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Mi manda il Vaticano

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su gennaio 1, 2006

Francesco Rutelli, l’antizapatero: una proposta di legge perché l’Italia,
unica in Europa, investa solo sulle cellule staminali adulte

di Simona Maggiorelli

Non promette molto di buono la fusione di Ds e Margherita in partito unico. Di certo, non sul fronte della libertà di ricerca e dei diritti delle donne. Il primo parto del nuovo organismo politico a due teste c’è già: è la proposta di legge per il finanziamento della ricerca sulle cellule staminali adulte presentata da Francesco Rutelli e firmata da esponenti di primo piano della Margherita, (da Castagnetti a Fioroni, a Bianchi) e dei Ds, con l’aggiunta dell’Udeur. E con la benedizione del ministro Buttiglione. Che ha commentato: «Mi auguro che la proposta di Rutelli significhi anche un impegno, suo e della Margherita, a sostegno della posizione del governo Berlusconi che al Parlamento europeo si batte perché la ricerca sulle staminali embrionali non venga sostenuta». Una solitaria battaglia in cui l’Italia si è già guadagnata una non molto onorevole medaglia, quando il viceministro per la ricerca, Guido Possa, unico fra sedici colleghi europei, votò per bloccare i finanziamenti alla ricerca. Ora, Rutelli, non solo si pone in questa scia, con una proposta di legge che mette al bando la ricerca sulle embrionali (più rigidamente di quanto già fa la legge 40), ma come presidente di Dl dà mandato a una commissione di bioetica guidata dal cattolico Adriano Ossicini per futuri interventi su genoma, consenso informato e trapianti da animali. «Abbiamo chiesto alla commissione – ha detto Rutelli – che ci aiuti a preparare il terreno perché le grandi sfide della scienza del XXI secolo vengano governate in anticipo dalla politica»; specificando anche che si trattava di «onorare un impegno preso ai tempi del referendum sulla fecondazione».
Così, facendo spallucce ai pareri della comunità scientifica internazionale e infischiandosene di aver imboccato la strada politicamente opposta a quella dei governi Blair e Zapatero, Francesco Rutelli propone per la prossima legislatura una norma che mette al bando anche la ricerca sulle linee staminali embrionali importate dall’estero (cosa che la legge 40 non fa), stanziando un unico blocco di 16 milioni di euro per la ricerca sulle staminali adulte e per un’informazione ai cittadini che riguardi esclusivamente questo settore.
Nel frattempo, invece, in Inghilterra, in Belgio e in altri paesi all’avanguardia nella ricerca s’investe sempre più in ricerca sulle staminali embrionali e si apre sempre di più il campo della clonazione terapeutica. La regione autonoma dell’Andalusia si è aggiunta a questo gruppo la settimana scorsa, anticipando la discussione del governo spagnolo in programma a febbraio. È stata la stessa ministra della Sanità andalusa, Maria Jesus Montero, che Avvenimenti aveva incontrato a Bruxelles, ad annunciare lo stanziamento di fondi per la clonazione terapeutica: tecnica di trasferimento nucleare che permette di costruire in laboratorio tessuti geneticamente compatibili a quelli del malato, evitando i rischi di rigetto legati ai trapianti. E mentre il deputato diellino e i suoi alleati di centrosinistra sembrano voler fare a gara con il governo Berlusconi nel tradurre in legge i precetti della Chiesa, il primo ministro spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero si sta ponendo il problema opposto, ovvero come rendere i risultati della scienza più accessibili ai cittadini e, in particolare, alle donne. È notizia di poco prima di Natale la riforma della legge sulla procreazione assistita attuata dal suo governo. La norma promulgata già con molto anticipo nel 1988 e rivista nel 2003, era – a dire il vero – già buona, aperta, liberale. Specie se confrontata con il nodo di assurdi divieti e contraddizioni che fanno la nostra legge 40. Ma il governo Zapatero ha voluto allargare ancor più l’area dei diritti: ora in Spagna tutte le maggiorenni, a prescindere dal loro stato civile, potranno accedere a queste tecniche, se lo vorranno. Ma c’è di più. Sul modello di quanto già accade in Inghilterra, la nuova legge spagnola autorizza la diagnosi preimpianto per selezionare embrioni sani e geneticamente compatibili con eventuali fratellini o sorelline malate. Un passo importante nella lotta contro malattie genetiche ancora incurabili. E nulla a che vedere, del resto, con la clonazione riproduttiva che in Spagna, come nel resto dell’Unione europea, è proibita. La stampa cattolica impropriamente ha parlato di “bambini farmaco”, alimentando paure e, insieme – fatto che ci sembra particolarmente grave – attaccando la nascita e l’identità di questi neonati uguali a tutti gli altri, benché nati in provetta.
In Spagna come in Italia, insomma, l’attacco della conferenza episcopale è stato molto violento. Ma, diversamente che nel nostro paese, integralmente laica è stata la risposta del governo Zapatero, che preoccupandosi più della salute dei cittadini che della salvaguardia di precetti religiosi, ha già messo in conto la possibilità di aggiornare ulteriormente la legge, procedendo di pari passo con i progressi della ricerca. «In un Stato come il nostro, non ancora laico, perché concordatario – commenta il docente di Bioetica Demetrio Neri -, purtroppo, siamo ancora molto lontani da tutto questo». Docente all’Università di Messina e, spesso, voce critica all’interno del Comitato nazionale di bioetica diretto da Francesco D’Agostino, Neri è stato la settimana scorsa uno degli animatori della tavola rotonda sulla proposta di legge Rutelli organizzata via audio- video dall’associazione Luca Coscioni e dalla Rosa nel Pugno. Un’assemblea telematica di scienziati, politici, giornalisti, che è stata il primo segno pubblico forte di protesta riguardo a quelli che potrebbero diventare contenuti del programma del futuro partito democratico, in materia di ricerca. «Inutile», «antiscientifica», «strumentale», «pericolosa», sono gli aggettivi più ricorrenti durante la discussione sui punti caldi del progetto Rutelli, che puntando tutto sulle staminali adulte, propone la creazione di tre nuovi centri nazionali per la raccolta e il trattamento dei materiali biologici. «Non considerando – dice Elena Cattaneo, ordinario di farmacologia all’Università di Milano e una delle massime esperte italiane di cellule staminali – che di strutture simili in Italia ne esistono già e non c’è nessun bisogno di affrettarsi a creare ennesime banche di staminali adulte, quando questa non sembra essere la strada di ricerca più feconda di risultati». Doppioni, fondi per la creazione di inutili centri e istituzioni che fanno il vantaggio solo di chi le governa. Il pensiero corre alla cosiddetta “casa del ghiaccio”, inaugurata il 16 dicembre, dall’ex ministro della Salute, Girolamo Sirchia a Milano: una struttura dove, per un suo vecchio decreto ministeriale, i vari centri di fecondazione sparsi in Italia dovranno inviare i 400 embrioni soprannumerari congelati prima della legge 40. Spese di trasporto, stoccaggio nel nuovo centro milanese, con 25 addetti, e 38 congelatori ad azoto liquido, in un’ala dell’ospedale Maggiore di Milano. E a quale scopo dal momento che la ricerca sugli embrioni è proibita in Italia e che questi embrioni, non più richiesti, non potranno essere impiantati? «Qui non si tratta banalmente di tifare per le staminali embrionali o adulte, per Roma o Lazio, Bartali o Coppi – chiosa stizzito Giulio Cossu, direttore dell’istituto cellule staminali del San Raffaele di Milano -. Come scienziati dobbiamo poter sperimentare. La ricerca procede per gradi, per errori, non c’è altro modo di conoscere la realtà che facendo ricerca. Se un lavoro come quello del sudcoreano Hwang Woo Suk viene in parte ritrattato, questo non deve essere strumentalmente usato per chiudere un canale di ricerca». «Della proposta Rutelli – spiega Cattaneo – colpisce l’ignoranza. Il sapere scientifico è unico, le scoperte, se valide, sono universali. Non funziona per compartimenti stagni. Se in Italia escludiamo, in modo così assolutistico, come pretende Rutelli, la ricerca sulle staminali embrionali, anche quella sulle adulte ne soffrirà lo scotto. E viceversa. Le staminali embrionali totipotenti – prosegue la ricercatrice – proprio per la loro plasticità sono le più promettenti, ma non si può, come vorrebbe certa politica, scegliere un campo in maniera aprioristica e sulla base di discorsi strumentali come quello che Rutelli mette a incipit della sua proposta, parlando di cura del diabete fatta da una equipe di scienziati a Miami, utilizzando staminali adulte, quando si è trattato di un più ordinario trapianto di isole di pancreas. Il sospetto, allora, è che si voglia fare della propaganda per motivazioni etico-religiose». Difficile non pensare alle parole del Papa che nell’omelia del 28 dicembre parlava di agglomerati di poche cellule nell’utero materno come esseri che «contribuiscono, pur collocati in posto meno importante, all’edificazione della Chiesa. Poiché, sebbene inferiori per dottrina, profezia, grazia dei miracoli e completo disprezzo del mondo – dice Benedetto XVI – tuttavia poggiano sul fondamento del timore e dell’amore di Dio».

IAN WILMUT: “Offriamo la terapia ai malati terminali”

«Provate a pensarvi in una condizione di questo genere: siete affetti da una malattia che vi immobilizza dalla testa ai piedi e venite a sapere dalla tv e dalla radio che potrebbe esistere una terapia che potrebbe darvi qualche beneficio. Quale sarebbe la vostra reazione? Sarebbe certamente di entusiasmo e vorreste saperne di più». A scrivere così è uno dei maggiori esperti di staminali embrionali, l’inglese Ian Wilmut, direttore del nuovo Centro per la medicina rigenerativa dell’università di Edimburgo. Lo scienziato, noto al mondo, come il “papà” della pecora Dolly, dalle colonne del quotidiano The Scotsmen, ha lanciato una proposta: offrire la terapia con cellule staminali embrionali ai malati terminali. «Anche se i protocolli terapeutici non sono ancora del tutto consolidati – scrive lo scienziato – i benefici sarebbero comunque superiori ai rischi, la terapia potrebbe aiutare a salvare delle vite umane e, sicuramente, far andare avanti la ricerca scientifica». La proposta di Wilmut arriva dopo che lo scandalo che ha coinvolto in Corea del Sud il suo collega Hwang Woo-Suk ha profondamente turbato le aspettative di molti pazienti e ricercatori che attendevano un beneficio diretto dallo sviluppo della cosiddetta terapia rigenerativa. «Se aspettiamo ancora – ha aggiunto Wilmut – che tutti gli elementi siano sperimentati e testati potremmo ritardare molto la messa a punto di trattamenti efficaci». Maggiori informazioni su http://www.aduc.it

da Avvenimenti, 10 gennaio 2006

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Ora c’è chi vuole adottare gli embrioni

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su ottobre 26, 2005

Quasi, quasi me l’adotto Il Comitato di bioetica dice sì all’impianto degli embrioni orfani. Ma rende “sacri” e intoccabili anche i pre embrioni di Simona Maggiorelli

Uno spiraglio, “un tentativo di migliore almeno qualche aspetto di una legge assolutamente folle e piena di divieti”, “un piccolissimo passo avanti”. “Una scelta di buon senso vista la possibilità che prima o poi venissero gettati nel lavandino”. I giudizi positivi, anche se cauti e circostanziati, si moltiplicano fra le associazioni che si occupano di fecondazione assistita e fra chi ha partecipato alla campagna referendaria contro la legge 40. La notizia è che il Comitato nazionale di bioetica ha preso posizione a favore dell’adozione di embrioni congelati, i cosiddetti “orfani”, quegli embrioni cioè che crionconservati prima dell’entrata in vigore della nuova legge non sono stati più reclamati dalla coppia. E questo con buona pace del ministro Mantovano che ha passato tutto il tempo della campagna a inveire contro i referendari perché la legge 40 avrebbe contenuto già in nuce una possibilità di utilizzo delle giacenze in frigorifero. “Affermando una cosa palesemente falsa – commenta la vice presidente del Comitato, la biologa e bioeticista Cinzia Caporale – . In realtà la legge non dava nessuna indicazione su che fine dovessero fare questi embrioni”. All’interno del Cnb, presieduto dal cattolicissimo professor D’Agostino la discussione sull’argomento è stata assai lunga. E’ partita nel gennaio 2005 con una lettera indirizzata al comitato della professoressa Luisella Battaglia ed è andata avanti per quasi un anno nelle sottocommissioni. Preso atto che non aveva alcun senso lasciare che queste svariate migliaia di embrioni deperissero, le questioni che si aprivano erano essenzialmente due, racconta la professoressa Caporale: “O destinarli alla nascita permettendo alle coppie che ne facessero richiesta di adottarli, oppure utilizzarli per la ricerca”. Ma anche nel caso si trattasse di embrioni poco vitali, che già al momento del congelamento apparivano non in buone condizioni, questa seconda ipotesi urta con tutta evidenza la sensibilità dei cattolici. E la maggioranza del Comitato ha preferito assecondarla. “ E abbastanza ovvio – commenta sferzante il presidente dell’associazione Luca Coscioni, Marco Cappato – aprire alla ricerca scientifica avrebbe voluto dire aprire uno spiraglio in quel muro di ideologia che è stato trasferito nella legge 40”. Ma le brutte notizie, come si sa, su questi temi, nel nostro paese non vengono mai da sole. E un’altra decisione del Comitato nazionale di bioetica ha contribuito, se possibile, ad allontanare ancor più l’Italia dal resto della comunità scientifica europea. Il comitato presieduto dal professor D’Agostino, in maggioranza espressione del governo Berlusconi ha affermato in un documento ufficiale che non solo l’embrione è sacro come già dice la legge 40, ma che anche il pre embrione, cioè quella formazione organica che si ha nelle prime 30 ore dalla fecondazione e che non ha ancora un patrimonio genetico autonomo sarebbe da tutelare e proteggere come un bambino che va a scuola. In barba al fatto che nessuna legislazione europea in materia di fecondazione assistita, nemmeno le più intolleranti di Irlanda e Portogallo, arrivano a tanto. “Il punto è che in un dibattito civile e rispettoso delle posizioni altrui – nota la bioeticista e membro dell’Unesco Cinzia Caporale – occorrerebbe affrontare la questione dei criteri in base ai quali si decide cos’è vita umana: sono io da quando uno spermatozoo ha incontrato un ovocita? O lo sono ancor più da quando ho un mio Dna?. E oltre. Sono ancora più io da quando non sono più scindibile in due gemelli. E ancor più quando si forma almeno il primo abbozzo del mio sistema nervoso. Senza dimenticare che senza un utero che mi accolga io embrione non mi potrei sviluppare, non avendo nessuna possibilità di vita autonoma fuori dell’utero prima che siano trascorse 24 settimane”. Questioni importanti, che la letteratura scientifica affronta, ma che il documento di maggioranza del Comitato di bioetica ha scavalcato sposando senza dubbi o incertezze la tesi dell’istantaneità creazionistica della persona umana, per cui un nuovo individuo ci sarebbe fin dai primi momenti dal concepimento. “Rispetto la posizione, non mi sentirei di banalizzarla – commenta la docente di Bioetica dell’Università di Siena – ma trovo avvilente che nel Cnb non ci sia rispetto per tutte le posizioni, comprese quelle più aperte al dubbio, alla ricerca”. “Non mi stupisce la presa di posizione di maggioranza espressa dal Cnb – commenta invece Cappato -. I cattolici sono contrari anche alla cosiddetta clonazione terapeutica quella tecnica di trasferimento nucleare della cellula (che non ha nulla a che fare con la clonazione umana ndr) e nella quale non c’è incontro fra seme maschile e femminile. In questo caso la proibizione non corrisponde a una necessità concreta di tutela, ma solo all’esigenza di traduzione legislativa di un presupposto ideologico”. E riguardo ai criteri in base ai quali i cattolici stabiliscono quando si debba parlare di vita umana? “I cattolici curiosamente finiscono per essere i più materialisti di tutti – dice il presidente dell’associazione Coscioni per la libertà di ricerca – per loro la vita umana corrisponde a un dato biochimico e non ha nulla a che fare con lo sviluppo di una coscienza e di una vita emotiva”. E aggiunge: “Il comitato di bioetica, da molto tempo ormai, non fa altro che trasferire in precetti bioetici i dogmi del Vaticano. E l’idea vaticana è ben chiara – conclude Cappato – è quella di tenere unite sessualità, riproduzione e famiglia e tutto ciò che spezza questa consequenzialità: la sessualità fuori dalla famiglia, la riproduzione fuori dalla famiglia, la riproduzione fuori dalla sessualità, essendo peccato, secondo loro, deve essere imposto a tutta la società facendolo apparire come reato”.

La denuncia delle associazioni
“E’ assurdo che in italia dove è stata inventata una tecnica di lavaggio del seme utlizzata in tutto il mondo sia proibito ai sieropositivi di ricorrervi, come conseguenza diretta del divieto all’eterologa stabilito dalla legge 40”. La presidente dell’associazione Amica Cicogna Filomena Gallo, mentre da avvocato sta preparando nuovi casi di autodenuncia da sottoporre alla magistratura, lancia il sasso di una nuova battaglia. E con la firma della deputata diessina Katia Zanotti, insieme a Cappato e al professor Aiuti, si fa promotrice di un’interrogazione parlamentare sulle discriminazioni causate dalla legge. Le donne sopra i 40 anni sono un’altra fascia fortemente colpita. “Il congresso dei ginecologi italiani dello scorso settembre ha stabilito un limite di età di 42 anni per le donne che vogliano sottoporsi ai trattamenti – spiega la presidente di Amica Cicogna-. Ed è chiaro che la limitazione a soli tre embrioni prevista dalla legge penalizza donne che non hanno più vent’anni”. Ma c’è un altro fatto grave e che riguarda tutti: a più di due anni dalla promulgazione della legge il ministero della Sanità non ha ancora reso pubblico il registro dei centri, di modo che le coppie si possano orientare e avere garanzie. E chi decide di andare all’estero rischia di trovarsi in una giungla di proposte sempre più costose e non sempre sicure. “I centri esteri stanno facendo dell’Italia sempre più terra di conquista – denuncia lo psicoterapeuta Angelo Aiello dell’associazione Unbambino.it -, fanno una propaganda aggressiva spacciando per scoperte e novità delle tecniche che esistono da anni, come l’impianto di embrioni congelati da parte di un centro spagnolo annunciato con titoloni a settembre dal Corsera”. E qualche volta la propaganda potrebbe rischiare di diventare altro. “Ho cominciato a insospettirmi – aggiunge Aiello – quando alcuni centri stranieri mi hanno proposto dei soldi perché io mettessi le loro informazioni sul sito dall’associazione. Da qual momento ho cominciato ad essere più sospettoso consigliando alle coppie di verificare bene le informazioni prima di decidersi a partire”.

da Avvenimenti del 26 ottobre 2005

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Nel segno di Leopardi

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su Maggio 7, 2005

Non sempre la naturalità è amica dell’uomo e della donna In libreria nuovi studi sulla fecondazione assistita.

di Simona Maggiorelli

Un pieno di uscite editoriali accompagna il dibattito sulla fecondazione assistita. Tenendo alta una discussione sulla legge 40, se non in tv e sui grandi media di massa, almeno in libreria.
Un vero e proprio proliferare di titoli di scienza, di filosofia, di politica e bioetica, nell’ultimo mese, fra instant book e volumi frutto di ricerche ampie e strutturate, che su un tema delicato come questo che tocca la salute di milioni di persone, aiutano ad uscire dalle secche del determinismo genetico e della metafisica, rimettendo al centro la questione dell’informazione e della conoscenza.
Questione fondamentale, questa della conoscenza, per un dibattito franco e aperto in vista del referendum, sottolinea lo stesso Giuliano Amato nella prefazione al libro del senatore diessino e ex dirigente della Fuci Giorgio Tonini, La ricerca e la coscienza edito da Il Riformista.Ricordando anche che nel confronto delle parti, fra i sostenitori del sì al referendum e il partito dell’astensione che attraversa il centrodestra, «sono soprattutto i difensori della legge 40 – scrive Amato – a chiudersi a riccio in petizioni di principio tenacemente sottratte ad ogni riscontro di scienza e fattuale ». Chi, invece, non ha paura di porsi domande radicali e di indagare a fondo le ragioni politiche che hanno portato nel giro di un anno e poco più l’Italia, da essere un paese all’avanguardia nella ricerca a fanalino di coda in Europa e nel mondo, è Vittoria Franco nel libro Bioetica e procreazione assistita edito da Donzelli. Questa legge? «La più anacronistica, vessatoria che si potesse immaginare – denuncia la senatrice diessina e docente di filosofia alla Scuola Normale –, una legge lontana anni luce dal sentire comune e dai nuovi modelli di vita». Con argomentazioni importanti e cogenti, che non evitano il campo della morale, la Franco prova a rispondere anche alle paventate derive della «genetica liberale» proposte da un filosofo, fin qui laico e progressista, come Habermas.
Il quale, da qualche tempo continua a sollevare la medesima domanda: «Dove mai andremo a finire?». Prendendo così, fa notare Vittoria Franco, quel pendio scivoloso, per cui «in nome di un rischio remoto si rinuncia a risolvere casi concreti ». In nome di una fantasticheria di eugenetica, si impedisce a persone con gravi malattie genetiche di mettere al mondo figli sani.
Anche Chiara Lalli nel libro Libertà procreativa pubblicato da Liguori affronta l’argomento con strumenti filoso fici, analizzando il quadro di riferimento e di pensiero che sta dietro alla formulazione della legge 40 e ai suoi divieti, «illiberali – scrive la Lalli – e medicalmente dannosi». A fare da abbrivio a questo volume in cui la giovane ricercatrice dell’Università di Chieti tira in campo anche la letteratura e gli scenari futuribili immaginati da scrittori, una prefazione di Jhon Harris che stigmatizza la situazione italiana. In questo quadro il libro di Chiara Lalli, scrive Harris, «porta una salutare ventata di liberalismo in un settore dove sta prendendo sempre più piede il pregiudizio e la repressione».
E proprio per sgombrare il campo dal “si dice” e capire un po’ più da vicino cosa ne pensa la comunità scientifica, c’è il libro del biologo Angelo Vescovi La cura che viene da dentro edito da Mondadori in cui lo scienziato dell’Università di Milano parla delle potenzialità di cura offerta dalle staminali, spiegando la differenza fra adulte e embrionali, e lo stadio che ha raggiunto fin’ora la ricerca su quest’ultime, quelle derivate dall’embrione, le più potenti e insieme le più discusse da parte di chi, per convinzioni etiche e religiose, ritiene che l’embrione sia già persona.

Ma da non perdere di vista è anche il chiarificante libro intervista di un altro eminente scienziato Edoardo Boncinelli, Sani per scelta, la scienza che ci cambia la vita, pubblicato dal Corriere della Sera. Un agile volumetto in cui il biologo e genetista dell’Università di Milano spiega l’importanza della ricerca sulle cellule staminali embrionali per la cura di malattie oggi incurabili, dalle malattie genetiche, al diabete, all’Alzheimer, ma anche – grazie al fatto che queste staminali totipotenti e veloci nel riprodursi sono ancora indifferenziate e possono dar vita a qualsiasi tipo di tessuto – le opportunità che offrono nel riparare i danni dell’infarto e di tumori.
Un’appassionata difesa delle possibilità della scienza e del progresso quella di Boncinelli, contro chi sostiene che tutto ciò che è naturale sia, di per sé, buono.
Ricordando la lezione di Leopardi, ma anche qualche vistoso paradosso. In base a questo principio della “naturalità”, accenna lo scienziato, dovremmo abbandonare gran parte di ciò che fa la nostra realtà di tutti i giorni, «perché – ci ricorda – certamente è contro natura l’uso degli occhiali, dell’ombrello, dell’insulina.Come sono contronatura gli antibiotici e la cura dei tumori». Una efficace provocazione senza trascurare argomentazioni etiche: «Semplicemente perché – dice – a noi non piace che qualcuno porti per tutta la vita le conseguenze dell’aver pescato un numero sbagliato nella lotteria dei geni e che i deboli e malati vengano lasciati morire fuori dal branco».  

Da Europa 7 maggio 2005

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Cattivi medici. Per legge

Pubblicato da: Simona Maggiorelli su aprile 4, 2005

Luca Gianaroli: «Questo governo ci costringe alla malasanità»

di Simona Maggiorelli

C’è un sinistro spot che circola in rete. Un messaggio di smaccata propaganda. S’intitola Ancora un referendum contro la vita, ed è pieno zeppo di assurdità del tipo: l’impianto di tre embrioni (sani o malati che siano) giova alla salute della donna; la diagnosi genetica preimpianto non è un esame scientifico, tutto ciò che è artificiale è contro natura e via di questo passo. Mentre in primo piano scorrono immagini da manuale di medicina medievale con un omuncolo disegnato al computer, che miniaturizza le fattezze umane, chiamato di volta in volta, indifferentemente,“embrione”, “feto”, “bambino”, come se queste parole indicassero realtà equivalenti. È uno spot che via mail è arrivato a mezzo milione di italiani. Su questo che ci appare come l’ennesimo tentativo di confondere da parte di chi antepone la propria fede alla scienza,nell’avvicinarsi del referendum del 12 e 13 giugno, abbiamo chiesto lumi al professor Luca Gianaroli, direttore della società italiana di medicina riproduttiva, che di fecondazione assistita e di ricerca si occupa da  25 anni, in Italia e all’estero.

Facciamo un po’ di chiarezza professore, che cos’è l’embrione?
«Da un punto di vista strettamente scientifico è quell’entità in via di sviluppo che si ha 24 ore dopo la fertilizzazione. E bisogna dire anche che nei primi 14 giorni l’embrione nell’utero non dà segno di sé. Il fatto mistificatorio, in primis, riguarda la parola “concepimento”: prima delle tecniche di fecondazione in vitro, si riferiva al momento in cui la donna, con il ritardo mestruale, sapeva di essere incinta. Dopo la nascita, nel 1978, di Louise Brown, la prima bambina nata con la procreazione medicalmente assistita, si è cominciato a istillare nella mente della gente l’idea che il concepimento coincidesse con il momento in cui l’uovo viene fecondato. Dimenticando che la cellula fecondata non ha un patrimonio suo, autonomo. Tanto è vero che, nei giorni successivi, l’embrione si può dividere in due dando origine a due gemelli. Ma può anche trasformarsi in carcinoma: uno dei tumori più invasivi e distruttivi della donna. Dunque, dire che la cellula uovo fecondata sia un individuo è un errore grossolano, perché quella  cellula può diventare tutto: un tumore, un aborto, può diventare nulla. Sia  nel caso di fecondazione naturale che artificiale, c’è solo un 15 per cento di possibilità che quella cellula diventi embrione e poi individuo».

C’è chi sostiene che prima di 24 settimane non si possa parlare di individuo, perché il feto non può vivere fuori dall’utero. Che ne pensa?
«Non entro nel merito perché a questo livello ci potrebbero anche essere concezioni diverse. Ma tengo a ribadire che il pensiero che la cellula uovo fecondata sia una persona è assolutamente sbagliato. Su questo assunto non vero si basa la convinzione che la cellula debba essere salvaguardata vietando la fecondazione assistita».

Ma le tecniche non si limitano a riprodurre in vitro ciò che avviene in natura?
«Veniamo al punto. Una coppia fertile ha il 20-25 per cento di possibilità di concepire ogni mese. I circa 500mila bambini che nascono in Italia con rapporti naturali sono il prodotto di 2 milioni e mezzo di embrioni, di cui 2 milioni vanno persi all’interno dell’apparato genitale. È patetico pensare che la cellula uovo fecondata che i medici trasferiscono nell’utero venga “buttata via” se non s’impianta. Si tratta di un evento naturale. Senza contare che spesso l’ovulo fecondato ha tali anomalie cromosomiche da non potersi in nessun caso sviluppare. Esattamente come succede in natura. Le persone devono capire che la cellula uovo fecondata non è sinonimo di bambino. Nei nostri laboratori la cellula segue la stessa strada che seguirebbe per vie naturali».

Quanto è importante la diagnosi genetica preimpianto?
«Questo tipo di diagnosi è nata per ridurre il più possibile la sofferenza delle coppie. Fino a un anno fa, prima che la legge 40 bloccasse tutto, eravamo fra quelli che ne avevano eseguite di più. Nei nostri laboratori al Sismer venivano pazienti che avevavo abortito 2, 4, 5 volte pur di non mettere al mondo dei bambini gravemente malati. Piccoli che nel giro di un anno erano destinati a morire. Ci sono malattie genetiche che portano alla morte nel giro di 6 mesi. Ci sono anomalie cromosomiche per cui una gravidanza naturale abortisce al quinto e sesto mese. Non è assolutamente pensabile che si possa abolire una metodica come la diagnosi preimpianto che riduce gli aborti, limitandosi solo a non trasferire quelle cellule che con molta probabilità non avrebbero nemmeno la possibilità di impiantarsi».

La legge 40 proibisce l’eterologa, negando a persone malate di poter ricevere i gameti da donatori esterni alla coppia. Con quali conseguenze?
«In tutti i paesi europei è ammessa l’eterologa. Solo in Italia è proibita. Così le coppie vanno all’estero e non si rivolgono più al medico di fiducia, nemmeno per dei consigli. Del resto la nuova legge ci proibisce anche di dare informazioni. Molti cercano su internet, trovando di tutto. Cominciamo già adesso a vederne le conseguenze con disgrazie e incidenti di percorso, che tornano ai nostri medici. E una paziente che riporta dei danni come conseguenza di trattamenti fatti in centri di paesi lontani, come può denunciare il proprio caso ed avere, almeno, un risarcimento? Mentre al sistema sanitario italiano resta solo la cura della complicanza».

Si assiste anche a una fuga all’estero dei nostri scienziati?
«Inevitabilmente. Il problema è ancora poco sentito. Ma, se le cose non cambieranno, diventerà un fatto serio. La nostra sarà sempre più una comunità scientifica che non cresce, potendo confrontarsi solo con se stessa. In nessun altro paese al mondo un medico è costretto a fare quello che questa legge ci obbliga a fare, causando perdite di tempo e denaro alle coppie. Nel frattempo chi si è impegnato a lungo nella ricerca si troverà le porte chiuse di riviste internazionali, di certo non interessate a pubblicare studi arretrati. E sappiamo bene che ciò che tiene alta la dignità del ricercatore sono le sue pubblicazioni scientifiche».

Come può un medico che opera secondo “scienza e coscienza” trasferire in una paziente tre embrioni anche se malati?
«I medici finiscono in prima pagina quando fanno errori o si suppone che li facciano. Ma oggi noi abbiamo una legge che ci costringe ogni giorno a fare della malasanità, ed è drammatico. Trovarmi a lavorare a scartamento ridotto dopo che per 25 anni, con sforzi enormi, le ricerche sono avanzate, mi sembra terribile. Come medico, poi, ho trovato particolarmente umiliante che il nostro consenso informato fosse redatto dal ministero di Grazia e Giustizia e non solo da quello della Salute. Significa che non si ha la minima fiducia nella medicina e nella ricerca».

Dall’entrata in vigore di questa legge si sono ridotte le nascite?
«I dati riferiscono un calo del 10-15 per cento, se non di più. Quando in Italia ormai eravamo arrivati al punto che in ogni classe di 30 bambini ce n’era uno concepito con la fecondazione in vitro. Oggi c’è anche un forte aumento dei costi e dei cicli di trattamento. Un enorme dispendio di energia e di denaro, se si considera che si parla di coppie nel pieno dell’età lavorativa, costrette a prendere armi e bagagli per andare all’estero. Oppure, in Italia, obbligate a ripetere più e più volte i trattamenti. Per quale scopo poi? Solo per poter dire che la cellula uovo fecondata è “uno di noi”. Con un assunto che non corrisponde al vero. È raccapricciante».

Che fine faranno gli embrioni congelati?
«La legge, o meglio le linee guida, permettono di scongelare quelli conservati prima della sua entrata in vigore. Ma si determina un effetto paradossale. Una volta le coppie che volevano un altro figlio o quelle che, non avendone avuti, volevano riprovarci, tornavano a chiederci di poter riavere i propri embrioni congelati. Contrariamente a quello che si sente dire oggi, la crioconservazione nacque nel tentativo di salvaguardare un patrimonio genetico che avrebbe potuto avere un ruolo per la coppia. Oggi chi potrebbe tornare a chiederli, non lo fa, forse per paura. Coppie con due o tre embrioni conservati, preferiscono piuttosto andare all’estero e ricominciare tutto il ciclo di trattamenti da capo».

Di recente l’Accademia dei Lincei si è pronunciata a favore della ricerca sugli embrioni già congelati e non più richiesti. Che destinazione avranno?
«Se le cose non cambieranno, come ha stabilito Girolamo Sirchia quando era ministro, dovranno essere inviati attraverso l’Istituto Superiore di Sanità a un centro di conservazione di Milano, noto nel settore trasfusionale, ma che non ha il know how della crioconservazione degli embrioni e dei gameti».

Verranno utilizzati per fare ricerca come ha sostenuto Sirchia stesso?
«E come? Per poter fare ricerca su così poche cellule occorrono tecniche sofisticatissime, ma questi materiali vengono allontanati dai nostri centri attrezzati a farla. Ricerca, non dimentichiamolo, che la legge 40 proibisce. Ma che poi permette con un decreto ministeriale. È il festival della contraddizione».

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