Rivoluzionari in pantofole e autori di quadri piacevolmente inoffensivi oppure artisti radicali che cambiarono profondamente l’estetica di fine Ottocento? Mentre Renoir a Torino e Verso Monet a Verona fanno il pieno di visitatori, un nuovo libro di Will Gompertz e una mostra al Guggenheim di Venezia mettono in luce gli aspetti più vitali del movimento impressionista nella Francia di fine Ottocento
di Simona Maggiorelli
Al botteghino le retrospettive dedicate agli impressionisti vanno fortissimo, come è noto. E c’è chi storce il naso davanti al successo da blockbuster di mostre come Verso Monet (fino 9 febbraio 2014, a Verona). I quadri dei pittori impressionisti? «Dipinti chiari, bellissimi e piacevolmente inoffensivi», scrive il critico della Bbc Will Gompertz nel libro E questa la chiami arte? (Electa), un manuale spigliato ma di alta divulgazione che ripercorre 150 di anni storia dell’arte «in un batter d’occhio», come fosse un romanzo.
A ben vedere, però, precisa Gompertz, artisti come Monet, Pissarro, Renoir, Degas, e Sisley misero fine alla pittura accademica, uscendo dal chiuso degli atelier, per andare a mescolarsi fra la gente nella metropoli parigina. Gli impressionisti raccontarono la modernità. E dettero luce e respiro alla pittura di paesaggio dipingendo en plein air. «Per il pubblico di fine Ottocento furono il gruppo più radicale, ribelle e rivoluzionario» scrive Gompertz , ricordando lo scandalo che generarono i nudi di Manet.
«La Parigi di fine XIX secolo fu teatro di scompigli politici e trasformazioni culturali» sottolinea anche Vivien Green, curatrice della mostra Le avanguardie nella Parigi fin de siècle aperta fino al 6 gennaio al Guggenheim di Venezia. Nella Parigi di allora, prosegue la specialista di storia dell’arte ottocentesca «nascono correnti artistiche fra loro correlate, filosofie insurrezionaliste, i primi accenni di gruppi politici di sinistra e le conseguenti reazioni conservatrici». E gli impressionisti riuscirono a dare espressione a quel fermento culturale nell’ambito pittorico. fondando una nuova estetica. Che studiava e faceva tesoro dei cambiamenti di luce, che rivendicava l’importanza della visione sulla descrizione razionale della realtà: gli scorci di Parigi di Maximilien Luce esposti al Guggenheim non cercano la verità fotografica ma esprimono la visione dell’artista e la sua emozione di fronte al crepuscolo sulla Senna o all’alba in campagna. Il paesaggio viene panteisticamente reinterpretato. E il bagliore che inonda i pini sul mare dipinti da Hippolyte Petitjean evoca una dimensione interiore, non è banale cronaca di un giorno d’estate. Ma la mostra del Guggenheim non presenta solo il volto più noto e lirico della pittura di fine Ottocento. Merito di questa rassegna è anche sondare le correnti più inquiete che percorrono la stagione che precede il grande salto di inizio Novecento e la rivoluzione cubista. Particolarmente interessante nelle sale di Palazzo Venier dei Leoni è la scelta di opere del simbolista Odilon Redon, che rappresentano il volto notturno e misterioso dell’arte parigina fin de siècle. Le vele dorate della sua Barca (1894) si offrono come un onirico controcanto alle brillanti marine di Paul Signac Mentre I fantini di Henri de Toulouse-Lautrec, due affascinanti apparizioni nel buio, evocano personaggi di racconti fantastici. Per finire poi con un’ampia sezione dedicata ai Nabis, forse i più caustici nel rappresentare quella borghesia che animava la rutilante Parigi ottocentesca ma che faceva una vita claustrofobica nel chiuso di ricchi salotti e nel vuoto degli affetti.
dal settimanale Left-Avvenimenti
Who were the Impressionists?Just revolutionaries in slippers? Authors of paintings pleasantly inoffensive? Or radical artists who profoundly changed the aesthetics of the late nineteenth century ? While Renoir’s retrospective in Torino and the exhibition Towards Monet in Verona are full of visitors, a new book by Will Gompertz , and an exhibition at the Venice Guggenheim highlight the most vital aspects of the Impressionist movement in France in the late nineteenth century.
by Simona Maggiorelli
Retrospectives dedicated to the Impressionists are very successfull at box office , as we know. And someone stares withs suspicion at the blockbuster success of exhibitions such as Towards Monet (up to 9 February 2014 in Verona ) .
What can we say about Impressionists’ paintings? ” They are just clear , beautiful and pleasantly harmless paintings “, wrote the BBC’s critic Will Gompertz in his book What are you looking art? (Penguin, 2012, Electa 2013 ) , a breezy manual of high disclosure that traces 150 years of history of art ” in the blink of an eye,” as if it were a novel.
On closer inspection, however , Gompertz states , artists such as Monet, Pissarro , Renoir , Degas, Sisley put to an end the academic painting , leaving the closed atelier , to go to mingle among the people in the Parisian metropolis . The Impressionists told about modernity. They gave light and breath to landscape painting working en plein air . ” For the late Nineteenth century audience they were the most radical group , rebellious and revolutionary” Gompertz writes , recalling the scandal that generated by Manet’s Le déjeuner sur l’herbe (1862-63) .
“In the late nineteenth century Paris was the scene of political upheavals and cultural transformations ” emphasizes Vivien Green , curator of the exhibition The avant-garde in Paris fin de siècle open until January 6 at the Guggenheim in Venice. In Paris at the time , says the specialist of the history of nineteenth-century ” born artistic inter-related trends , philosophies insurgency , the first hints of leftist political groups and conservative reactions” . The Impressionists were able to give expression to those cultural ferment with their paintings. They founded a new aesthetic. Studying light changes , and using it to express their feeelings they claimed the importance of inner vision rejecting rational description of reality: the views of Paris by Maximilien Luce exhibited you can see now in Guggenheim do not seek thecamera truth but express the artist’s vision and emotion watching the Seine at dusk or dawn in the countryside.
The landscape is pantheistically reinterpreted by the Impressionists . And the glow that bathes the pine trees on the sea painted by Hippolyte Petitjean evokes an inner dimension: it is quite the opposite of a trivial chronicle of a summer day. But the exhibition of the Guggenheim presents not only the most recognized face of the Impressionists and not only the lyrical painting of the late nineteenth century . Merit of this exhibition is also probing the restless currents that run through the season that precedes the big jump at the beginning of the twentieth century and the Cubist revolution . Particularly interesting in the Palazzo Venier dei Leoni is the choice of works by Symbolist Odilon Redon , who represent the face of Parisian night and mysterious fin de siècle. The golden sails of his Boat (1894) are offered as a counterpoint to the brilliant dream marine by Paul Signac. While The jockeys by Henri de Toulouse- Lautrec ( two fascinating appearances in the dark) evoke characters from fairy tales . Lust but not least the large section devoted to the Nabis , perhaps the most caustic group in representing the bourgeoisie that animated nineteenth-century Paris closed in a domestic claustrophobic life and in a vacuum of affection .
Left magazine



Dopo l’anteprima al MoMa di New York, dal 13 febbraio ad Amsterdam una mostra racconta la ricerca sul “buio” del genio olandese
Ben sapendo che isuoi quadri non potevano essere spiegati a parole, Van Gogh non poteva o non voleva capire che dall’occhio invidioso (o forse addirittura lucido e freddo) di Theo, che gli dava uno stipendio per sentirsi “sano”, non gli sarebbe mai potuto arrivare nessun vero riconoscimento. Ma per fortuna o sfortuna di Vincent il suo modo di scendere a compromesso nelle lettere e nei rapporti non era quello che usava nell’arte. E già molto prima di Notte stellata e forse prima ancora del più “romantico” Cielo stellato sul Rodano del 1888 Van Gogh aveva già completamente superato la pittura degli impressionisti,che pure a un primo incontro a Parigi era stata di stimolo per queltotale rinnovamento che il pittore olandese fece nel 1886: d’un tratto realizzando una nuova immagine e rinnovando del tutto la tavolozza, sostituendo ai toni scuri e terragni del notturno ritratto in un interno di Mangiatori di patate (1885) un arcobaleno di riflessi brillanti. Nella casa gialla di Arles dove poi l’avrebbe raggiunto Gauguin per una breve e difficile convivenza, Van Gogh aveva maturato pienamente la consapevolezza che quella degli impressionisti era una strada troppo arida e che era tempo di riprendere a sperimentare sulla scorta delle suggestioni vive dalla vita del Sud e studiando il geniale uso di luci e colori di Delacroix. «Non mi stupirei molto – annotava Van Gogh in quegli anni – se tra un po’ gli impressionisti trovassero da ridire sul mio modo di fare, che deve alle idee di Delacroix molto più che alle loro. Infatti – aggiungeva il pittore olandese – invece di cercare di rendere esattamente ciò che ho davanti agli occhi, io mi servo del colore in modo più arbitrario di loro, per l’intensità dell’espressione». Da qui concretamente parte il lungo viaggio nella notte di Van Gogh studiato da Joachim Pissarro e al centro della mostra di Amsterdam; una ricerca che, dormendo di giorno, in poco più di 48 ore, per esempio, portò il genio olandese a realizzare opere come Caffè di notte (1888 ) in una ridda di gialli, rossi sangue e acidi verdi. E poi il ritratto del poeta Eugène Bloch che si staglia contro la “speranza” di un cielo infinito di stelle. E ancora Paesaggio con coppia che cammina e luna nascente del 1890, l’“onirica” e vibrante Chiesa di Auvers (1890), ma anche l’astratto e violaceo seminatore del quadro intitolato Notte (da Millet) del 1889 che racconta tutta l’enorme distanza che c’è fra le prime opere di Van Gogh (in cui ancora studiava forsennatamente la tecnica del disegno e “copiava” dai maestri del realismo come Millet e Corot) e quelle dell’ultimo periodo, che paiono aver subito una imprevista torsione fantastica; distanza fra l’inizio e la fine della parabola artistica di Van Gogh che si bruciò nell’arco di pochissimi anni e che è stata documentata dalla mostra curata da Marco Goldin Van Gogh, disegni e dipinti nel complesso di Santa Giulia a Brescia, con una nutrita serie di schizzi, bozzetti, acquerelli, litografie dalla collezione del Kröller-Müller museum. «Di solito si pensa che Van Gogh ia stato un pittore audace, istintivo, un po’ naif – commenta Joachim Pissarro – ma anche nei quadri dell’ultimissimo periodo, quelli che appaiono più febbrili e visionari, si vede la sua intelligenza al lavoro. Nonostante l’angoscia e le crisi mentali che lo attanagliavano, Van Gogh non smise mai di avere piena consapevolezza del suo lavoro. E la sua fantasia, nei momenti in cui riusciva a dipingere, non ne fu intaccata». Lo dimostrano, insieme agli accecanti ritratti di contadini che sembrano soccombere alla luce mentre la campagna arde e impazza di gialli, di turchese e di neri, anche le ultime inquietanti e vertiginose visioni di campi di grano solcate sinistramente da corvi neri. «Ma ancor più a mio giudizio lo dimostrano le umbratili e più delicate scene notturne – conclude Pissarro – costruite su una vastissima conoscenza letteraria, sullo studio di Rembrandt e Delacroix, ma anche e soprattutto misurate su una non comune sensibilità d’artista». 



Gli stessi colori caldi, i marroni, i verdi, i rossi, gli ocra tipici della Provenza, vanno a formare una rappresentazione del paesaggio che non ha nulla di naturalistico, né tanto meno di accademico. E non è banalmente realistico il ritratto de La signora Cézanne sulla poltrona rossa, capolavoro assoluto del maestro di Aix che i curatori di questa mostra fiorentina, Carlo Sisi e Francesca Bardazzi, sono riusciti ad avere in prestito dal Museum of fine arts di Boston, insieme con La casa sulla Marna, Il frutteto e altri capolavori provenienti da Aix e dai principali musei d’Europa e d’Oltreoceano.