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Dürer, i colori dell’Italia

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su marzo 2, 2007

Alle Scuderie del Quirinale,una grande mostra sull’artista tedesco. Oli, acquerelli, disegni e stampe originali: un ampio percorso espositivo indaga il rapporto del pittore con il mondo artistico italiano

di Simona Maggiorelli

albrecht_durer_008_autoritratto_a_28_anni_1500Prende le mosse da un affascinante confronto con la pittura italiana l’antologica di Albrecht Dürer e l’Italia (catalogo Electa) che si apre oggi alle Scuderie del Quirinale, a Roma. Indagando la lunga influenza del pittore tedesco sul Rinascimento (specie su quello delle regioni del nord Italia) e poi sulla prima Maniera di Pontormo e Rosso, che dal maestro di Norimberga mutuarono il tratto nervoso e visionario. Ma non solo. La curatrice Kristina Hermann Fiore si è inserita nel filone della riscoperta di Dürer che da alcuni anni va crescendo in Europa (con ampie e importanti rassegne come quella di Vienna e di Praga), aggiungendo allo studio dell’opera del maestro tedesco tasselli importanti che riguardano l’influenza di Dürer sul Novecento italiano, ma anche un intrigante “dialogo a due” fra Dürer e Raffaello. Un capitolo in cui Hermann Fiore si muove con particolare perizia da curatrice della Galleria Borghese e attenta studiosa del pittore urbinate.
Si scopre così che il dialogo fra Dürer e Raffaello ebbe anche fruttuosi momenti privati, di scambio di omaggi e di opere. Raffaello, in particolare, diede a Dürer il disegno preparatorio di un gruppo di figure dell’affresco della Battaglia di Ostia, mentre il pittore tedesco gli fece avere una sua testa dipinta a guazzo. «Dürer stupì Raffaello per la sua arte di dipingere alla stregua di acquerello sfruttando il fondo bianco della tela, quasi un velo per le parti chiare, con un miracoloso effetto della visibilità dai due lati della piccola tela», ricostruisce la curatrice. Le tracce di quest’incontro con la pittura di Dürer si ritroveranno poi anche nell’autoritratto frontale di Raffaello che si ritraeva secondo i modi della “imitatio Christi”, particolare cifra che ritorna spesso nella pittura del maestro di Norimberga, basta pensare al celebre autoritratto. Il quale dal contatto con la pittura italiana, e con quella di Raffaello in modo particolare, derivò un sensibile ammorbimento delle forme, maggiore armonia e attenzione alle proporzioni classiche. Ma per il pittore tedesco – che scese in Italia in due occasioni, la prima volta nel 1494 e poi tra il 1505 e il 1507 – il contatto con gli artisti “italiani” non fu sempre così facile.

Fra invidia e ignoranza, dai colleghi a Venezia e nelle città d’arte della Penisola era considerato solo un buon incisore (le sue incisioni e stampe circolavano già ampiamente in Italia). Senza contare che nella laboriosa Norimberga i pittori – diversamente da Roma dove Raffaello era già “il divin pittore” – erano ancora considerati alla stregua di artigiani. Ma il viaggio in Italia cambiò molte cose per Dürer anche da questo punto di vista. Oltre all’acquisizione dell sfumato leonardesco, del colorismo veneto e delle forme e proporzioni classiche, in Italia Dürer – che pure era un uomo colto, amico di Erasmo – maturò anche un diverso e più consapevole status di artista.
La mostra che si apre oggi a Roma racconta anche questo aspetto, ricostruendo tutta la vicenda del pittore tedesco in Italia, che ebbe un momento di svolta nel 1506, quando a Venezia dipinse La festa del Rosario per il Fondaco dei Tedeschi.
Un’opera che riusciva a fondere l’ordine, l’armonia, la dilatazione delle forme del Rinascimento maturo con l’analisi minuziosa e realistica delle figure di matrice nordica.
Lo sfolgorante luccichìo dei gioielli del Quattrocento fiammingo con il luminoso sfumato di Leonardo e Giorgione. Un risultato che nasceva dalla fusione originale di due diverse e lontane culture pittoriche, quella rinascimentale e quella “gotica”. Fu lo stesso Giovanni Bellini a tesserne le lodi. E da quel momento per Dürer fioccarono ammirazione e sempre nuovi committenti. Di ogni genere e rango, perché Dürer aveva portato con sé anche molte stampe e per tutto il viaggio fece una gran messe di schizzi, disegni e acquerelli.
Opere che ancora oggi risultano di una freschezza straordinaria. Dürer, in realtà, fu il primo artista a usare l’acquerello per registrare dal vivo i paesaggi che lo colpivano. Si divertiva a ricopiare dal vivo, con fresco realismo, animali e piante, ma erano soprattutto le persone a suscitare la sua curiosità. Una curiosità vivace, appassionata, di cui resta testimonianza anche nel suo diario di viaggio in cui, accanto a note di spesa, regali, bevute con amici, Dürer annotava impressioni, giudizi fulminanti su cose e persone. Lasciando che la superficie delle contabilità quotidiane facesse spazio all’improvviso a descrizioni intense e poetiche oppure a stigmatizzanti caricature: una passione per l’umano che Dürer trasformava di volta in volta in scrittura o in immagini pittoriche.

Così l’immediatezza, lo scavo psicologico dei ritratti a olio, a penna, a carboncino, a gesso nero, a punta d’argento finiva poi per contaminare e animare anche le pitture sacre, dando alla raffigurazione di Madonne e Santi un movimento interiore del tutto nuovo e inaspettato. Come si può vedere, da oggi e fino al 9 giugno, nell’ampio percorso della mostra Albrecht Dürer e l’Italia che nelle sale delle Scuderie del Quirinale squaderna venti oli, undici acquerelli, trentatré disegni e cinquantotto stampe originali, intercalandoli con opere di artisti italiani, da Raffaello a Caravaggio.

da Europa,  2 marzo 2007

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Le metamorfosi nella fantasia di Klinger

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su ottobre 30, 2003

di Simona Maggiorelli

Sirena di Max Klinger

Una natura idealizzata e possente. Scene di passione sulla spiaggia. Di amanti senza nome. Nell’abbraccio, la donna rivela una sfuggente natura da sirena. Sono le figure immaginifiche, fantastiche, spesso mutuate dall’epos e dal mito, della pittura di Max Klinger, l’artista che contrassegnato con un proprio segno originale il passaggio dalla pittura romantica a quella simbolista nell’orizzonte europeo.

In un periodo in cui le varie discipline erano sempre più compartimentizzate, Klinger lavora a fondere i confini tra i generi inseguendo un’idea di arte totale in cui disegno e pittura non rinunciano a un effetto plastico e visionario. Allievo di Boecklin, soprattutto nel regalare sensualità alle figure, sciogliendo il rigido rigore della pittura tedesca.

Instancabile sperimentatore fra pittura, scultura e grafica, Klinger nasce a Lipsia nel 1857 e muore a Grossjena nel 1920. Dopo la prima importante antologica italiana che gli dedicò sei anni fa Ferrara in palazzo de’ Diamanti, ora una grossa scelta dalle sue opere – circa un centinaio fra olii, incisioni, a cqueforti, bulini e litografie – è in mostra a Trento, in palazzo delle Albere fino al 25 settembre . La curatrice Alessandra Tiddia, per rendere accessibile da subito il percorso della mostra, ha scelto di partire dall’opera più popolare di Klinger, il ciclo Parafrasi sul ritrovamento di un guanto, dove a dare il la alla pittura è un episodio di cronaca, in parte vero, in parte inventato. Nel quadro più famoso della serie, intitolato L’Azione (che piacque molto ai surrealisti) Klinger ritrae un uomo su una pista di pattinaggio, mentre si china per raccogliere il guanto che una pattinatrice ha lasciato cadere. Il pittore tedesco raccontò di aver vissuto davvero questo piccolo episodio e di essersi portato a casa quel guanto. Klinger lasciava intendere di averlo messo sul cuscino, generando un sogno in cui l’oggetto si animava di vita propria diventando protagonista di infinite avventure romanzesche e trasformazioni, fonte di ispirazione per altrettante opere su tela e su carta. Uno dei testi più cari a Klinger fu non, a caso, la favola di Apuleio. Da Amore e Psiche e dalle Metamorfosi, il pittore tedesco ricavò un ciclo di quadri che contenevano il movimento di una perenne trasmutazione degli elementi. Passaggio che poi troverà il suo apice ne Le fantasie per Brahms del 1894, la tela in cui Klinger tenta di dare musicalità silenziosa alle immagini. Brahms stesso, si dice, apprezzò moltissimo l’esperimento.

Da Europa quotidiano, 2003

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