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Perle dal Musée d’Orsay

Posted by Simona Maggiorelli su aprile 12, 2014

L'italiana di Van Gogh

L’italiana di Van Gogh

Qualcuno ha fatto notare che quel titolo, Capolavori dal Musée d’Orsay non corrisponde esattamente al vero e che in fondo, al Vittoriano, fra le sessanta opere esposte (fino all’8 giugno, catalogo Skira) provenienti dal museo parigino, quelle che si possono veramente definire tali sono quattro e cinque. Ma che capolavori! Ci verrebbe da dire di slancio. Perché basterebbe il bel volto della giovane Berthe Morisot ritratta nel 1872 da Édouard Manet con in mano un mazzo di violette, a ripagare il prezzo del biglietto. Siamo davanti a un capolavoro di “indagine” psicologica del femminile, da parte di un pittore che, con Olympia, aveva proposto invece la maschera distante di una donna costretta a stare al gioco dell’erotismo mercenario e dell’ipocrisia borghese. Berthe è l’opposto della scandalosa Olympia.

Lo sguardo della giovane pittrice impressionista interroga quello di chi guarda la tela, senza maschere e infingimenti, comunicando il senso di una presenza viva e sensibile, come raramente capita di cogliere nei quadri da atelier realizzati in quegli anni “copiando” modelle in carne ed ossa come fossero dei gessi.

E che dire poi del ritratto di Agostina Segatori, realizzato da Van Gogh in chiave giapponesizzante, che illumina la sala centrale di questa mostra romana? L’italiana che gestiva il Cafè Le Tambourin (e che aveva già posato per Corot e Manet) in questa tela del 1887 appare come galleggiare in un mare d’oro, mentre striature rosse ne accendono il volto e la pelle come se reagisse alla luce del sole che la inonda.

Il quadro nasce nell’ambito di quella originalissima ricerca che il pittore olandese sviluppò a Parigi fra il 1886 e il 1888, influenzato dai colori piatti e dalle linee essenziali delle stampe giapponesi che avevano attratto l’attenzione degli artisti impressionisti dopo l’Esposizione universale del 1867.

E ancora, percorrendo a ritroso le sale e tornando a quella dedicata alla pittura di paesaggio (dopo un tuffo nella pittura mitologica e d’accademia) ecco un impareggiabile Cézanne spuntare imprevisto vicino al corridoio, al culmine di una serie di romantiche vedute naturalistiche di Corot e di Bazille, gettando scompiglio fra i luminosi e tranquilli scorci impressionisti firmati Monet, Pissarro e Sisley.

A partire da un soggetto all’apparenza banale, come un cortile di una fattoria tipicamente provenzale, con poche pennellate, Cézanne fa entrare lo spettatore in un avvolgente spazio tridimensionale, che d’un tratto fa piazza pulita di ogni formalismo impressionista. E questo crudele confronto ravvicinato voluto dai curatori della mostra Guy Cogeval e Xavier Rey fa apparire immediatamente piatte, decorative e senza vita le opere di Monet e compagni. Che tuttavia qui – bisogna anche riconoscere – insieme a quelle dei Nabis, si prestano ad interessanti percorsi tematici, dedicati al racconto della borghesia in ascesa, al dinamismo delle crescenti metropoli d’inizio secolo, all’indagine della famiglia che nessuno come Vuillard, Denis e Bonnard sa rappresentare, all’apparenza celebrandone i miti (la maternità, l’infanzia, la morale) e i riti (il teatro, la convivialità, i sacramenti), e di fatto denunciando il vuoto pneumatico di affetti e di valori. ( simona Maggiorelli)

dal settimanale left-avvenimenti

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Jean Clottes:” Per nulla primitivi”

Posted by Simona Maggiorelli su gennaio 7, 2012

di Simona Maggiorelli

pitture rupestri Chauvet

Nella sua lunga carriera universitaria il francese Jean Clottes ha scritto più di trenta libri ed è considerato uno dei massimi studiosi di arte preistorica. Piuttosto curiosamente, però, della sua poderosa opera, è stato tradotto in italiano solo l’agile volumetto La preistoria spiegata ai miei nipoti (Archinto). Anche per questo la recente uscita in Italia del suo Cave art (Phaidon) – anche se in inglese – ci è sembrata una notizia cui dedicare un ampio servizio (left n. 39, 2008). Di ritorno da un lungo viaggio Clottes ci ha offerto l’occasione per riprendere il filo del discorso, raccontandoci gli ultimi sviluppi del suo lavoro. «Con il collega David Coulson che fa scavi in Kenya e Alec Campbell che lavora in Botswana, in questi mesi abbiamo lavorato sui ritrovamenti d’arte a Dabous, sulle montagne Aïr nel Niger del Nord – racconta Clottes -. Lì abbiamo registrato e studiato più diottocento graffiti, risalenti a 5-6mila anni fa».
Che tipo di immagini offrono quei graffiti?
Perlopiù sono figure di bovini, giraffe, ostriche e antilopi ma anche immagini di esseri umani. Pitture che risalgono tutte al neolitico.
Negli studi come è cambiato il modo di pensare la nascita dell’arte?
Alla fine del XIX secolo, gli studiosi non pensavano che ci fosse arte nelle epoche più antiche. Perché gli uomini del Paleolitico erano considerati in tutto“primitivi”. Poi nel XX secolo, anche con importanti ritrovamenti, si è pensato che l’arte avesse avuto un’evoluzione graduale, dai primi rozzi inizi 30-35mila anni fa fino alle superbe raffigurazioni di Lascaux. Con la scoperta delle magnifiche pitture della grotta di Chauvet (30-32mila anni fa) ci siamo resi conto che già allora la sensibilità artistica dei nostri antenati era perfettamente sviluppata. Allora il paradigma è cambiato: l’arte non si è sviluppata gradualmente, si è detto, ma ci sono sempre stati alti e bassi, a seconda dei tempi e dei luoghi.

Il cavallo"cinese" di Lascaux

Perché il repertorio d’immagini ha così poche variazioni nei secoli?
C’erano delle variazioni, ma c’è anche una indiscutibile unitarietà, dovuta a un fatto: il sistema dei valori degli uomini della preistoria rimase a lungo lo stesso.
Nei dipinti di Chauvet la forma del disegno e la potenza espressiva appaiono diverse, da una mano all’altra.
Ci sono sempre differenze fra un artista e un altro, anche se condividono gli stessi valori e convinzioni. Trentamila anni fa i nostri antenati erano esseri umani come noi oggi. Avevano le stesse capacità, fantasia e possibilità emotive.
Dipingevano non solo animali ma anche immagini di donna.

Nelle prime pitture naturalistiche che conosciamo, quelle di Chauvet, ci sono molte raffigurazioni del sesso femminile ma anche una figura non finita di donna. L’immagine umana compare lì contemporaneamente ai disegni di animali.
Nel suo studio Les chamanes de la prehistoire ipotizza che gli sciamani, nelle grotte, avessero allucinazioni causate da deprivazione sensoriale. “Allucinazione” e “visione”, per lei sembrano sinonimi. Ma un’allucinazione schizofrenica può essere paragonata a un’immagine artistica?
La deprivazione sensoriale può essere stata una delle tecniche per entrare in trance. Ma ce ne sono molto altre, come ho scritto nel mio libro. Le loro visioni possono aver ispirato alcune immagini artistiche, ma certamente non tutte; immagini in ogni caso trasformate dalla mente e dell’abilità degli artisti.
È possibile pensare che, per esempio in Australia, ci siano tracce di un’arte più antica di quella europea?
Possiamo e dobbiamo pensarlo. Quello che vale per l’Australia, vale anche per l’Africa e parte dell’Asia. Perché quei continenti sono stati abitati dall’uomo prima de

Intervista integrale a Jean Clottes in occasione dell’uscita in Italia per Pahidon del suo libro Cave art, realizzata per left numero 46 del 2008:

Jean Clottes

Professor Jean Clottes, In wich way the discovery of prehistoric decoreted caves in western Europe transformed the way we think about the development of art?

Firstn at the end of the XIXth century, most scholars did not want to believe there could be such ancient art, because Palaeolithic people were supposed to be so “primitive”. Then, in the course of the XXth century, after the great antiquity of the art had been admitted,  the current paradigm was that it evolved gradually, from very crude beginnings in the Aurignacian (about “30,000/35,000 years ago) to the superb art of Lascaux and others. Finally, with the discovery of the Chauvet Cave, whose magnificent art is dated to 30,000/32,000 BP, we realized that at such early dates the art was already fully developed. Therefore the paradigm had to be changed: art did not develop gradually, but there have always been high moments and low moments, varying with time and space.

Why, according to your studies, the repertoire of images remained almost the same for centuries and centuries?
It was not exactly the same: there were variations, but there still is an undisputable unity which can only be due to one cause: the fundamental framework of those peoples’ beliefs remained the same.

In the same time, for istance in the Chauvet cave, the shape of the lines and the emotinal temperature of the pictures are clearly different from an artist to another, from an hand to another. How can we explane such mature and “modern” way of painting 35.000 or 22.000 years ago?
There are always changes from an artist to another, even if they share the same beliefs and conventions. 30,000 years ago, they were the same humans as we are, so their abilities were the same.

In that age they did not make pictures only of animals. When human figure, and in particular female figure, took birth in cave art?
The earliest naturalistic paintings we know of are in the Chauvet Cave, where we have several representations of the female sex and also the lower body of a woman. So, the human figure was right there as early as animal representations.

In your study “Les chamanes de la prehistoire” you say that the shaman’s allucination are caused by the sensory deprivation in the caves. You use the term “allucination” like a synonymous of ” vision”. But, can a schizophrenic allucination be the same of a creative image of an artist?
No. Sensory deprivation may have been one of the possible means of getting into trance, but there are many others as we have said in our book. Their visions may have inspired some of their images, but certainly not all and they may have been transformed through the minds and expertize of the artists.

Can we hypothesize that in Australia for istance there could be art examples older than the ones we have founded untill nowadays in Western countries?

Yes, we certainly can and should. The same is valid for Africa and parts of Asia because modern humans peopled those continents before Europe.

I read that your working on a new book about Niger can you anticipate us something about your new discoveries in that area?

With my colleagues David Coulson from Kenya and Alec Campbell from Botswana, and with the help of Yanik Le Guillou and Valérie Feruglio, we have worked on the art of a place called Dabous, in the Aïr mountains of
northern Niger. We recorded and studied more than 800 engraved images, mostly of bovids, giraffes, ostriches and antelopes, with also a number of humans, belonging to a Neolithic period (perhaps 5,000 to 6,000 years ago.

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2011. Un anno d’arte

Posted by Simona Maggiorelli su gennaio 8, 2011

Ecco un vademecum delle mostre da non perdere nel 2011 Fra proposte culturali alte e rivisitazioni, cercando di schivarela crisi

di Simona Maggiorelli

Matisse, Busto in gesso, bouquet di fiori,

Van Gogh e il viaggio come ricerca, in Palazzo Ducale a Genova, si annuncia come l’evento autunnale dell’anno. Per l’11 febbraio, invece, nel complesso Santa Giulia di Brescia si prepara una mostra che rilegge l’opera di Henri Matisse attraverso la seduzione che sul pittore francese esercitò Michelangelo scultore.

Dagli inizi di marzo, in Palazzo Strozzi a Firenze, Picasso sarà spietatamente messo a confronto con i surrealisti spagnoli Mirò e Dalì, che nei riguardi del genio malagueño tentarono l’emulazione di stili e di provocazioni finendo (specie Dalì) nel solo camouflage.

Sempre a marzo, a Milano, Palazzo Reale ospiterà una mostra sugli Impressionisti con un nucleo di trenta opere di Renoir che, di fatto, formerà una monografica all’interno della collettiva dedicata a Monet, Pissarro, Gauguin, Manet e Degas.

Picasso, donna che piange

E ancora: l’esistenzialista e “spirituale” Alberto Giacometti, insolitamente indagato dal punto di vista della predominanza e della forza della materia in una mostra curata da Michael Peppiatt (autore di In Giacometti’s studio) nel nuovo Maga di Gallarate dal 3 marzo. E i due movimenti artistici Die Brücke (il Ponte) e Der Blaue Reiter (il cavaliere azzurro) nati dalla ricerca di Kandinsky e Marc, ripercorsi in una ampia esposizione e a Villa Manin  di Codroipo, a Udine, dal 24 settembre, grazie alla collaborazione con importanti istituzioni berlinesi .

Quanto al versante della più classica storia dell’arte italiana, una scelta di 350 opere e capolavori – da Giotto a Leonardo, da Tiziano a Caravaggio e oltre – dal 18 marzo, in mostra negli splendidi spazi di Venaria Reale a Torino in un allestimento fortemente voluto dal presidente Giorgio Napolitano e curato scenograficamente dal regista Luca Ronconi per i 150 anni dell’Unità d’Italia. E non è tutto: alle Scuderie del Quirinale a Roma, dal 2 marzo, una retrospettiva di Lorenzo Lotto, mentre già dal prossimo 29 gennaio, una mostra dedicata a Melozzo si annuncia di grande valore scientifico. Per non parlare poi del grappolo di iniziative che, dal primo aprile, Arezzo e Firenze dedicheranno a Giorgio Vasari nel cinquecentenario della nascita dell’architetto, pittore e studioso d’arte toscano. Un evento nato anche con l’auspicio che lo Stato decida di esercitare il proprio diritto di prelazione sull’Archivio Vasari che alcuni magnati russi – come è stato riportato da varie testate locali – sarebbero già pronti a comprare.

Ma il 2011 dell’arte in Italia avrà anche attenzione al contemporaneo con la mostra che il Pac di Milano dedicherà a un maestro della scultura come Tony Oursler, con nuove mostre, a staffetta, Elogio del dubbio e Il mondo vi appartiene, negli spazi di Punta della Dogana a Venezia, e la retrospettiva dedicata a John Mc Craken nel Castello di Rivoli (ora diretto da Andrea Bellini e Beatrice Merz). Senza dimenticare la grande antologica che, in collaborazione con musei americani, il Maxxi di Roma dedica a Michelangelo Pistoletto: una iniziativa per festeggiare i sessant’anni di ricerca di questo maestro dell’Arte povera ma anche il suo instancabile lavoro a sostegno dei giovani talenti con la Fondazione Città dell’arte di Biella. Una mostra che a tre mesi dall’apertura – per la cronaca – è già stata bollata da Vittorio Sgarbi come «inutile e arcinota» durante una “vivace” conferenza stampa di presentazione della programmazione 2011 del museo progettato da Zaha Hadid. Del resto, in questo inizio anno nuovo che ancora non sembra patire gli effetti dei drastici tagli ai finanziamenti operati dal governo Berlusconi (che si faranno sentire dal 2012), il Vittorio nazionale già suona  la grancassa per il suo Padiglione Italia della Biennale di Venezia che aprirà i battenti a giugno squadernando 150 artisti «ingiustamente trascurati e negletti dalla critica di sinistra» per celebrare, a suo modo, i 150 anni dell’Unità d’Italia.

Van Gogh, autoritratto

Comunque sia, l’offerta culturale di questo 2011, come si vede, è piuttosto ampia e ci sarà di che consolarsi. Come accennavamo, già a partire da questo 29 gennaio, con l’importante monografica che i musei di San Domenico di Forlì dedicano a Melozzo degli Ambrogi (1438-1494), pittore che giocò un ruolo non trascurabile nella congiuntura umanista-rinascimentale che va da Piero della Francesca a Raffaello. Curata da Antonio Paolucci, raccoglie per la prima volta la gran parte delle opere superstiti di Melozzo e non amovibili. Ma avremo modo di riparlarne. Così come non mancheremo di tornare sulla monografica che si aprirà a marzo alle Scuderie del Quirinale dedicata a Lorenzo Lotto (1480-1556), artista inquieto che nel lombardo-veneto sotterraneamente percorso da istanze riformiste rischiò l’eterodossia dipingendo madonne umanissime che si ritraggono impaurite all’annuncio dell’Arcangelo ma anche ritratti, acuti e penetranti, di artigiani e di popolani che, fino ad allora, non erano mai entrati da protagonisti nella storia dell’arte. Infine, in questa prima parte dell’anno, interessantissima appare la mostra bresciana che ricostruisce la ricerca di Matisse sulla tridimensionalità in pittura. Una ricerca che trovò una curiosa e originale soluzione negli anni maturi del pittore francese anche attraverso i decoupage.  Quanto a Vincent van Gogh e il viaggio, è la nuova grande mostra pernsata per Palazzo Ducale di Genova dal prolifico Marco Goldin ( che in questi mesi firma negli stessi spazi la mostra sui colori del Mediterraneo). Attraverso una selezione di un centianio di opere della pittura europea e americana del XIX e del XX secolo questa nuova esposizione prevista per novembre il curatore si propone di esplorare il tema del viaggio come incontro con culture lontane e diverse, ma anche come viaggio nel tempo e come viaggio interiore. Dimensione questa che fu quanto mai consona a Van Gogh,secondo Goldin, che del genio olandese raduna per questa occasione quaranta suoi dipinti fondamentali, molti dei quali prestati dal Van Gogh Museum di Amsterdam e dal Kröller-Müller Museum di Otterlo.

da left-avvenimenti del 7 gennaio 2011

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Il potere delle immagini

Posted by Simona Maggiorelli su gennaio 2, 2011

Il nuovo libro di Francesco Bonami confronta opere e icone quotidiane

di Simona Maggiorelli

Antonello da Messina, Madonna velata

C’è una  grande casa di vetro popolata di farfalle campeggia nell’ala del nuovo Macro di Roma che inaugurata il 4 dicembre scorso. Pensata come un grande incubatore, questa speciale serra riproduce in scala la Farnsworth House californiana dell’architetto Mies Van der Rohe. Nell’intenzione di Bik Van der Pol (Enel Award 2010) nasce come un invito a rispettare l’ambiente che ci circonda. Perché, come ci ricorda il direttore del Premio, Francesco Bonami «quando le farfalle scompaiono significa che l’ambiente è stato alterato in modo tragico».

Critico e curatore di fama internazionale (oggi vive e lavora perlopiù a New York) Bonami è anche un attento e pungente osservatore di ciò che accade nel panorama culturale nostrano su Il Riformista e in libri come Dopotutto non è brutto (Mondadori), come Irrazionalpopolare (con  Luca Mastrantonio, per Einaudi) e come il nuovissimo Dal Partenone al panettone da poco uscito per Electa.

teschio di Orozco

Anche per questo, e visti i ricenti crolli, la nostra conversazione non può che partire dal dramma che stanno vivendo Pompei e  molti altri siti archeologici nostrani. «Vede. il  fatto è che noi italiani viviamo una perenne contraddizione- fa notare Bonami -, ci vantiamo di essere il Paese con il più ampio patrimonio d’arte nel mondo e al tempo stesso non lo curiamo, ce ne freghiamo». Dunque  la mancata tutela di Pompei non sarebbe solo una questione di tagli ai finanziamenti alla cultura e di dissennate politiche di emergenza? «Il nostro problema è la mentalità. Come cittadini e come amministratori e ministri, a vari livelli rei di questo disastro. In questo- rincara il critico fiorentino- rientra anche il fatto che un ministro dei Beni culturali possa pensare che con un manager alla valorizzazione (l’ex manager McDonald’s Mario Resca ndr) si possa risolvere il problema di una generale mancanza di senso civico». Così un modello di gestione importato dagli Stati Uniti qui produce danni, più di quanti ne faccia Oltreoceano dove la volorizzazione dell’arte ha una storia breve e recente. «L’imprenditoria da noi in Italia  è diseducata a pensare cosa significhi partecipare collettivamente di una cultura. In America, invece – racconta Bonami – l’imprenditore investe, certo perché ne ha vantaggi fiscali, ma anche perché ha un senso dello spazio collettivo in cui vive. Io lo chiamo egoismo civico. Non è filantropia. Investe in cultura perché è convinto di fare bene anche a se stesso: perché una città dove i musei e le scuole funzionano dà valore anche a chi ci vive. Da noi, invece, chi investe lo fa solo per avere visibilità, non per una migliore immagine e qualità di vita collettiva. Un esempio? Guardi come è impacchettata di pubblicità Venezia».

Cristo morto di Mantegna

Proprio a proposito di arte e ricerca di visibilità personale, da ex direttore della Biennale di Venezia, Bonami  cosa pensa della decisione del ministro Sandro Bondi di affidare il Padiglione Italia a Vittorio Sgarbi, già sindaco di Salemi, soprintendente al Polo museale veneto, nonché supervisore degli acquisti del MAXXI? «Vede in Italia oggidì esistiamo solo se passiamo per il mezzo televisivo, quindi personaggi come Sgarbi, o come Philippe Daverio, si sentono insigniti di un potere superiore, quasi divino. I media danno loro la sensazione di poter far tutto. Quando invece si hanno competenze limitate. E questo – prosegue il critico – sta producendo un disastro nel mio settore, nella cultura, ma anche in altri campi. La notarietà mediatica in Italia è un lasciapassare per tutto. In questo quadro, dunque,  Sgarbi, con il suo padiglione Italia, ancora una volta ci farà apparire in modo molto imbarazzante agli occhi del mondo».

Da parte sua Vittorio Sgarbi, del resto già mesi fa, salutò il suo incarico in laguna stigmatizzando i suoi predecessori in modo non proprio gentile e dando allo stesso Bonami dello «spiritoso dilettante». Mentre Luca Beatrice, responsabile del padiglione Italia 2009 in chiave passatista, plaudiva al progetto sgarbiano “150 artisti per 150 anni dell’Unità d’Italia”, come occasione per mostrare e portare in primo piano l’iconografia di destra. Ma anche come un modo per fare fuori «la cricca dell’arte povera che si autocelebra come unica critica d’arte, in stile regime sovietico» Da parte sua Bonami fa spallucce alle punzecchiature del super Vittorio e nel suo ultimo libro Dal Partenone al panettone (Electa), fuori dalle polverose accademie, rivendica la possibilità di analizzare la forza comunicativa delle immagini in piena libertà, attraverso nessi inediti, talora anche “inauditi”.

Che Guevara, ucciso

Così il colpo di testa del calciatore Zidane campeggia accanto a un particolare di un affresco di Masaccio, la foto di Che Guevara morto è accostata al Cristo morto di Mantegna, la Madonna velata di Antonello da Messina è accanto a una libera reinterpretazione di Orozco, Anche nella critica d’arte, insomma, è tempo di rivalutare l’intelligenza che procede  per intuizioni. «L’arte oggi è uno dei tanti ambiti che usa le immagini. Lo fa anche la pubblicità, lo fanno le riviste. E a volte attraverso questi mezzi emergono delle icone che pur non essendo artistiche, acquistano quella notorietà e quella fama che compete alle grandi opere. Tanto che l’immagine di Che Guevara morto è più popolare del Cristo morto di Mantegna». Senza dimenticare però che l’arte è creazione di immagine, non solo comunicazione o documentazione. «L’arte- sottolinea Bonami – crea una soglia che noi attraversiamo. Nel mio libro non intendo dire che tutto sia arte. Parlo del potere delle immagini e le confronto con quelle che realizzano gli artisti. L’arte, insomma, è quel linguaggio che ci regala uno scarto, che ci fa capire in un mondo diverso, che ci dà la possibilità di vedere le cose in un modo più libero di quanto ci consentano la pubblicità o altri linguaggi. Anche perché – approfondisce – l’arte in realtà non ha nessuno scopo, mentre la pubblicità o il foto giornalismo ne hanno uno ben preciso e pragmatico» E a chi obietta che anche l’arte oggi deve fare i conti con il mercato? «Rispondo che in fondo non è vero perché gli artisti creano a prescindere, prima di avere un mercato, prima di esporre, per un’esigenza personale, per comunicare qualcosa di profondo». E non come piatta mimesi del reale. Nel suo nuovo libro Bonami, non a caso, parla del realismo come valore, ma anche come zavorra dell’arte italiana. «L’Italia è un Paese che ha dei bravi artisti ma non ne ha migliaia, ce ne sono pochi che possano dare il la a nuove tendenze. Questo accade nei vari ambiti della pittura, della letteratura eccetera. Perciò credo che l’operazione che fece Luca Beatrice e che sta facendo Sgarbi, ovvero dire che esistono centinaia, migliaia, di artisti che vanno mostrati sia deleterea: è un modo per infilare dentro ad operazioni molto dubbie personaggi amici, oppure beniamini dei critici. Non è – conclude Bonami – una selezione vera e oggettiva. Andare a chiedere come ha fatto Sgarbi per il suo Padiglione a Umberto Eco, a Massimo Cacciari, ad Arbasino e ad altri di fare dei nomi da portare a Venezia, è chiedere a vanvara, non è affatto una cosa democratica. Anche perché Eco stesso ammette di non intendersi di arte contemporanea e Massimo Cacciari dice sinceramente di essersi fermato a Mondrian e di non avere interesse per ciò che è accaduto dopo».

left-avvenimenti 26 novembre 2010

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