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I ribelli del pensiero magico

Posted by Simona Maggiorelli su agosto 20, 2010

di Simona Maggiorelli

Giordano Bruno

E’ un fatto curioso, non lascia indifferenti, che il ponderoso Annali 25 della Storia d’Italia Einaudi sia dedicato all’esoterismo.

Tema all’apparenza peregrino, certamente nebuloso per la vastità dell’arco di tempo che incrocia e per i confini mobili della materia sapienziale di cui si occupa. Un ambito di studi che, va detto, conta al più quattro o cinque cattedre universitarie in tutta Europa. Di cui nessuna in Italia. E che, tuttavia, ora la storica casa editrice torinese sembra voler riconoscere e legittimare con questa pubblicazione a più voci. Con questa operazione culturale, infatti, la Storia d’Italia Einaudi invita a rileggere l’importanza che hanno avuto in Europa e nel nostro Paese filoni di pensiero “magico”, pagano, irriducibili alla tradizione cristiana. Così nelle ottocento pagine di questo affascinante volume si incontrano saggi di Gian Mario Cazzaniga, docente di filosofia morale dell’Università di Pisa e curatore dell’opera, a proposito delle influenze sansimoniane ed esoteriche che attraversarono il pensiero politico di Garibaldi. E più in generale analisi dell’anticlericalismo liberal-massonico risorgimentale.

Una storia in cui a vario titolo si trovarono coinvolti anche poeti come Pascoli, Carducci e Foscolo (a una lettura degli elementi esoterici disseminati ne Le grazie, in particolare, è dedicato un saggio di Francesca Fedi). Ma venendo a periodi di storia più recenti in Annali 25 si trova anche un’acuta disamina delle responsabilità dei neoidealisti italiani, di destra e di sinistra, nel soffocare filoni di pensiero riottosi a un progetto di costruzione di una res publica christiana in forme apparentemente moderne.

E se, come è stato notato da Armando Torno alla presentazione romana del libro, si avverte la mancanza di specifici lavori dedicati alle arti figurative e alla musica, con la vistosa lacuna su Mozart massone e rivoluzionario, vasta e appassionante è invece la sezione dell’opera dedicata a ricerche su culture precristiane e preislamiche come lo zoroastrismo e le divinazioni mesopotamiche (Pietro Mander) e che comprende anche studi sul significato dei sogni nell’Egitto antico (Edda Bresciani).

E ancora nella fitta trama di questo lavoro che, a detta dei curatori, avrebbe potuto anche essere più vasto se non ci fosse stato un chiaro stop per esigenze editoriali, troviamo ancora indagini sulla nascita idionale (Bruno Centrone) e sulle origini alessandrine, bizantine e islamiche dell’alchimia occidentale (Pinella Travaglia), che dall’Oriente aveva mutuato non solo l’idea della trasmutazione dei metalli vili in oro ma anche l’idea che l’arte alchemica, segreta, «sia subordinata a un processo di perfezionamento interiore, ovvero di trasformazione di sé che – ricostruisce Travaglia – viene iniziato da un maestro e sostanzialmente produce un contatto con le verità profonde». In questo ambito di trasmissione del sapere da Oriente a Occidente un ruolo importante, in area islamica, svolsero Al-Kindi, Avicenna e Averroé, per quanto la Chiesa cristiana abbia cercato di demonizzare e cancellare l’influenza che questi pensatori esercitarono su poeti e intellettuali nati a Nord del Mediterraneo.

E ancora, fra i molti capitoli stimolanti di questa storia non ufficiale di contatti e circolazione di idee fra Oriente e Occidente un ruolo chiave spetta alle letture tardo medievali e umaniste della «magia sovversiva» di Ermete Trismegisto. Il Corpus hermeticus a lui attribuito, infatti, fu portato nel 1460 a Cosimo de’ Medici da Leonardo da Pistoia suscitando l’entusiasmo di Marsilio Ficino e degli altri protagonisti dell’Umanesimo fiorentino. Ma indirettamente il Corpus pare abbia esercitato un’influenza anche su Giordano Bruno che setacciava fonti eccentriche e fuori dal dogma cristiano alla ricerca di puntelli per la sua visione radicalmente nuova dei mondi infiniti e in senso più generale per il suo  progetto di costruzione di una identità culturale rinnovata.

annali 25 esoterismo

E se come scrive in Annali 25 Vittoria Perrone Compagni «il Giordano Bruno ermetico entusiasta di Frances A. Yates non è mai esistito», essendo stato dimostrato che la studiosa inglese in Giordano Bruno e la tradizione ermetica (Laterza) operò una forzatura delle fonti, è anche vero che il filone di studi sulle fonti magiche presenti nelle opere di Bruno ha avuto poi ulteriori sviluppi, portando alla luce, come scrive Simonetta Bassi «il ruolo che la magia ha svolto nello sviluppo del suo pensiero». Bruno ricorre a tradizioni di pensiero magico in primis per portare avanti la sua critica corrosiva del Cristianesimo. Inoltre «quello che si propone – scrive Bassi – è recuperare organicamente il rapporto con la dimensione naturale». Ma non solo. «La magia bruniana – conclude la studiosa – trova il suo campo di applicazione più innovativo in rapporto alla vita civile e politica: guardare a essa, passando attraverso una critica della religione, rappresenta infatti l’elemento di novità della riflessione bruniniana sulla magia».

BRUNO,L’ASINO E LA CABALA

«Sforzatevi, sforzatevi, sforzatevi, dunque di essere asini, voi che siete uomini. E voi che siete asini, studiate, fate in modo, adattatevi a procedere sempre di bene in meglio, in modo che perveniate a quella meta, a quella dignità che si acquista non con studi e sforzi, quantunque grandi, ma per fede; si perde non per ignoranza e misfatti, quantunque enormi, ma per incredulità (come dicono secondo l’Apostolo). Se così non vi disporrete, se sarete così e in tal modo vi comporterete, vi troverete iscritti nel libro della vita, chiedete la grazia in questa chiesa militante e otterrete la gloria in quella trionfante, nella quale vive e regna dio per tutti i secoli dei secoli. Così sia».
Giordano Bruno
tratto  da Giordano Bruno, La cabala e l’asino,
pubblicato da Excelsior1881

da left avvenimenti del 23 luglio

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Giorgione, tra realtà e mito

Posted by Simona Maggiorelli su dicembre 10, 2009

di Simona Maggiorelli

giorgione, tempesta

Di lui non esiste firma riconosciuta come autografa e i documenti ufficiali che lo riguardano sono pochissimi. Tanto che se non fossero stati ritrovati quelli relativi a un’opera (andata perduta) che gli fu commissionata nel 1507 per Palazzo Ducale o i contratti che riguardano gli affreschi del Fondaco dei Tedeschi di cui La nuda è uno dei pochi lacerti superstiti, «Giorgione potrebbe tranquillamente non esser mai esistito».

Ad affermarlo, non troppo provocatoriamente, è il direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci nel catalogo Skira che accompagna la mostra Giorgione. Dipinti e misteri di un genio (dal 12 dicembre all’11 aprile nel Museo Casa di Giorgione a Castelfranco Veneto). Ricordandoci che anche la morte prematura del pittore, a poco più di trent’anni a causa della peste che colpì Venezia nel 1510, è riportata solo da una lettera di Isabella d’Este a un suo faccendiere attraverso il quale aveva sperato di ottenere una a noi sconosciuta «pictura de una nocte» del geniale artista.

Ma per amore verso la straordinaria arte di Giorgione e volendo dare un po’ di fiducia ai cronisti del Cinquecento (Vasari compreso), ripercorriamo qui anche la tradizione che vuole Giorgio Zorzi da Castelfranco nato nel 1477 (o al più un anno dopo) da una famiglia povera e presto andato a farsi le ossa nella bottega di un pittore affermato come Giovanni Bellini. Tra le fonti che riportano questi scarni dati biografici, il Ridolfi, in particolare, sostiene che dopo un breve apprendistato Giorgione scelse di non legarsi a una bottega precisa ma di darsi le possibilità che apre l’essere “mobile” e indipendente.

Giovane, di bell’aspetto, abile nella musica, il pittore che avrebbe rivoluzionato il modo di dipingere  aprendo la strada alla pittura tonale, non ebbe difficoltà a inserirsi nella vivace vita culturale delle élite veneziane. Lungo questa via, Lionello Puppi che – assieme a Paolucci e a Enrico Maria Dal Pozzolo – ha curato la grande mostra di Castelfranco Veneto, ricostruisce nel catalogo Skira lo “spregiudicato” milieu culturale in cui Giorgione operò, stimolato da committenti provenienti dalla ricca e laica borghesia mercantile di Venezia e dalla comunità tedesca che viveva nella città lagunare (da qui il fertile contatto che l’artista ebbe con la grafica nordica e l’inquieta pittura di Dürer).

Giorgione, autoritratto

Senza dimenticare, fra i committenti che si rivelarono importanti per il lavoro di Giorgione, anche figure come il cardinal Domenico Grimani che con ogni probabilità gli fece conoscere alcune opere di Leonardo. E che la geniale ricerca leonardiana sullo sfumato avesse profondamente colpito il giovane pittore, tanto da spingerlo lungo quella strada a trovare una propria originale cifra stilistica, ne è prova evidente un capolavoro come La tempesta. Dipinto criptico quanto affascinante, eccezionalmente prestato (vista la sua fragilità) dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia per questa rassegna che, in occasione dei cinquecento  anni dalla morte del maestro di Castelfranco, raduna gran parte dell’esiguo corpus delle sue opere giunto fino a noi.

In questo quadro, come del resto nel cosiddetto Tramonto proveniente dalla National Gallery di Londra, si coglie tutta la portata della rivoluzione coloristica che il pittore veneto realizzò adottando un atteggiamento sperimentale verso la natura analogo a quello di Leonardo: il movimento continuo degli elementi, la fusione atmosferica delle forme e la potenza espressiva del colore ne La tempesta fanno sì che la natura stessa diventi protagonista, restituendo il vissuto emotivo dei personaggi e indirettamente quello dell’autore. Tanto da spingere lo spettatore a “tuffarsi “in questo paesaggio inquieto e vibrante distogliendolo dalla decifrazione razionale dell’episodio qui rappresentato.

E sul quale, tuttavia, sono stati versati fiumi d’inchiostro. Senza che la critica d’arte e gli studi di iconologia siano mai arrivati di fatto a una lettura certa e definitiva. Nei secoli si è parlato di allegoria alchemica, di idillio bucolico, di ermetico gioco mitologico. E più in dettaglio di raffigurazione di episodi delle Metamorfosi di Ovidio oppure della Tebaide di Stazio. E se Marcantonio Michiel nel Cinqeucento aveva parlato de «la zingara e il soldato», secondo Schrey agli inizi del Novecento i due protagonisti del quadro erano i progenitori dell’umanità scampati dal diluvio universale. Per arrivare poi a Salvatore Settis che nel celebre saggio La tempesta interpretata (Einaudi) legge le due figure come Adamo ed Eva dopo la cacciata dall’Eden.

Ma forse, con Antonio Paolucci oggi potremmo finalmente dire che è il temporale il vero protagonista della tela e non inteso come mera descrizione di un banale evento atmosferico. Quello che vediamo, scrive il curatore della mostra castellana «è un temporale d’estate nella campagna intorno a Castelfranco, con le nuvole nero-grigio-viola che ruotano nel cielo fattosi improvvisamente buio, con il vento che squassa le chiome degli alberi e il fulmine che tocca di una luce livida e spettrale le mura del borgo» Una natura che è sì «vero visibile» ma che nelle sue epifanie e metamorfosi qui sembra evocare piuttosto “una tempesta emotiva”, o meglio l’inquieto vissuto emotivo che l’autore regala ai due enigmatici protagonisti. «Un temporale d’estate protagonista del quadro, come molti secoli dopo lo sarà la montagna Sainte Victoire per Cézanne o  come saranno le Ninfee per Monet. Con questo – precisa Paolucci – non si vuol dire che Giorgione è precursore dell’impressionismo. Si vuol dire semplicemente che la modernità nelle arti visuali incomincia anche con La tempesta». Certo è che in questa opera, come nel Tramonto o come accadeva già nella Pala di Castelfranco, Giorgione supera completamente la prospettiva rinascimentale che costruiva il paesaggio in modo architettonico. E in quell’impasto sfocato e nella tessitura continua della pittura senza disegno come è quella di Giorgione (diversamente da quella di Leonardo) si legge un’immagine latente mutevole e viva, diversissima dalla durezza smaltata della pittura quattrocentesca che prima di lui era ancora dominante nell’area veneta. La pittura tonale di Tiziano, Veronese e Tintoretto sarebbe venuta dopo.

da left-Avvenimenti 11 dicembre 2009

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