Van Gogh e i colori della notte
Posted by Simona Maggiorelli su ottobre 1, 2010
Dopo l’anteprima al MoMa di New York, dal 13 febbraio ad Amsterdam una mostra racconta la ricerca sul “buio” del genio olandese
di Simona Maggiorelli
«Ho passeggiato di notte lungo il mare sulla spiaggia deserta, non era ridente, ma neppure triste… era bello…». L’orizzonte ha tutti i toni del blu, fino al viola e un movimento continuo di riflessi. «Mi sembra – scrive Van Gogh dalla Provenza al fratello Theo – che la notte sia più vivae piena di colori del giorno». Il buio non cela, ma avvolge e rende visibile l’invisibile. In modo più calmo, più dolce. Per Van Gogh la notte ha altrettanti e forse più toni e sfumature del giorno. E la esplora senza timore, per le immagini più calde e umane che schiude. Lo fa ad Arles ma anche a Saint Rémy dipingendo all’aperto la celebre Notte stellata (1889); il cavalletto piazzato en plein air senza che il risultato finale poi abbia nulla della piattezza di un quadro naturalistico. Ma anche senza naufragare nelle atmosfere nebbiose e nelle dissolvenze di Monet e del post impressionismo. La rapprsentazione di tramonti, di crepuscoli e di scene notturne, inquiete e solitarie, ha nella pittura Van Gogh la forza di una presa immediata sul senso più profondo del vissuto. Che si esprime nella potenza di immagini percorse da vortici di blu oltremare, innervate di linee di colore. Come se chiese, case e persone, dalle forme sghembe, poeticamente deformate, fossero animate dal sentire dell’artista. Così in capolavori come Notte stellata la struttura interna del quadro (che durante gli anni di apprendistato in Olanda traccia meticolosamente) magicamente svanisce agli occhi di chi guarda l’opera finita. «Per quanto questa tela rappresenti un apice assoluto nell’arte di Vincent Van Gogh curiosamente lui non ne era soddisfatto» ci racconta Joachim Pissarro (discendente di Camille) e curatore, insieme a Sjraar van Heugten e Jennifer Field, della mostra Van Gogh e i colori della notte che si è aperta il 13 febbraio al Museo Van Gogh di Amsterdam, dopo un’anteprima al MoMa di New York. «Nel settembre del 1889 Vincent descrive questo quadro a Theo come un semplice studio sulla notte. E il fratello condivide da subito la sua insoddisfazione» nota Pissarro. Theo apprendeva dagli scritti di Vincent che cercava di rappresentare “il reale sentimento delle cose” ma non ne capiva il senso più profondo. Nelle sue lettere Vincent Van Gogh cercava di “ammorbidire” il fratello Theo prima che i quadri fossero sottoposti al suo giudizio critico di mercante. Ben sapendo che isuoi quadri non potevano essere spiegati a parole, Van Gogh non poteva o non voleva capire che dall’occhio invidioso (o forse addirittura lucido e freddo) di Theo, che gli dava uno stipendio per sentirsi “sano”, non gli sarebbe mai potuto arrivare nessun vero riconoscimento. Ma per fortuna o sfortuna di Vincent il suo modo di scendere a compromesso nelle lettere e nei rapporti non era quello che usava nell’arte. E già molto prima di Notte stellata e forse prima ancora del più “romantico” Cielo stellato sul Rodano del 1888 Van Gogh aveva già completamente superato la pittura degli impressionisti,che pure a un primo incontro a Parigi era stata di stimolo per queltotale rinnovamento che il pittore olandese fece nel 1886: d’un tratto realizzando una nuova immagine e rinnovando del tutto la tavolozza, sostituendo ai toni scuri e terragni del notturno ritratto in un interno di Mangiatori di patate (1885) un arcobaleno di riflessi brillanti. Nella casa gialla di Arles dove poi l’avrebbe raggiunto Gauguin per una breve e difficile convivenza, Van Gogh aveva maturato pienamente la consapevolezza che quella degli impressionisti era una strada troppo arida e che era tempo di riprendere a sperimentare sulla scorta delle suggestioni vive dalla vita del Sud e studiando il geniale uso di luci e colori di Delacroix. «Non mi stupirei molto – annotava Van Gogh in quegli anni – se tra un po’ gli impressionisti trovassero da ridire sul mio modo di fare, che deve alle idee di Delacroix molto più che alle loro. Infatti – aggiungeva il pittore olandese – invece di cercare di rendere esattamente ciò che ho davanti agli occhi, io mi servo del colore in modo più arbitrario di loro, per l’intensità dell’espressione». Da qui concretamente parte il lungo viaggio nella notte di Van Gogh studiato da Joachim Pissarro e al centro della mostra di Amsterdam; una ricerca che, dormendo di giorno, in poco più di 48 ore, per esempio, portò il genio olandese a realizzare opere come Caffè di notte (1888 ) in una ridda di gialli, rossi sangue e acidi verdi. E poi il ritratto del poeta Eugène Bloch che si staglia contro la “speranza” di un cielo infinito di stelle. E ancora Paesaggio con coppia che cammina e luna nascente del 1890, l’“onirica” e vibrante Chiesa di Auvers (1890), ma anche l’astratto e violaceo seminatore del quadro intitolato Notte (da Millet) del 1889 che racconta tutta l’enorme distanza che c’è fra le prime opere di Van Gogh (in cui ancora studiava forsennatamente la tecnica del disegno e “copiava” dai maestri del realismo come Millet e Corot) e quelle dell’ultimo periodo, che paiono aver subito una imprevista torsione fantastica; distanza fra l’inizio e la fine della parabola artistica di Van Gogh che si bruciò nell’arco di pochissimi anni e che è stata documentata dalla mostra curata da Marco Goldin Van Gogh, disegni e dipinti nel complesso di Santa Giulia a Brescia, con una nutrita serie di schizzi, bozzetti, acquerelli, litografie dalla collezione del Kröller-Müller museum. «Di solito si pensa che Van Gogh ia stato un pittore audace, istintivo, un po’ naif – commenta Joachim Pissarro – ma anche nei quadri dell’ultimissimo periodo, quelli che appaiono più febbrili e visionari, si vede la sua intelligenza al lavoro. Nonostante l’angoscia e le crisi mentali che lo attanagliavano, Van Gogh non smise mai di avere piena consapevolezza del suo lavoro. E la sua fantasia, nei momenti in cui riusciva a dipingere, non ne fu intaccata». Lo dimostrano, insieme agli accecanti ritratti di contadini che sembrano soccombere alla luce mentre la campagna arde e impazza di gialli, di turchese e di neri, anche le ultime inquietanti e vertiginose visioni di campi di grano solcate sinistramente da corvi neri. «Ma ancor più a mio giudizio lo dimostrano le umbratili e più delicate scene notturne – conclude Pissarro – costruite su una vastissima conoscenza letteraria, sullo studio di Rembrandt e Delacroix, ma anche e soprattutto misurate su una non comune sensibilità d’artista». Left Avvenimenti 4/09
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