusionale, ma che non ha il know how della crioconservazione degli embrioni e dei gameti».

Verranno utilizzati per fare ricerca come ha sostenuto Sirchia stesso?
«E come? Per poter fare ricerca su così poche cellule occorrono tecniche sofisticatissime, ma questi materiali vengono allontanati dai nostri centri attrezzati a farla. Ricerca, non dimentichiamolo, che la legge 40 proibisce. Ma che poi permette con un decreto ministeriale. È il festival della contraddizione».

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