Articoli

Posts Tagged ‘Museo Egizio’

Ma la vera chimera è il museo

Posted by Simona Maggiorelli su gennaio 21, 2006

Simona Maggiorelli

“La Costituzione non è un ferrovecchio. e l’articolo 9 che parla di tutela non è fra i meno importanti». La denuncia di Salvatore Settis è dura e precisa. Dalle pagine di Repubblica e, dal vivo, nel ciclo di conferenze sul papiro di Artemidoro che sta facendo in giro per l’Italia (il 26 gennaio sarà a Roma), il professore punta il dito sulla deriva del sistema dei beni culturali. «Fra lotte di potere, spartizioni, favoritismi che alimentano il gigantismo burocratico del ministero» e sempre più scarsi interventi sul territorio, con le soprintendenze locali messe in ginocchio da continui tagli, «il ministero – avverte Settis – diventa un mostro con una testa sempre più grande e un corpo sempre più gracile». E spesso, come accade al Museo Egizio di Torino, il rimedio rischia di essere peggiore della male: con la trasformazione della struttura pubblica, in fondazione privata, guidata da un consiglio di amministrazione senza nemmeno un egittologo. Ma il caso del primo museo archeologico italiano, intorno al quale si è acceso, finalmente, un ampio dibattito, è solo la punta di un iceberg di crisi che tocca anche molti altri prestigiosi musei italiani, se non ancora svenduti a fondazioni, abbandonati a se stessi.

Prova ne è lo stato in cui versa l’archeologico di Firenze, per importanza il secondo museo egizio d’Italia. Con una vasta collezione darte greca, etrusca e romana mediceo-lorenese.Qui è conservata la potente Chimera del V, VI secolo avanti Cristo, scoperta nel 1553 e restaurata dal Cellini. Ma anche la statua bronzea del nobile etrusco detto l’Arringatore. E poi il grande cratere di Ergofimos dipinto da Kleitiras, l’idolino ritrovato nel ‘500 e le teste di filosofi greci ripescate dalle acque della Meloria. Mentre decine di opere e reperti di questo museo, per mancanza di spazi e di sale attrezzate, restano stipate, nei depositi. Da anni si parla del restauro delle sale in piazza Santissima Annunziata per dare respiro alla collezione conservata nella storica di via della Colonna. Ma quelle sale che ospitarono i restaurati bronzi di Riace non sono state più riaperte al pubblico. E sono trascorsi venticinque anni. «Non c’è stato nessun impegno serio di investimento da parte del ministero, questo è il punto, e le risorse della soprintendenza sono ridotte all’osso», denuncia la direttrice Carlotta Cianferoni. Che da qualche settimana è anche, ad interim, soprintendente dei beni archeologici della Toscana. Per non lasciare scoperto il ruolo lasciato da Angelo Bottini da quando è stato trasferito a Roma per prendere il posto di Adriano La Regina. Intanto nello storico museo fiorentino, fondato nell’Ottocento e sopravvissuto al disastro dell’alluvione del ’66, i disagi e i problemi si assommano. Le 50mila persone che, all’anno, visitano il museo (gli Uffizi e l’Accademia ne hanno circa un milione) sono costrette a un percorso a ostacoli. Nei giorni di festa trovano la porta chiusa. D’estate poi il clima torrido delle sale sconsiglia del tutto le visite. «Quest’anno non abbiamo potuto accendere i condizionatori – racconta costernata la direttrice -. Il motivo è banale: mancavano i soldi». E quanto a un orario più in sintonia dei musei d’Europa? «Non abbiamo abbastanza personale. Siamo sotto organico di almeno un venti per cento -racconta-. Su 39 custodi, almeno 12 sono precari. Gli altri, per lo più part time». Di nuove assunzioni, poi, neanche a parlarne: sono bloccate da anni. E in queste condizioni diventa davvero difficile fare progetti di valorizzazione del patrimonio. Ma la soprintendente non si arrende. «Abbiamo appena riaperto il laboratorio di restauro – rilancia — e fra qualche mese potremo riaprire il secondo piano, riallestendo una parte delle collezioni medicee. Insomma qualcosa si riesce a fare, anche se il museo avrebbe bisogno di interventi ben più strutturali, in vista di un rilancio. Ma – avverte Cianferoni – i problemi più grossi restano per la soprintendenza. Il nostro ruolo di controllo sul territorio è a rischio. Sono molti gli scavi, i cantieri da ispezionare, ma solo nei casi più urgenti riusciamo a mandare i nostri tecnici». E su questo il governo drammaticamente tace. Nessuna risposta dal ministro dei Beni culturali Rocco Buttiglione. Mentre curiosamente si fa sentire il ministro Alemanno, lanciando un’idea per fare cassa: trasformare i bookshop in supermercati. L’iniziativa è già partita agli Uffizi. Fra le monografie di Botticelli, di Leonardo e di Michelangelo spuntano il Brunetto, l’olio Laudemio, il vin santo, l’aceto, la grappa. E 54 etichette di vini, acquistabili anche on line. La gestione è affidata a Buonitalia, una società creata dal ministero delle politiche agricole per valorizzare i prodotti dell’agroalimentare italiano. Quando si dice che il cibo è arte.

Europa, 21 gennaio 2006

Pubblicità

Posted in Politiche culturali | Contrassegnato da tag: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , | Leave a Comment »

All’incanto

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 19, 2004

Il presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi e l'archeologo Salvatore Settis

Il presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi e l'archeologo Salvatore Settis

A maggio entra in vigore il nuovo codice dei beni culturali voluto da Urbani. Iniziano i saldi di fine Paese. Il nostro patrimonio ceduto al migliore, ma mica tanto, offerente Salvatore Settis: “In 120 giorni le soprintendenze dovranno rispondere se un bene potrà essere venduto. Se tacciono è come se dicessero sì. Ma senza personale e con pochi fondi è difficile che riescano a fare il loro lavoro” di Simona Maggiorelli

Il primo maggio entrerà in vigore il nuovo codice dei Beni culturali voluto dal ministro Urbani e tra pochi giorni inizieranno ad apparire sui giornali gli avvisi di vendita e di aste per la cessione di beni del patrimonio pubblico. In una previsione del Demanio, ancora approssimativa, si parla di oltre 15mila immobili. Le soprintendenze territoriali, già acciaccate da tagli e accorpamenti e, sotto organico, saranno intasate dal lavoro. Su di loro pende la spada di Damocle del silenzio-assenso. Ogni mancata risposta al Demanio verrà letta, così dice la legge, come un via libera alla vendita. Le associazioni ambientaliste, esperti e storici dell’arte denunciano, da più parti, il rischio di dismissioni selvagge. Qualche assaggio si è già avuto lo scorso dicembre con la cessione della Manifattura tabacchi di Firenze. L’ha decisa il ministro Tremonti per decreto, senza consultare il ministero dei Beni culturali. “Alla vigilia della sua entrata in vigore il nuovo codice destava parecchia preoccupazione – spiega Salvatore Settis, direttore della Normale di Pisa, uno dei cinque consulenti di Urbani per la tutela dei beni culturali e autore del polemico volume, Italia Spa – Assalto al patrimonio culturale -. Abbiamo temuto che per beni non si intendesse più ” tutto ciò che ha un interesse culturale”, ma soltanto ciò che ha “un interesse culturale particolarmente importante”. Così si sarebbe potuto considerare importante il Colosseo e magari non una tomba sulla via Appia. Per fortuna il testo è stato corretto in più punti. Ma restano, ancora, diverse ombre”.

Per esempio?
Il confine incerto fra le competenze dello Stato e quelle delle Regioni. Si è adottata una via molto fumosa: allo Stato spetta la tutela e alle Regioni la valorizzazione. Una distinzione senza capo né coda. Che non ha luogo in nessun paese al mondo. Ma bisogna anche dire che molto si deve alla modifica del Titolo V della Costituzione, di cui la responsabilità politica va al precedente governo. Il presidente della Consulta ha ammesso, di recente, che la metà del lavoro della Corte riguarda l’interpretazione di questo titolo, il che vuol dire che la riforma è stata fatta veramente con i piedi.

Perché si è scagliato contro la norma sul silenzio-assenso? Eppure Urbani dice che con questo meccanismo aumenteranno le tutele.
“Ma no. Questo è un meccanismo molto negativo inserito il gennaio scorso su indicazione del ministro dell’economia Tremonti. Un modo per favorire le vendite. Alle soprintendenze spetterà dire se un bene che il Demanio vuole vendere abbia un valore culturale oppure no. Ma se la soprintendenza non risponderà entro 120 giorni, il silenzio verrà interpretato come un assenso alla vendita”.

Il nuovo codice ridisegna le soprintendenze. Che ruolo avranno?

“Il codice, di fatto, non stabilisce nulla in materia. Ma dà alle soprintendenze tantissimi compiti. Per rispondere entro i tempi stabiliti alle richieste di valutazione ci vorrebbe un adeguato personale. Invece le soprintendenze, da 20 anni a questa parte, stanno perdendo dipendenti. Nei cinque anni del centrosinistra sono state assunte circa 300 persone, a fronte di 3000 dipendenti che, nel frattempo, sono andati in pensione. Di questo passo la situazione diventerà ingestibile. Il ministro Urbani sta approntando un decreto che riordina tutta la materia delle soprintendenze. Ma ci sono aspetti che io trovo molto criticabili. Si continua a moltiplicare il numero delle posizioni di vertice, mentre diminuisce quello delle soprintendenze territoriali. Le posizioni di vertice erano quattro nel 1998. Con il ministroGiovanna Melandri, sono diventate nove. E adesso sono 15. La tutela si fa nelle soprintendenze territoriali, si fa sul luogo stesso, non a Roma nei corridoi dei ministeri. Le posizioni di vertice hanno stipendi elevati, così si depauperano le finanze del ministero, mentre sul territorio ci saranno sempre meno persone”.

Un quadro abbastanza fosco quello delle soprintendenze locali, stipendi bassi, pochi addetti, ridotti quasi a far volontariato…
“È così. Gli stipendi di chi lavora in soprintendenza non sono per nulla competitivi. E spesso si tratta di persone molto preparate. Se lavorassero in un museo americano, con le stesse mansioni, sarebbero pagati almeno 7 o 8 volte di più.”

Il sistema americano in Italia viene spesso citato astrattamente. Lei che è stato responsabile del Getty di Los Angeles che ne pensa? È davvero un modello da inseguire?
“Conosco il sistema americano, gli ho dedicato sei anni della mia vita. Per certe cose mi piace, per altre no. Apprezzo, ad esempio, il rapporto che gli americani hanno con la loro Costituzione: prima di metterci le mani ci pensano su parecchio. Da noi, invece, la Carta è diventata come una sorta di leggina che si può cambiare a piacimento. Per quanto riguarda i musei in senso stretto, non credo siano un modello esportabile in Italia. Le condizioni sono completamente diverse. Il Metropolitan Museum o il Getty non hanno nulla a che fare con il territorio circostante. Si va al Metropolitan per vedere un Tiziano, ma quando si esce per le strade di New York non c’è niente che gli corrisponda. Non è così a Venezia”.

Dunque?
“Il rapporto museo territorio da noi è un nesso stringente. Non è stata una scelta felice quella del ministro Melandri di creare i cosiddetti poli museali svincolati dal territorio. Non è mai stato così nella nostra storia. E poi i musei americani sono quasi tutti privati. E in Italia, per ingenuità, ma credo anche per disinformazione, quando si parla di gestione privata si pensa subito che il museo funzioni come una azienda e faccia profitti. Non è così”.

Il Getty o il Moma come si reggono?
“Il Getty spende ogni anno 200-250 milioni di dollari e ne incassa circa 1000. Certamente non è la biglietteria che lo fa andare avanti. Mister IL Getty ha circa 7 miliardi di dollari investiti in borsa. Con gli utili che producono viene tenuto in vita il museo. Quando sento dire facciamo degli Uffizi una specie di Getty mi viene da ridere, perché gli Uffizi sono grandi almeno 30 o 40 volte il Getty Museum e non hanno fondi investiti o investibili”.

I giornali economici dicono che nel 2003, su cinque milioni di imprese italiane, solo 571 hanno usufruito della norma delle erogazioni per i beni culturali. Tutti ignoranti o non ci sono gli strumenti adeguati?
“Ecco, come si fa a pensare di poter trasformare gli Uffizi o altri musei italiani in musei privati o retti da privati? E poi bisogna studiare la storia. In Europa, e in particolare in Italia, i musei nascono dallo Stato, prima dai sovrani poi dalla Repubblica, ed è lo Stato che ne assicura la vita perché sono dei servizi. L’America è troppo giovane per avere questo tipo di passato, fino al 1900 non c’era nessun museo importante. Da quella data in poi grandi mecenati hanno cercato di creare una grande rete dei musei, sostituendosi allo Stato. Insomma il modello americano da noi è un’assoluta impossibilità istituzionale ed economica e stupisce vederlo citato anche da persone che dovrebbero essere informate”.

Se dovesse pensare a come rilanciare i musei italiani da dove partirebbe?
“Innanzitutto dalla ricomposizione di quel nesso museo-territorio di cui dicevamo. Parlando degli Uffizi, è assurdo che facciano capo al polo museale fiorentino, mentre Palazzo Vecchio e le chiese cento metri più in là rispondano ad altri. Bisognerebbe creare più semplicemente una soprintendenza “città di Firenze”, una “città di Roma” e così via. E fare in modo che godano di larga autonomia. Bisognerebbe in primo luogo incrementare il finanziamento pubblico e al tempo stesso incoraggiare le donazioni private mediante un sistema di defiscalizzazione totale. Tentando un circolo virtuoso fra i due. Puntando non solo sul grosso personaggio che regala dieci quadri, ma anche sul singolo cittadino che dà cento o mille euro”.

Incoraggiare le donazioni ma non le speculazioni private?

“Quando si pensa a delle imprese private che entrano in un museo per guadagnarci, bisogna anche considerare che chi ci guadagna non incrementa i finanziamenti del museo”.

E con le attuali situazioni d’impasse? Per restare in tema il corridoio vasariano a Firenze, con tutto ciò che contiene, è chiuso al pubblico e probabilmente lo resterà ancora a lungo, nonostante i buoni propositi.
“Ovviamente bisogna cercare un maggiore dinamismo. Il corridoio vasariano che è una delle cose più belle, non solo di Firenze, ma al mondo, dovrebbe essere riaperto. So che c’è un progetto. Per realizzarlo occorre più personale e trovare una gestione che non tratti i musei in maniera polverosa.

In questo quadro qual è il ruolo delle fondazioni? La trasformazione del Museo Egizio in fondazione ha suscitato parecchie polemiche.
“Le fondazioni, io credo, vadano viste una per una. La situazione del museo egizio così come si presenta oggi, non mi piace. Quello è un caso in cui ci sono ben due fondazioni bancarie. L’esordio credo sia stato di 70 milioni di euro fra tutte e due. Il tipo di marchingegno che è stato creato fa sì che la fondazione inghiotta il museo. È inaccettabile che ci sia un consiglio di amministrazione composto da 9 persone di cui uno solo rappresenta la struttura delle soprintendenza. Lo Stato, che dà due o tre miliardi di euro con tutti gli oggetti del museo, dovrebbe avere la maggior parte del consiglio di amministrazione. Invece si mette in minoranza. Ora uno Stato che si mortifica, si genuflette per 70 milioni di euro, a me non piace. Io credo in uno Stato forte che negozia con i privati. Sono anche per un ruolo molto propositivo dei privati, ma non così”.

Allora cosa pensa del condono e della sua proroga?
“Lo considero una sciagura nazionale. È uno degli atti contraddittori che questo governo ha fatto, oltretutto dopo un mese o due che il ministro Urbani ha varato una legge sulla qualità architettonica. Non si può proteggere la qualità architettonica e insieme condonare qualsiasi orrore. Sono due concezioni completamente opposte. Il condono, fra l’altro, pare abbia prodotto un gettito inferiore a un quarto di quanto si attendeva. Non ho verificato questa cifra, ma al di là del possibile incasso penso sia un modo assai sbagliato di affrontare i problemi. Ne esce un discorsetto di questo genere: esistono delle regole, ma non importano più nulla se serve a fare cassa. Quando Craxi, nell’84, varò il primo condono, si disse che era una tantum. Da allora si è concesso altre due volte. Ormai tutti hanno la quasi certezza che ogni 5 o 6 anni ci sarà un condono e questo incoraggia gli abusivi.

(*) SALVATORE SETTIS: professore ordinario di storia dell’arte e archeologia classica, è direttore della Scuola Normale di Pisa. Dal 1994, per sei anni, è stato direttore del Getty Center Research Institute a Los Angeles e, l’anno scorso, è stato fra i cinque saggi a cui il ministro Urbani ha chiesto una consulenza sui temi della tutela. Fra i suoi tanti scritti, i saggi su Giorgione, sulla colonna Traina e sull’evoluzione del canone della pittura, fra sfumato e disegno, fra ‘400 e ‘500. Nel 2002 ha pubblicato il pamphlet Italia Spa, assalto ai beni culturali e, sempre per Einaudi, è appena uscito il suo Futuro del classico.

Avvenimenti

Posted in Politiche culturali | Contrassegnato da tag: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , | Leave a Comment »

 
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: